martedì 27 agosto 2019

Jean Harlow: la morte evitabile di una star di Hollywood


In realtà si chiamava Harlean Carpenter, ma si fece conoscere con il nome d'arte di Jean Harlow, che era il nome di sua madre. Sua madre che era nata nel 1891 in una ricca famiglia di immobiliaristi di Kansas City ed era stata data in sposa a 17 anni, senza tenere molto da conto la sua volontà, a un non meno facoltoso dentista, Mont Carpenter, che aveva 14 anni più di lei. Il matrimonio era fallito presto e il suo unico risultato era stato la nascita di Harlean, il 2 marzo 1911.




Jean Harlow al culmine del suo successo

Jean Harlow madre, che ottenne la tutela esclusiva della bambina, la fece crescere come una piccola principessa, anche se ne trascurò non poco l'educazione, trasportandola fino all'Illinois per seguire il nuovo compagno, un certo Marino Bello. Harlean lasciò e riprese la scuola ma poi non la finì, perché già nel 1927 sposò un certo Chuck Fremont McGrew, rampollo diciannovenne di una ricca famiglia locale.
Harlean Carpenter da adolescente

Fu proprio Chuck a portarla a Los Angeles, l'anno dopo, per sottrarla alla fastidiosa influenza della madre. La giovane coppia viveva di rendita passando da una festa all'altra. Finché Harlean accompagnò un'amica, Rosalie Roy, che ambiva a diventare attrice, ai casting di un film. La Roy non superò le selezioni, mentre Harlean fu notata subito. Incoraggiata dalla madre, che nel frattempo l'aveva raggiunta, si presentò anche lei a un provino e, dopo essere stata impiegata in alcune piccole produzioni, fu ingaggiata dagli Hal Roach Studios con un contratto quinquennale e l'eccellente paga di 100 dollari a settimana. Assunse allora il nome della madre, Jean Harlow. Il contratto fu rescisso dopo solo 3 mesi, durante i quali però riuscì a partecipare a 3 comiche con Stanlio e Ollio che la fecero conoscere al grande pubblico.
A quel punto divorziò da Chuck e tornò a vivere insieme alla madre, che le faceva da agente. L'avvento del cinema sonoro la favorì, perché mise in difficoltà molte dive di origine straniera che parlavano l'Inglese con forte accento.
L'attrice insieme alla madre

Si impose abbastanza rapidamente come star, soprattutto dopo il successo di “La donna di platino” in cui fu diretta dal grande Frank Capra ed esibì per la prima volta quel colore di capelli che sarebbe stato il suo marchio caratteristico, insieme al tipico disegno delle sopracciglia. Sembra che il colore fosse il risultato dell'applicazione settimanale di una mistura di sapone Lux, acqua ossigenata, ammoniaca e candeggina Clorox. Questa pratica finì comunque per indebolire i capelli al punto che l'attrice a un certo punto prese a perderli e dovette sostituirli in scena con delle parrucche. Le sopracciglia, invece, venivano rasate e ridisegnate a matita.
Locandina di "La donna di platino"

La carriera di Jean Harlow come diva di Hollywood è durata giusto 6 anni, costellati anche da singolari scandali: l'inspiegabile suicidio del suo secondo marito, il regista, sceneggiatore e produttore Paul Bern (che si sparò per ragioni mai appurate il 5 settembre 1932; due giorni dopo, l'ex compagna di Bern, l'ex attrice Dorothy Millette, che gli aveva fatto visita la notte del suicidio, si uccise a sua volta gettandosi nel fiume Sacramento mentre lo attraversava in battello); la frequentazione di alcuni importanti rappresentanti della malavita organizzata, come Abner Zwillman e Bugsy Siegel, che aveva conosciuto tramite il patrigno Marino Bello; una storia con il pugile Max Baer nonostante questo fosse a sua volta sposato; un matrimonio forse bianco, di sola apparenza per tacitare proprio la fama di sfasciafamiglie conseguente alla storia con Baer, con uno dei suoi migliori amici, il direttore della fotografia Harold Rosson. 

