mercoledì 25 agosto 2021

Elisabeth Lamouly, prima donna ghigliottinata per reati comuni dal regime di Vichy

Chi fa ricerca senza essere un ricercatore professionista è continuamente costretto a fare i conti con la scarsità e l'inaccessibilità delle fonti. Soprattutto per il semplice amatore, che se ne occupa senza ricavarne alcun lucro, il rischio di affrontare spese non trascurabili è sempre dietro l'angolo. Gli archivi ormai stanno diventando tutti ad accesso a pagamento e i pochi libri che trattano di questo o quel fatto vanno spesso presi a scatola chiusa, senza sapere fino a quanto siano attendibili, perché tutte le valutazioni che si trovano su di essi sono pubblicitarie.

Non è un caso che si finisca sempre più facilmente a scrivere delle stesse cose, sperando di imbattersi in lettori che ancora non le conoscono.

Dunque, inevitabilmente, un articolo ricavato dai mezzi normalmente disponibili, anche dopo molte ricerche, dovrà essere per forza ridotto a quanto si riesce a sapere: ossia, di solito, non molto.

Nei Paesi occidentali l'esecuzione capitale delle donne è diventata gradualmente un tabù. Forse per un oscuro senso di colpa per lo sterminio di donne innocenti durante i secoli della persecuzione delle streghe, forse per il riconoscimento della realtà per cui, in una società sessista, il sesso considerato inferiore non può vedersi attribuire lo stesso livello di responsabilità di quello considerato superiore. Ci sono state però eccezioni a questa tendenza, in particolare nelle aree dominate dal nazismo (e anche dalle altre dittature, ma dal nazismo in modo particolare), specie quando questo trovava l'appoggio di un collaborazionismo locale per lo più di tendenza cattolica (che, a quel tempo, era ancora piuttosto antisemita e quindi non incline a rifiutare in toto il nazismo).

Un caso esemplare è quello della Francia. Dal 1877 non si eseguivano condanne capitali di donne in Francia, durante il regime di Vichy, duranto appena 3 anni, se ne eseguiranno 5: Elisabeth Lamouly, Georgette Monneron, Germaine Legrand (da alcuni indicata come Germaine Philippe Besse), Marie Louise Giraud, Czeslawa Bilicki.

L'eredità della dominazione nazista si conserverà ancora per qualche anno: infatti, fino al 1949, saranno giustiziate altre 4 donne francesi: Lucienne Thioux, Genèvieve Danelle Calame, Madeleine Mouton, Germaine Leloy-Godefroy. Dopo di quest'ultima, non ci sono state più esecuzioni di donne nei 28 anni in cui la Francia ha conservato la pena capitale.

Tranne Marie Louise Giraud, condannata per aver praticato aborti clandestini (sotto il nazismo la pratica era punita con la morte e anche un uomo fu giustiziato per la stessa ragione), tutte queste donne si erano rese responsabili di delitti efferati, a volte con complici uomini. In questi casi, anche gli uomini coinvolti erano stati condannati alla stessa pena. Tranne che in un caso, nel quale i complici di sesso maschile, a un certo punto, scompaiono dalla vicenda e non risultano tra i giustiziati.

Si tratta della vicenda di Elisabeth Lamouly, coniugata Ducourneau, un'avvelenatrice seriale che sembra uscita da un romanzo di Georges Simenon.

Elisabeth Lamouly dopo l'arresto

Sulla vicenda della Lamouly è uscito recentemente un romanzo, L'empoissoneuse à la digitaline, di Viviane Janouin-Benanti, un'autrice poco nota ma che scrive spesso di delitti, cercando di ricostruire con la fantasia ciò che non risulta dai documenti. Il libro appare comunque arricchito da un discreto repertorio iconografico. Un altro recente volume che tratta questa vicenda in un capitolo è Crimes passionnels de France, di Sylvain Larue, un altro autore che tratta spesso di questi argomenti.


I due libri che trattano il caso

Il resto, lo si apprende dalle poche fonti d'epoca disponibili.

La Lamouly era originaria di Belin, nella Gironda, ed era nata nel 1905. Piuttosto giovane, dopo una normale infanzia borghese, aveva sposato Roger (da alcuni indicato come Jean) Ducourneau, di poco più grande, un uomo tranquillo e probabilmente piuttosto ingenuo, dal quale aveva avuto due figli che, verso la fine degli anni '30, stavano entrando nell'adolescenza (la figlia maggiore Simone, poi coniugata Hultsch, dovrebbe essere nata nel 1923).


