Le storie con al centro le figure di
adolescenti criminali hanno sempre fatto vendere parecchie copie di
libri e parecchi biglietti cinematografici, e non smettono di
eccitare le folle di spettatori, che di solito, nella loro ignoranza,
vedono in queste vicende o la conferma delle proprie sgangherate
teorie educative o degli esempi di ribellione spontanea a un mondo
ingiusto.
Invece, quasi tutti i casi di questi
crimini riguardano ragazzi con grossi problemi, non semplici nevrosi,
ma vere e proprie psicosi come la paranoia o la schizofrenia, che le
famiglie scambiano per normali passaggi della crescita, sottovalutandone enormemente il pericolo, forse anche per il rifiuto
dello stigma sociale dell'avere “un pazzo in casa” e delle
dicerie che sicuramente nascerebbero in giro sull'origine della
follia.
Alcuni casi sono diventati addirittura
quasi leggendari, benché riguardino figure che, al di là
dell'efferatezza dei loro crimini, dovrebbero se mai ispirare un
senso di pena, come il Pierre Rivière raccontato dal grande storico
Michel Foucault, il primo vero pazzo assassino che riuscì a
sollecitare, nella Francia del 1835, una seria discussione
sull'infermità mentale e l'incapacità di intendere e volere che può
nascondersi dietro spaventosi delitti. Il libro di Foucault, che ha
ispirato negli anni '70 anche un film di René Allio, è ancora un
classico da leggere ad ogni costo per avvicinarsi al tema.
Michel Foucault (1926-84)
Una edizione francese del suo libro su Pierre Rivière
Una delle edizioni italiane
Locandina del film di Allio
Il protagonista Claude Hébert in una scena del film
La lucidità e l'umanità di Foucault
sembrano invece lasciate in disparte da chi successivamente ha
trattato il tema ispirandosi a fatti reali. Un esempio evidente
sembra essere quello del veneziano Roberto Succo, assassino dei
propri genitori che sembrava riabilitato nonostante una diagnosi di
schizofrenia, fuggito dal carcere approfittando di un permesso di
studio, efferato serial killer di almeno 5 vittime oltre i genitori
durante una fuga per mezza Europa caratterizzata da una sequenza di
rapine e stupri, infine suicida a 27 anni subito dopo essere stato
ricatturato. A Succo, oltre alle più svariate opere d'arte, sono
stati dedicati diversi libri, uno dei quali (Je te tue,
di Pascale Froment, 1991) è stato tradotto anche in un film (Roberto
Succo, di Cédric Kahn, 2001)
molto criticato per quella che è
stata definita una vera vacuità di contenuto.
Roberto Succo (1962-88)
Il libro di Pascale Froment
Locandina del film
Un
caso molto meno noto in Occidente, ma che nel suo Paese ha ispirato
un altro film, è quello dell'ultima donna vittima della pena
capitale in Cecoslovacchia, Olga Hepnarová,
responsabile però non di una serie di delitti ma di uno solo, una
strage in cui persero la vita 8 persone.
La
Hepnarová,
nata a Praga il 30 giugno 1951 in una famiglia piuttosto benestante
(padre bancario, madre dentista), fu inizialmente solo una bambina
con problemi relazionali, che nel tempo la portarono a lasciare la
scuola per un centro psichiatrico, dopo del quale riuscì a terminare
l'obbligo scolastico e a seguire un corso per rilegatrice, anche se
poi trovò lavoro come autista.
In
questo periodo, visse in alcuni villaggi intorno a Praga. Il rapporto
con la famiglia, specie con il padre e la sorella maggiore, era
pessimo, solo la madre si sforzava di recuperarlo. Aveva grossi
problemi con la sua sessualità, mai del tutto definita, che dall'età
di 17 anni la portava ad avere rapporti sia con uomini sia con donne,
con preferenza per queste ultime.
Due immagini di Olga Hepnarová
Nel
1970, il padre ereditò una fattoria a Zábrodí,
in campagna, e nello stesso anno la madre propose a Olga di passare
un periodo di vacanza lì in estate. Durante la permanenza, Olga
concepì un piano per distruggere l'immobile, facendo esplodere delle
bombole di gas in modo da provocare un incendio. Mise in atto questo
proposito la notte del 7 agosto, ma i presenti, sua sorella e
l'anziana coppia di inquilini che era andata a vivere nella fattoria,
si svegliarono per l'esplosione e spensero l'incendio prima che
facesse danni. Lo scoppio fu giudicato accidentale e considerato tale
finché Olga stessa ne parlò, nel corso di una visita psichiatrica,
nel 1973. Addusse come movente l'esasperazione per le continue
dispute economiche in famiglia.