Abner Zwillmam (1904-59): morì per un suicidio molto dubbio

Benjamin "Bugsy" Siegel (1906-47): morì ucciso da un killer
La Harlow con Paul Bern (1889-1932)

La Harlow con Max Baer (1909-59)
La Harlow con Harold Rosson (1895-1988)

Ma fu caratterizzata soprattutto dall'interpretazione di diversi film dal successo planetario, come “Pranzo alle otto”, “Argento vivo” o “La donna del giorno”, in cui lavorò accanto ai più famosi divi del periodo, soprattutto Clark Gable, insieme al quale formò un'accoppiata pressoché irresistibile sullo schermo.
In scena con Clark Gable



Altre immagini in scena

Durante la lavorazione del musical “Tentazione bionda” (1933), in cui fu doppiata nelle parti musicali dalla cantante Virginia Verrill, incontrò l'attore William Powell, che si era da poco separato da un'altra diva emergente, Carole Lombard. Powell, considerato il più raffinato gentiluomo dell'ambiente di Hollywood, la fece innamorare sul serio e, anche se i due non si sposarono mai, questa fu la storia più importante della sua vita.
La locandina di "Tentazione bionda"

Insieme a William Powell

L'epilogo della sua vita arrivò, apparentemente, all'improvviso.
Fino al 1937, sembrava che la giovane diva (26 anni) scoppiasse di salute e vitalità. Ma, nel gennaio di quell'anno, durante un viaggio a Washington per partecipare a delle raccolte di fondi di beneficenza, si ammalò di una influenza che la tenne a letto fino alla notte degli Oscar. Dopo la cerimonia, sembrava che stesse meglio: doveva lavorare alle riprese di un nuovo film, “Saratoga”, ma queste dovettero essere rinviate per il sopraggiungere di una infezione del sangue che la colpì, per la quale fu ricoverata in ospedale e le furono estratti i denti del giudizio.
Locandina di "Saratoga"

Le riprese del film cominciarono il 22 aprile di quell'anno. Jean Harlow vi partecipò sentendosi sempre peggio, fino al 20 maggio, quando cominciò a lamentarsi di spossatezza, nausea, ritenzione di liquidi e dolori addominali. Il medico che la seguiva, Ernest Fishbaugh, conoscendo la sua anamnesi, attribuì i disturbi a patologie di cui la Harlow soffriva periodicamente, come la colecistite, e a una nuova infezione virale. Purtroppo, il medico ignorava che, da qualche tempo, la Harlow contraeva infezioni in continuazione e si scottava molto facilmente appena si esponeva per poco tempo al sole.
Dopo aver girato l'ultima scena il 29 maggio, la Harlow dovette essere trasportata in camerino dal suo partner Gable, che chiamò subito Powell perché la portasse a casa. Il giorno dopo, visto che la Harlw non migliorava, Powell contattò la madre della stessa, che era in viaggio, chiedendole di tornare per assisterla stabilmente.
L'ultima foto della Harlow, scattata proprio il 29 maggio 1937 pochi minuti prima che si sentisse male, con il regista Jack Conway e Clark Gable

Powell e la madre ebbero cura di allestire una piccola camera di degenza dotata di tutti i requisiti necessari per l'assistenza sanitaria e di ingaggiare delle infermiere che la seguissero 24 ore su 24. Jean Harlow fu curata così, a casa, per la colecistite, mostrando qualche piccolo miglioramento. Ma il 6 giugno, un giorno prima del suo previsto rientro sul set, Clark Gable osservò che appariva molto gonfia e che il suo alito sapeva di urina. Richiamato il dottor Fishbaugh, questo si portò dietro un collega, Leland Chapman, che diagnosticò una grave insufficienza renale e dispose l'immediato trasferimento della donna al Good Samaritan Hospital di Los Angeles, la sera stessa. A quel punto, la Harlow aveva anche problemi di vista e non riconosceva le persone che la circondavano.
Jean Harlow, scivolata nel come poco dopo il ricovero, morì alle 11,37 del 7 giugno 1937. Come causa di morte, il certificato ufficiale riporta un edema cerebrale conseguente a un'insufficienza renale irreversibile.
Powell e la madre dell'attrice durante il funerale della Harlow

