sabato 29 luglio 2017

Hartley Howard e Harry Carmichael, le due facce di Leopold Horace Ognall

Negli anni '50, il panorama editoriale cambia per adeguarsi ai nuovi gusti del pubblico, pesantemente influenzati dagli stereotipi proposti dal cinema e poi dalla televisione, e questa trasformazione porta a una lenta ma inesorabile crisi delle riviste (le pulp magazines) che pubblicano racconti, mentre da un altro lato favorisce l'affermarsi di editori che pubblicano romanzi direttamente in edizione tascabile.
Questo passaggio comporta la necessità per i vecchi autori di misurarsi con un genere fino ad allora poco frequentato (non tutti ci riusciranno altrettanto bene) ma apre notevoli spazi all'affermazione di nuovi autori, dalle potenzialità diverse. Molti di questi esordienti resteranno per tutta la carriera dei modesti mestieranti che ogni tanto incasseranno qualche piccolo successo ma saranno costretti per tutta la carriera a scrivere in continuazione, perché gli editori pagano poco e dopo la prima edizione di un romanzo non è detto che ce ne siano altre (anche quando si ha la fortuna di essere tradotti all'estero, le royalties che se ne ricavano sono irrisorie). Alcuni però finiranno per emergere notevolmente dalla massa e per essere ristampati ripetutamente, sia in patria sia all'estero, anche in edizioni postume.
Non si tratta di veri e propri maestri del genere ma di autori capaci o di rinnovarsi brillantemente di romanzo in romanzo o di proporre sempre opere che, senza essere particolarmente originali, appaiono talmente ben costruite non solo come intreccio ma anche a livello di caratterizzazione dei personaggi, da non poter passare inosservate e non poter essere facilmente dimenticate.
Un autore che rappresenta un po' il paradigma di questo modello è il britannico Leopold Horace Ognall, non noto con il suo vero nome ma con i suoi due pseudonimi, Hartley Howard e Harry Carmichael.
Leopold Horace Ognall

Ognall nacque a Montreal, Canada, da genitori inglesi, il 20 giugno 1908. La famiglia rientrò in patria prima che raggiungesse l'età scolare, quindi fu educato in scuole del Lanarkshire, in Scozia. Appassionato di tecnologie, soprattutto quelle dell'informazione, dopo aver svolto alcuni lavori occasionali come quello di conducente di autobus e dopo una breve carriera in una società telefonica, si diede al giornalismo. Le esigenze di lavoro lo portarono a vivere a Glasgow, Manchester e infine Leeds, dove si stabilì. Per quattro anni lavorò come esperto di telecomunicazioni per il governo, poi provò ad aprire una società di vendita per corrispondenza.
Ma ciò che intendeva fare davvero nella vita era lo scrittore e, dopo una serie di tentativi, riuscì finalmente a esordire a 42 anni, nel 1951, con il romanzo No target for Bowman, in cui diede vita al detective newyorkese Glenn Bowman, successivamente protagonista di una serie lunga ben 42 romanzi, conclusa con The sealed envelope nel 1979. Tale serie fu firmata con lo pseudonimo Hartley Howard, usato anche per due romanzi di spionaggio con protagonista l'agente segreto (nascosto sotto la copertura di industriale del settore dei giocattoli) Philip Scott, da uno dei quali (Assignment K) fu ricavato il film omonimo, nella versione italiana Superspia K, per la regia di Val Guest, nel 1968.

