venerdì 25 maggio 2018

Da "Selezione del Libro": "Donna in mare" di James Maurice Scott


Un fenomeno importante dell'alfabetizzazione di massa delle classi sociali prima escluse dalla cultura è quello della diffusione delle opere letterarie in forma facilmente fruibile per qualsiasi tipo di lettore, sia in termini di prezzo sia in termini di presentazione. Si può affermare infatti che il XX secolo è soprattutto quello della pubblicazione di libri in tascabili di vario formato e costo, che hanno permesso di costruirsi una solida cultura letteraria allo stesso pubblico che, nei secoli precedenti, per poter leggere (quando sapeva leggere), doveva accontentarsi di pubblicazioni a fogli volanti, romanzi d'appendice a puntate alla fine delle riviste (i celebri feuilletons) e gli almanacchi, inventati alla metà del XVIII secolo da Benjamin Franklin.
Dal 1922 al 2015, la stessa tradizione di cultura a buon mercato è stata tenuta in piedi, prima negli Usa e poi nel resto del mondo, dalla rivista Selezione dal Reader's Digest, di cui è esistita anche una versione italiana, durata dal 1948 al 2007. Selezione conservava del passato anche l'abitudine di proporre un romanzo in appendice: ma, per non dividerlo in puntate, lo condensava, ossia lo riduceva alle scene salienti.
Benché criticatissima dal mondo intellettuale, questa abitudine permetteva ai lettori di venire a conoscenza di autori di diversi tipi, ed eventualmente di approfondirne la conoscenza procurandosi il libro intero.
A essere condensati in fondo ai numeri mensili di Selezione, erano soprattutto i libri (romanzi ma anche biografie, autobiografie, instant book su fatti storici o di cronaca) abbastanza brevi. A quelli più lunghi, erano dedicati dei volumi, che ne contenevano un numero variabile tra 2 e 6 (generalmente 4) e venivano spediti 4 volte l'anno, a scadenza trimestrale, agli abbonati della rivista aggiungendo un modesto sovrapprezzo al normale abbonamento.
Molti libri di Selezione (la collana si intitolava Selezione del Libro) sono usciti anche in Italia a partire dal 1955 e, nonostante tutti i loro limiti, hanno avuto il grande merito di permettere ai lettori italiani di conoscere non pochi autori esclusi dalle traduzioni delle case editrici.
Alcuni di questi romanzi sono veramente notevoli, almeno per quanto si può apprezzare dalla versione condensata. Un buon esempio può essere l'unica opera arrivata in Italia di James Maurice Scott, prolifico narratore e saggista britannico di grande successo, intitolata Heather Mary e proposta in Italia con il titolo Donna in mare come quarto e ultimo romanzo del terzo volume di Selezione del Libro, alla fine del primo anno, il 1955.
La copertina del libro nell'edizione italiana

