venerdì 27 luglio 2018

Scrittori tradotti da scrittori: "I Polizieschi" di Il Liocorno


La collana Scrittori tradotti da scrittori fu, per i 17 anni (e 82 titoli) in cui restò aperta (dal 1983 al 2000), un fiore all'occhiello della casa editrice Einaudi, tanto che a curarla era personalmente il proprietario, Giulio Einaudi. Vi si potevano trovare, tra gli altri, Il Processo di Kafka nella versione di Primo Levi (fu il primo volume della collana) e diverse altre chicche, come La Tempesta di Shakespeare tradotta in Napoletano da Eduardo De Filippo.
Gran parte di questi volumi sono stati poi ristampati, dopo la chiusura della collana, in altre collezioni dello stesso editore.
Ma l'idea di proporre al pubblico dei testi letterari stranieri tradotti da letterati italiani era venuta già, molto tempo prima, a un piccolo editore romano di gialli, uno di quei piccoli editori che dagli anni '50 agli anni '70 proliferavano nella capitale e producevano libri di qualità molto variabile, che si vendevano per lo più in edicola. Tra il 1965 e il 1966, l'editore Il Liocorno, che aveva sede in Largo Fontanella Borghese 84, lanciò e mantenne in vita la collana I Polizieschi, che purtroppo durò solo 19 numeri, anche se ne erano stati annunciati altri 5, tutti caratterizzati da un'attenta scelta non solo dei testi e degli autori ma anche dei traduttori, che o erano professionisti di fama (soprattutto le donne: Giuliana Ballesio, Paola Angioletti, Paola Cabibbo, Anna Malvezzi, Liliana Pisapia) o erano figure di notevole rilievo nel panorama culturale nazionale, anche se la loro identificazione dopo tanti anni non è sempre facile, viste le pochissime tracce disponibili su cui lavorare.
Tra i traduttori troviamo infatti uno scrittore del calibro di Luciano Bianciardi (1922-71) e un poeta come Elio Pagliarani (1927-2012), insieme al drammaturgo (e celebre autore di “originali televisivi”) Luciano Codignola (1920-86), al critico letterario e biografo di Leopardi Mario Picchi (1927-96), al critico d'arte Claudio Savonuzzi (1926-90), allo scrittore Germano Lombardi (1925-92), esponente del “Gruppo 63”, al poeta Luigi Ballerini (nato nel 1940).
Elio Pagliarani

Luciano Bianciardi

Luciano Codignola

Difficili da identificare con precisione sono altri nomi: Andrea Cozza potrebbe facilmente essere il traduttore shakespeariano, Luigi De Marchi potrebbe essere lo psicologo (1927-2010) fondatore dell'Aied, Giordano Falzoni potrebbe essere sia il pittore (1925-98) sia l'omonimo attore (sempre che pittore e attore non siano anche loro la stessa persona), Duccio Dugoni potrebbe essere un altro attore.
Venendo agli autori presentati nella collana, come spesso avveniva in quel periodo, alle storie strettamente poliziesche si alternano storie di intrighi internazionali, in pratica di spionaggio. Gli autori per lo più di lingua inglese, ma non mancano quelli francesi, tra i quali non mancano delle sorprendenti sorprese.
Ad esempio, quella rappresentata dal regista cinematografico José Giovanni (1923-2004), presente addirittura con due titoli, La baiaffa e Morire due volte.
José Giovanni

Altri francesi di rilievo sono Alain Reynaud-Fourton (1932-2014), pubblicato anche nel Giallo Mondadori, Georges Bardawil (nato nel 1934), Jean Amila (1910-95) e Maxime Delamare, pseudonimo di Francois Grégoire (1914-73), ingegnere e scrittore, pubblicato anch'esso da Mondadori ma in Segretissimo. Era previsto anche un romanzo di Jean Bommart (1894-1979), anch'esso autore pubblicato in Segretissimo. Purtroppo non uscì mai.



