Cangrande (originariamente Can
Francesco) della Scala è una delle più importanti figure di
aristocratici e guerrieri nella frammentata e turbolenta Italia del
XIV secolo. Nato nel marzo del 1291 da una famiglia di nobili
veronesi, a soli 20 anni, divenne il leader dei ghibellini della sua
città. Estese rapidamente la sua influenza fino alle città di
Padova, Vicenza e Treviso, mentre la sua fedeltà all'imperatore
Enrico VII gli valse il titolo di Vicario Imperiale di Mantova. Fu
anche un importante mecenate di artisti, primo tra tutti Dante
Alighieri.
Ritratto di Cangrande I della Scala
Ritratto (immaginario) di Dante Alighieri
Cangrande morì improvvisamente, nel
pieno dell'ascesa e in età ancora molto giovane, il 22 luglio 1329,
a Treviso, città che aveva appena occupato con il suo esercito. Il
decesso fu inizialmente attribuito a una tossinfezione intestinale o
a un attacco di malaria (la malattia infettiva che ha ucciso più
persone al mondo nella Storia. Il Veneto, come gran parte delle
pianure italiane, ne era infestato, e lo stesso Dante Alighieri ne
era morto 8 anni prima). Non mancarono, tuttavia, voci per cui
Cangrande sarebbe stato avvelenato. All'epoca, era assolutamente
impensabile che si potesse compiere un'autopsia e queste voci
restarono senza seguito. Fu poi seppellito nella cattedrale di Santa
Maria Antica a Verona, davanti alla quale c'è la sua statua
equestre.
La statua equestre di Cangrande I davanti Santa Maria Antica
Il sarcofago di Cangrande I
Nel febbraio 2004, un'equipe di
ricercatori del Dipartimento di Paleopatologia dell'Università di
Pisa, guidata dal prof. Gino Fornaciari, ottenne il permesso di
riesumare i resti del condottiero per effettuare degli esami
autoptici. Aprendo la tomba, vi si rinvenne il corpo mummificato
(naturalmente, senza imbalsamazione) in condizioni decisamente buone,
che permisero di svolgere tutti gli esami necessari presso l'Ospedale
Maggiore di Verona.
Come apparve la mummia di Cangrande I all'apertura del sarcofago
I controlli furono tutti svolti in modo da intaccare il meno possibile i resti. Cangrande apparve agli esami obiettivi
e radiologici come un uomo di una certa prestanza fisica (non meno di
175 cm, parecchio per quel periodo), ben nutrito e di grande sviluppo
muscolare, ma anche soggetto a iniziali problemi artrosici ai gomiti
e alle ginocchia, evidentemente in seguito agli sforzi dovuti all'uso
delle armi e al tanto tempo trascorso a cavallo. I polmoni mostravano
poi un inizio di enfisema polmonare, dovuto con ogni probabilità al
fumo inalato sostando vicino a bracieri e focolari per riscaldarsi,
dato che a quel tempo i camini non erano ancora stati inventati.
Tac di Cangrande I
Il tessuto polmonare di Cangrande I
I dati più importanti, però, si
ottennero dagli esami obiettivi e istologici degli organi addominali,
in particolare intestino e fegato, che erano discretamente ben
conservati.
La malattia mortale di Cangrande iniziò
dopo che il condottiero si dissetò con le acque molto fredde della
sorgente dei Santi Quaranta, alle porte di Treviso, provocandosi una
congestione. Uno dei suoi medici (di cui non è stato tramandato il
nome, ma si sa che il successore di Cangrande, Mastino II, lo fece
successivamente impiccare, anche se le ragioni ufficiali di questa
condanna non sono note) lo prese in cura, ma Cangrande non migliorò.
La sintomatologia, che si presentava soprattutto con vomito e
diarrea, peggiorò costantemente fino al decesso, nel giro di 4
giorni.
Il fegato di Cangrande, all'esame
istologico, non apparve cirrotico come ci si aspettava, ma fibrotico,
fatto che ne aveva facilitato la conservazione. I campioni prelevati,
sottoposti ad analisi tossicologiche da parte del prof. Franco
Tagliaro dell'Università di Verona, evidenziarono la presenza di
molte sostanze di uso comune a quel tempo, anche nella preparazione
degli alimenti (camomilla, gelso nero, passiflora, ecc) ma
soprattutto di una quantità abnorme di digossina e digitossina, due
molecole presenti nella Digitalis purpurea, utilissime nella cura
delle disfunzioni cardiache (ma all'epoca di Cangrande questo non era
noto) e molto tossiche ad alti dosaggi o per bioaccumulo nel tempo.
Il fegato di Cangrande I e il suo aspetto al microscopio
Le analisi tossicologiche che attestano la presenza e la quantità di digossina e digitossina
Anche negli altri reperti, in
particolare nei residui di feci ancora presenti nell'intestino,
furono rinvenute grandi e inspiegabili quantità delle due molecole.
Il quadro sintomatologico della
malattia di Cangrande è perfettamente compatibile con quello
dell'avvelenamento da Digitalis purpurea.
La Digitalis pupurea
Cangrande fu dunque avvelenato da uno
dei suoi medici.
Ma chi fu il mandante del delitto?
Non è facile dirlo. Il Signore di
Verona aveva ovviamente moltissimi nemici, e la sua ascesa doveva
sembrare preoccupante a molti, anche perché pareva inarrestabile.
Poco prima che morisse, un poeta guelfo (Niccolò de' Rossi) che
certo non era suo simpatizzante, aveva profetizzato che sarebbe
diventato Re d'Italia entro un anno.
Non era però facile raggiungere la sua
corte dall'esterno, quindi è più facile pensare che il delitto sia
maturato proprio all'interno della sua stessa cerchia.
Il principale indiziato è dunque il
successore, il nipote Mastino II (1308-51), che governò insieme al
fratello maggiore Alberto, anche se il ruolo di questo appare
puramente formale. Mastino Della Scala non aveva le stesse qualità
diplomatiche e militari dello zio, tant'è che il suo governo si
ridusse a una serie di campagne militari velleitarie e di pesanti
sconfitte che ridimensionarono il ruolo di Verona nello scacchiere
dei Comuni italiani. In compenso, era un uomo ambiziosissimo e privo
di scrupoli, anche verso i suoi stessi parenti: nel 1338, sospettando
che un altro zio, Bartolomeo della Scala, stesse tramando contro di
lui, lo uccise personalmente trafiggendolo con la spada. Bartolomeo
della Scala era il vescovo di Verona e fu ucciso proprio davanti al
Palazzo vescovile. Dopo questo delitto, Verona restò senza vescovo
per 5 anni.
Il palazzo vescovile di Verona, oggi
Statua equestre di Mastino II della Scala a Verona. Non ne esistono ritratti
Senza i risultati dell'autopsia,
Mastino II non poteva sapere che Cangrande era stato avvelenato e, di
conseguenza, condannare a morte il medico assassino. Ma,
evidentemente, lo sapeva lo stesso, anche senza bisogno degli esami.
La stessa esecuzione del medico può apparire come il tentativo di
mettere a tacere definitivamente un testimone molto scomodo.
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