La diffusissima leggenda per cui la Harlow non sarebbe stata curata fino al 6 giugno, per colpa della madre che, fanatica seguace di una setta religiosa, l'avrebbe segregata in casa limitandosi a interminabili sedute di preghiera, finché Powell e Gable, forzando la porta, avrebbero finalmente scoperto le reali condizioni dell'attrice, facendola ricoverare troppo tardi in ospedale, è destituita di ogni fondamento.
Resta però il fatto che la gravità delle condizioni della Harlow fu molto sottovalutata finché queste non precipitarono. Nemmeno era completamente nota la sua storia clinica. Da ragazza, nel 1926, aveva sofferto di una grave scarlattina, malattia che lascia spesso strascichi a livello renale, come la glomerulonefrite. Alcuni segni, come la carnagione sempre più grigiastra, il gonfiore da ritenzione idrica e la facilità a scottarsi, dovevano chiaramente orientare da subito la diagnosi verso un grave problema renale.
Il suo ultimo film, “Saratoga”, fu completato riscrivendo alcune scene senza il suo personaggio e utilizzando delle controfigure, ed ottenne un notevole successo.

giovedì 8 agosto 2019

Da madame Canaby a Thérèse Desqueyroux: origine di un personaggio letterario


Francois Mauriac, nato a Bordeaux l'11 ottobre 1885 e morto a Parigi il 1° settembre 1970, insegnante e giornalista, per molti anni accademico di Francia e autore pluripremiato fino al Nobel per la Letteratura ottenuto nel 1882, è uno scrittore dalla poetica molto complessa, che sembra avere ancora molto da dire anche al lettore di oggi, nonostante la sua fama si sia affievolita nel tempo.
La sua opera è fortemente improntata ai valori cristiani, ma non si tratta affatto di un banale bigotto, dato che il fariseismo dei bigotti stessi e le difficili dinamiche dei rapporti familiari sono al centro della maggior parte dei suoi romanzi.
Un'immagine di Mauriac anziano

Mauriac aveva una forte inclinazione omosessuale, nonostante un matrimonio stabile, ed era costretto a nasconderla, ragione per cui finiva sempre per identificarsi in qualche modo nelle figure più tormentate.
Anche in politica, ebbe modo di mostrare questa sua ambivalenza che lo pone agli antipodi di ogni fanatismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, si oppose tenacemente, esponendosi di persona, al regime di Vichy e sostenendo apertamente Charles De Gaulle. Dopo la Liberazione, tuttavia, fu uno di quelli che si spesero maggiormente (e inutilmente) per ottenere la grazia degli intellettuali collaborazionisti come Brasillach.
Alcuni dei suoi maggiori romanzi (Il bacio al lebbroso, La farisea, Gli angeli neri, Groviglio di vipere, ecc) sono stati pubblicati in Italia, soprattutto da Mondadori, ma nella maggior parte dei casi non vengono ristampati da molto, per cui chi voglia leggerli deve andare a cercarli su bancarelle e siti di vintage.
Una notevole popolarità accompagna una sola opera, non a caso riproposta recentemente dalla Adelphi, Thérèse Desqueyroux, che ha ispirato ben due film, uno diretto da Georges Franju nel 1962, con Emmanuelle Riva e Philippe Noiret quali protagonisti e l'altro diretto da Claude Miller nel 2012, protagonisti Audrey Tatou e Gilles Lellouche.