Jean Amila

Tra gli anglofoni, la scelta è indubbiamente ambiziosa e soprattutto attenta ai gusti di un pubblico che, oltre a leggere, va al cinema; troviamo, infatti: Colpo secco di Lionel White (1905-85), il romanzo da cui è stato tratto il film Rapina a mano armata di Stanley Kubrick; e Notturno selvaggio di Stanley Ellin (1916-86), da cui è stato tratto il film La grande notte di Joseph Losey; era previsto anche Lo spaccone di Walter Tevis (1928-84) da cui l'omonimo film di Robert Rossen con Paul Newman, ma neanche questo uscì.

Stanley Ellin

Un altro autore americano facilmente collegabile al cinema è William Edmund Butterworth (noto anche cone WEB Griffin, nato nel 1929), autore di molti dei romanzi che hanno ispirato il film e la serie di telefilm M*A*S*H. Il suo romanzo si intitola Più teneri dell'assassino. Ancora, Irving Shulman (1913-95), sceneggiatore e autore del soggetto di Gioventù bruciata di Nicholas Ray, con un romanzo intitolato I duchi di Amboy street.
W. E. Butterworth insieme al politico Newt Ginrich
Irving Shulman 

Di notevole rilievo la presenza della scrittrice ungherese Marika (Maria Helena) Fagyas (1905-85), moglie del drammaturgo e sceneggiatore hollywoodiano Ladislau Bus-Fekete e sceneggiatrice anch'essa, con il romanzo La quinta donna.

Ci sono poi due autori australiani: di Michael Barrett (1924-99) sono presenti due volumi: Taglia per un massacro e Appuntamento a Zahrain; di Kenneth Cook (1929-87), il romanzo Omicidi per il video.

Kenneth Cook

Fanno parte della collezione anche il newyorkese Michael Brett (1928-2000), tradotto altre volte in Italia da Longanesi, un libro dell'afroamericano Chester Himes (1909-84) intitolato Fesso d'oro (forse mai ritradotto successivamente) e due americani che non hanno avuto altre traduzioni italiane: Don Tracy (1905-76) e Floyd Mahannah (1911-76).
Chester Himes da giovane

Sembra particolarmente importante Fari nella notte dell'inglese James Curtis (1907-77), un autore di grande impegno sociale del tutto ignoto in Italia. Un altro significativo libro inglese è I pirati della notte di Gerald Kersch (1911-68) ma fa parte di quelli che, pur programmati, non uscirono (è uscito poi con Fanucci nel 2003, con il titolo La notte e la città); così come non è mai uscito Da Dubrovnik con amore di Abraham Rothberg (1922-2011), l'ultimo programmato.
Il motto della collana era A mon seul desir, “solo per il mio piacere”, ossia il titolo di una celebre collana di narrativa francese della Gallimard. Purtroppo, i lettori italiani non erano tanti e tanto aperti come quelli francesi e, inevitabilmente, pur lasciando una bella eredità, la collana durò pochissimo. I libri avanzati alla chiusura, anziché essere mandati al macero, furono rilegati a due a due e venduti in una nuova collana, intitolata Speciale Polizia-Mese Giallo raccolta-Le grandi firme del delitto. Sia questi volumetti, sia quelli originali, si trovano ancora su bancarelle cittadine o siti di vendita di libri usati, basta andarseli a cercare.






giovedì 12 luglio 2018

Dalla realtà alla letteratura: il delitto Visnovska-Bartenev del 1890


La vicenda del delitto, ai tempi, godette di una immensa notorietà, al punto da coinvolgere, nel giudizio, anche intellettuali di primo piano (Cechov ebbe a dichiarare al riguardo, durante il processo: “È una storia così complessa e assurda che solo un Dostoevskij potrebbe trovarci un senso”). Poi, come spesso avviene, fu dimenticato. E oggi ne resta solo una vaga eco, legata a un racconto con cui un grande scrittore, Ivan Bunin, lo ricordò 35 anni dopo.
Battendo il web per intero, gli unici riferimenti al delitto reale si trovano nell'estratto di un volume dedicato alle opere di Bunin, (If you see the Buddha: Studies in the Fiction of Ivan Bunin, di Thomas Gaiton Marullo, Northwestern University Press, 1998), mentre tutti gli altri autori si limitano a citare Delo Corneta Elaghina ossia, in Italiano, L'affare dell'alfiere Elaghin, il racconto di Bunin.
La copertina del libro di T.G. Marullo