Il libro e la sua traduzione italiana

Una locandina del film

Poco dopo, nel 1952, lanciò una serie di ambientazione inglese, i cui protagonisti sono il perito assicurativo John Piper e il giornalista Quinn, con il romanzo Death leaves a diary. Questa serie fu firmata con lo pseudonimo Harry Carmichael (ricavato dall'amalgama dei nomi della sua famiglia: la moglie Cecilia, i figli Harry, Margaret e Michael), già usato nel 1950 per il romanzo senza personaggi fissi Deadly night cap, e impiegato per un totale di 41 romanzi, l'ultimo dei quali (Life cycle) uscì nel 1978.
Ognall fece in tempo a vedere pubblicato il suo ultimo libro, The sealed envelope, prima di morire improvvisamente il 12 aprile 1979, a Leeds. Il suo figlio maggiore, Harry Ognall, divenne giudice della Corte Suprema e presiedette al processo contro l'ex dittatore cileno Augusto Pinochet.
Gran parte della fama e dei guadagni di Ognall in vita si devono alla serie americana di Glenn Bowman, che ottenne notevole successo in Uk e nel resto dell'Europa, ma non in Usa dove, evidentemente, di detective newyorkesi in giro ce n'erano fin troppi.
Nelle trame, la serie di Bowman non è particolarmente originale, poiché ricalca tutti gli elementi della detective story all'americana. Le vicende sono spesso noir abbastanza a fosche tinte, ma senza lo stesso compiacimento nel descrivere la violenza che caratterizza i romanzi dei suoi modelli (primo tra tutti Mickey Spillane). Poi, a differenza di quasi tutti i detectives americani, tutti piuttosto evidentemente figli della mentalità del loro tempo e quindi alquanto razzisti, Bowman sembra stare sempre molto attento a non uscire dall'ambito del politically correct, anche nel linguaggio e nei rapporti con le minoranze etniche.
A volte le sue vicende lo portano a occuparsi di intrighi internazionali, ma non si tratta dei romanzi più riusciti della serie. Del resto, anche i romanzi dichiaratamente di spionaggio con Philip Scott sono stati criticati per la palese inverosimiglianza di molte situazioni che descrivono.
Dunque, anche se non è uno dei personaggi prediletti dalla critica di genere, Bowman è considerato uno dei più simpatici detectives espressi della narrativa del suo tempo. Il fatto che abbia sempre problemi economici e che, pur volendo posare sempre a duro, spesso finisca per complicarsi la vita dando fiducia alle persone sbagliate, regala alle sue vicende un tocco di gradevole umanità che altrove manca o è ridotta ai minimi termini.











Alcuni romanzi di Hartley Howard e alcune traduzioni italiane

Di molto maggiore spessore sono i romanzi di ambientazione inglese firmati Harry Carmichael, in cui evidentemente Ognall riversò la grande esperienza di vita che aveva messo insieme negli anni in cui faceva il giornalista. Si tratta di romanzi mystery quasi tutti del genere whodunit, ambientati in realtà apparentemente molto tranquille, finché non arriva la tragedia di un delitto a scoperchiare la pentola e a mostrare cosa bolliva sotto la calma apparente.
Dei suoi due personaggi principali, John Piper, il perito assicurativo, è il più dinamico ma anche il meno interessante. Rimasto prematuramente vedovo e poi sposato a una nuova moglie, è un uomo un po' grigio, estremamente dedito al lavoro, ma sempre molto razionale e mai distratto davanti a qualunque tipo di situazione si trovi davanti. Il fatto che lavori proprio nelle assicurazioni lo mette a contatto con criminali di estrazione per lo più borghese o addirittura benestante, che commettono delitti piuttosto abietti non tanto per le modalità di attuazione, quanto per i moventi, che si riducono quasi sempre al facile arricchimento. Da questa inclinazione nascono dunque delitti che spesso coinvolgono parenti o amici o persone insospettabili, in cui a volte il morto non scappa fuori dal disegno criminale originale ma dalle sue inaspettate conseguenze. Un aspetto sorprendente di queste storie è la frequenza con cui alcuni personaggi secondari si suicidano per sfuggire al senso di colpa, dovuto non all'aver commesso qualche delitto ma all'averne protetto il responsabile. Questi personaggi sono quasi sempre donne molto fragili, sottomesse a qualche autoritaria figura maschile, e questi suicidi appaiono quasi come una disperata affermazione di indipendenza rispetto alla volontà di un manipolatore.
L'altro personaggio principale, il giornalista Quinn, è più vitale di Piper, ma troppo bohémien per essere il protagonista di una serie di mystery. Alcolizzato e solitario, nel primo romanzo tradotto in Italiano nel 1961 (Put out that star, con il titolo Strada senza ritorno), ha una fidanzata ma, poiché non tutta la serie è stata tradotta, a un certo punto questa sparisce e non si sa che fine abbia fatto. Quinn ha fatto ottimi studi classici ed è spesso pronto a citare Shakespeare o altri importanti autori, ha un senso dell'umorismo caustico e raffinato, tipicamente british, e tende a mettersi facilmente nei guai cercando di indagare sui casi criminali di cui si occupa in una rubrica esclusiva del suo giornale. Di solito, sono proprio gli elementi da lui scoperti a mettere Piper sulla strada giusta per la soluzione del caso, ma altre volte Piper è costretto a intervenire apposta per toglierlo dai guai.
I due, comunque, da buoni cittadini, non mancano mai di coinvolgere nei casi che seguono la polizia locale. Poiché entrambi viaggiano molto per i loro lavori, di solito hanno a che fare con polizie diverse di caso in caso.










