domenica 21 agosto 2016

La morte di Ciajkovskij: fatalità o suicidio?

La mattina del 2 novembre 1893, in una rispettabile casa borghese al centro di San Pietroburgo, un uomo di 53 anni si svegliò molto presto, com'era sempre stata sua abitudine, ma non poté dedicarsi ai numerosi impegni che attendevano per la giornata, perché soffriva di forti sintomi gastrici e intestinali insorti all'improvviso durante la notte. Avendone patito, a intervalli, per tutta la vita, non se ne preoccupò eccessivamente, e si limito a restare a riposo, prendendo qualcuno dei farmaci e dei rimedi naturali che aveva in casa per evenienze del genere. L'uomo era Piotr Ilic' Ciajkovskj, il più celebre compositore di musica russo di quel tempo.
Ciajkovskj adolescente, mentre studiava Giurisprudenza per entrare nell'amministrazione statale zarista

Ciajkovskj attorno ai 37 anni, quando cominciava a essere molto famoso

Ciajkovskj nel 1893

Alle 17, però, stava talmente male da non poter ricevere due conoscenti che lui stesso aveva invitato il giorno prima. Il fratello di Ciajkovskij, Modest, che viveva con lui, chiamò il loro medico di famiglia, Vasilij Bertenson, che però si presentò solo alle 20. Bertenson non doveva essere un medico molto capace: restò per qualche tempo a visitare il paziente, senza arrivare a una diagnosi, e infine si decise a far chiamare il proprio fratello Lev, medico della corte imperiale. Lev Bertenson arrivò nella notte e diagnosticò subito il colera.
Modest Ciajkovskij (1850-1916), fratello del compositore

Il colera è una malattia infettiva dovuta all'infezione da Vibrio Cholerae, un batterio Gram-negativo dalla caratteristica forma a virgola, diffuso in due soli ecosistemi: le acque dolci e l'intestino umano. Produce una tossina che penetra nelle cellule dell'intestino e disturba il loro metabolismo in modo da fare espellere loro enormi quantità di fluidi, che si riversano nella cavità intestinale determinando il sintomo principale che è la diarrea, e successivamente la disidratazione, che in assenza di cure adeguate può uccidere anche il 50% dei pazienti. Alcuni pazienti possono morire anche di collasso e di ipotermia, dato che il colera non fa salire la febbre, ma la fa scendere.
Il Vibrio Cholerae al microscopio

Il colera tende a essere endemico nelle aree in cui le più elementari norme igienico-sanitarie non sono rispettate, in particolare dove c'è la possibilità che le acque da bere siano contaminate da scarichi domestici, dato che in questo modo i vibrioni espulsi con le feci dai malati vengono assunti dai consumatori insieme all'acqua stessa quando la bevono. Nella Russia di fine XIX secolo, la malattia era diffusissima: dai rapporti medici, si sa che tra il 1892 e il 1896, oltre 504.000 persone la contrassero e oltre 226.000 ne morirono, con un tasso di mortalità superiore al 44%.
In assenza di antibiotici, a quel tempo, il colera veniva curato mantenendo il paziente al caldo per combattere l'ipotermia e reidratandolo continuamente per evitare la disidratazione. Ovviamente, se l'acqua disponibile non era abbastanza pulita, non si faceva altro che reinfettarlo in continuazione, e questo spiega l'alta mortalità. A questo, si deve aggiungere che lo stato di sofferenza generale dell'apparato digerente comportava, tra i sintomi principali, anche dei continui attacchi di vomito, per cui era facile che i pazienti non riuscissero a trattenere l'acqua che veniva fatta loro bere nell'impossibilità di usare le flebo (ancora non inventate).
Ciajkovskij soffrì molto tra l'inizio della malattia e la sera del 4 novembre, quando la situazione sembrò migliorare e l'infezione apparve vicina a essere debellata. Tuttavia, poiché era già in cattive condizioni di salute già prima di ammalarsi, lo sforzo per superare la malattia aveva terminato di fiaccare il suo già debole organismo. I reni, costretti a un surplus di sforzo dalla disidratazione, smisero di funzionare: i sintomi del blocco renale apparvero evidenti. Il dottor Lev Bertenson tentò la carta del bagno tiepido, un rimedio tradizionale che serviva per riattivare la circolazione, sperando di riuscire così a far ripartire una minima attività renale. Bertenson, tuttavia, ignorava che la madre di Ciajkovskij, Aleksandra Assier, era morta, il 25 giugno 1854, all'età di 43 anni, proprio durante un bagno tiepido somministratole mentre era affetta da colera e manifestava problemi renali, e che il figlio era dolorosamente ossessionato da quel ricordo. Immerso nell'acqua tiepida contro la sua volontà, Ciajkosvkij cadde in uno stato di profonda prostrazione, da cui non si riprese più. Riportato a letto, era già in coma e respirava solo grazie a una maschera a ossigeno. Alle 3 di notte del 6 novembre 1893, morì.
La famiglia di origine di Ciajkovskj nel 1848: Piotr il bambino sull'estrema sinistra, accanto alla madre

