lunedì 21 marzo 2016

Perduti sul tetto del mondo

Nel primo pomeriggio dell'8 giugno 1924, il geologo e alpinista inglese Noel Odell risaliva la pista aperta tra i campi V e VI allestiti alle quote 7680 m e 8170 m dagli altri membri della spedizione scientifica di cui faceva parte. Era incaricato di raccogliere campioni di rocce e di portare rifornimenti ai compagni George Leigh Mallory e Andrew Irvine che, quella stessa mattina, avrebbero dovuto partire per il decisivo assalto alla cima. Questa spedizione, la terza organizzata dalla Royal Society nel giro di 4 anni, sarebbe stata anche l'ultima, perché ormai i fondi disponibili si erano esauriti. Stava cominciando la stagione dei monsoni, in cui le cime himalayane sono continuamente spazzate da tempeste, e da un giorno all'altro poteva rendersi necessario tornare precipitosamente a valle.
L'itinerario previsto per l'ascensione

Andrew Irvine e George Mallory poco prima di partire

Noel Odell

Verso le 12,50, Odell guardò verso la cima della montagna e vide distintamente i suoi compagni che si arrampicavano sul ghiaccio, in mezzo a due sporgenze denominate Primo e Secondo Gradino, a una quota che stimò intorno agli 8600 m. Erano in ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma procedevano speditamente e distavano meno di 250 m dalla vetta, che è a quota 8848 m. Poi, l'infittirsi della nuvolosità gli impedì di seguirli ancora.
Nel resto della giornata, continuò le sue ricerche geologiche, tra l'altro scoprendo alcuni importantissimi fossili, ma a un certo punto fu interrotto dall'arrivo di una tempesta. Mantenendosi in vicinanza della tenda del campo VI, passò un paio d'ore a urlare, convinto che i compagni stessero tornando indietro e che potessero orientarsi solo seguendo la sua voce, dato che la visibilità era azzerata. Alle 16, 30, Mallory e Irvine non erano ancora tornati: Odell aveva l'ordine di tornare al campo V prima che facesse buio, in ogni caso, e se ne andò.
La mattina dopo, appena possibile, ritornò al campo VI insieme ad altri membri della spedizione. Di Mallory e Irvine non c'era traccia. Per alcune ore, furono perlustrati i dintorni, ma inutilmente. La spedizione ritornò mestamente in patria annunciando che la cima non era stata conquistata e che i due atleti erano dispersi per sempre.
Per la nazione britannica, questo evento rappresentò una tragedia paragonabile a quella della spedizione Scott, perita mentre rientrava dal raggiungimento del Polo Sud, nel 1912, dove era stata preceduta dai norvegesi guidati da Amundsen. A quel tempo, l'impero britannico copriva quasi un terzo delle terre emerse e, per lo spirito nazionalistico tipico di quegli anni, l'idea che gli inglesi non avessero conquistato per primi nessuno dei due poli (quello Nord era stato raggiunto dall'americano Peary nel 1909, anche se moderne ricerche hanno ipotizzato che, per via della fitta nuvolosità e del movimento dei ghiacci sotto di sé, Peary abbia frainteso i rilevamenti astronomici e si sia fermato a qualche km dall'effettivo polo geografico: in tal caso, anche il Polo Nord sarebbe stato raggiunto per la prima volta da Amundsen, con il dirigibile “Norge” nel 1926) suonava intollerabile. L'Everest, considerato il “terzo polo”, rappresentava perciò una conquista cui ambiva una nazione intera.
A questo, si deve aggiungere il fascino dei due protagonisti della vicenda, soprattutto quello di Mallory. A quasi 38 anni, questo appariva l'archetipo dell'eroe senza macchia e senza paura. Laureato in Storia a Cambridge, brillante scrittore, docente in prestigiose scuole private e poi avviato a una brillante carriera sempre a Cambridge, amico di artisti (per alcuni dei quali aveva posato come modello) e di intellettuali come quelli del “gruppo di Bloomsbury”, ufficiale di artiglieria ferito in combattimento e decorato al valore durante la Grande Guerra (il suo fratello minore, Trafford, generale di aviazione, avrebbe poi guidato la difesa dall'invasione nazista durante la “battaglia d'Inghilterra” nel 1940): un curriculum, insomma, pazzesco. Era anche considerato un uomo di straordinaria bellezza fisica: ma, anziché indulgere alle facili conquiste, era legatissimo alla giovane moglie Ruth Turner e ai tre figli che aveva avuto da lei.
Un giovane Mallory studente a Cambridge