L'edizione originale del romanzo

L'edizione tascabile della Dell, molto famosa

Come si presenta il romanzo all'interno del libro

Questa storia comincia come un ottimo mystery: nel 1947, un aereo di linea in volo dagli Usa all'Europa è costretto a un atterraggio di emergenza in mezzo all'Oceano Atlantico da una tempesta. Tutte le persone a bordo vengono tratte in salvo dai soccorsi, prontamente allertati, tranne una, una giovane donna che si trovava su un canotto che le onde avevano separato dagli altri. La ragazza (Mary Brown, una ex commessa inglese che ha speso tutti i suoi risparmi per andare a fare a Hollywood un provino da attrice che non ha superato) è data per dispersa; ma, dodici giorni dopo l'incidente, ricompare a bordo di un altro canotto, tratto in salvo da una nave di linea che lo incrocia per caso, insieme a un uomo di cui nessuno sospettava l'esistenza. Cosa è accaduto?
Da questo punto, la vicenda diventa un lungo flashback, che parte dal momento in cui 4 uomini di età tra i 35 e i 45 anni scendono alla stazione di Brixham, località del Devon affacciata sulla Manica, per imbarcarsi su uno yacht che sta per partire per una crociera. Sono il dottor Boyd, Marcus Harding, Toby Carlyle e Jack Yeoman e non si conoscono tra loro, anche se fraternizzano subito. Hanno storie diverse alle spalle (Boyd è uno scienziato, Harding un ex ufficiale) e nessuno di essi è un esperto marinaio. A ingaggiarli è stato Richard Charrington, l'uomo d'affari proprietario dello yacht Heather Mary, sul quale attraverseranno l'Atlantico, e tutti hanno accettato perché la guerra ha lasciato nelle loro vite dei dolorosi strascichi da cui vorrebbero allontanarsi.
Ma Charrington non li ha ingaggiati per questo, bensì per l'unico elemento che li unisce: sono stati tutti, in vari periodi e a vario titolo, amici della sua defunta moglie, Heather Mary Brown, che si è uccisa alcuni mesi prima.
A questo punto, partono una serie di flashback nel flashback, perché man mano che la navigazione procede tutti si ritrovano a ripensare alla loro amicizia con la donna, che era una persona molto gradevole, sensibile ed empatica, e tutti hanno sofferto per la sua tragica fine.
Quando ormai sono in mare aperto e i contatti con l'esterno sono divenuti impossibili, Charrington, che già in precedenza ha dimostrato di non essere esattamente un mostro di simpatia, comincia a dare letteralmente i numeri, accusando gli altri 4 di aver avuto un qualche ruolo nel suicidio della moglie, cui la donna sarebbe stata indotta approfittando della sua vulnerabilità, in quanto respinti da essa.
Tuttavia, dal confronto tra i loro ricordi di Heater Mary, emerge un quadro del tutto diverso: la poveretta si è uccisa, appena finita la guerra, solo perché non sopportava l'idea di dover riprendere a vivere con il marito cinico e tiranno, che stava per ritornare a casa dopo essere rimasto a lungo all'estero.
Il conflitto tra Charrington e gli altri sta per esplodere, quando avviene un fatto improvviso e imprevedibile: alla vista dello yacht appare un piccolo canotto con una figura umana incosciente a bordo. Si tratta di una giovane donna, che non si sa da dove venga. I cinque la raccolgono e la curano finché si riprende, ma Charrington si fissa su di lei, convinto (anche per la similitudine tra i nomi) che sia la moglie tornata a dargli una seconda possibilità, benché le due donne non si assomiglino per niente.
Si tratta ovviamente di Mary Brown, la ragazza dispersa.
Poiché gli altri contrastano questa sua follia e la donna stessa, pur apprezzando le sue attenzioni, non sembra incoraggiarlo, Charrington decide per la soluzione estrema, quella del rapimento della donna e dell'eliminazione dei testimoni. Immobilizza Mary, la carica su un canotto di salvataggio e si allontana dallo yacht dopo avergli dato fuoco.
Saranno inutili i tentativi degli altri 4 di spegnere l'incendio, ma riusciranno a saltare in acqua prima che l'imbarcazione affondi e saranno successivamente salvati da un mercantile di passaggio.
Mary e Charrington sono invece le due persone tratte in salvo dalla nave passeggeri all'inizio.



Tre illustrazioni tratte dal libro, firmate "Saris"

James Maurice Scott (o J.M. Scott, come spesso si firmava), autore di oltre 40 libri, è nato il 13 dicembre 1906 in Egitto, dove suo padre faceva il magistrato, e ha studiato a Cambridge. Appassionato di esplorazioni e alpinismo, ha fatto parte della spedizione sull'Everest organizzata dalla Royal Society nel 1933 ed è stato amico dell'esploratore Gino Watkins (1907-32), che mappò gran parte della Groenlandia quando questa era quasi sconosciuta. Di Watkins, dopo la sua tragica fine (annegò durante una battuta di caccia proprio in Groenlandia), Scott ha scritto anche una biografia. Nella seconda guerra mondiale ha combattuto come ufficiale in Italia, dove è poi tornato nel dopoguerra per il suo lavoro di inviato speciale del Daily Telegraph. Dopo aver divorziato dall'inglese Pamela Watkins (che pare non fosse parente di Gino), nel 1958 si è risposato con l'italiana Adriana Rinaldi. E' morto a Huntingdon, vicino Cambridge, il 12 marzo 1986.
James Maurice Scott


Le copertine di alcuni suoi libri

Tra i suoi libri, il più famoso è senza dubbio Sea-Wyf and Biscuit, del 1955, da cui fu tratto il film Sea Wife, con Richard Burton e Joan Collins, in italiano La sposa del mare. Alla storia di questo romanzo è legata una curiosità, dato che nel 1951, tra il Daily Telegraph e il Daily Mirror erano uscite una serie di inserzioni personali firmate Sea-Wyf, che sollecitava una riunione con Biscuit facendo intendere che entrambi fossero superstiti di un affondamento avvenuto durante la guerra. Non si sa se la storia sia vera o sia una trovata dello stesso Scott per fare pubblicità al romanzo che stava scrivendo, anche se questo uscì solo 4 anni dopo.