La locandina e alcune immagini del film del 1962



La locandina e alcune immagini del film del 2012

Questo romanzo, uscito nel 1927, è in realtà il primo capitolo di una tetralogia composta anche da due racconti e da un secondo romanzo che la conclude, uscito nel 1935. I titoli dei due racconti sono Thérèse dal medico e Thérèse all'albergo. Il romanzo si intitola La fine della notte.




La prima e altre edizioni classiche del romanzo del 1927


La prima e un'altra edizione classica del romanzo del 1935



Edizioni italiane (le prime due di ambo i romanzi con anche i racconti, l'ultima solo del primo)

L'edizione italiana (del solo primo romanzo) più recente

Il primo romanzo è un'opera suggestiva e originale, di forte penetrazione psicologica. La sua prima parte è, praticamente, tutta un flashback. Siamo nella provincia normanna. Thérèse, una donna sui trent'anni appena rilasciata dal Tribunale dopo essere stata assolta dall'accusa di tentato uxoricidio, torna a casa da sola passando tra carrozze e treni e durante il lungo tragitto rivive le circostanze che l'hanno portata in quella situazione. Dall'arrivismo del padre, un ambizioso politico locale che le ha quasi imposto un matrimonio di convenienza con il rampollo di una famiglia di ricchi proprietari terrieri, all'insensibilità del marito Bernard, che sembra interessato solo ai soldi e alla caccia. La conoscenza di un giovane intellettuale, Jean Azevedo, catalizza il disagio di Thérèse verso le fantasie di fuga, accentuate dal pensiero dell'imminente matrimonio della giovane cognata, la sorella di Bernard, che sembra dominare come un'ossessione tutta la famiglia. La fuga materiale è impossibile, il dialogo con il marito e i familiari anche, e Thérèse cede alla tentazione di cominciare ad avvelenare lentamente il marito, convinta che solo la vedovanza la libererà dalle sua catene. I malesseri fisici di Bernard, però, attirano l'attenzione del medico di famiglia, che già trova strano il rapporto tra i coniugi e, nonostante i dinieghi di Thérèse, il tentativo di uxoricidio viene scoperto e denunciato. Tuttavia, in sede di processo, la famiglia farà di tutto per minimizzare i fatti, per evitare uno scandalo che farebbe saltare il ricco matrimonio della cognata di Thérèse, faticosamente combinato. Thérèse finisce assolta per insufficienza di prove e può tornare a casa.
Qui, però, si vede come la sua assoluzione sia solo formale, in quanto, da quel momento in poi, sarà costretta a vivere come una reclusa. Questa condizione la porta ad ammalarsi gravemente. In conseguenza a questa malattia, il marito, esasperato, le pone davanti la possibilità di uscire dalla situazione, a patto che l'uscita sia definitiva. Thérèse se ne andrà e lui continuerà a versarle la piccola rendita della sua dote, ma non darà più notizie di sé e non avrà più nulla a che fare con Marie, la figlia bambina della coppia. Thérèse, che è affezionata alla bambina ma è stata sempre una madre distante, accetta e se ne va.