Alcuni romanzi firmati Harry Carmichael e alcune traduzioni in Italiano



La critica di genere ha sempre apprezzato molto i romanzi firmati Harry Carmichael, pur ammettendo che il loro livello è disuguale, come del resto è facile aspettersi in una produzione così copiosa. Soprattutto, il giudizio pressoché unanime è che i migliori siano quelli scritti nell'ultimo periodo, durante gli anni '70. Purtroppo sembra che la morte abbia fermato l'attività di L. H. Ognall proprio quando la sua creatività aveva raggiunto il migliore equilibrio.

sabato 8 luglio 2017

La fucilazione del soldato Eddie Slovik

Durante la Prima Guerra Mondiale, raccontano le statistiche, 35 soldati dell'Esercito Statunitense sono stati giustiziati dopo essere stati condannati dalle corti marziali, tutti per gravi reati (stupri e soprattutto omicidi) commessi a danno di civili o commilitoni. Durante la Seconda Guerra Mondiale, ne sono stati giustiziati 102, per le stesse ragioni. Dal 1942 al 1948, oltre 2800 militari americani hanno disertato e 49 di questi sono stati condannati a morte, ma in 48 casi la condanna è stata annullata da un'autorità superiore a quella che l'aveva emessa. L'unico disertore americano che sia finito davanti al plotone d'esecuzione, dal 1864 a oggi, è stato un ragazzo di Detroit, di origine polacca. Si chiamava Eddie Slovik.
Eddie Slovik nel 1944 durante l'addestramento

Slovik nacque in una modesta famiglia di immigrati (il nome originario era Slowikowski) il 12 febbraio 1920 e si mise nei guai già dall'età di 12 anni, commettendo piccoli reati, soprattutto furti di minimo valore e disturbo della quiete pubblica. A 22 anni, nel 1942, si era già fatto 4 anni tra riformatorio e galera, anche se nel tempo si era trasformato in un detenuto modello, disciplinato e molto collaborativo con il personale che provava a riabilitarlo. Rilasciato sulla parola, grazie anche alle referenze del carcere, trovò un discreto lavoro come operaio in una ditta di forniture idrauliche della sua città, alle dipendenze dell'italo-americano James Montella.
Si rivelò un lavoratore corretto e scrupoloso, guadagnandosi tutta la stima del suo datore di lavoro. Alla “Montella”, conobbe una ragazza di qualche anno più grande di lui, carina e vivace nonostante i vistosi esiti di una poliomielite infantile, che si chiamava Antoinette Wisniewski (pure di origine polacca) e lavorava nell'ufficio contabilità. Il 7 novembre 1942, Eddie e Antoinette si sposarono e andarono a vivere nello stesso immobile dei genitori di lei, al piano di sopra.
Il matrimonio di Eddie e Antoinette 

