Molti autori destinati a un oblio per fortuna non definitivo sembrano avere in comune il destino di una fase creativa più o meno intensa, ma destinata a esaurirsi successivamente dopo aver prodotto un numero esiguo di opere. Non si tratta di un caso tipico, ma è abbastanza frequente. Molti di questi autori poi sopravvivono piuttosto a lungo, rendendo inverosimile la possibilità che a fermare la loro attività sia stato un problema di salute.
Non sappiamo in quale categoria si possa collocare Daniel Banko, del quale si rinvengono scarni dati biografici sul sito embden11: nato a Portland, Oregon, nel 1926, morto nel 1987, non si sa dove, autore di due romanzi pubblicati nel 1972 e nel 1975, il primo dei quali finalista all'Edgar tra i migliori tascabili (era uscito nella Gold Medal della Fawcett).
Not Dead Yet, il libro d'esordio di Banko, quell'anno se la vide con i testi di un veterano, Richard Wormser (The Invader) che fu il vincitore: e con quelli di due che erano praticamente suoi coetanei, Charles Runyon (Power Kill) e Richard Neely (The Smith Conspiracy). Curiosamente, anche se Banko è il meno conosciuto dei quattro nel nostro Paese, di questi quattro romanzi risultano tradotti solo il suo e il Neely. Entrambi comunque in ritardo: il Neely nel 1974 e il Banko nel 1975.
Per l'esattezza, esce come numero 3 dei Gialli Rizzoli il 19 giugno 1975 e il titolo Non ancora spacciato. Dovrebbe essere in versione integrale, a differenza del Neely che invece, uscito in Segretissimo, è stato verosimilmente tagliato.
Nel web di oggi si possono leggere un paio di recensioni di Not Dead Yet: il sito The Rap Sheet sembra apprezzarlo con una certa prudenza, mentre Pulp International non ne è entuasiasta e afferma che l'unica buona ragione per comprarlo è la copertina di Robert McGinnis.
Invece, del secondo romanzo di Banko, Very Dry with a Twist, possiamo ancora trovare una recensione decisamente favorevole apparsa sul New York Times il 21 settembre 1975. Ma purtroppo questo romanzo non è mai arrivato in Italia.
La trama di Not Dead Yet non è né ingarbugliata né lineare, ma un po' di tutte e due le cose. La vicenda comincia con un piccolo imprenditore dal carattere mite, Matthew Kitterman, che ha un'attività di forniture nautiche a Boston, tornando anticipatamente e senza preavviso da un viaggio di lavoro, sorprende la moglie Lana a letto con un altro uomo. Traumatizzato, dopo aver tentato fallendo di scattare una polaroid ai due, Matthew afferra la prima cosa che gli capita a portata di mano, il portafogli dell'uomo, e fugge inseguito dalla moglie che gli grida dietro, inspiegabilmente, “Assassino”.
Nella sua fuga, Matthew si spinge fino a New York, dove apprende dai giornali di essere ricercato per l'omicidio di un certo Bertrand Jamison, ossia proprio dell'uomo di cui ha preso il portafogli, e che ad accusarlo è sempre Lana. Nel tentativo di passare inosservato, rimorchia in un bar una donna non più giovanissima, Mildred Molnar, e finisce a dormire con lei in una squallida stanza d'albergo a ore. Più tardi, nello scoprire la sua reale identità, Mildred, anziché spaventarsi, gli offre la sua collaborazione e lo munisce dei documenti del proprio marito morto, al quale Matthew assomiglia un po', in modo da poter andare in giro.
Mildred sembra un vero caso umano, ma non è niente in confronto ai suoi amici, tra i quali porta Matthew in cerca di conforto e consiglio: in mezzo a questi spicca una specie di veggente, tale Ruby Ayres, che insieme al fratello Kenneth sta al centro di una comunità di fattoni e alcolizzati. Di questo giro fa parte anche un marinaio disoccupato, Clyde Boswell, che sembra il più interessato alla storia di Matthew e gli propone di fare insieme un sopralluogo nella casa del delitto prima di mettere in atto il dissennato proponimento di costituirsi, cui Matthew sembra ormai rassegnato.
Quando i due arrivano a Boston, come prevedibile, la casa è sorvegliata e l'unico modo per arrivarci senza essere visti è dal tetto della casa accanto. E proprio questa scelta forzata permetterà a Matthew di imbattersi nella prova che lo scagiona dal delitto.
Il romanzo fila via facilmente, senza brillare troppo ma anche senza deludere, come accade spesso con i testi proposti dalla Rizzoli in quella sfortunata collana, che avrebbe sicuramente meritato molto più successo.
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