In chimica, con la dizione ottocentesca
di terre rare, si intendono gli elementi il cui numero atomico va da
57 a 71, rintracciabili solo in minerali che sono appunto rari da
trovare, molto simili tra loro nel comportamento chimico e quindi
difficili da separare e identificare. Nella Tavola Periodica, sono
immediatamente visibili perché costituiscono il periodo (riga
orizzontale) dei Lantanidi o Lantanoidi.
La Tavola Periodica degli Elementi. I Lantanidi sono rappresentati dalla prima riga in basso
La storia della scoperta di questi
elementi è molto particolare e legata a un unico luogo, la miniera
di Ytterby che si trova in Svezia, nell'area di Vaxholm, pochi km a
NNE di Stoccolma. Vi si estraevano, soprattutto nel XVIII secolo, i
minerali chiamati Feldspati, indispensabili per la produzione delle
porcellane alla maniera cinese, a loro volta necessarie per la
costuzione di stufe capaci di un'ottima efficienza energetica (a quel
tempo e con il clima freddo della Scandinavia, un bene
preziosissimo).
Qui, nel 1787, l'ufficiale e scienziato
dilettante Carl Axel Arrhenius, sovrintendente alle attività della
miniera, scoprì un minerale mai visto prima e ne inviò diversi
campioni ai più noti chimici del mondo, perché lo indentificassero.
A riuscirci fu, solo nel 1792, un chimico finlandese, professore
all'università di Turku, Johan Gadolin, che nel determinarne la
composizione scoprì quello che a lui e a tutti un nuovo elemento,
chiamato provvisoriamente Yttria. Il minerale per intero fu poi
chiamato Gadolinite in suo onore.
Una veduta del villaggio di Ytterby
L'ingresso della miniera di Ytterby
La posizione geografica di Ytterby
Gadolin era appunto un esperto di
porcellane, amico di penna del più importante produttore inglese del
settore, Josiah Wedgwood, e lo studio delle nuove tecnologie di
produzione lo rendeva particolarmente abile nella separazione degli
elementi dai minerali d'origine.
Gadolin era stato bravo, ma anche
fortunato. Con la tecnologia disponibile a quel tempo, non era
affatto facile separare i diversi elementi che costituivano un
minerale, tanto più quando questi avevano caratteristiche che si
assomigliavano.
Johan Gadolin (1760-1852)
Carl Axel Arrhenius (1757-1824)
Josiah Wedgwood (1730-95)
Nei decenni successivi, un esercito di
chimici si giocò la reputazione cercando di identificare e isolare i
materiali che costituivano le rocce estratte dalla miniera di
Ytterby, e i risultati furono davvero sorprendenti.
Il tedesco Fredrich Woehler, il grande
chimico che nel 1828 dimostrò che non esiste alcuna differenza tra
la Chimica Organica e quella Inorganica, sintetizzando l'Urea
(organica) in laboratorio, a partire da Cianato di Argento e Cloruro
di Ammonio (inorganici), nello stesso anno, riuscì a isolare
dall'Yttria (ribattezzata nel frattempo Ittrite) un nuovo elemento,
che fu chiamato Ittrio. L'Yttrite fu identificata come tri-ossido di
di-ittrio.
Friedrich Woehler (1800-82)
Un pezzo di Gadolinite
Un pezzo di Ittrio isolato
Polvere di Ossido di Ittrio
Nel 1843, sempre lavorando sulla
Gadolinite, il chimico svedese Carl Gustav Moisander riuscì a
identificare, uno dietro l'altro, due elementi fino ad allora
sconosciuti, l'Erbio e il Terbio (entrambi i nomi derivano dal
toponimo Ytterby).
Carl Gustav Moisander (1797-1858)
L'Erbio isolato
Il Terbio isolato
Nel 1878, il chimico svizzero Jean
Charles Galissard de Marignac, riuscì a isolare dalla Gadolinite un
nuovo elemento, che chiamò Itterbio, sempre da Ytterby.
Jean Charles Galissard de Marignac (1817-94)
L'Itterbio isolato
Sempre nel 1878, due ricercatori
francesi (Marc Delafontaine e Jacques-Louis Soret) intuirono che
nella Gadolinite doveva essere presente un nuovo elemento ancora; ma
questo fu scoperto, lo stesso anno, dallo svedese Per Teodor Cleve,
che lo chiamò Olmio (da Holmia, antico nome latino di Stoccolma);
nel corso della stessa ricerca, Cleve scoprì anche un ulteriore
elemento precedentemente sconosciuto, che chiamò Thulio (da Thule,
il nome della misteriosa terra nord-atlantica scoperta dal navigatore
fenicio Pitea da Marsiglia nel IV secolo a. C., identificata come la
Scandinavia o l'Islanda).
Per Teodor Cleve (1840-1905)
L'Olmio isolato
Il Thulio isolato
Nel 1879, un altro chimico svedese,
Lars Fredrick Nilson, isolò dalla Gadolinite un ennesimo elemento,
che chiamò Scandio (da Scandia). Nello stesso anno, Per Teodor Cleve
raggiunse lo stesso risultato e in più scoprì che lo Scandio
coincideva con l'Eka-Boro, ossia uno degli elementi la cui esistenza
era stata predetta da Dimitrj Mendeleev per riempire i vuoti rimasti
nella sua Tavola Periodica. In effetti, la scoperta dello Scandio
(come quelle del Gallio e del Germanio negli anni successivi) fu la
principale conferma della validità del sistema periodico di
Mendeleev.