Nonostante la diffusione del morbo in Russia, le circostanze della morte del celebre compositore lasciarono basita l'intera opinione pubblica. Ciajkovskij era benestante, viveva in una casa dotata di tutti i confort, frequentava solo luoghi di lusso, mentre la quasi totalità dei morti di colera apparteneva alle classi modeste e si ammalava per la promiscuità e la scarsa igiene. Oltretutto, a molti sembro strano che, in una città non distante dal Circolo Polare Artico, già a novembre, ci si potesse ammalare di colera, che era una tipica infezione estiva (tuttavia, a San Pietroburgo, nei giorni immediatamente precedenti la scomparsa di Ciajkovskij, erano morti di colera altri 8 cittadini).
Il personaggio Ciajkovskij, è poi un soggetto tutto particolare, di una complessità difficile da ricostruire in poche parole. Compositore per vocazione irresistibile, a dispetto della volontà familiare di farne un funzionario pubblico, aveva compiuto studi musicali discontinui, secondo la disponibilità di tempo, e si era affermato piuttosto tardi. A differenza di quasi tutti i musicisti russi di allora, tendenzialmente legati alla loro tradizione nazionale, era stato portato a contaminare questa con elementi importati dal Romanticismo europeo, mescolandoli con una creatività difficile da tenere sotto controllo. Per questa ragione, era generalmente amato dal pubblico ma disprezzato dalla critica, sia in Russia (dove era considerato un traditore della tradizione), sia in Europa (dove predominava la scuola critica tedesca, cultrice del perfetto formalismo e piuttosto intollerante con creativi e innovatori). La sua opera, pur essendo di grande ispirazione per musicisti successivi come Sergej Rachmaninov (un altro che è stato sempre strapazzato dai critici, nonostante il grande successo... o, forse, proprio per questo), dovette aspettare fino al 1922 per essere rivalutata criticamente da un compositore dell'importanza di Igor Stravinskij, che proclamò Ciajkovskij uno dei maestri incompresi del XIX secolo. E' comunque indiscutibile che Ciajkovskij, nella fase di maggiore successo, per tenere dietro alle richieste di editori e impresari, compose troppe opere perché venissero tutte bene, e infatti la qualità di queste è discontinua. Oltretutto, questo sforzo creativo finì per minargli la salute.
Sergej Rachmaninov (1873-1943)

Igor Straninskij (1882-1971)

Ma Ciajkovskij nascondeva anche altri problemi. Era omosessuale (così come il fratello Modest, che viveva con lui) e, a quel tempo, l'omosessualità in Russia era tanto ampiamente tollerata tra gli aristocratici quanto considerata disdicevole e passibile di ogni sorta di sanzioni quando riguardava i non aristocratici. E Ciajkovskij, pur benestante e famoso, restava un borghese, che doveva nascondere le sue inclinazioni per non rischiare di mettersi in qualche guaio.
Una situazione caratterizzata da un rapporto conflittuale con la critica e la necessità di condurre due vite, una pubblica e una segreta (nel 1877 aveva addirittura sposato una sua ammiratrice, la ventottenne Antonina Miljukova, ma il rapporto con questa, una donna ipersensibile esattamente come era lui, era subito degenerato in un conflitto insanabile, e l'aveva lasciata per il timore di essere indotto a ucciderla dalla repulsione che provava per lei), nonché la personalità tormentata del compositore, insieme a una serie di testimonianze emerse negli anni successivi alla sua morte, hanno sempre fatto pensare che la morte di Ciajkovskij non fu un evento casuale determinato da una incontrollabile fatalità, ma qualcosa che avvenne per la precisa volontà di qualcuno, probabilmente Ciajkovskij stesso.
Ciajkovskij e Antonina Miljukova (1849-1917) nel 1877, poco dopo il loro matrimonio. La Miljuokova è morta in un ospedale psichiatrico e la sua fama postuma ha molto sofferto delle dicerie diffuse sul suo conto da Modest Ciajokovskij, secondo il quale era una pazza che assestò il colpo di grazia alla già fragile sensibilità del fratello. La sua figura è stata però rivalutata in tempi recenti, a partire dal film L'altra faccia dell'amore di Ken Russell (1970) in cui è interpretata da una superlativa Glenda Jackson (curiosamente, nel ruolo di Ciajkovskij, c'è Richard Chamberlain: che come il suo personaggio, a quel tempo, nascondeva la sua omosessualità)
Richard Chamberlain in L'altra faccia dell'amore

Glenda Jackson in L'altra faccia dell'amore

Esistono infatti diverse teorie su come andarono esattamente i fatti: tutte hanno dei punti a favore e dei punti contro, e nessuno può dire con certezza che una prevalga sulle altre.
Secondo la prima, che si deve a Nina Berberova e a Aleksandr Poznansky, Ciajkovskij, stanco e precocemente invecchiato, amareggiato dalla pessima accoglienza ricevuta dalla sua VI Sinfonia (la “Patetica”, in cui aveva riposto tante speranze), nell'ottobre del 1893, si lasciò andare e smise di stare attento anche alle precauzioni igieniche necessarie a salvaguardare la propria salute. Soprattutto, bevendo ripetutamente acqua dell'acquedotto (risultata contaminata dai vibrioni alle analisi) senza averla preventivamente bollita come prescritto dalle ordinanze sanitarie. In più, Ciajkovskij consumava spesso acque minerali alcaline per contrastare l'acidità di stomaco che lo infastidiva da sempre: e, queste, neutralizzando l'acido gastrico, avrebbero creato un ambiente ancora più favorevole alla diffusione dei vibrioni nel suo corpo. E' anche possibile che Ciajkovskij abbia bevuto acqua contaminata in un ristorante: questa è stata per lungo tempo l'ipotesi più accreditata, ma dato che frequentava solo ristoranti di lusso e che nei giorni in cui avrebbe dovuto infettarsi non ci andò, oggi appare piuttosto debole.
Nina Berberova (1901-93)

Aleksandr Poznansky

Secondo un'altra teoria, Ciajkovskij non si infettò a tavola ma a letto, ossia praticando un rapporto orale con un giovane prostituto portatore sano. Si sa che ne frequentava ma, a parte questo, l'ipotesi è indimostrabile perché, per ovvie ragioni di discrezione, nessuno dei suoi amici e conoscenti, inclusi i medici, avrebbe mai rilasciato testimonianze che avallassero una circostanza del genere, così gravemente infamante per la sua memoria secondo la mentalità del tempo.
Una terza ipotesi riprende il meccanismo ipotizzato per la prima, ma vi aggiunge un elemento in più: la precisa volontà di Ciajkovskij di morire. Infatti, il musicista, nelle lettere private scritte nelle settimane precedenti la fine, si definiva spesso “stanco di vivere”. Negli ultimi anni, il suo mondo affettivo era stato devastato da una serie di perdite, tra cui i più gravi erano stati la rottura dei rapporti con la mecenate che lo aveva aiutato moltissimo negli anni '80, Nadezhda von Meck (Ciajkovskij le era molto affezionato e riteneva che fosse stata indotta ad allontanarsi da lui dalla gelosia dei figli) e la morte dell'adorata sorella Aleksandra, che era stata sicuramente la persona che aveva più amato al mondo. In altri tempi, aveva già tentato il suicidio, per esempio gettandosi in un fiume gelido nel 1877, dopo il fallimento del suo matrimonio con la Miljukova. In quell'occasione aveva simulato un incidente perché, come sosteneva, non voleva lasciare in eredità ai suoi cari la fama di un atto come il suicidio, che la società del tempo condannava senza appello. Dunque, a distanza di anni, avrebbe potuto riprovarci, cercando apposta l'infezione di una grave malattia.
Nadezha von Meck (1831-94) : morì appena due mesi dopo Ciajkovskij