Mallory nella maturità

Andrew Irvine, invece, era un ragazzo di appena 22 anni, studente di Ingegneria a Manchester, campione di diverse discipline atletiche e noto tombeur de femmes. Sebbene non fosse un alpinista espertissimo, Mallory lo aveva voluto con sé fino al momento più impegnativo, perché Irvine possedeva uno straordinario talento per riparare le attrezzature deteriorate o per ricavarne di nuove dai cascami delle altre al momento del bisogno, e più di una volta era riuscito a far funzionare bombole, fornellini o altri oggetti indispensabili che parevano definitivamente perduti.
Andrew Irvine

Il dolore collettivo dell'intera nazione inglese non fu nulla rispetto al peso del lutto per le rispettive famiglie. Né i genitori di Irvine né la moglie di Mallory si ripresero più dalla perdita dei loro cari. Ruth Turner, che aveva solo 32 anni quando restò vedova, non si risposò più e condusse una vita appartata, dedita solo ai figli, fino alla morte precoce nel 1942, a soli 49 anni.
Ruth Turner Mallory

La vetta dell'Everest fu poi conquistata dal neozelandese Edmund Hillary e dal nepalese Tenzing Norgay il 29 maggio 1953. Restava però il dubbio se fossero davvero i primi, o se Mallory e Irvine li avessero preceduti e poi fossero periti lungo la via del ritorno. Gran parte degli esperti pensa che non sia stato possibile, ma ci sono anche parecchie voci discordanti.
Edmund Hillary e Tenzing Norgay sull'Everest nel 1953

Nel 1933, era stata ritrovata la piccozza di Irvine alla quota 8400 m, posta su una roccia come se vi fosse stata appoggiata e non finita per caso, ma non si capiva come ci fosse arrivata. Nel 1936 l'alpinista inglese Francis Sydney Smythe, nel corso di un'altra spedizione fallita, aveva visto, guardando con il telescopio, un corpo in fondo a un canalone ma non era riuscito né a raggiungerlo né a fotografarlo. Ne avrebbe scritto però in una lettera indirizzata l'anno dopo a Edward Norton, direttore della spedizione in cui Mallory e Irvine scomparvero. A rivelarlo, è stato nel 2013 il figlio Tom Smythe, che stava scrivendo la biografia del padre, nato nel 1900 e morto di malaria subito dopo un'altra spedizione sull'Everest nel 1949, dopo aver letto la minuta della lettera inviata a Norton in un vecchio diario.
Francis Sydney Smythe

Intanto, nei decenni successivi, l'Everest, prima è stato difficile da raggiungere per via del controllo da parte della Cina maoista delle sue principali vie d'accesso, e poi è stato meta di spedizioni spesso organizzate in modo spesso caotico e irresponsabile: sui suoi versanti si trovano decine di cadaveri di alpinisti, turisti, guide e portatori, vittime di qualche incidente. Durante una di queste spedizioni, nel 1975, il cinese Wang Hongbao prese contatto con un gruppo americano, annunciando di aver visto il cadavere di un occidentale vestito come gli alpinisti degli anni '20 intorno alla quota 8400 m. Purtroppo, prima di poter fornire altri dettagli, Wang restò a sua volta vittima di una frana.
Finalmente, solo nel 1999, una spedizione americana organizzata da Tom Holzel e guidata da Conrad Anker, ritrovò il corpo di Mallory, a 8170 m, sotto un tratto detto Linea Gialla in cui gli incidenti sono particolarmente frequenti per via della roccia friabile. La posizione corrispondeva a quella del corpo visto 63 anni prima da Francis Sydney Smythe, ma non si sa se la testimonianza di questo sia stata presa in considerazione durante la ricerca.
Tom Holzel
Conrad Anker