Chiamato per la leva militare, fu inizialmente scartato per i suoi precedenti penali. Successivamente, però, fu considerato idoneo, nonostante la costituzione gracile, e arruolato a partire dal 24 gennaio 1944. Il 20 agosto dello stesso anno, fu inviato al fronte nel Nord-Est della Francia, alle dipendenze del 109° reggimento di fanteria.
Già durante l'ultimo tratto del viaggio verso il fronte, trovandosi improvvisamente sotto un bombardamento, Slovik abbandonò il convoglio e, insieme al commilitone John Tankey, cercò di tornare indietro. I due furono però sorpresi da una unità della polizia militare canadese che andava alla ricerca di soldati sbandati, dato che in quel periodo la situazione era molto caotica e i nuovi arrivati avevano molta difficoltà a trovare le unità cui erano stati assegnati.
Slovik e Tankey rimasero presso i canadesi per sei settimane, poi furono finalmente rispediti verso la loro unità, che raggiunsero il 7 ottobre. Il giorno dopo, 8 ottobre, Slovik si presentò al suo comandante di compagnia, capitano Ralph Grotte, e chiese di essere assegnato a un'unità di retroguardia anziché a una di prima linea. La richiesta fu respinta.
La mattina dopo, il 9 ottobre, Slovik abbandonò di nuovo l'unità, incamminandosi verso le retrovie, nonostante Tankey cercasse di dissuaderlo. Giunto al primo quartier generale, scrisse una lettera che cercò di far pervenire al comandante del reggimento, affidandola a un cuoco. Nella lettera, confessava di essere già scappato e di non essersi perso la volta precedente, e dichiarava che sarebbe scappato ancora se lo avessero assegnato di nuovo a un'unità di prima linea.
Il cuoco e altri soldati cercarono di convincere Slovik a distruggere quello scritto così compromettente, ma lui non volle sentire ragioni. Intervenne allora il tenente colonnello Ross Henbest, che prima cercò di convincere Slovik a ritornare sui suoi passi, promettendogli che non ci sarebbero state sanzioni a suo carico, e poi, davanti a un altro rifiuto, gli fece aggiungere alla lettera una postilla in cui dichiarava di essere pienamente consapevole delle conseguenze giuridiche delle sue dichiarazioni.
Slovik fu imprigionato e ricevette poi la visita di un altro tenente colonnello, Henry Sommer, che gli propose due alternative: o tornare alla sua unità o essere assegnato a un'altra, sempre di prima linea, senza che si facesse menzione della sua fuga. Slovik rifiutò entrambe le possibilità.
Sicuramente, Slovik era al corrente del fatto che tutte le condanne a morte pronunciate per diserzione fino ad allora erano state poi annullate, e riteneva che un periodo di carcere fosse preferibile alla morte in combattimento, che considerava pressoché certa.
Sfortunatamente per lui, i fatti cospirarono a suo danno. Mentre era detenuto, gli americani lanciarono l'attacco della Foresta di Hurtgen, nelle Ardenne, ai confini tra Germania e Belgio, e, sfavoriti dal momento climatico che impediva l'azione dei cacciabombardieri, si impantanarono senza riuscire ad avanzare, subendo gravi perdite ad opera delle difese tedesche (33.000 morti americani contro meno di 16.000 tedeschi). In quel periodo, i tassi di diserzione tra gli statunitensi furono altissimi.
Slovik fu processato dalla corte marziale l'11 novembre. L'accusa, rappresentata dal capitano John Green, ebbe facile gioco, anche perché, come fu annunciato dal suo difensore, capitano Edward Woods, Slovik si rifiutò di testimoniare. In poche ore, i nove ufficiali della corte, emisero la scontata sentenza di morte. Questa fu confermata e appoggiata dal comandante di Divisione, Maggior Generale Norman Cota, convinto che la notizia di una fucilazione avrebbe scoraggiato i potenziali disertori nelle Ardenne.
Il generale Norman Cota (1893-1971)

Il 9 dicembre, Slovik inoltrò la domanda di grazia al comandante supremo delle Forze Armate statunitensi, Dwight David Eisenhower, futuro presidente degli Usa dal 1953 al 1961. Non avrebbe potuto scegliere un momento meno adatto. La settimana successiva, i tedeschi contrattaccarono nelle Ardenne, gli americani furono costretti a ritirarsi e le diserzioni aumentarono. Il 23 dicembre, Eisenhower confermò la condanna di Slovik.
D.D, Eisenhower (1890-1969) quando era comandante supremo dell'Esercito americano

L'esecuzione fu fissata per il 31 gennaio 1945.
Alle 10,04 di quel giorno, Slovik fu condotto all'interno di un cortile nel villaggio alsaziano di Sainte-Marie-aux-Mines, dove lo aspettava il plotone di esecuzione, composto da soldati del reggimento che aveva abbandonato.
Moltissimi anni dopo, un soldato di quel plotone, Nick Gozik, pure lui di origine polacca e della stessa età di Slovik, raccontò che i soldati si aspettavano di veder trascinare lì a fatica un uomo urlante che si dibatteva in preda a una paura incontrollabile, mentre furono molto sorpresi nel vedere arrivare Slovik apparentemente calmissimo, nella sua divisa spogliata delle insegne e con una coperta sulle spalle per proteggersi dal gelo. Gozik, che aveva passato diversi mesi in prima linea, lo giudicò l'uomo più coraggioso che avesse mai visto.
Nick Gozik nel 2014