Aleksandra Ciajkovskaja (1842-1891) coniugata Davydov; suo figlio Vladimir, detto Bob, fu il nipote prediletto e l'erede di Ciajkovskij
Ciajkovskj insieme a Bob Davydov (1871-1906): quest'ultimo, incline alla depressione, divenne tossicomane e morì per gli effetti di una overdose di eroina

La condanna morale cui andavano soggetti i suicidi, e la conseguente vergogna della sepoltura in terra sconsacrata, ci portano a una ulteriore possibilità: in realtà Ciajkovskij non contrasse il colera, ma si avvelenò con l'arsenico. Questo rivaluterebbe professionalmente il dottor Vasilij Bertenson, che avrebbe chiamato a consulto il fratello Lev non perché incapace di arrivare a una diagnosi, ma per decidere cosa fare davanti a una situazione così imbarazzante e delicata. I due fratelli avrebbero poi deciso, insieme ai parenti di Ciajkovskij, di far passare l'avvelenamento per infezione approfittando della risonanza dei casi che si erano avuti in città nei giorni precedenti, e questa linea non sarebbe cambiata fino all'esito fatale, e nemmeno dopo.
Ma vi è un'ultima possibilità ancora, la più improbabile e inquietante, ma anche la più suggestiva. Nonostante le sue prove siano piuttosto discutibili (una serie di testimonianze emerse alcuni anni dopo) non può essere scartata a priori. A sostenerla sono soprattutto i musicologi Aleksandra Orlova e Peter Brown.
La copertina dell'edizione italiana del libro di Alekasandra Orlova su Ciajkovskij

David Brown

Secondo questa teoria, Ciajvovskij, nei mesi precedenti la sua morte, si sarebbe messo in un grosso casino seducendo il nipote di un importante duca, appena quattordicenne. A malincuore, lo zar Alessandro III, che era un grande ammiratore della sua musica, lo avrebbe affidato al giudizio di un tribunale segreto (può sembrare una ricostruzione fantasiosa e complottista, ma l'amministrazione della Russia zarista era piena di strutture segrete che sfuggivano a qualsiasi controllo). Questo giudizio si tiene in casa del giudice Nikolaj Jacobi, a Carskoe Selo, la mattina del 31 ottobre 1893: la vedova di questa testimonierà dell'arrivo di Ciajkovskij, della riunione a porte chiuse nello studio del giudice e delle voci concitate che si sentivano dal corridoio, dell'uscita del compositore sconvolto: ma, solo 9 anni dopo, nel 1902, il marito le ha raccontato in dettaglio come sono andati i fatti.
Il tribunale condanna Ciajkovskij al suicidio, che dovrà essere attuato entro 2 giorni simulando una malattia o un incidente. Si decide che il mezzo sarà l'arsenico, e che questo gli sarà fornito dall'avvocato Avgust Gerke, che cura i suoi rapporti con gli editori musicali e gli impresari teatrali. Gerke andò effettivamente a casa di Ciajkovskij la mattina del giorno dopo, 1° novembre.
La Berberova obietta che Ciajkovskij aveva molti conoscenze importanti e poteva arrivare fino allo Zar; oppure poteva salire sul primo treno e fuggire in Germania, dove le sue opere venivano eseguite con molto successo nonostante la scarsa considerazione dei critici, e continuare a vivere lì senza problemi. Ma forse Ciajkovskij stava davvero così male ed era talmente “stanco di vivere” da non avere più nemmeno la forza di reagire.
Avgust Gerke (1841-1902)

A questo punto, si spiegherebbero anche il ritardo di Modest nel chiamare un medico (il 2 novembre, Piotr stava male dal mattino, ma lui se ne uscì, andò a pranzo fuori e si ritirò solo nel pomeriggio, poi aspettò fino alle 17 per chiamare un medico), sia l'inerzia di Vasilj Bertenson, che si presentò solo alle 20 e poi perse delle ore prima di decidersi a chiamare il fratello Lev. Tutti sarebbero stati a conoscenza della situazione e avrebbero dato al veleno il tempo di agire.
Quale sia la verità, potremmo saperlo solo esumando i resti di Ciajkovskij dalla tomba del cimitero Aleksandr Nevskij in cui è seppellito in una bara di zinco. L'eventuale ritrovamento di tracce consistenti di arsenico orienterebbe il giudizio verso una delle ultime due ipotesi. Ma finora nessuno si è mosso in tal senso, anche per la difficoltà di ottenere l'assenso da parte di autorità ed eredi.



