Nel primo pomeriggio dell'8 giugno
1924, il geologo e alpinista inglese Noel Odell risaliva la pista
aperta tra i campi V e VI allestiti alle quote 7680 m e 8170 m dagli
altri membri della spedizione scientifica di cui faceva parte. Era
incaricato di raccogliere campioni di rocce e di portare rifornimenti
ai compagni George Leigh Mallory e Andrew Irvine che, quella stessa
mattina, avrebbero dovuto partire per il decisivo assalto alla cima.
Questa spedizione, la terza organizzata dalla Royal Society nel giro
di 4 anni, sarebbe stata anche l'ultima, perché ormai i fondi
disponibili si erano esauriti. Stava cominciando la stagione dei
monsoni, in cui le cime himalayane sono continuamente spazzate da
tempeste, e da un giorno all'altro poteva rendersi necessario tornare
precipitosamente a valle.
L'itinerario previsto per l'ascensione
Andrew Irvine e George Mallory poco prima di partire
Noel Odell
Verso le 12,50, Odell guardò verso la
cima della montagna e vide distintamente i suoi compagni che si
arrampicavano sul ghiaccio, in mezzo a due sporgenze denominate Primo
e Secondo Gradino, a una quota che stimò intorno agli 8600 m. Erano
in ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma procedevano
speditamente e distavano meno di 250 m dalla vetta, che è a quota
8848 m. Poi, l'infittirsi della nuvolosità gli impedì di seguirli
ancora.
Nel resto della giornata, continuò le
sue ricerche geologiche, tra l'altro scoprendo alcuni importantissimi
fossili, ma a un certo punto fu interrotto dall'arrivo di una
tempesta. Mantenendosi in vicinanza della tenda del campo VI, passò
un paio d'ore a urlare, convinto che i compagni stessero tornando
indietro e che potessero orientarsi solo seguendo la sua voce, dato
che la visibilità era azzerata. Alle 16, 30, Mallory e Irvine non
erano ancora tornati: Odell aveva l'ordine di tornare al campo V
prima che facesse buio, in ogni caso, e se ne andò.
La mattina dopo, appena possibile,
ritornò al campo VI insieme ad altri membri della spedizione. Di
Mallory e Irvine non c'era traccia. Per alcune ore, furono
perlustrati i dintorni, ma inutilmente. La spedizione ritornò
mestamente in patria annunciando che la cima non era stata
conquistata e che i due atleti erano dispersi per sempre.
Per la nazione britannica, questo
evento rappresentò una tragedia paragonabile a quella della
spedizione Scott, perita mentre rientrava dal raggiungimento del Polo
Sud, nel 1912, dove era stata preceduta dai norvegesi guidati da
Amundsen. A quel tempo, l'impero britannico copriva quasi un terzo
delle terre emerse e, per lo spirito nazionalistico tipico di quegli
anni, l'idea che gli inglesi non avessero conquistato per primi
nessuno dei due poli (quello Nord era stato raggiunto dall'americano
Peary nel 1909, anche se moderne ricerche hanno ipotizzato che, per
via della fitta nuvolosità e del movimento dei ghiacci sotto di sé,
Peary abbia frainteso i rilevamenti astronomici e si sia fermato a
qualche km dall'effettivo polo geografico: in tal caso, anche il Polo
Nord sarebbe stato raggiunto per la prima volta da Amundsen, con il
dirigibile “Norge” nel 1926) suonava intollerabile. L'Everest,
considerato il “terzo polo”, rappresentava perciò una conquista
cui ambiva una nazione intera.
A questo, si deve aggiungere il
fascino dei due protagonisti della vicenda, soprattutto quello di
Mallory. A quasi 38 anni, questo appariva l'archetipo dell'eroe senza
macchia e senza paura. Laureato in Storia a Cambridge, brillante
scrittore, docente in prestigiose scuole private e poi avviato a una
brillante carriera sempre a Cambridge, amico di artisti (per alcuni
dei quali aveva posato come modello) e di intellettuali come quelli
del “gruppo di Bloomsbury”, ufficiale di artiglieria ferito in
combattimento e decorato al valore durante la Grande Guerra (il suo
fratello minore, Trafford, generale di aviazione, avrebbe poi guidato
la difesa dall'invasione nazista durante la “battaglia
d'Inghilterra” nel 1940): un curriculum, insomma, pazzesco. Era
anche considerato un uomo di straordinaria bellezza fisica: ma,
anziché indulgere alle facili conquiste, era legatissimo alla
giovane moglie Ruth Turner e ai tre figli che aveva avuto da lei.