Prima di essere legato al palo e bendato, Slovik gridò ai soldati che stavano per fucilarlo che l'Esercito non lo uccideva per la diserzione, una cosa che avevano già fatto tanti altri senza conseguenze, ma per sacrificare un capro espiatorio, e che lui come capro espiatorio era perfetto, essendo già un pregiudicato. Si comportò però molto gentilmente con il cappellano militare che lo assisteva.
I soldati del plotone rimasero scossi sia dalle parole di Slovik sia dall'annuncio che il condannato era un disertore. Al momento di sparare, i 12 uomini (uno dei fucili, come da tradizione, era stato caricato a salve), nonostante distassero da lui poco più di 10 metri, spararono quasi tutti fuori bersaglio. Slovik fu centrato da soli 4 colpi, fatto che mandò in bestia il comandante e il medico che doveva accertare il decesso. Tuttavia, sebbene dopo la prima scarica respirasse ancora, Slovik cessò di vivere circa 15 secondi dopo, mentre i soldati del plotone ricaricavano le armi.
Gozik, dopo la guerra, tornò a casa dalla moglie e dal figlio, ebbe altri 5 figli e andò a lavorare in una farmacia. Si dimenticò di Slovik fino a quando vide nella vetrina di una libreria un volume dedidato alla sua vicenda, opera del giornalista William Bradford Huie. A 94 anni, nel 2014, Gozik raccontò la sua versione dei fatti, che coincide generalmente con quella di Huie.
Il libro di Huie, pubblicato nel 1954, è scrupoloso e coraggioso. L'autore, sebbene fosse un esperto di cose militari e con molte amicizie tra i generali, non si fece scrupolo di sostenere apertamente che Eisenhower, a quel tempo presidente degli Usa, aveva calcato esageratamente la mano e commesso un'ingiustizia ostinandosi a volere a tutti i costi la morte di quel povero soldato.


Diverse edizioni del libro di W.B. Huie

L'edizione italiana, pubblicata nel 1955 da Rizzoli

Nonostante fosse un soggetto interessantissimo e avesse subito destato l'attenzione di produttori cinematografici e divi del calibro di Frank Sinatra, il libro di Huie diventò un film solo 20 anni dopo, nel 1974, per la regia di Lamont Johnson, con Martin Sheen nella parte di Slovik.
La locandina del film 

Martin Sheen (Slovik) e Mariclare Costello (Antoinette) nel film

La vedova di Slovik, Antoinette, inviò a ben sette presidenti americani, da Truman a Carter, l'istanza per la riabilitazione del marito, ma nessuno le rispose mai. Morì a 64 anni, nel 1979.
Antoinette Wisniewski Slovik (1915-79) poco prima di morire

Il corpo di Slovik, inizialmente sepolto in un cimitero militare americano francese di Fère-en-Tardenois, insieme ad altri 95 soldati giustiziati per reati comuni, è stato riportato negli Usa solo nel 1987, in seguito agli sforzi di un altro veterano americano di origini polacche, Bernard Calka, che convinse il presidente Reagan a ordinare il trasferimento e raccolse con una colletta gli 8000 dollari necessari a pagare le spese.
Oggi Slovik riposa nel cimitero Woodmere di Detroit, accanto a sua moglie.

Le tombe di Slovk e di sua moglie




giovedì 6 luglio 2017

La famiglia degli orrori: il calvario di Sylvia Likens

Quello che negli annali di polizia giudiziaria dell'Indiana è considerato il più atroce crimine mai consumato in quello Stato, prese forma all'inizio degli anni '60 in un contesto sociale degradato e culturalmente deprivato, come molti altri delitti, ma si distingue da questi per l'identità dei criminali: una donna, i suoi figli (ne aveva 7, ma solo tre parteciparono attivamente al delitto) e due amici di questi.
La vittima fu una ragazza di 16 anni, Sylvia Likens. Una ragazza assolutamente normale, cui però era toccata la sfortuna di nascere in una famiglia disastrata e di venire poi affidata a una famiglia ancora peggiore di quella d'origine.
Sylvia Likens