La Lamouly da ragazza e un'immagine del suo matrimonio

A posteriori, la Lamouly fu descritta come una donna fredda e cinica, da sempre interessata all'uso dei veleni, al punto che qualcuno arrivò a paragonarla alla Marquise de Brinvilliers. Non si sa se questo sia vero ed è possibile che sia un'invenzione per rendere più appetibile la sua storia da parte dei giornalisti, ma resta il fatto che la sua difesa si basò sul fatto che fosse stata letteralmente costretta da altri (i suoi amanti) ad avvelenare le sue vittime, ma lei fu condannata mentre i suoi amanti non lo risultano, quindi è evidente che il tribunale non giudicò attendibile questa ricostruzione.

La Lamouly non mostrò alcuna tendenza criminale fino al 1937. Quell'anno, la madre, Emma Lamouly, che viveva con lei e la sua famiglia, la scoprì a farsela con un amante, un giovane algerino che i vari resoconti indicano con nomi diversi (Ahmed, Hamoud, Amar) e che non si sa nemmeno di preciso cosa facesse, secondo alcune fonti un bracciante che lei aveva fatto assumere dal marito per lavorare nella proprietà di famiglia e secondo altre un militare.

La madre le diede l'ultimatum: o chiudeva con l'amante o avrebbe detto tutto al marito. La Lamouly promise di sistemare la faccenda ma prese tempo e, intanto, il 31 agosto 1937, la madre morì improvvisamente per quello che a tutti (compresi i medici) sembrò un attacco di cuore.

Dopo la perdita della madre, la Lamouly sembrava molto abbattuta e il marito, pensando di farle cosa gradita, le propose di lasciare il soffocante mondo provinciale di Belin e di trasferirsi a Bordeaux, dove contava di prendere in gestione un bar molto frequentato in Rue de Faures. Elisabeth fu subito d'accordo, ma solo a patto di portarsi dietro l'algerino come lavorante.

Il bar dei Ducourneau

Il marito accettò, ma dovette evidentemente rendersi conto che qualcosa non andava, perché dopo un poco pretese di allontanare l'algerino dalla loro famiglia. A questo punto, l'algerino tornò in Africa, non si capisce bene se rispedito in Algeria tramite foglio di via per qualche malefatta minore o se trasferito in Marocco in quanto militare (le fonti divergono).

Elisabeth si abituò facilmente all'assenza del suo amante perché nel frattempo lo aveva già rimpiazzato con un altro. Gilbert-Édouard Camou, nato nel 1918, descritto come uno scioperato e anche piuttosto violento. Camou pretendeva che Elisabeth divorziasse dal marito ma conservasse la proprietà del bar: cosa impossibile perché i capitali investiti nell'impresa erano soprattutto del marito. Quando Elisabeth glielo fece finalmente presente, Camou le procurò (così affermò lei) una certa quantità di digitalina, una sostanza ricavata dalla Digitalis purpurea, pianta appartenente alle Plantaginacee, impiegata da molto tempo sia come farmaco utile per affrontare certe affezioni circolatorie, sia come veleno. Poiché la composizione della digitalina e il suo meccanismo di azione sono stati scoperti solo nel dopoguerra, oggi il suo uso è regolato da protocolli sanitari che garantiscono una certa sicurezza e un basso rischio di effetti collaterali, grazie anche all'esistenza di antidoti. A quel tempo, i dosaggi erano molto più approssimativi, i rischi parecchio più elevati e gli antidoti non esistevano.


La Digitalis purpurea

La Digossina, uno dei suoi principi attivi


Un primo tentativo di avvelenare Ducourneau fallì perché il dosaggio non si rivelò sufficiente. Al secondo tentativo, Elisabeth somministrò al marito una dose da cavallo e l'uomo morì, in circostanze analoghe a quelle della morte di Emma Lamouly, il 25 ottobre 1938.

Il resto della storia è quasi banale. Sebbene i Ducourneau fossero nuovi di Bordeaux, Camou era invece ben noto a tutti e la sua relazione con una donna sposata era già di dominio pubblico (probabilmente lo stesso Ducourneau ne era al corrente). La morte improvvisa del marito, ancora giovane e in ottima salute, insospettì qualcuno e la Gendarmeria si ritrovò tempestata di lettere anonime che accusavano la moglie.

Convocata dai gendarmi, davanti alla prospettiva di esumare il corpo di Ducourneau per cercare i residui di qualche veleno, Elisabeth crollò immediatamente e ammise di avergli somministrato la digitale, ma affermando di essere stata costretta con le minacce da Camou. Presa dalla foga, confessò anche l'omicidio della madre, affermando in quel caso di essere stata costretta con le minacce dall'algerino.

La sua linea di difesa era chiaramente incongruente. Se era stato Camou a consigliarle di servirsi dela digitale, come mai lei l'aveva già usata l'anno prima e non ci aveva pensato da sola? Lo aveva dimenticato nel frattempo?

Una pubblicazione periodica che nel 1938 raccontò la vicenda

Non si sa se l'algerino sia stato rintracciato e abbia deposto al processo. Alcuni giornali parlano di ricerche in corso, ma a un certo punto la sua figura svanisce dai resoconti. Camou invece fu sicuramente processato per complicità, ma riuscì a evitare la pena capitale.