Un giovane Mallory studente a Cambridge
Mallory nella maturità
Andrew Irvine, invece, era un ragazzo
di appena 22 anni, studente di Ingegneria a Manchester, campione di
diverse discipline atletiche e noto tombeur de femmes. Sebbene
non fosse un alpinista espertissimo, Mallory lo aveva voluto con sé
fino al momento più impegnativo, perché Irvine possedeva uno
straordinario talento per riparare le attrezzature deteriorate o per
ricavarne di nuove dai cascami delle altre al momento del bisogno, e
più di una volta era riuscito a far funzionare bombole, fornellini o
altri oggetti indispensabili che parevano definitivamente perduti.
Andrew Irvine
Il dolore collettivo dell'intera
nazione inglese non fu nulla rispetto al peso del lutto per le
rispettive famiglie. Né i genitori di Irvine né la moglie di
Mallory si ripresero più dalla perdita dei loro cari. Ruth Turner,
che aveva solo 32 anni quando restò vedova, non si risposò più e
condusse una vita appartata, dedita solo ai figli, fino alla morte
precoce nel 1942, a soli 49 anni.
Ruth Turner Mallory
La vetta dell'Everest fu poi
conquistata dal neozelandese Edmund Hillary e dal nepalese Tenzing
Norgay il 29 maggio 1953. Restava però il dubbio se fossero davvero
i primi, o se Mallory e Irvine li avessero preceduti e poi fossero
periti lungo la via del ritorno. Gran parte degli esperti pensa che
non sia stato possibile, ma ci sono anche parecchie voci discordanti.
Edmund Hillary e Tenzing Norgay sull'Everest nel 1953
Nel 1933, era stata ritrovata la
piccozza di Irvine alla quota 8400 m, posta su una roccia come se vi
fosse stata appoggiata e non finita per caso, ma non si capiva come
ci fosse arrivata. Nel 1936 l'alpinista inglese Francis Sydney
Smythe, nel corso di un'altra spedizione fallita, aveva visto,
guardando con il telescopio, un corpo in fondo a un canalone ma non
era riuscito né a raggiungerlo né a fotografarlo. Ne avrebbe
scritto però in una lettera indirizzata l'anno dopo a Edward Norton,
direttore della spedizione in cui Mallory e Irvine scomparvero. A
rivelarlo, è stato nel 2013 il figlio Tom Smythe, che stava
scrivendo la biografia del padre, nato nel 1900 e morto di malaria subito dopo un'altra
spedizione sull'Everest nel 1949, dopo aver letto la minuta della
lettera inviata a Norton in un vecchio diario.
Francis Sydney Smythe
Intanto, nei decenni successivi,
l'Everest, prima è stato difficile da raggiungere per via del
controllo da parte della Cina maoista delle sue principali vie
d'accesso, e poi è stato meta di spedizioni spesso organizzate in
modo spesso caotico e irresponsabile: sui suoi versanti si trovano
decine di cadaveri di alpinisti, turisti, guide e portatori, vittime
di qualche incidente. Durante una di queste spedizioni, nel 1975, il
cinese Wang Hongbao prese contatto con un gruppo americano,
annunciando di aver visto il cadavere di un occidentale vestito come
gli alpinisti degli anni '20 intorno alla quota 8400 m. Purtroppo,
prima di poter fornire altri dettagli, Wang restò a sua volta
vittima di una frana.
Finalmente, solo nel 1999, una
spedizione americana organizzata da Tom Holzel e guidata da Conrad
Anker, ritrovò il corpo di Mallory, a 8170 m, sotto un tratto detto
Linea Gialla in cui gli incidenti sono particolarmente frequenti per
via della roccia friabile. La posizione corrispondeva a quella del
corpo visto 63 anni prima da Francis Sydney Smythe, ma non si sa se
la testimonianza di questo sia stata presa in considerazione durante
la ricerca.
Tom Holzel
Conrad Anker
Il freddo secco lo aveva conservato
benissimo. Si capiva che era morto in seguito a una caduta da grande,
ma non grandissima altezza, mentre stava discendendo. Addosso non
aveva né la foto di sua moglie, che aveva promesso di lasciare sulla
cima una volta raggiunta, né la fotocamera. La spedizione lo
seppellì sul posto, erigendo un tumulo di pietre come monumento.
