Il mondo industriale moderno sembra
aver dimenticato il peso delle parassitosi nella mortalità della
gente comune vissuta fino a pochi decenni fa. Spaventati come siamo
dalle nostre tipiche malattie da sedentarietà e ipernutrizione
(cardiopatie e tumori), ignoriamo completamente che i nostri antenati
venivano sterminati da microrganismi e piccoli vermi che entravano
all'interno del loro corpo in condizioni di scarsa igiene,
solitamente tipiche di contesti sociali degradati o di sfruttamento
lavorativo indiscriminato.
La malattia che ha ucciso più persone
nella Storia è la malaria, che accompagna l'Uomo da almeno 50.000
anni, è stata documentata con precisione già in Cina nel 2700 a.C.
ed era presente in ampie zone costiere e paludose dell'Italia fino
agli anni '30, mentre è ancora diffusissima nei Paesi del Terzo
Mondo dove uccide ancora oltre 400.000 persone ogni anno; è dovuta
all'infestazione da parte di un protozoo, il Plasmodium (ne esistono
diverse varietà, ma la più diffusa è il P. Falciparum, che è
anche quello che provoca l'infezione più grave), trasmesso dalla
puntura delle zanzare anofele. I plasmodi si riproducono
asessualmente all'interno dei globuli rossi del sangue,
distruggendoli per uscirne fuori e infettarne di nuovi. Si manifesta
con attacchi di febbre molto alta che vanno e vengono, gonfiore di
fegato e milza, grave anemia, tachicardia e delirio. La morte
sopraggiunge in seguito ai gravi danni epatici, renali e cerebrali
conseguenti.
Campione di sangue umano infetto da P. Falciparum
Il ciclo vitale dei plasmodi
La zanzara anofele, che ne è il vettore
Le aree tropicali, per la loro
ricchissima biodiversità dovuta all'abbondanza di luce solare e
acqua piovana, dalle quali partono innumerevoli catene alimentari,
sono piene di insidie di questo genere per l'uomo, il cui sistema
immunitario non è quasi mai in grado di difendersi stroncando
l'infestazione all'inizio. Un altro caso notissimo è quello della
Malattia del sonno, dovuta a un altro protozoo, il Trypanosoma,
trasmesso dalla puntura della mosca tze tze. Si manifesta con una
fase emolinfatica caratterizzata da dolori, febbre e ingrossamento
dei linfonodi del collo, cui segue una fase neurologica con apatia e
letargia che rendono il malato incapace di provvedere ai propri
elementari bisogni, finché i danni cerebrali non lo conducono a
morte.
Campione di sangue umano infetto da Trypanosoma
Il ciclo vitale dei tripanosomi
La mosca tze tze che ne è il vettore
Ma un problema altrettanto importante è
quello rappresentato dalle infestazioni da vermi, come le Tenie (noti
anche come vermi solitari), le Filarie e gli Ancylostomi.
Le Tenie si prendono mangiando carne
infetta delle loro larve, alcuni tipi (T. Solium, T. Saginata) si
stabiliscono nell'intestino e assorbono le sostanze nutritive
attraverso la cute, mentre altri (Echinococco) possono raggiungere
ogni distretto del corpo, dando vita a cisti che producono sintomi da
compressione analoghi a quelli delle masse tumorali.
Una tenia estratta da un intestino umano
La testa (scolice) della tenia, con cui l'animale si attacca alle pareti interne del lume intestinale
Il ciclo vitale delle tenie
Le Filarie si prendono dalla puntura
della zanzara, specie quella tigre, e si stabiliscono nel sistema
circolatorio o in quello linfatico. Possono provocare enormi gonfiori
degli arti occludendo i vasi linfatici e gravi danni cardiaci, spesso
mortali (soprattutto in cani e gatti, che ne sono facilmente soggetti
anche in Italia).
Un esemplare di filaria
Cuore di cane infestato da filarie
Arto umano anormalmente gonfio in seguito a infestazione da filarie
Il ciclo vitale delle filarie
Questi parassiti possono essere
combattuti in molti modi, sia direttamente sia sterminando gli
insetti che ne sono i vettori. Infatti, in molte zone, l'incidenza
della loro infestazione è stata drasticamente abbassata da adeguati
interventi di igiene pubblica.
Il più infido dei parassiti di questo
tipo è, però, l'Ancylostoma. Questo è un verme che allo stato
larvale è praticamente invisibile e vive nel terreno. Da qui può
passare all'uomo attraverso ogni tipo di contatto diretto. Nell'uomo,
si moltiplica e invade soprattutto le vie digerenti e respiratorie,
succhiando il sangue dai tessuti e provocando gravi emorragie e
infezioni, fino alla morte del malato.
Testa di Ancylostoma
Ancylostoma maschio e femmina
Ciclo vitale dell'Ancylostoma
Organi riproduttivi del maschio
Duodeno umano infestato da Ancylostoma
Segni della penetrazione dell'Ancylostoma in un piede umano
La storia dell'Ancylostoma, in Italia,
è strettamente legata a quella dei trafori ferroviari alpini
realizzati, soprattutto con la Svizzera, tra la fine del XIX secolo e
l'inizio del XX. Anche se l'infestazione è stata sempre diffusa
nelle campagne e nelle miniere, la sua incidenza sulla popolazione
non aveva mai raggiunto i livelli che furono toccati tra gli operai
addetti allo scavo dei trafori, così alti da indurre la sospensione
dei lavori di scavo del San Gottardo, nel 1879-80.