Nell'aprile del 1940, Elisabeth Lamouly fu condannata a morte tramite ghigliottina per il duplice omicidio della madre e del marito. Gli appelli e la domanda di grazia servirono solo a differire l'esecuzione ai primi giorni dell'anno successivo.


Testata d'epoca e articolo sul processo Lamouly

Fino ad allora, a Bordeaux, le esecuzioni capitali erano state pubbliche e molto seguite, l'ultima risaliva al 1933. La ghigliottina era stata spostata in vari punti della città ma, in tempi recenti, si era deciso di riservare lo spettacolo delle esecuzioni capitali ai soli testimoni autorizzati. La ghigliottina si trovava dunque all'interno delle mura del centro di custodia cautelare Hâ.

La precauzione di rendere il più possibile discrete le esecuzioni si rivelò quanto mai opportuna in questo caso. Elisabeth Lamouly, con l'approssimarsi del momento, aveva dato sempre maggiori segni di perdita del controllo. Quando i gendarmi andarono a prelevarla nella sua cella, la mattina del 9 gennaio 1941, si dibatté al punto che essi dovettero legarla e portarla di peso alla ghigliottina. Non fu neanche possibile vestirla, per cui la donna venne giustiziata nuda.

Questi dettagli, taciuti dalla stampa del tempo per una sorta di ipocrita pruderie, sarebbero emersi solo in tempi successivi.




La notizia dell'esecuzione, ripresa dallo stesso lancio di agenzia, riportata da due quotidiani del tempo






mercoledì 18 agosto 2021

John Franklin Bardin, pioniere del giallo psicologico

Quelli che sono i cliché più diffusi nella narrativa di un dato periodo, generalmente sono passati inosservati o poco apprezzati nella narrativa precedente, fino al momento in cui si sono finalmente affermati.

Questo è tanto più valido se consideriamo la narrativa gialla, il cui gusto è stato sempre molto influenzato dalle diverse epoche. Le “rivoluzioni” in cui qualche autore (generalmente più di uno) ha proposto qualche cambiamento di successo sono state puntualmente precedute da fasi in cui gli stessi cambiamenti hanno determinato l'insuccesso dei libri che li proponevano, dato che il pubblico non era minimamente preparato ad accoglierli.

Un caso importante è quello di John Franklin Bardin, autore americano ritenuto per lungo tempo non importante, poi riscoperto in Regno Unito e da lì diffuso in tutto il mondo, ma sempre più famoso tra gli inglesi che tra gli americani.

John Franklin Bardin negli anni '70

Bardin fu indotto da ragioni personali a battere campi mai percorsi prima (o, almeno, mai percorsi con tale impegno) da altri. In un tempo in cui la regola era quella del romanzo-enigma dalla trama perfettamente strutturata, si dedicò alla narrazione di storie al centro delle quali c'erano le difficili e contorte psicologie dei personaggi.

Bardin era nato a Cincinnati, Ohio, il 30 novembre 1916, in una famiglia benestante ma sfortunata. Durante la sua adolescenza, sua sorella morì di setticemia e, mentre Bardin studiava Ingegneria all'università locale, il padre morì a sua volta di una malattia cardiaca. Non era un gran momento per gli affari dell'attività commerciale di famiglia e l'eredità non consentì a Bardin di terminare gli studi. Dovette cercarsi un lavoro, prima in una pista di pattinaggio e poi in una libreria. Intanto la madre palesò i sintomi di una schiofrenia paranoide, comprese le allucinazioni. Appena possibile, Bardin si trasferì a New York, dove cambiò diversi lavori prima di essere assunto da una importante agenzia pubblicitaria, la Edwin Bird Wilson Inc., nella quale rimase dal 1944 al 1963, facendo carriera fino a diventare vicepresidente e direttore.

Si diede contemporaneamente al giornalismo e, soprattutto, nella seconda metà degli anni '40 pubblicò tre romanzi gialli molto diversi da quelli che il mercato editoriale era abituato a proporre ai lettori, talmente diversi che l'ultimo uscì solo nel Regno Unito. Tra il 1950 e il 1954 ne pubblicò altri sei, tutti firmati con pseudonimi (il principale è Gregory Tree) tranne l'ultimo. Un decimo romanzo sarebbe uscito solo nel 1978.

Mentre la sua carriera professionale proseguiva con molte soddisfazioni e un notevole impegno a favore delle minoranze, la sua opera di narratore finiva rapidamente dimenticata. Ma non da tutti.