Il freddo secco lo aveva conservato benissimo. Si capiva che era morto in seguito a una caduta da grande, ma non grandissima altezza, mentre stava discendendo. Addosso non aveva né la foto di sua moglie, che aveva promesso di lasciare sulla cima una volta raggiunta, né la fotocamera. La spedizione lo seppellì sul posto, erigendo un tumulo di pietre come monumento.
Come si presentava il corpo di Mallory al momento del ritrovamento

La questione della fotocamera è stata molto dibattuta. E' quasi certo che, a portarla, fosse Irvine. Ma molti sostengono che, se pure i due arrivarono alla cima, lo fecero quando era già notte, e quindi gli eventuali scatti potrebbero essere inservibili.
Nel 2010, Tom Holzel ha annunciato di aver individuato il corpo di Irvine a 8425 m, basandosi su ingrandimenti di foto scattate dai satelliti artificiali nella zona in cui fu ritrovata la piccozza nel 1933. Non si capisce se Irvine sia morto anche lui cadendo o assiderato dopo essersi sfinito nel cercare inutilmente di soccorrere Mallory. Holzel ha lanciato una raccolta di fondi per raccogliere i 200.000 dollari necessari ad allestire una nuova spedizione: ma, dopo cinque anni, la somma non è stata ancora messa insieme.
Una delle immagini satellitari che, secondo Holzel, mostrerebbero il corpo di Irvine

Negli ultimi tempi, presso alcuni circoli di esperti, ha preso piede la “teoria della piccozza”, basata sulla posizione in cui è stata ritrovata la piccozza di Irvine. Secondo questa teoria, Mallory e Irvine avrebbero compiuto l'ascensione insieme fino alla base del Secondo Gradino, poi Mallory avrebbe chiesto al compagno di aiutarlo a issarsi su e poi lo avrebbe lasciato lì con la consegna di aspettarlo al ritorno per un tempo ragionevole, ma tornare comunque al campo VI prima che facesse buio. Questo perché la quantità di ossigeno rimasta nelle bombole (sull'Everest l'aria è così rarefatta che è difficilissimo arrivarci senza bombole: il primo a riuscirci è stato Reinhold Messner , accompagnato da Peter Habeler, nel 1978: poi è stato seguito da altri 11 alpinisti) era scarsa (Mallory non amava portarsene dietro molte, perché ingombravano e pesavano) e sarebbe stata insufficiente per l'ascensione completa di entrambi. Mallory sarebbe dunque salito portandosi la bombola di riserva ancora piena, mentre a Irvine sarebbero rimaste le due bombole parzialmente consumate utilizzate fino ad allora dai due. Mallory sarebbe poi giunto in cima, ma quando la luce cominciava già ad affievolirsi, e la tempesta in corso gli avrebbe impedito di ripercorrere al ritorno la stessa strada dell'andata. A quel punto, avrebbe preso un'altra strada, passando sotto la Linea Gialla: qui, per lo sfinimento e la scarsa visibilità, o forse perché colpito da una pietra straccata dal vento forte, sarebbe caduto, ma solo per pochi metri. Prova di questo sarebbe il fatto che il corpo non presentava gravi ferite, tolta quella alla testa che determinò la morte e la gamba fratturata nella caduta. Irvine, invece, sarebbe rimasto vittima della sua devozione a Mallory (tra di due, durante la spedizione, era nata un'amicizia molto forte): ne avrebbe aspettato il ritorno per troppo tempo e, con poco ossigeno nelle bombole e quindi al cervello, sarebbe stato vittima di problemi di attenzione e concentrazione, prima dimenticando la piccozza su una pietra e poi precipitando al primo ostacolo. Il corpo di Irvine, dunque, potrebbe non essere quello che Holzel e Anker vorrebbero recuperare, anche perché la sua posizione non coincide perfettamente con quella del corpo visto da Wang Hongbao.
Secondo la "teoria della piccozza", il corpo di Irvine sarebbe poco sopra quello di Mallory

Restano però due interrogativi che questa teoria lascia irrisolti. Se non è di Irvine, allora, quel corpo tra le rocce a 8425 m, a chi appartiene? E poi, il più importante: se Mallory raggiunse da solo la vetta, perché non aveva con sé la fotocamera, unico strumento con cui poteva documentare l'ascensione agli occhi del mondo?


2 commenti:

  1. Affascinante storia. Grazie! ��

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  2. E se primi furono loro? Sarà quasi impossibile provarlo..mannaggia

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