Lo Scandio isolato
Lars Fredrick Nilsson (1840-99)
Dmitrij I. Mendeleev (1834-1907)
Nel 1880, Malignac identificò nella Gadolinite anche un ulteriore elemento, che fu poi separato dagli altri ad opera del francese Paul Emile Lecoq de Boisboudran nel 1886. E' stato possibile isolarlo solo in tempi recenti ed è stato chiamato Gadolinio in onore di Gadolin.
Il Gadolinio isolato
Paul Emile Lecoq de Boisboudran (1836-1912)
Le terre rare sono tali solo sulla
superficie terrestre, perché in realtà il sottosuolo ne contiene
delle discrete quantità. Il difficile è arrivarci. In Svezia è
particolarmente facile per via della particolare storia della sua
superficie. La penisola scandinava, infatti, è un'area della crosta
continentale molto antica, emersa già nei lontanissimi tempi
dell'Orogenesi Caledoniana, tra i 490 e i 390 milioni di anni fa (è
la fase più antica tra quelle databili cui è possibile far risalire
l'innalzamento delle catene montuose visibili oggi; dopo quella
Caledoniana ci sono state quella Ercinica e quella Alpina, che è
ancora in corso ed è responsabile dell'innalzamento delle catene
montuose che ci appaiono più alte; prima della Caledoniana, ce ne
sono state sicuramente altre, ma le catene innalzatesi allora, oggi,
sono completamente erose dagli agenti atmosferici), quindi è andata
soggetta a un lunghissimo periodo di erosione. Questa erosione è
stata poi accentuata dalle particolari condizioni climatiche della
zona, vicina al Polo Nord e soggetta a frequenti movimenti dei
ghiacciai durante le fasi di riscaldamento e raffreddamento
dell'atmosfera terrestre, dovute alle più svariate cause, tra cui
alcune imprevedibili come eruzioni vulcaniche o caduta di asteroidi.
Sia il ghiacciaio che si forma sia quello che si scioglie si muovono
sul suolo grattando via detriti (detti morene, da cui l'aggettivo
morenico per indicare le strutture che formano quando sono poi
abbandonati dal ghiacciaio sciolto) e accelerando l'erosione della
superficie. L'alleggerimento del suolo da parte dei ghiacciai sciolti
ha fatto sì che poi questo si sollevasse e non restasse sprofondato,
per cui gli strati che altrove si trovano in profondità, qui, sono
quasi al livello del mare.
Inoltre, la miniera di Ytterby era
stata aperta per produrre feldspati, quindi tutto ciò che non era
utile alla ricerca di feldspati, come la Gadolinite, veniva
abbandonato in superficie come rifiuto, e dunque i chimici si
trovarono a portata di mano una riserva di materiale già estratto su
cui lavorare.
Dovunque si trovino, le terre rare
hanno comunque la tendenza a mescolarsi tra loro e quindi è facile
che, dove se ne trova una, si riesca a trovarne anche le altre. La
difficoltà è stata, per molto tempo, quella di separarle tra loro,
dato il loro comportamento chimico sempre molto simile.
Benché indicata su molti siti e testi
come un luogo importantissimo di ricerca scientifica, la miniera di
Ytterby oggi non è facile da raggiungere, per via della scarsezza
delle indicazioni stradali, anche se al suo esterno oggi è stata
apposta una targa che ricorda la sua importanza.
E' anche chiusa ai visitatori, e non
potrebbe essere altimenti, visto il suo alto tasso di radioattività
naturale.
I tassi di radioattività si calcolano
in molti modi, ma il più opportuno a determinarne la pericolosità è
quello che usa come unità di misura il Sievert (elaborato dallo
scienziato svedese Rolf Sievert) che mette in correlazione
l'assorbimento di radioattività e i danni che questo può produrre.
Rolf Sievert (1896-1966)
Normalmente, la radioattività naturale
dei luoghi in cui viviamo ci porta ad assorbire sui 2-2,5
milliSievert (mSv) all'anno. A Ytterby se ne assorbono oltre 7, ben
più di quelli riscontrati nelle aree evacuate intorno alla centrale
nucleare incidentata di Fukushima.
Va detto che gli usi civili della
radioattività ci portano ad assorbire occasionalmente altri mSv, per
esempio meno di 1 durante una normale radiografia, fino a 20 in una
TAC e addirittura 2000 in una seduta di radioterapia, dove però sono
concentrati sulle cellule tumorali (le altre cellule, comunque, ne
risentono per forza). In più, esistono luoghi della Terra in cui,
per le più svariate ragioni (di solito, l'origine vulcanica dei
suoli), la radioattività naturale si presenta insolitamente alta,
come le spiagge a sabbie nere del Brasile o la zona di Kerala in
India. Questi luoghi non presentano, tuttavia, tassi di incidenza dei
tumori maggiori della media dei relativi Paesi, in quanto le
popolazioni residenti, nel corso delle generazioni, si sono
assuefatte al maggiore assorbimento e ne risentono in misura minore
di altre. Stiamo pur sempre parlando di livelli di radioattività
lontanissimi da quelli cui sono andati soggetti, ad esempio, i
pompieri che operarono nello spegnimento dell'incendio della centrale
nucleare di Chernobyl nel 1986 (questi assorbirono in poche ore oltre
5-6000 mSv).
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