Sylvia Likens nacque a Lebanon, Indiana, il 3 gennaio 1949 da Lester Likens e Betty Grimes, una coppia di giovani spiantati che campavano di espedienti e avevano già una coppia di gemelli, Diana e Danny (nati nel 1947). Nel 1950, alla famiglia, si sarebbero aggiunti altri due gemelli, Jenny e Benny. I cinque bambini trascorsero l'infanzia soprattutto con la nonna, mentre i genitori si arrangiavano a guadagnare qualcosa con lavori occasionali. La famiglia cambiava casa spessissimo e a un certo punto i due genitori si separarono, perché Lester trovò un lavoro più o meno stabile come operaio in una giostra itinerante, mentre Betty rimase a vivere con i figli a Indianapolis. Lester avrebbe dovuto spedire continuamente soldi alla famiglia per il mantenimento dei figli, ma spesso era in ritardo. I due figli maggiori se ne andarono a vivere per conto proprio. Betty doveva arrangiarsi come poteva e, in una di queste occasioni, nel gennaio 1965, fu arrestata e incarcerata per aver rubato in un negozio.
Lester, nella sua vita di nomade, non poteva certo portarsi dietro i tre figli rimasti, perciò decise di affidarli a una sua amica, che aveva conosciuto quando entrambi lavoravano in una lavanderia, Gertrude Van Fossan, più conosciuta come Gertrude Baniszewski dal nome dell'ex marito. Questa era veramente una spiantata: divorziata e madre di 6 figli, si era messa per un certo periodo con un uomo molto più giovane e di chiare inclinazioni delinquenziali, che le aveva inflitto ogni sorta di violenze e l'aveva lasciata dopo la nascita di un altro figlio.
Gertrude Baniszewski

Nel 1965, i figli di Gertrude avevano tra i 17 e gli 8 anni, tranne l'ultimo che aveva solo pochi mesi. Le figlie più grandi, Paula e Stephanie, frequentavano la stessa High School di Sylvia, Jenny e Benny, e questo dovette sembrare a Lester una ragione sufficiente per fidarsi di Gertrude. Le promise 20 dollari a settimana per il mantenimento dei figli e le lasciò carta bianca riguardo alla loro educazione.
Paula Baniszewski