Copertina originale e tascabile del libro

Locandina del film


Due immagini dal film, con Joan Collins e Richard Burton



giovedì 10 maggio 2018

Bruno Franceschini, il "traditore" di Cesare Battisti


Un argomento storico frequentemente oggetto di fastidiose intromissioni da parte di improvvisati revisionisti è quello relativo alla figura di Cesare Battisti. Attualmente, infatti, non è raro imbattersi in pagine che, esibendo una improbabile “filo-asburgicità” ai limiti dell'assurdo, si lasciano andare a tirate pesantemente offensive nei confronti del “traditore”, non di rado compiacendosi anche di esibire, accompagnate da commenti entusiastici, le impressionanti immagini fotografiche della sua esecuzione.
Più che alla necessità di revisione storica, certe pagine devono evidentemente la loro esistenza a qualche forma di psicopatologia criminale da cui sono affetti i loro autori, ed è veramente un problema il fatto che solo raramente il web riesca a censurarle o l'autorità giudiziaria riesca a perseguire certi soggetti nel modo che sarebbe lecito aspettarsi in uno Stato di Diritto.
Va aggiunto, però, che la figura di Battisti è stata sempre oggetto di ogni forma di strumentalizzazioni, anche di stampo patriottico, le quali, pur non raggiungendo i livelli di delirio dei revisionisti filo-asburgici, appaiono all'occhio imparziale come esagerate e fastidiose. Una di queste è, probabilmente, quella che vede al centro la figura di Bruno Franceschini, l'alfiere (originario di Tres, oggi confluito in Pedraia, vicino Trento) dell'Esercito austriaco da sempre additato dagli italiani come il “traditore” che svelò agli austriaci la reale identità di Battisti dopo la cattura di quest'ultimo.
In realtà, moltissime delle pubblicazioni d'epoca che trattano della vicenda rivelano già a una prima lettura una posizione pesantemente preconcetta verso il Franceschini, che il giornale irredentista “La libertà”, già nel 1917 indicava non solo come traditore di Battisti ma anche come notorio vigliacco che mandava i suoi subordinati a morire restandosene ben nascosto al sicuro. Tale affermazione sembra chiaramente smentita dal fatto che Franceschini, qualche tempo dopo l'esecuzione di Battisti, fu ferito in combattimento abbastanza gravemente da trascorrere poi una lunghissima degenza e convalescenza all'ospedale militare di Vienna, dove era ancora al momento dell'armistizio del 4 novembre 1918.
Di Franceschini, il web non riporta alcuna immagine. Si sa che era nato 2 gennaio 1894 da una numerosa famiglia borghese (padre direttore didattico, madre maestra), che fu un ottimo studente e si laureò in Ingegneria a Vienna. Qui si trasferì definitivamente dopo l'annessione del Trentino all'Italia, senza più tornare al suo paese perché continuamente minacciato di morte, e diresse una piccola azienda di cui finì per diventare comproprietario. Morì il 30 agosto 1970.
Secondo le interpretazioni moderne, basate anche sulle rivelazioni dello storico dilettante (ed ex cartografo reduce della Seconda Guerra Mondiale) Gianni Pieropan, il ruolo di Franceschini nella cattura ed esecuzione di Battisti va molto ridimensionato. Sembra che, già da qualche giorno prima dell'offensiva di Monte Corno in cui l'irredentista fu catturato, gli austriaci sapessero della sua presenza in zona d'operazioni, per via delle rivelazioni di alcuni prigionieri che si erano lamentati di un ufficiale fanatico che li mandava tutti a morire senza alcuno scrupolo, identificato appunto come Battisti, e che da Vienna fossero arrivati ordini ben precisi sull'opportunità di catturare, processare e uccidere il “traditore”. Va aperta a questo punto una parentesi per chiarire cosa eventualmente dovettero dire i prigionieri a proposito di Battisti, perché la figura dell'ufficiale sanguinario sembra troppo costruita su misura della propaganda. Infatti, pare che Battisti fosse molto insistente (ma non più della media degli ufficiali italiani del suo tempo, stiamo pur sempre parlando di un Esercito su cui un macellaio come Luigi Cadorna aveva un potere assoluto) con i suoi uomini, ma che usasse motivarli all'attacco dicendo che, se si fossero impegnati coraggiosamente, la guerra sarebbe finita prima.
Gianni Pieropan (1914-2000)