sabato 13 agosto 2016

Sangue sulla Beat Generation: l'uxoricidio di William Burroughs

L'influenza culturale degli artisti della Beat Generation, a oltre 65 anni dall'inizio del movimento, è oggi ancora viva e riconoscibile in moltissime correnti creative; anche se la sempre più totale mercificazione del prodotto artistico, tanto più quando questo viene presentato come “alternativo” o “rivoluzionario”, rappresenta uno svuotamento di significati che lascia spazio solo a una vuota scimmiottatura. Ciò non toglie nulla al fascino che l'artista “Beat” esercita da sempre sia sulle menti dei giovani sia su quelle dei meno giovani, e perfino su quelle dei bacchettoni che, nel condannarne gli eccessi, mostrano sempre un interesse decisamente morboso verso di questi.
Il movimento Beat nasce a New York intorno al 1950 e i suoi capofila sono Allen Ginsberg e Jack Kerouac. Le sue caratteristiche principali sono rifiuto di norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione delle droghe, la sessualità alternativa, l'interesse per la religione orientale, un rifiuto del materialismo, e rappresentazioni esplicite e crude della condizione umana” (Wikipedia): insomma, tutte cose che prima si erano già viste, ma mai tutte insieme. Il termine “Beat” assume diversi significati a seconda di chi lo utilizza: secondo Kerouac (che, a modo suo, era un uomo religiosissimo) intende uno stato di beatitudine; secondo altri, sta per “abbattuto” (dalle droghe e dall'emarginazione), ma anche “ribellione” o “battito” o “ritmo”, questi ultimi in chiaro riferimento alla musica Jazz, in particolare quella di Charlie Parker.
Jack Kerouac (1922-69) quando era studente universitario

Allen Ginsberg (1926-97) da giovane

Charlie "Bird" Parker (1920-55)

Una delle figure più importanti della Beat Generation, anche in considerazione della sua longevità (è morto a 83 anni nel 1997), è stato William Burroughs, al nome del quale è legato un terribile episodio di cronaca nera risalente al 1951.
Burroughs era nato nel Missouri da una ricca famiglia di industriali (di calcolatrici meccaniche) nel 1914 e, nonostante tutta una serie di problemi evidenziati prestissimo, dalla bisessualità (prevalentemente omosessuale) alla dipendenza dalle droghe, era riuscito a mettere insieme un ottimo curriculum di studi, laureandosi ad Harvard, prendendo un Master in Antropologia e approfondendo gli aspetti psichiatrici che lo interessavano nella prestigiosa scuola di Medicina di Vienna. La famiglia, imbarazzata dai suoi comportamenti privati, preferiva che studiasse e risiedesse all'estero, e per questo lo sovvenzionava lautamente. Tuttavia, dopo essersi sposato con una ragazza ebrea croata, Ilse Kappler, al solo scopo di farle ottenere il passaporto per trasferirsi negli Usa e sfuggire ai campi di concentramento, rientrò in patria e per qualche tempo fu ricoverato in un ospedale psichiatrico, in seguito all'auto-amputazione dell'ultima falange di un dito durante quello che definì “un rituale di iniziazione indiano”. Continuò anche dopo a vivere da emarginato, mantenuto dall'assegno che gli inviava la famiglia, sempre più condizionato dalle sue dipendenze da droghe e alcol.
William Burroughs quando era già famoso

Un'altra inquietante immagine di Burroughs 

Nel 1946, divorziato da Ilse, conobbe una giovane e brillante studentessa newyorkese che aveva appena terminato il primo ciclo di studi universitari, Joan Vollmer, nata nel 1923. La Vollmer era già a sua volta divorziata e madre di una bambina, ed era una ragazza attraente e sensuale, dalla mente aperta e spigliata e i costumi disinibiti. Ambiva a diventare scrittrice e aveva composto delle poesie molto originali. Burroughs ne fu talmente colpito da legarsi strettamente a lei, a dispetto delle sue fortissime inclinazioni omosessuali. La comunione fisica, spirituale e affettiva tra i due, forse fu legittimata da un matrimonio, ma l'unica prova di questo è un'istanza di divorzio che i due presentarono nel 1951. Intanto, nel 1947, ebbero un bambino, William Jr.: durante la gravidanza, Joan non smise di consumare alcol e droghe (soprattutto eroina) e il figlio nacque con molti problemi di salute, che lo perseguitarono per tutta la sua breve vita (è morto a 34 anni, nel 1981, dopo aver subito anche un trapianto di fegato. Scrittore non privo di talento, ha lasciato un vivido ricordo della sua infanzia in un romanzo pubblicato nel 1973, Kentucky Ham).
Joan Vollmer quando era studentessa universitaria

In quel periodo, Burroughs, nella sua costante ricerca di droghe e nel tentativo di guadagnare qualcosa lavorando come cronista di nera, aveva finito per stringere rapporti con parecchi criminali e finì inevitabilmente anche lui nei guai. Del resto, lui e Kerouac erano già stati arrestati nel 1944 per aver coperto, come testimoni reticenti (in realtà avevano solo cercato di prendere tempo intanto che lo convincevano a costituirsi da solo) un loro amico, lo studente Lucien Carr, che aveva ucciso un suo ex professore con cui aveva una relazione omosessuale, David Kammerer. In più, aveva alle spalle altre denunce per guida in stato di ubriachezza e per atti osceni in luogo pubblico. Ora rischiava una condanna molto pesante per il coinvolgimento in un traffico di stupefacenti in Lousiana. Per evitare la galera, nel 1951, se ne andò a Città del Messico con Joan e i due bambini.
In Messico, le cose non andarono meglio. I due erano spesso strafatti o ubriachi o entrambe le cose insieme, più Burroughs della Vollmer se dobbiamo prestare fede ai ricordi dei bambini. Frequentavano soprattutto altri sbandati con velleità artistiche e sopravvivevano solo con l'assegno che continuava ad arrivare mensilmente dalla famiglia di Burroughs. Allen Ginsberg, che andò a trovarli, osservò che Joan aveva un aspetto particolarmente disfatto e ipotizzò che Burroughs (che in quel periodo aveva ripreso ad avere relazioni omosessuali) la maltrattasse. Ma la donna, che a sua volta aveva relazioni con altri uomini, sembrava avviata lungo una spirale auto-distruttiva tale da non rendersi più conto di nessun rischio. E' però possibile che alcuni dei segni che fecero sospettare a Ginsberg i maltrattamenti, tipo la difficoltà a camminare per una vistosa zoppia, fossero in realtà dovuti all'aggravamento di vecchi problemi di salute (la Vollmer aveva sofferto di poliomielite nell'infanzia) per effetto della vita sbandata e dell'abbrutimento.
Joan Vollmer quando viveva insieme a Burroughs