Stephanie Baniszewski

Jenny Likens

Da quasi subito, i 20 dollari di Lester cominciarono ad arrivare in ritardo o saltuariamente. Questo esacerbò immediatamente l'atteggiamento di Gertrude, che era una donna apparentemente fragile, dalla salute molto malferma, ma piena di un sordo rancore contro tutto il mondo per la sua vita fallimentare e frustrante. Che la situazione domestica fosse parecchio disastrata, lo dimostra anche il fatto che la figlia maggiore di Gertrude, Paula, a 17 anni, era incinta di un suo compagno di classe.
Il calvario di Sylvia, che Gertrude aveva scelto quale vittima su cui sfogare tutta la sua rabbia repressa, cominciò con la banale accusa di aver rubato delle caramelle. Poi la ragazza fu insultata e accusata di essere una prostituta quando ammise che le piaceva un ragazzo conosciuto a scuola. Poi fu presa a calci nella pancia, dopo essere stata accusata di essere rimasta incinta del primo venuto. Non contenta di aggredirla continuamente, Gertrude cominciò ad aizzare i suoi figli affinché la picchiassero e la spingessero giù per le scale quando se la trovavano davanti.
Paula e Stephanie, tra i ragazzi della loro scuola, godevano davvero della fama di ragazze particolarmente “facili” e Gertrude si fissò sull'idea che questo dipendesse dal fatto che Sylvia aveva sparlato pubblicamente di loro. Il ragazzo di Stephanie, Coy Hubbard, aizzato da Gertrude, prese anche lui ad aggredire Sylvia in ogni occasione. Gertrude, peraltro, invitava qualunque ragazzo o bambino del quartiere a picchiare Sylvia e a volte li invitava a casa sua perché potessero farlo indisturbati.
Sylvia, che ormai non andava più a scuola ed era confinata in casa, subì violenze di ogni genere. Mentre era tenuta nuda e legata, Gertrude, i suoi figli e altri ragazzi le spegnevano delle sigarette sulla pelle, la scottavano con l'acqua bollente, le sfregavano del sale sulle ferite, la costringevano a mangiare delle feci e le inserivano delle bottigliette di Coca-Cola nella vagina. Anche sua sorella minore Jenny, invalida per via della poliomielite patita nell'infanzia, a forza di percosse e minacce, fu costretta a colpirla. Paula, una volta, la colpì con tale inaudita violenza da fratturarsi il proprio stesso polso.
Jenny riuscì comunque a contattare la sorella maggiore, Diana, che era sposata e viveva poco lontano da loro, ma non sapeva nulla di cosa stava accadendo. Diana, nonostante il racconto delle angherie subite da Sylvia sembrasse inverosimile, decise di andare a vedere cosa stesse succedendo ma Gertrude non la fece entrare e la accusò di voler entrare in casa per rubare. Poco dopo, un vicino di casa segnalò ai servizi sociali che in casa Baniszewski avvenivano cose strane e un'infermiera fu inviata a verificare la situazione. Gertrude la fece entrare in casa e le raccontò che Sylvia era scappata via da tempo, e lei non sapeva dove fosse. Purtroppo, l'infermiera le credette. In realtà, Sylvia era chiusa, legata e imbavagliata, in una stanza del seminterrato.
Gertrude permetteva a Sylvia di mangiare pochissimo e non le dava quasi mai acqua, costringendola a bere le sue stesse urine. Secondo Jenny, la sorella era talmente disidratata da non riuscire nemmeno a produrre lacrime quando piangeva e negli ultimi tempi divenne anche incontinente.
Il 22 ottobre 1965, insieme a un amico delle figlie, Richard Hobbs, Gertrude cominciò a incidere sulla pelle dell'addome di Sylvia la frase “Sono una puttana” con un ago arroventato. Con un bullone, sempre arroventato, le fecero un marchio a forma di “3” sul petto. Poi, minacciandola con una spranga di ferro, la costrinse a scrivere una lettera in cui annunciava la propria fuga e raccontava le angherie subite attribuendole a una banda di ragazzi con cui si prostituiva. La vera intenzione di Gertrude era quella di trasportare nottetempo Sylvia in mezzo a una zona boschiva nelle vicinanze e di abbandonarla lì, legata, finché non fosse morta di stenti.
Il 25 ottobre, Sylvia, nell'udire i discorsi di Gertrude ai figli, si rese conto del pericolo che correva e, poiché era ancora libera dopo aver scritto la lettera, tentò di fuggire. Riuscì ad arrivare fino alla porta prima di essere ripresa. Fu picchiata come mai prima, legata di nuovo e trascinata ancora nel seminterrato, dove Coy Hubbard continuò a picchiarla brutalmente con un manico di scopa.
Le ultime botte, però, le furono fatali. La sera del 26 ottobre 1965, dopo aver provato a lavarla mettendola vestita dentro una vasca, Stephanie e Richard Hobbs la trovarono morta sul materasso dove l'avevano lasciata la sera prima. L'autopsia avrebbe poi accertato che era deceduta in seguito a un'emorragia cerebrale.
Come fu ritrovato il corpo di Sylvia

La scena del delitto

Durante un sopralluogo

Alla vista del cadavere, Gertrude ordinò a Richard Hobbs di chiamare la polizia da una cabina telefonica. I poliziotti arrivarono rapidamente e Gertrude, chiuse a chiave il seminterrato, consegnò loro la lettera che aveva fatto scrivere a Sylvia. Aggiunse che i fantomatici “ragazzi” cui faceva riferimento la lettera, avevano trascinato Sylvia fino a un'auto, proprio davanti a lei. Non si sa fino a che punto i poliziotti credettero a questa storia, ma sta di fatto che, mentre Gertrude parlava, Jenny si rivolse a loro e disse che, se l'avessero portata via di lì, avrebbe raccontato tutta la verità.
I poliziotti la ascoltarono, perquisirono la casa e trovarono il corpo di Sylvia. Subito dopo, arrestarono Gertrude, i suoi tre figli più grandi, Coy Hubbard, Richard Hobbs e cinque ragazzini (tra i quali tre femmine) che si trovavano in casa in quel momento.
Il successivo processo ebbe una enorme rinomanza mediatica negli Usa. Gli imputati apparvero tutti persone come se ne potevano incontrare tutti i giorni, lontanissimi da ogni clichè di delinquenti, eppure erano responsabili di un crimine mostruoso. Gli avvocati della difesa puntarono per Gertrude all'infermità mentale e per gli altri imputati al plagio da parte di Gertrude.
Gli imputati al processo