Battisti, che era arruolato come alpino con il grado di tenente, fu accerchiato e catturato il 10 luglio 1916. A prendersi il merito dell'operazione furono il tenente Vinzenz Braun e i bersaglieri austriaci Alois Wohlmuth e Franz Strazligg. Un altro soldato, Johann Widegger, cita Franceschini come colui che riconobbe l'altro irredentista catturato nella stessa operazione, Fabio Filzi, di cui era stato compagno di liceo. Filzi, a differenza di Battisti che si era dichiarato subito con il suo vero nome, aveva fornito delle false generalità.
Filzi e Battisti catturati

Battisti condotto nelle retrovie

In realtà, però, nel rapporto ufficiale austriaco, Franceschini è citato semplicemente come interprete. Essendo l'unico militare del reparto a conoscere l'Italiano (quasi tutti i soldati trentini arruolati dall'Austria erano stati spediti altrove perché non avessero la tentazione di fraternizzare con gli italiani. Franceschini no, perché era un così noto austriacante da aver avuto anche problemi per questo con i suoi compagni di scuola), dovette effettuare il riconoscimento ufficiale di Battisti, la cui identità era peraltro già ben nota agli austriaci.
Dunque, Franceschini fu sicuramente anti-italiano, ma non ebbe un ruolo importante nella fine di Batttisti. Molto più dubbia è la sua posizione rispetto a Filzi, che prestava servizio nello stesso reparto di Battisti come sottotenente. La figura di Filzi è tanto oscurata da quella di Battisti (benché abbia ricevuto la stessa decorazione, la medaglia d'oro al valor militare alla memoria) che è difficile sapere se gli austriaci sapessero o meno della sua presenza in zona di operazioni. Secondo gli atti del processo, si faceva passare per un tale Francesco Brusarosco ma fu ugualmente riconosciuto da un roveretano. Siccome Franceschini aveva studiato nello stesso suo liceo a Rovereto, è possibile, se non probabile, che il roveretano in questione sia lui.
La sera del 12 luglio 1916, al Castello del Buonconsiglio di Trento, Battisti e Filzi furono impiccati uno dopo l'altro, dopo essere stati giudicati colpevoli di alto tradimento da una corte marziale.
Battisti condotto al patibolo

L'esecuzione in una stampa del tempo





Altre immagini delle due esecuzioni

Su questo punto, si apre un'altra questione. Il loro processo fu legittimo o no?
Dall'esame delle carte processuali, compiuto anche da qualificati giuristi come Sandro Canestrini, sembra che Filzi potesse essere processato e perfino condannato, ma Battisti no. Filzi, un avvocato nato in Istria nel 1884 ma vissuto prevalentemente in Trentino, aveva disertato dall'Esercito Austriaco, per il quale aveva prestato giuramento nel 1905, emigrando clandestinamente in Italia nel novembre del 1914 per non ritrovarsi a combattere contro gli italiani se questi fossero entrati in guerra. Sin dall'aprile del 1916 era già stato dichiarato ufficialmente come disertore.
La situazione di Battisti era diversa. L'irredentista, docente universitario nato nel 1875, si era trasferito in Italia nell'agosto del 1914 dopo aver ottenuto dalle autorità austroungariche un regolare passaporto. Con l'arruolamento nell'Esercito italiano era diventato cittadino italiano a tutti gli effetti. Ma, anche se questo non gli fosse stato riconosciuto, se fosse stato ancora cittadino austriaco, sarebbe stato anche un deputato al Parlamento austriaco (non esisteva alcun provvedimento formale di decadenza) e quindi non poteva essere giudicato da una corte marziale.
L'esecuzione di Battisti, preceduta dal linciaggio morale della folla e praticata in modo inutilmente sadico dal boia che lasciò spezzare la prima corda per poterlo impiccare una seconda volta, è stata dunque un crimine, senza se e senza ma, checché ne dicano i revisionisti della domenica.
Piuttosto, va sottolineato come la propaganda italiana spostò l'attenzione da Filzi a Battisti per poter fare di Franceschini un capro espiatorio. Sebbene moralmente ripugnante, il suo riconoscimento di Filzi era un atto perfettamente legittimo, dunque non valeva la pena di accostarlo a questo. Come traditore di Battisti, invece, apparve chiaramente come un mostro.