Nel tardo pomeriggio del 6 settembre 1951, all'interno del piccolo appartamento subito sopra un bar americano in cui vivevano, accadde la tragedia.
Burroughs era sempre stato ossessionato dalle armi, aveva anche cercato di arruolarsi nell'Esercito durante la guerra (ovviamente era stato scartato) e girava sempre con una pistola in tasca, una Star 380 automatica. Quel giorno, erano presenti due loro amici, un certo Eddie Woods solo omonimo del più noto poeta e un altro indicato sempre come “Eugene A.”. Sotto l'effetto di una abbondante bevuta, Burroughs propose a Joan di mostrare agli amici che bravo tiratore lui fosse, ripetendo la scena di Guglielmo Tell. Senza battere ciglio, Joan, anche lei ubriaca, riempì un bicchiere di cognac e se lo mise in equilibrio sulla testa. I due non distavano più di due metri. Joan si voltò di lato e, ridendo, disse. “Non posso guardare, sai che non sopporto la vista del sangue”. Eddie Woods, pensando che le schegge in cui si sarebbe ridotto il bicchiere avrebbero fatto uscire fuori di sé la padrona di casa, che forse li avrebbe sbattuti fuori, ebbe l'istinto di allungare un braccio e fermare Burroughs, ma non lo fece nel timore che il colpo così deviato potesse raggiungere Joan.
Invece Burroughs sparò basso, e colpì Joan alla tempia. Eddie Woods riferì che il rumore dell'esplosione suonò violentissimo, che il bicchiere intatto rotolava sul pavimento in cerchi concentrici e che Joan, seduta su una sedia, teneva la testa reclinata da un lato. Fu Eugene A. ad accorgersi del filo di sangue che le colava dalla tempia e a dare l'allarme. Mentre Burroughs si precipitava urlando sulla donna ancora viva, i due andarono a chiamare aiuto. All'arrivo dei soccorsi, Joan Vollmer era in coma e morì nel giro di poche ore.
La notizia del fatto su un quotidiano messicano

La notizia del fatto su un quotidiano statunitense

Burroughs fu subito arrestato e chiuso in galera, ma ci restò solo fino al 22 settembre: quando l'avvocato inviato sul posto dai suoi parenti pagò 2312 dollari di cauzione (più una cifra imprecisata ma presumibilmente molto alta ai giudici e alle autorità locali per “ungere” la pratica) per farlo uscire. Mentre si svolgeva il processo, nel dicembre del 1952, Burroughs venne a sapere che lo Stato della Lousiana non aveva emesso alcun mandato di cattura nei suoi riguardi per la faccenda del traffico di stupefacenti e se ne tornò negli Usa senza avvertire nessuno. Fu poi condannato in contumacia a due anni per omicidio colposo (su consiglio dell'avvocato messicano cui si era rivolto prima che si presentasse quello inviato dalla famiglia, aveva dichiarato che il colpo era partito accidentalmente mentre puliva la pistola. Presumibilmente, i soldi distribuiti a piene mani dalla famiglia a tutti gli interessati fecero sì che questa versione fosse accettata senza problemi) e ottenne pure la sospensione condizionale della pena.
La figlia che Joan aveva avuto dal precedente matrimonio, Julie, fu affidata ai nonni materni; il piccolo William Jr. ai nonni paterni.
Negli anni successivi, Burroughs, che aveva già scritto tanto ma mai publicato nulla, cominciò a farsi conoscere inizialmente solo in mezzo al pubblico che seguiva gli artisti Beat; con il suo terzo libro, Il pasto nudo, divenne un autore dalla notorietà internazionale e cominciò a incassare cospicue royalties. Con un notevole istrionismo, raccontò di aver deciso di mettersi a scrivere proprio per reagire alla perdita di Joan: in realtà, a quel tempo, il suo primo libro, La scimmia sulla schiena, era già stato inviato ad alcuni editori, anche se sarebbe uscito solo nel 1953. In seguito, Burroughs si spinse fino a dichiarare che il delitto gli fu necessario per far emergere la “parte cattiva” di sé stesso e liberarsene, in modo da poter finalmente esprimere sé stesso attraverso la creazione artistica.


Anche se la mitizzazione che la figura di Burroughs ha subito sia in vita sia dopo la morte (moltissimi artisti moderni lo considerano un loro nume) ha fatto passare in secondo piano per decenni gli aspetti umani e legali di questo delitto, negli ultimi tempi, la critica femminista ha cominciato a porre l'accento sulla sostanziale disonestà di questo modo di pensare, per cui all'artista dovrebbe essere più o meno permesso o perdonato tutto, in nome di una sua supposta superiorità intellettuale sulla massa delle persone comuni. Nella sostanza, Joan Vollmer non sarebbe altro che una delle tante donne vittime della violenza di un convivente pieno di problemi, e la legittimazione morale dell'assurdo delitto di cui fu vittima in nome di indefiniti valori culturali non è meno spregevole della legittimazione di delitti domestici analoghi compiuti per ragioni considerate molto più futili o superate, come quelle che un tempo venivano dette “d'onore”.