Come si presentava il corpo di Mallory al momento del ritrovamento
La questione della fotocamera è stata
molto dibattuta. E' quasi certo che, a portarla, fosse Irvine. Ma molti
sostengono che, se pure i due arrivarono alla cima, lo fecero quando
era già notte, e quindi gli eventuali scatti potrebbero essere
inservibili.
Nel 2010, Tom Holzel ha annunciato di
aver individuato il corpo di Irvine a 8425 m, basandosi su
ingrandimenti di foto scattate dai satelliti artificiali nella zona
in cui fu ritrovata la piccozza nel 1933. Non si capisce se Irvine
sia morto anche lui cadendo o assiderato dopo essersi sfinito nel
cercare inutilmente di soccorrere Mallory. Holzel ha lanciato una
raccolta di fondi per raccogliere i 200.000 dollari necessari ad
allestire una nuova spedizione: ma, dopo cinque anni, la somma non è
stata ancora messa insieme.
Una delle immagini satellitari che, secondo Holzel, mostrerebbero il corpo di Irvine
Negli ultimi tempi, presso alcuni
circoli di esperti, ha preso piede la “teoria della piccozza”,
basata sulla posizione in cui è stata ritrovata la piccozza di
Irvine. Secondo questa teoria, Mallory e Irvine avrebbero compiuto
l'ascensione insieme fino alla base del Secondo Gradino, poi Mallory
avrebbe chiesto al compagno di aiutarlo a issarsi su e poi lo avrebbe
lasciato lì con la consegna di aspettarlo al ritorno per un tempo
ragionevole, ma tornare comunque al campo VI prima che facesse buio.
Questo perché la quantità di ossigeno rimasta nelle bombole
(sull'Everest l'aria è così rarefatta che è difficilissimo
arrivarci senza bombole: il primo a riuscirci è stato Reinhold
Messner , accompagnato da Peter Habeler, nel 1978: poi è stato
seguito da altri 11 alpinisti) era scarsa (Mallory non amava
portarsene dietro molte, perché ingombravano e pesavano) e sarebbe
stata insufficiente per l'ascensione completa di entrambi. Mallory
sarebbe dunque salito portandosi la bombola di riserva ancora piena,
mentre a Irvine sarebbero rimaste le due bombole parzialmente
consumate utilizzate fino ad allora dai due. Mallory sarebbe poi
giunto in cima, ma quando la luce cominciava già ad affievolirsi, e
la tempesta in corso gli avrebbe impedito di ripercorrere al ritorno
la stessa strada dell'andata. A quel punto, avrebbe preso un'altra
strada, passando sotto la Linea Gialla: qui, per lo sfinimento e la
scarsa visibilità, o forse perché colpito da una pietra straccata
dal vento forte, sarebbe caduto, ma solo per pochi metri. Prova di
questo sarebbe il fatto che il corpo non presentava gravi ferite,
tolta quella alla testa che determinò la morte e la gamba fratturata
nella caduta. Irvine, invece, sarebbe rimasto vittima della sua
devozione a Mallory (tra di due, durante la spedizione, era nata
un'amicizia molto forte): ne avrebbe aspettato il ritorno per troppo
tempo e, con poco ossigeno nelle bombole e quindi al cervello,
sarebbe stato vittima di problemi di attenzione e concentrazione,
prima dimenticando la piccozza su una pietra e poi precipitando al
primo ostacolo. Il corpo di Irvine, dunque, potrebbe non essere
quello che Holzel e Anker vorrebbero recuperare, anche perché la sua
posizione non coincide perfettamente con quella del corpo visto da
Wang Hongbao.
Secondo la "teoria della piccozza", il corpo di Irvine sarebbe poco sopra quello di Mallory
Restano però due interrogativi che
questa teoria lascia irrisolti. Se non è di Irvine, allora, quel
corpo tra le rocce a 8425 m, a chi appartiene? E poi, il più
importante: se Mallory raggiunse da solo la vetta, perché non aveva
con sé la fotocamera, unico strumento con cui poteva documentare
l'ascensione agli occhi del mondo?
Affascinante storia. Grazie! ��
RispondiEliminaE se primi furono loro? Sarà quasi impossibile provarlo..mannaggia
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