Il traforo ferroviario del San Gottardo oggi, dal lato svizzero
A quel punto, la direzione della
clinica medica generale di Torino inviò nella zona un veterinario,
Edoardo Perroncito, che aveva già alle spalle l'eradicazione della Cercaria (un altro parassita, dei bovini) dalle campagne del
Canavese. Perroncito identificò nelle autopsie degli operai morti
(scavatori e addetti ai forni) la presenza di almeno tre diversi
parassiti, tra i quali il più frequente e diffuso, nonché quello
dai più nefasti effetti, era proprio l'Ancylostoma.
Edoardo Perroncito (1847-1936) ospite di una scuola elementare
Dopo una serie di sopralluoghi nei
cantieri, giunse alla conclusione che gli operai si infettavano
soprattutto per colpa delle pessime condizioni igieniche in cui
lavoravano. Non disponevano di bagni e facevano i loro bisogni negli
stessi punti in cui lavoravano. Respiravano poi il fango misto agli
escrementi che sollevavano durante i lavori di scavo. Usavano scarpe
vecchie e rotte con le quali sguazzavano nel fango pieno di larve,
che entravano nel loro corpo attraverso la pelle dei piedi.
All'interno degli scavi, la temperatura e l'umidità erano così alte
da creare una sorta di sub-clima tropicale.
La sua relazione obbligò le imprese
appaltatrici del lavoro a provvedere in modo adeguato all'igiene dei
cantieri e il numero delle infestazioni diminuì rapidamente.
Perroncito si ingegnò a trovare quanto
prima un rimedio per curare gli operai già infettati e trovò che
l'estratto di felce maschio, una pianta perenne comune nei boschi,
che spesso cresce alla base delle querce, riusciva ad uccidere
rapidamente i vermi.
La felce maschio
Tuttavia, non tutto il mondo medico
prese sul serio le sue conclusioni. Molti ritenevano ancora che i
vermi avessero un ruolo marginale nella mortalità degli operai,
dovuta soprattutto a denutrizione e super-sfruttamento. A questo
scetticismo non era estranea una certa scarsa considerazione di
Perroncito come studioso, dato che a volte le sue conclusioni erano
apparse parecchio fantasiose (secondo studi moderni, Perroncito aveva
delle grandi intuizioni ma non disponeva dei mezzi tecnici per
dimostrarle a fondo).
Anche se i fattori socio-economici non
andavano sottovalutati, l'influenza delle infestazioni elmintiche non
poteva essere negata. In soccorso di Perroncito arrivò un brillante
medico pavese, direttore dell'ospedale di Varese, Ernesto Parona, che
aveva già compiuto importanti lavori di parassitologia anche in
collaborazione con Giovan Battista Grassi, lo scienziato che
identificò per primo il rapporto tra la zanzara anofele e la
diffusione della malaria.
Giovan Battista Grassi (1854-1925). Purtroppo sul web non si trovano immagini di Ernesto Parona (1849-1902)
Parona studiò la diffusione della
malattia su 249 pazienti, ex operai del traforo del San Gottardo,
ricoverati nel suo ospedale e giunse alle stesse conclusioni di
Perroncito. Inoltre, seguendo le indicazioni di quest'ultimo, curò i
suoi malati con l'estratto di felce maschio, ottenendo un tasso molto
soddisfacente di guarigioni. La sua sperimentazione servì anche a
definire con precisione i dosaggi di estratto di felce maschio con
cui affrontare l'infestazione senza produrre troppi effetti
collaterali.
Dopo l'intervento di Parona, nessuno
mise più in dubbio le conclusioni di Perroncito.
Qualche anno dopo, nel 1888, partirono
gli scavi per un altro traforo ferroviario, quello del Sempione.
Perroncito riuscì a convincere le autorità a inviare sul posto,
come ufficiale sanitario, un giovane medico di sua fiducia, Giuseppe
Volante. Questo, man mano che prendeva forma la comunità dei
minatori (che arrivarono anche a fondare con le loro famiglie una
vera e propria cittadina, Balmalonesca, oggi disabitata da tempo ma
ancora visitabile, una vera e propria ghost town), si ingegnò a
prevenire in tutti i modi la comparsa dell'Ancylostoma, a partire
dalle selezioni degli operai, in cui scartò chiunque sembrasse
affetto da parassitosi, fino alla costruzione di impianti sanitari
molto moderni (docce e bagni con spogliatoi riscaldati). Il risultato
fu che, durante i lavori di scavo del Sempione, l'infestazione da
Ancylostoma ebbe un'incidenza bassissima e i pochi malati furono
tutti prontamente curati.
L'ingresso del tunnel del Sempione, lato italiano
Un cantiere del Sempione
Veduta d'epoca di Balmalonesca
Una famiglia di emigranti meridionali a Balmalonesca
Perroncito e Giuseppe Volante (1871-1936)
Volante si impegnò, insieme a un
parroco, un sindacalista e un direttore didattico provenienti da
paesi vicini come Varzo e Iselle, anche ad abituare gli operai (molti
dei quali erano emigranti provenienti dal Sud Italia) a rispettare le
norme igieniche in casa e a mandare i figli a scuola. Passò tanto
tempo nelle gallerie ad assistere i lavoratori, che alla fine si
ammalò come loro di insufficienza respiratoria per via delle troppe
polveri respirate, malattia di cui sarebbe poi morto nel 1936, a 65
anni.
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