sabato 6 agosto 2016

La riscoperta di "Tutti quei piccoli animali" di Walker Hamilton

Una sera di febbraio del 1969, in un cottage sito nel piccolo villaggio gallese di Goonvrea, un uomo di 34 anni si alzò da tavola dopo cena, apparentemente molto felice. Il suo primo romanzo, pubblicato appena 6 mesi prima, stava ottenendo critiche molto positive (anche un autore di bestseller del calibro di Roald Dahl ne aveva scritto con ammirazione) e favorevoli riscontri di vendite; quella mattina stessa, aveva appena terminato di scrivere il secondo, di cui si sentiva particolarmente soddisfatto. Il successo come scrittore non era solo il coronamento di un sogno, ma anche il riscatto da una vita sempre incerta e precaria, sin dalle modestissime origini.
Improvvisamente, però, l'uomo si sentì male e, in breve, perse conoscenza. La moglie chiamò subito i soccorsi ma non ci fu nulla da fare. Il cuore dell'uomo, nonostante la sua giovane età, aveva ceduto a un graduale deterioramento. Walker Hamilton, che diversi anni prima era stato congedato dal servizio militare nella RAF proprio per i problemi cardiaci rimasti quali esiti di un avvelenamento del sangue contratto il servizio, non vide mai pubblicato il suo secondo romanzo, che uscì nel 1970. Anche stavolta, i critici furono concordi nel lodare l'opera; ma, essendo ormai defunto l'autore, l'editore non ritenne opportuno investire in una intensa promozione, e le vendite furono nettamente inferiori a quelle del libro precedente. In seguito, per molto tempo, entrambi i volumi furono ristampati raramente.
Una rara immagine di Walker Hamilton (1934-69)

Tuttavia, Walker Hamilton e i suoi due libri non furono completamente dimenticati. Del primo, All the Little Animals, uscirono alcune traduzioni in altre lingue, compresa quella italiana, pubblicata da Garzanti nel 1998 con il titolo Tutti quei piccoli animali. Nel 2010, su proposta dello scrittore scozzese Alan Warner, il critico letterario del Guardian, Adrian Searle, che si diletta con la riscoperta di grandi scrittori dimenticati in una casa editrice fondata ad hoc, Freight Books, ne propose una nuova accurata edizione, accompagnata da un'introduzione di Warner stesso. Durante la preparazione di questa, Searle riuscì a mettersi in contatto con la vedova di Walker Hamilton, Dorothy, di cui si erano perse le tracce dai primi anni '90, al punto che l'editore originale (Gollancz) la credeva morta, mentre in realtà viveva ancora in Galles e scriveva guide turistiche sotto pseudonimo. La signora Dorothy fu felice di raccontare i suoi ricordi a un ascoltatore qualificato ed entusiasta.
Alan Warner (nato nel 1964)

Adrian Searle (nato nel 1953)

Walker Hamilton era nato a Airdrie, North Lanarkshire, Scozia, nel 1934. Era figlio di un minatore e lasciò la scuola a 15 anni per arruolarsi, poco dopo, nella RAF. Costretto a lasciare il servizio per le ragioni che abbiamo già visto, seguì un corso di contabilità in una scuola serale e poi si impiegò come tecnico in una fabbrica di birra a Glasgow. Dopo il matrimonio, nel 1960, si stabilì per qualche tempo in Cornovaglia.
All the Little Animals nacque proprio qui, da una passeggiata in campagna insieme a Dorothy, al termine della quale i due, tornando sulla strada principale, videro un bellissimo uccello morto, appena investito da un'auto e, non volendo che altre macchine ne facessero scempio, lo raccolsero e lo deposero nell'erba.
L'edizione originale Gollancz di All the Little Animals (1968)

La prima edizione americana, uscita da Simon & Schuster sempre nel 1968


Due edizioni più recenti

L'unica edizione italiana, del 1998

Il protagonista di All the Little Animals si chiama Bobby Platt ed è un uomo di 31 anni, grande e grosso, ma con un cervello da bambino, il cui ritardo mentale è almeno in parte dovuto al trauma subito assistendo all'incidente in cui è morto l'amato padre. La madre, londinese benestante, si è risposata con un piccolo delinquente, che Bobby chiama il Ciccione e che non è estraneo alle circostanze in cui è morto il padre. I due si odiano e, appena la madre di Bobby muore, il Ciccione comincia a ordire trame per disfarsi del figlio in qualunque modo. Bobby è ritardato ma non stupido e alla prima occasione scappa di casa. Non sapendo dove andare, accetta un passaggio da un camionista diretto in Cornovaglia. Il viaggio procede bene fino a quando, attraversando una campagna, il camion sta per investire un coniglio fermo in mezzo alla strada: al camionista non importa nulla di investirlo o no, ma Bobby è deciso a salvarlo, afferra bruscamente il volante e sterza, ma il mezzo finisce rovinosamente fuori strada, dopo aver ugualmente investito l'animaletto. Bobby non si è fatto quasi nulla, mentre il camionista è morto sul colpo. A quel punto sopraggiunge sulla scena un singolare vecchietto, Mister Sumners, che ignora completamente il camionista morto ma raccoglie il coniglio investito e va via portandoselo dietro. Bobby segue Mister Sumners e questo gli spiega che ha una missione da compiere, quella di seppellire tutti i piccoli animali uccisi accidentalmente lungo le strade o in altri modi dall'uomo. Più tardi, rimasto a vivere con lui nella sua casetta isolata e aiutandolo entusiasticamente nella sua “missione”, Bobby apprenderà che Mister Sumners ha deciso di vivere in questo modo per espiare una terribile colpa del suo passato, della quale però non specifica il minimo dettaglio. Anche Bobby gli racconta la sua storia, sottolineando la sua paura che il Ciccione riesca a ritrovarlo e a ucciderlo, allora Mister Sumners gli propone di anticiparne le mosse e di vendicare il padre morto. Da questo momento in poi, la storia vira decisamente verso il noir, pur conservando un fondo del tono stralunato e quasi onirico dei primi capitoli.
La vicenda attrasse l'attenzione di un produttore cinematografico americano Premio Oscar, Jeremy Thomas, che nel 1998 la scelse per il suo esordio come regista. Nonostante la cura nella sceneggiatura e la scelta di un cast di tutto rispetto (Bobby era Christan Bale e Mister Sumners John Hurt), la pellicola ebbe scarso successo e fu ritirata dalle sale poco tempo dopo la distribuzione (non è mai arrivata in Italia) anche se è possibile visionarla in dvd nella versione originale.
Una locandina del film