Jenny durante il processo
John Baniszewski

Shirley Baniszewski, un'altra figlia di Gertrude, depone al processo

Marie Baniszewski al processo

L'autopsia accertò, oltre alle prove delle inenarrabili sofferenze che erano state inflitte a Sylvia, anche che la ragazza era ancora vergine, sbugiardando definitivamente Gertrude che, anche in fase di interrogatorio, aveva sostenuto che Sylvia si prostituiva e frequentava delinquenti.
Il 19 maggio 1966, Gertrude fu condannata al carcere a vita per omicidio di primo grado. Fino a poco prima, avrebbe rischiato il patibolo, ma in quel periodo negli Usa si stava ripensando il sistema della giustizia in modo da superare la pena capitale (questa fase sarebbe durata ancora per una decina di anni, poi le esecuzioni sarebbero riprese) e se la cavò.
Sua figlia Paula pure ebbe la condanna a vita, e la figlia che partorì durante il processo le fu tolta e data in adozione.
Stephanie fu prosciolta, per aver testimoniato contro la madre, insieme a una delle sorelle più piccole, Marie, fornendo elementi decisivi all'accusa.
Richard Hobbs, Coy Hubbard e il terzo figlio di Gertrude, John, furono condannati al riformatorio per un periodo da 2 a 21 anni.
Le accuse contro gli altri ragazzini coinvolti furono ritirate.
Hobbs, Hubbard e John non trascorsero troppo tempo dietro le sbarre. Uscirono già nel 1968. Hobbs sopravvisse solo fino al 1972, quando morì di cancro all'età di 21 anni. Hubbard passò il resto della sua vita entrando e uscendo dalle prigioni e fu assolto in un altro processo per duplice omicidio, prima di morire a 56 anni, nel 2007. John Baniszewski rigò sempre dritto, dopo aver cambiato il suo nome in John Blake, e morì a 52 anni nel 2005. Anche un altro dei ragazzini coinvolti nel caso e poi prosciolti durante il processo, Randy Lepper, è deceduto prematuramente, a 56 anni, nel 2010.
Stephanie cambiò nome anche lei, si trasferì, diventò una maestra elementare e non ebbe più rapporti con i suoi parenti.
Paula, che aveva anche tentato di evadere, ottenne la libertà vigilata nel 1972. Con il nome di Paula Pace si sposò e trovò lavoro come consulente scolastica in Iowa. Ma, alla scoperta della sua vera identità, venne licenziata.
Gertrude restò in carcere fino al 1985, tenendo sempre una condotta esemplare. In audizione davanti alla commissione che doveva giudicarla meritevole di accedere a benefici o pene alternative, dichiarò che si assumeva tutta la colpa di quanto era accaduto, anche se il suo stato mentale era alterato dal continuo consumo di farmaci e di droghe, che era pentita delle sue azioni e che chiedeva solo perdono e pietà. Quando ottenne la libertà condizionata, l'intero Stato dell'Indiana fu attraversato da manifestazioni contro la sua liberazione, cui parteciparono anche i parenti di Sylvia. I giudici la fecero uscire lo stesso, per via delle pessime condizioni di salute. Si fece chiamare Nadine Van Fossan e si trasferì in Iowa, dove morì di cancro a 60 anni, il 16 giugno 1990.
Jenny Likens, che si era rifatta una vita e creato una propria famiglia, è morta improvvisamente nell'estate del 2004, a soli 54 anni.
I genitori di Sylvia, Lester e Betty, sono morti rispettivamente nel 2013 e nel 1998.
Un piccolo monumento in un parco pubblico di Indianapolis, inaugurato nel 2001, ricorda la tragica storia di Sylvia. La sua vicenda ha ispirato diverse opere letterarie e almeno due film.




Copertine e locandine 

La casa in cui avvenne il delitto, abbandonata dai Baniszewski, non fu più occupata da nessuno. E' stata demolita nel 2009 e al suo posto, ora, c'è un parcheggio.
La casa dei Baniszewski

La tomba di Sylvia

Il monumento