Nei due racconti, troviamo Thérèse prima a Parigi, a conferire con un medico molto quotato, e poi in un Hotel della Costa Azzurra. Nella prima storia, la moglie del medico, assuefatta a una vita simile a quella di Thérèse prima del processo, ascoltando il racconto di questa paziente molto particolare, si immedesima in essa al punto da annunciare al marito, subito dopo che Thérèse è andata via, che lo lascerà. Nel secondo, Thérése è oggetto delle attenzioni di un gigolo che non è il primo del genere a entrare nella sua vita, ma lo rifiuta perché ormai la situazione la disgusta.
Nel secondo romanzo, Thérèse, pur non essendo ancora anziana, è ridotta a vivere modestissimamente in un piccolo appartamento alla periferia di Parigi per via della salute malferma. Non frequenta quasi nessuno e il suo unico importante contatto umano è una giovane domestica che la sopporta pazientemente. Una sera, riceve la visita della figlia Marie, ormai adolescente, che ha deciso anche lei di andarsene di casa perché oppressa dall'atmosfera familiare. Thérèse tenta di convincere la figlia a tornare dal padre, ma la figlia fa storie perché vorrebbe stare vicino al ragazzo che le piace, studente a Parigi. Thérèse decide di conoscere il ragazzo per farsi aiutare da lui a indurre la figlia a non commettere colpi di testa ma, imprevedibilmente, il giovane finisce per essere affascinato dalla sua figura di donna indipendente al punto da dichiararsene innamorato. La figlia ignora questo dettaglio ma, quando lui la lascia, accusa la madre di essersi interposta tra loro. Il braccio di ferro con la figlia è il colpo di grazia per la salute di Thérèse, che ha un crollo. Non essendo più in condizioni di vivere da sola, in seguito alle insistenze della figlia, viene riporatata al paese, dove il marito accetta di ospitarla in quella che non si capisce se sarà una convalescenza o un'agonia. Bernard le permette anche di portare con sé la sua domestica parigina, che la assisterà come infermiera, e trova anche un lavoro al fidanzato di questa. Le condizioni di Thérèse prima sembrano aggravarsi, poi si stabilizzano. In ultimo, riceve diverse visite dal ragazzo che si era dichiarato innamorato di lei, nel quale la passione si è affievolita, anche se continua a trovarla affascinante, e si è fidanzato con la figlia. Alla fine del libro, conversando con lui, Thérèse dichaira di non avere nessuna paura di morire.
Sono state date diverse letture di questo ciclo, che sicuramente è coerente con le tematiche dominanti nella narrativa di Mauriac. Ciò che ci interessa è però sottolineare che la vicenda di Thérèse Desqueyroux non nacque dal nulla, ma da un caso giudiziario reale che si svolse a Bordeaux nei primi anni del '900 e che Mauriac, all'epoca studente, seguì con estremo interesse. Quello del processo a madame Henriette Canaby, nata Sabourin.
La vicenda di madame Canaby, appartenente a una facoltosa famiglia del ricco quartiere di Chartrons a Bordeaux, tenne banco sulla stampa nazionale, ma soprattutto locale, dal giugno 1905 in cui cominciarono a essere divulgati i risultati delle inchieste di polizia al maggio 1906 in cui la donna fu assolta.
La famiglia della donna era molto influente e, attraverso degli appoggi politici, riuscì a imporre una sorta di censura sui fatti che via via emergevano, dalla quale restò però fuori una testata locale, La Petite Gironde, i cui resoconti sono la migliore fonte di informazioni sul caso, insieme alla rivista tecnica Archives of Chriminal Anthropology.
Madame Canaby al processo, in una illustrazione del tempo