Successivamente,
il suo stato psicologico peggiorò, fino a sfociare in una paranoia
conclamata. Era convinta che tutti ce l'avessero con lei e raccontava
di non poter andare in giro, perché veniva aggredita per strada
senza che nessuno la difendesse. Parlava di suicidarsi, ma in realtà
aveva in mente un gesto clamoroso, qualcosa che l'avrebbe posta
all'attenzione di tutti.Cercò inutilmente di procurarsi un'arma da
fuoco per compiere una strage sparando sui passanti in piazza
Venceslao.
Dai
primi del 1973, lasciata definitivamente, viveva in un ostello, anche
se aveva comprato una piccola casa di legno in campagna, nel
villaggio di Oleško. Qui
si ritirò in solitudine nel luglio dello stesso anno, per alcuni
giorni, al termine dei quali abbandonò la sua auto, una Trabant, di
cui aveva sempre avuto una cura maniacale, e tornò a Praga.
Il
10 luglio, doveva sostenere l'esame per la patente che l'avrebbe
abilitata a guidare i camion. Prima di andarci, spedì due lettere
quasi identiche alle agenzie giornalistiche The Free Word e
The Young World, spiegando le ragioni di ciò che stava per
fare.
Le
lettere si concludevano entrambe così:
“Sono
una solitaria, una donna distrutta. Una donna distrutta dalla gente.
Ho una sola scelta: uccidermi o uccidere gli altri. Ho scelto di
ripagare chi mi odia. Sarebbe troppo facile lasciare questo mondo
come un’anonima suicida, la società è troppo indifferente.
Quindi, la mia sentenza è: Io, Olga Hepnarova, vittima della vostra
bestialità, vi condanno a morte”.
Alle
13,30, appena sostenuto l'esame, con lo stesso camion di cui si era
servita, un Praga RN, si diresse lungo l'attuale via Milada Horáková
e puntò il mezzo contro la piccola folla, circa una trentina di
persone, che stava aspettando il tram in piazza Strossmayer,
piombando su di essa a tutta velocità.
Tre
persone morirono all'istante, altre tre nello stesso giorno e due nei
giorni successivi, per un totale di otto. Ci furono anche dodici
feriti, sei dei quali in modo grave.
Alcune immagini scattate sul luogo dell'incidente nei minuti successivi
Il luogo come è oggi
Olga
fuggì dal mezzo, inseguita dai passanti, che in realtà pensavano
che avesse perso accidentalmente il controllo del mezzo e fosse in
stato di choc, per cui volevano aiutarla prima che si facesse male a
sua volta. Quando fu finalmente fermata, dichiarò subito che si era
trattato di un atto deliberato e, di conseguenza, fu arrestata.
Il
processo si svolse tra la fine del 1973 e i primi mesi del 1974.
Sebbene la linea di difesa dei suoi avvocati fosse centrata sulla
schizofrenia e sulla conseguente incapacità di intendere e volere,
Olga non diede loro la minima collaborazione e si limitò a
dichiarare che non era pentita di ciò che aveva fatto, ma solo
rammaricata che ci fossero stati così pochi morti e che i suoi
genitori non fossero tra le vittime.
Dopo
che un collegio di periti psichiatrici l'ebbe dichiarata sana di
mente e capace di intendere e volere, il 6 aprile 1974, Olga fu
condannata a morte. Sua madre non si arrese e propose appelli prima
alla Corte Suprema, poi alla Corte Suprema Federale e infine si
appellò al premier Ludovic Strougal, che in quel periodo faceva
anche le veci del presidente della Repubblica Ludwig Svoboda,
chiedendo la grazia.
Tutti
questi tentativi furono respinti e la condanna confermata.
Il
13 marzo 1975, Olga Hepnarová fu impiccata nel carcere praghese di
Pankrác.
Il
nome di Olga Hepnarová ritornò alla ribalta delle cronache nel
2006, durante il processo a Viktor Kalivoda, un ex poliziotto che
aveva ucciso tre persone scelte a caso nell'ottobre del 2005. Dal
carcere, in cui si sarebbe poi suicidato dopo la condanna
all'ergastolo, Kalivoda scrisse di essersi ispirato proprio a Olga
Hepnarová (sebbene fosse nato oltre due anni dopo la sua
esecuzione).
Viktor Kalivoda (1977-2010)
Il
personaggio di Olga Hepnarová non ha ispirato solo delitti, ma anche
canzoni, saggi, romanzi (in particolare uno famoso di Bohumir Hrabal,
Ponorné říčky (L'uragano di novembre, 1990), in cui
il boia che esegue la condanna, per il rimorso, diventa un fiero
oppositore della pena capitale) e almeno un film, una coproduzione
ceco-slovacco-polacco-francese del 2016, intitolata Já,
Olgá Hepnarová (Io, Olgá
Hepnarová),
la cui protagonista è l'attrice polacca Michalina Olzańska, diretto
da Petr Kadza. Questo film, mai arrivato in Italia, ha ottenuto
diversi riconoscimenti sia in patria sia all'estero.
Bohumir Hrabal (1914-97)
Il suo libro e la traduzione in Italiano
Michalina Olzańska in alcune scene del film
Locandina del film
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