La sua riscoperta avvenne in circostanze molto particolari. In un momento imprecisato dei primi anni '70, durante una cena ufficiale, la Crime Writers' Association, l'associazione degli autori di gialli inglesi, ospitò l'ex Cancelliere dello Scacchiere, il parlamentare laburista Denis Healey, noto appassionato di gialli. La competenza tecnica sfoggiata in quel settore da Healey si rivelò impressionante e, quando citò tra i suoi autori preferiti proprio Bardin, del quale quasi nessuno aveva mai sentito parlare, Julian Symons decise di interessarsi a questo nome. L'interessamento di Symons era sufficiente a spalancare le porte dell'intero mondo editoriale inglese.

Denis Healey (1917-2015)
Julian Symons (1912-94)

Symons riuscì faticosamente a rimediare qualche copia dei suoi libri, ma neanche gli agenti e gli editori di questi seppero metterlo in contatto con Bardin. Ci riuscì, alla fine, la Mistery Writers of America, che lo scovò a Chicago, dove stava facendo il giornalista. Naturalmente, l'idea di vedere i suoi lavori ripubblicati li entusiasmò.

Dopo le edizioni inglesi, Bardin ha avuto anche edizioni francesi, tedesche, spagnole e finalmente italiane. Purtroppo non poté godere molto dell'insperato successo, perché morì a New York il 9 luglio 1981.

È opinione comune che i libri più importanti di Bardin siano i primi tre, usciti tra il 1946 e il 1948: The Deadly Percheron, The Last of Philip Banter e Devil Take the Blue-Tail Fly. I primi due sono stati tradotti in Italiano, l'ultimo ancora no.

The Deadly Percheron (1946), in Italiano ha avuto due edizioni, con Mondadori nel 1994, titolo Memoria di tenebra (Giallo n° 2386) e con Polillo nel 1994, titolo L'enigma dei tre omini. Al centro della vicenda c'è uno psichiatra newyorkese, il dottor George Matthews, che riceve la visita di uno strano paziente, il giovane benestante Jacob Blunt che si presenta con un ibisco tra i capelli e afferma di essere pagato da tre diversi omini, uno per portare il fiore, uno per fischiare alla Carnegie Hall e l'ultimo per regalare monetine ai passanti. Non convinto se Blunt sia un pazzo o un simulatore, Matthews lo segue, conoscendo alcuni dei suoi amici, la fidanzata e uno degli “omini”. Blunt ha ricevuto l'incarico di portare un grosso cavallo di razza Percheron davanti alla porta di casa di una celebre attrice, Frances Raye. Matthews decide di accompagnarlo ma, mentre lo segue, viene colpito alla testa e, quando rinviene, è passato molto tempo, si ritrova in un ospedale psichiatrico e gli viene attribuita un'identità diversa dalla sua, perché è rimasto sfigurato e un cadavere è stato riconosciuto e seppellito come quello del dottor Matthews.



Il romanzo e le due traduzioni italiane

Nell'impossibilità di affermare o dimostrare la propria versione, Matthews finisce per collaborare con il personale della clinica e viene dimesso. Con la sua nuova identità si crea un'altra vita, ma non smette di pensare a quanto può essere successo la notte in cui fu colpito. Si sa che Frances Raye è stata uccisa ma non si sa chi possa essere stato.

Gli sforzi di Matthews di ritrovare tutte le persone che ritiene coinvolte nel fatto, a partire da Blunt, determinaranno una ulteriore serie di delitti, fino alla rivelazione conclusiva.

The Last of Philip Banter (1947), tradotto in Italiano da Mondadori nel 2009 con il titolo Requiem per Philip Banter (Giallo n° 2972) vede al centro la figura di un giovane manager cui piacciono molto le facili bevute e le facili conquiste, che al mattino si ritrova sulla scrivania dei fogli, apparentemente scritti a macchina da lui stesso, in cui narra quanto gli è accaduto. Solo che le date degli avvenimenti si riferiscono al futuro anziché al passato. I fatti descritti poi si verificano spesso, anche se non sempre. Credendo di avere problemi di dissociazione, Philip Banter si rivolge al dottor Matthews, ma non ne ascolta molto i consigli. Qualcuno sta chiaramente tramando per indurlo a perdere la testa e a commettere uno sproposito.


Il romanzo e la traduzione italiana

Devil Take the Blue-Tail Fly (1948), mai tradotto in Italiano, racconta la graduale dissociazione mentale di una donna, che ne è anche la narratrice.



Gli altri romanzi sono meno importanti.

















Varie edizioni e traduzioni di Bardin

L'edizione inglese dei primi tre romanzi curata da Symons

L'attenzione di Bardin al sottile filo che lega salute mentale e psicosi e al suo ruolo nella determinazione dei moventi dei crimini era decisamente in anticipo sui tempi. Oggi certe trame sarebbero considerate normali, allora non lo erano. Si tratta dunque di un autore che fu un pioniere nel suo campo e che ebbe la meritata fortuna di essere riscoperto quando era ancora vivo.