La più nota edizione italiana di L'affare dell'alfiere Elaghin



Alcune edizioni in Francese e in Inglese

I fatti relativi al delitto, sono i seguenti.
Avviene a Varsavia, all'epoca appartenente all'Impero Russo, nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1890. La vittima è una giovane attrice di teatro, Marija Visnovska, uccisa con un solo colpo di pistola dal suo amante, un giovanissimo alfiere degli ussari, Aleksandr Bartenev. Il corpo della Visnovska viene rinvenuto nella casa della donna stessa, disteso sul divano del soggiorno, accompagnato da una messinscena postuma (indossa una vestaglia trasparente, gli abiti sono per terra, intorno diversi mazzi di fiori, sul petto due biglietti d'addio), in seguito alla confessione di Bartenev, che si è costituito presentandosi di prima mattina al suo diretto superiore.
Su uno dei due biglietti è scritto “L'uomo che mi sta uccidendo compie un'azione nobile. Egli è la mia giustizia”.
Bartenev confessa che il progetto originario prevedeva un omicidio-suicidio, ma non è stato portato a termine perché lui non ha trovato la forza di rivolgere l'arma contro se stesso dopo aver ucciso la Visnovska con un colpo al cuore.
Il processo tiene banco per tutto il febbraio 1891 in cui si svolge. Il legale di Bartenev, Fedor Nokiforovich Plevako, punta tutto sulla stranezza della relazione tra i due, che sconfina spesso e volentieri nella follia. La Visnovska amava la teatralità in tutte le sue manifestazioni e ha soggiogato con il suo fascino e la sua straordinaria avvenenza fisica l'ottuso Bartenev, un ragazzo pieno di complessi d'inferiorità cui non sembra vero di essere l'amante (da un certo punto in poi addirittura il fidanzato) di una donna così bella e ammirata. Ma la relazione nasce già con scarse probabilità di sfociare in qualcosa di definitivo: a parte il fatto che la Visnovska ha qualche anno più di Bartenev, a parte il suo noto passato di mangiatrice di uomini, c'è pure da tenere conto del fatto che lei è polacca e cattolica, lui è russo e ortodosso, lei è di origine borghese e lui appartiene ad una famiglia aristocratica che mai accetterebbe il matrimonio con una donna del genere.
I due si sono rifugiati quindi in un mondo di fantasie, in cui a farla da padrone sono soprattutto le ossessioni suicide della Visnovska, preesistenti all'incontro con Bartenev. E la situazione è andata aggravandosi di giorno in giorno fino alla decisione del duplice suicidio.
Un tribunale militare, senza giuria, degrada Bartenev a soldato semplice e lo condanna a 8 anni di lavori forzati. Quest'ultima pena non sarà però mai scontata, grazie alle conoscenze della famiglia e degli amici di Bartenev.
Tuttavia, Bartenev non si riprenderà più dalla vicenda e trascorrerà il resto della vita abbandonato a se stesso, fino a ridursi a un vagabondo. La sua morte è datata 12 dicembre 1916, ma le fonti non sono concordi su dove sia avvenuta, se a Varsavia o nella sua città natale, Tambov, nella Russia Europea, distante solo circa 120 km da Voronez, città d'origine di Ivan Bunin.

Una foto e un ritratto di Ivan Bunin da giovane

Bunin esule in Francia nel 1937

Il monumento a Bunin inaugurato nel 1995 a Elec, circa 100 km da Voronez

Bunin appartiene, come Bartenev, a una famiglia aristocratica, ed è nato il 22 ottobre 1870. Ha quindi 20 anni all'epoca del delitto e ne segue appassionatamente tutta la vicenda sui giornali. Già noto come scrittore, dopo la Rivoluzione del 1917 sceglie di lasciare la Russia per trasferirsi in Europa Occidentale: prima in Svizzera, dove sarà ospite di un altro celebre esule suo amico, il pianista-compositore Sergej Rachmaninov, e poi in Francia, dove vivrà fino alla scomparsa, avvenuta a Parigi l'8 novembre 1953. Nel 1930, è il primo scrittore di lingua russa a essere insignito del Premio Nobel per la Letteratura: ma lo riceverà da “apolide”, essendo stato privato della cittadinanza russa e non avendone ricevuta alcuna altra e quindi trovandosi solo in possesso del passaporto rilasciato dalla Fondazione di Fridtjof Nansen e riconosciuto valido dalla Società delle Nazioni per facilitare i movimenti di profughi e rifugiati, detti appunto apolidi.
Sergej Rachmaninov (1873-1943)