Il secondo romanzo, A Dragon's Life, invece, prende le mosse da un attore in crisi che, durante le prove di uno spettacolo, scappa via indossando ancora il costume di scena, che è quello di un drago. Non risulta che sia più stato ristampato dopo l'edizione tascabile Penguin del 1973.
L'edizione originale di A Dragon's Life (1970)

L'edizione tascabile uscita tre anni dopo




lunedì 1 agosto 2016

Misteri nella Swinging London: “Marshmallow Pie” di Graham Lord

Nata nei primi anni '60, la collana popolare di spionaggio Segretissimo della Mondadori, ha vissuto diversi anni di grande successo nel periodo della guerra fredda, proponendo romanzi singoli o interi cicli con al centro delle figure di agenti segreti per lo più affascinanti e impegnati in avventure pericolosissime ambientate in qualunque parte del mondo. Come si può immaginare, questi personaggi erano in gran parte emuli di James Bond (come Hubert Bonisseur de la Bath, OSS 117, creato dal francese Jean Bruce, che monopolizzò il primo anno della collana, all'epoca mensile: protagonista di 12 romanzi su 12 usciti tra l'ottobre 1960 e il settembre 1961) anche se alcuni risentono di influenze letterarie un po' più originali, come quella di John Le Carré e del suo amaro e disincantato La spia che venne dal freddo

I romanzi di Jean Bruce che aprirono la collana Segretissimo nel 1960

Jean Bruce, nato Jean Brochet nel 1921, morì nel 1963 in un incidente automobilistico. La sua serie di OSS 117 (che ha ispirato anche diversi film) è stata poi continuata prima dalla moglie Josette e poi dai loro figli, per l'incredibile totale di 254 romanzi 

Non rare sono le occasionali incursioni di giallisti famosi che si mettono alla prova con un genere nuovo, ma piuttosto affine a quello in cui hanno raggiunto grandi successi: ad esempio, James Hadley Chase, con risultati di tutto rispetto.


Alcuni romanzi di Segretissimo firmati da James Hadley Chase

Tuttavia, la collana non ha mai disdegnato di proporre romanzi davvero originali e spesso distanti dal gusto del pubblico in quel momento, opere di una qualità letteraria che si stacca nettamente dalla media e che mettono in scena personaggi molto complessi oppure trattano di intrighi internazionali con disincantato realismo. Questi romanzi sono meno noti degli altri, spesso sono finiti rapidamente nel dimenticatoio e non di rado è diventato difficilissimo ricostruirne le origini e le vicissitudini.
Un esempio lampante in tal senso è costituito da Lady spia, firmato Coral Day e uscito il 7 novembre 1968. Il nome dell'autore, il titolo tradotto e quello dell'originale uscito in Inglese l'anno prima (Tell no tales) sono costituiti di termini così frequenti nell'uso comune, che una ricerca web in tal senso risulta difficilissima: e, comunque, anche insistendo, non è che si trovi molto riguardo questo romanzo davvero unico nel suo genere, che ha per protagonista una ragazza inglese che come copertura fa la modella di calze e viene spedita in Scandinavia per scoprire che fine ha fatto una sua collega ed eventualmente eliminare l'agente sospetto doppiogiochista su cui questa stava indagando; finisce poi per innamorarsi dello stesso, che appare del tutto innocente e vittima di una macchinazione, e fa di tutto per scagionarlo; salvo rendersi conto solo all'ultimo che i sospetti su di lui erano fondati e a ucciderlo rocambolescamente con un incidente simulato, proprio mentre lui ha deciso di eliminarla a sua volta. Sia la vivacità con cui l'intreccio si dipana dall'inizio alla fine, sia l'eccellente caratterizzazione dei personaggi, fanno pensare che dietro vi sia qualche scrittrice famosa (senza escludere però che possa essere anche uno scrittore) nascosta dietro uno pseudonimo, anche perché sembra che “Coral Day” non abbia firmato altri titoli. Tuttavia, risolvere questo piccolo mistero, al momento, non è possibile.
La copertina dell'edizione italiana di Lady spia di Coral Day

Ma la palma di romanzo più originale uscito in Segretissimo, spetta senza dubbio a Una sostanza “spiechedelica”, firmato Graham Lord e uscito il 18 febbraio 1971. L'originale, uscito in Inglese l'anno prima, portava il titolo Marshmallow Pie, tratto da un verso della canzone dei Beatles Lucy in the Sky with Diamonds.
L'edizione originale di Marshmallow Pie

Un'edizione più recente

L'edizione italiana in Segretissimo. Notare, come negli altri casi, la splendida copertina di Carlo Jacono

Prima di procedere, diventano necessarie alcune brevi digressioni. Innanzitutto, chiunque si intenda un po' di Beatles sa che Sergeant Pepper's Lonely Hearts Club Band è il loro disco più “psichedelico” e che, secondo alcuni, Lucy in The Sky with Diamonds, al di là della storia raccontata da John Lennon che la scrisse (il testo sarebbe nato descrivendo un disegno fatto dal figlio Julian all'asilo), rappresenterebbe le allucinazioni avute per effetto di una somministrazione di LSD (le stesse iniziali delle parole del titolo sarebbero un indizio in tal senso). Le Marshmallow Pies che a un certo punto della canzone vengono mangiate da gente sorridente su cavalli a dondolo in una fontana vicino a un ponte, tra fiori terribilmente alti, non sono facili né da immaginare né da descrivere. Dovrebbero essere torte fatte da cilindretti di zucchero bianchi e morbidi, diffusi a partire dagli Usa e inizialmente ricavati dalla pianta Althaea officinalis



Alcune immagini ispirate a Lucy in the Sky with Diamonds

In Italia, il termine è arrivato per la prima volta proprio negli stessi anni '60, grazie ai Peanuts, in cui Snoopy li mangia arrostendoli sul fuoco insieme ai suoi amici Woodstock, Bill, Conrad, Harriet e Oliver (gli uccellini gialli). I traduttori delle strisce di Schulz, in particolare Oreste Del Buono, preferirono proporre al pubblico una versione italiana del termine, inventando la simpatica parola “toffoletta”, che è quella con cui i marshmallow sono stati a lungo conosciuti in Italia quando erano pochissimo diffusi e considerati come qualcosa di esotico. La Marshmallow Pie, dunque, in Italiano, si può tradurre come Torta di Toffoletta.
Snoopy e Woodstock che si arrostiscono le toffolette durante una delle loro escursioni