Madame Canaby fu scoperta quando il farmacista di Chartrons, il sig, Erny, si insospettì, davanti alla terza ricetta portata in breve tempo alla farmacia da un domestico dei Canaby. Ricette relative a farmaci che erano anche conosciuti veleni. Era il 15 maggio 1905. Erny contattò immediatamente il medico di famiglia dei Canaby, il dottor Guérin, per chiedergli se tutto andava bene in quella famiglia. Fatto sta che Guérin stava già curando da settimane il marito di madame Canaby, Emile, per un'influenza refrattaria a ogni trattamento. E il 18 aprile precedente aveva ricevuto una lettera anonima su cui era scritto che qualcuno stava avvelenando Emile Canaby. Guérin non le aveva dato peso ma, ora che c'era anche la segnalazione di Erny, i sospetti cominciavano a essere troppi. Chiese pertanto a un suo amico e collega, il dottor Villar, di ricoverare Emile Canaby nella sua clinica e chiese al paziente di ricostruire l'andamento della malattia per collegarne eventualmente l'evoluzione di questa in rapporto al contenuto delle tre ricette. Emerse che i primi sintomi si erano presentati dopo aver bevuto una cioccolata calda preparata dalla moglie.
Intanto, Guérin contattò anche il dottor Gaube, che risultava firmatario delle tre ricette e apparteneva alla cerchia degli amici di Henriette Canaby. Ma Gaube affermò di non aver mai emesso e firmato quelle ricette.
In modo discreto ma insistente, Guérin interessò altri colleghi e farmacisti della zona, scoprendo che c'erano stati altri acquisti di veleni da parte di una donna facilmente identificabile come Henriette.
Si cercò di tenere il più possibile la cosa sotto silenzio, per evitare uno scandalo, tanto più che ora Emile Canaby è al sicuro in clinica. Ma Gaube, che non poteva tollerare l'idea di essere stata coinvolto proprio malgrado nella faccenda, denunciò i fatti all'autorità giudiziaria il 18 giugno.
L'avvelenamento portato avanti da madame Canaby era piuttosto originale. Di solito, gli avvelenatori utilizzano una sola sostanza, lei invece ne usò diverse, alcune delle quali hanno anche effetti contrastanti. Tra queste, ci sono l'arsenico, la digitale e l'aconitina. Quando fu interrogata, dichiarò che acquistava i veleni per conto del dottor Gaube, cui li faceva poi pervenire attraverso un intermediario che conosceva solo di vista. La persquisizione di casa Canaby portò a risultati interlocutori, perché vi fu scoperto solo dell'arsenico, sotto forma di Liquore di Fowler, una bevanda dagli effetti nervini che fu in commercio dal 1880 alla vigilia della Grande Guerra, contenente una discreta quantità di arsenico ma non sufficiente a uccidere. Ce n'erano tre confezioni, che risultavano acquistate da Henriette tra il 3 aprile e il 12 maggio, ma si sapeva che Emile ne era consumatore abituale già da prima di ammalarsi. Non era chiaro se questo consumo fosse legato o no alla malattia stessa.
C'era poi la deposizione di una cameriera, che affermò di aver visto Henriette versare “qualcosa” nelle bevande preparate per il marito. Emile, tuttavia, smentì che questo potesse essere accaduto.
C'era comunque abbastanza da imbastire un processo, che destò un tale interesse popolare da indurre il presidente della Corte, Pradet-Ballade, a schierare la forza pubblica per permettere l'accesso all'aula solo a magistrati, avvocati e giornalisti, tenendo fuori i curiosi.
I resoconti dei giornali eccitavano gli animi dei lettori e li orientavano verso l'idea che Henriette fosse sicuramente colpevole. A un certo punto, furono sicuramente richiamati all'ordine da qualcuno molto in alto, perché cambiarono tono.
Sebbene i Canaby appartenessero a una famiglia influente, durante il processo emerse che la loro situazione finanziaria non era così florida come si sarebbe detto; ma, soprattutto, saltò fuori la scomoda presenza di un uomo che si era intromesso tra i due coniugi a partire dal 1903, tale monsieur Rabot. L'arrivo di Rabot, un ex compagno di scuola di Henriette, era coinciso con l'allontanamento di tutti o quasi gli amici di famiglia che frequentavano precedentemente casa Canaby. La presenza di Rabot era divenuta sempre più assiduo, al punto da sostituire Emile al fianco di Henriette durante alcune vacanze con i figli di questa.
La mentalità del tempo era fissata sulle caratteristiche fisiche che esprimevano qualità morali. In tal senso, Henriette, pur essendo una donna molto distinta, appariva sdegnosa e arrogante, in più capace di scenate teatrali nei momenti salienti del dibattito processuale.
Ma non si arrivò alla condanna. I suoi parenti la difesero a spada tratta e alla fine gli elementi a suo carico non furono giudicati sufficienti. Fu però condannata per la falsificazione della firma del dottor Gaube. I resoconti del tempo riportano che tenne sempre un atteggiamento altezzoso verso la Corte, non mostrando il minimo pentimento o alcuna volontà di collaborare. Non si sa cosa sia accaduto a lei e alla sua famiglia dopo il processo.