Fridtjof Nansen (1861-1930), esploratore polare e filantropo, premio Nobel per la pace nel 1922

Un passaporto Nansen

5 anni prima del Nobel, Bunin ha pubblicato L'affare dell'alfiere Elaghin, scritto sicuramente prima ma non si sa con precisione quando. In questo lungo racconto, la vicenda viene presentata cambiando alcuni dettagli (il fatto è avvenuto, a detta del narratore, “il 19 giugno dell'anno scorso”) e i cognomi dei protagonisti: Marija Visnovska diventa Marija Sosnovskaja (un cognome che suona più russo che polacco) e Aleksandr Bartenev diventa Aleksandr Elaghin.
La storia è costruita come un mystery psicologico: sappiamo cosa è accaduto, sappiamo chi è stato, ma non riusciamo a ricostruire il movente. Dagli scarni resoconti disponibili, non abbiamo né immagini dei due protagonisti né dati sulla loro effettiva età: Bunin descrive Marija come una donna slanciata, bruna e pallida dai grandi occhi, simile a certe modelle dei quadri coevi di Giovanni Boldini; mentre Aleksandr è un ragazzo basso, tozzo e goffo, rosso e lentigginoso. Marija ha 28 anni, Aleksandr 22, e si sono conosciuti appena 4 mesi prima del delitto.
Di Aleksandr, i commilitoni rivelano che è un buon diavolo, fondamentalmente gentile, soprattutto con i subordinati, ma tendente a un'instabilità caratteriale che lo porta a oscillare tra l'allegria e la tristezza nel giro di pochi istanti. Orfano di madre, è entrato in Accademia militare soprattutto per sottrarsi alle angherie di un padre totalmente anaffettivo.
Di Marija invece si dice che fosse una donna molto istruita ma facilmente impressionabile, molto influenzata dalle finzioni letterarie e teatrali come una Madame Bovary, decisa a vivere senza perdersi nulla della vita, soprattutto per quanto riguarda la sfera intima, convinta che come l'intenditore di vini debba assaggiare i prodotti di tutte le cantine senza mai ubriacarsi, una donna emancipata deve provare tutti gli uomini che le piacciono senza innamorarsi di nessuno.
Il rapporto di Marija con gli amanti è però fortemente condizionato dalla sua ossessione per la morte e per il suicidio: nasconde in casa ogni tipo di armi e di veleni e, a volte, mette alla prova la devozione dell'amante di turno con scenate a metà tra Eros e Thanatos, ad esempio puntandosi una pistola carica alla testa e dichiarando che si sparerà se non sarà immediatamente baciata sulle labbra o mettendosi in bocca una pillola di stricnina e annunciando che la ingoierà se nessuno si getterà in ginocchio davanti a lei e le bacerà i piedi. Com'è facilmente immaginabile, per quanto Marija sia bellissima e sensuale, a lungo andare, le sue mattane inducono gli innamorati a squagliarsela, fino a quando si imbatte nel modesto Elaghin, che rimane completamente soggiogato da lei.
La situazione tra i due degenera proprio quando provano a farla diventare stabile scambiandosi degli anelli di fidanzamento. Marija, che sa anche di essere tubercolotica anche se lo ha nascosto ad Aleksandr, è consapevole che la finzione del fidanzamento non reggerà alla prova dei fatti, ma si rifiuta di affrontare la prova stessa. Aleksandr, dal canto suo, dichiara che non potrà mai vivere senza di lei. L'unica via d'uscita è il doppio suicidio, ma andrà a finire come già visto.
La conclusione di Bunin, dopo la condanna di Aleksandr, è inquietante. La giustizia degli uomini ha deciso. Ma cosa deciderebbe la giustizia di Dio? E, soprattutto, cosa direbbe Marija, se potesse parlare adesso?