I titolisti di Segretissimo, però, dovendo introdurre il lettore al tema del romanzo, preferirono far riferimento all'effetto psichedelico di una sostanza al centro dell'intreccio, divertendosi però a comporre un gioco di parole tra “psico” e “spia”, e il risultato dell'improbabile termine “spiechedelico”, che però connota in modo eccellente e inconfondibile tutta la vicenda.
La quale si svolge nella Swinging London, la Londra ottimista e iper-creativa degli anni '60, che “dondolava” tra una novità artistica o di costume e un'altra, ma era al tempo stesso un importantissimo crocevia internazionale in cui si potevano incontrare avventurieri, esuli e rivoluzionari di ogni tipo, oltre che naturalmente spie di ogni nazionalità confuse nel Meltin Pot etnico e delinquenti comuni in quantità. In questo magmatico contesto, si sta svolgendo una lotta senza quartiere con l'obiettivo dell'eliminazione totale del nemico, tra un gruppo di razzisti bianchi sudafricani e un altro di neri decisi a dar vita a uno Stato indipendente attraverso una scissione politica. I bianchi hanno raggiunto i neri, fuorilegge in patria, a Londra, e danno loro la caccia, ma i neri non sono meno determinati e li attirano in imboscate. I neri non sono a Londra per caso, ma per rapire un chimico che ha abbandonato la ricerca per diventare leader di un movimento hippy, si fa chiamare Sergeant Pepper e pare abbia sintetizzato una sostanza stupefacente capace di effetti allucinogeni molto superiori a quelle finora conosciute. La loro intenzione è di servirsene versandola nell'acqua potabile e poi compiere un Colpo di Stato mentre quasi tutta la gente è sotto allucinazioni.
Ignaro di tutto questi retroscena, il giornalista londinese Brian Waterman ha dovuto accettare dal suo capo-redattore, sotto la minaccia del licenziamento, l'incarico di infiltrarsi nella comunità hippy presente in città per condurre un'inchiesta sul fenomeno. Waterman riesce ad entrare proprio in un piccolo gruppo che sta a sua volta per unirsi al movimento di Sergeant Pepper. Infatti, dopo poco, Waterman riesce ad entrare nel giro di Sergeant Pepper ed è presente al momento in cui i neri sudafricani lo rapiscono. A quel punto, rinuncia alla sua copertura e va ad avvertire Scotland Yard.
Subito dopo, consegna il suo reportage e aspetta che sia pubblicato. Ma, imprevedibilmente, finisce rapito a sua volta da un gruppo di agenti segreti cinesi che seguivano i neri fingendo di assecondarli per mettere le mani su Sergeant Pepper prima di loro. I cinesi sono convinti che sia Waterman il vero Sergeant Pepper, mentre quello rapito sarebbe stato solo uno spacciato per tale al fine di proteggere quello originale. Fortunatamente per Waterman, pur camuffandolo e mascherandolo, i cinesi non riusciranno a farlo uscire dal Paese, perché sarà riconosciuto dalle guardie all'aeroporto di Heathrow e liberato. Il suo reportage, però, non uscirà mai, perché svela troppi dettagli sul vero Sergeant Pepper, che è stato liberato anche lui dai servizi segreti inglesi, ma al solo scopo di sequestrarlo per farlo lavorare a forza in un progetto segreto.
Il romanzo procede dall'inizio alla fine con un ritmo tale da tenere sempre desta l'attenzione del lettore. Se pure i cinesi appaiono un po' stereotipati, il conflitto tra bianchi razzisti e neri rivoluzionari è trattato senza superficialità, in modo da sollevare anche qualche interrogativo nella mente dei lettori più attenti (dato il periodo in cui il romanzo uscì, questo non era affatto scontato). Ma il meglio di sé, l'autore lo offre nella descrizione delle comunità hippies, mostrate come qualsiasi altro gruppo al mondo, piene di antagonismi e conflitti, tra persone convinte davvero della propria scelta di vita, altre finite lì solo per via di circostanze, altre ancora per assoluto opportunismo: e sono queste ultime, come sempre, a tirare i fili della situazione.
Graham Lord, l'autore, è una figura pochissimo nota in Italia, ma piuttosto celebre nel Regno Unito. Nato il 16 febbraio 1943 in Zimbabwe (allora si chiamava Rhodesia del Sud) da una famiglia inglese, è cresciuto in Mozambico fino al momento di andare all'università, quando si è trasferito a Cambridge per studiare Storia. Qui ha fatto le sue prime esperienze da giornalista. Da studente, come redattore e poi direttore del giornale universitario, ha avuto qualche grattacapo con gli amministratori dell'università per via del contenuto piuttosto rivoluzionario (per i tempi) dei suoi editoriali. Si è fatto però una certa fama e, terminati gli studi (1965), è stato subito assunto dal Sunday Express, come assistente del redattore letterario Bob Pitman. Alla morte di Pitman (1968) ha preso il suo posto. Durante i suoi 45 anni di lavoro al Sunday Express ha recensito migliaia di libri e intervistato tutti i più importanti scrittori del suo tempo, e nel 1987 ha fondato un premio letterario (Book of Year Award), subito molto ambito. Ammiratore di Graham Greene, autore già di 5 romanzi tra gli anni '70 e i primi anni '80 (Marshmallow Pie è il primo), dagli anni '90 ha scoperto il fascino delle biografie e ne ha scritte 7 (comprese quelle di David Niven e Joan Collins), ottenendo lusinghieri giudizi critici e un enorme successo di pubblico. L'ultimo suo libro è uscito nel 2007. All'età di 72 anni, il 13 giugno 2015 è morto per un tumore al fegato.
Graham Lord