Il 20 luglio 1714, a mezzogiorno, il
ponte sospeso sulla strada tra Lima e Cuzco, non lontano dal
santuario di Santa Maria da Cluxambuqua, in Perù, si spezza
all'improvviso, precipitando nel vuoto (un abisso di oltre 100 metri)
le 5 persone che lo attraversavano.
Il fatto ha non pochi testimoni e uno
di essi è un monaco italiano, frate Ginepro, da tempo attraversato
da dubbi sulla propria fede. Ginepro si è messo in testa di
dimostrare logicamente come la volontà di Dio influenzi direttamente
la vita degli uomini e, da tempo, sta raccogliendo rudimentali
statistiche sul rapporto tra virtù e fortuna. Tuttavia, i suoi
calcoli mostrano sistematicamente che le persone più virtuose sono
solo raramente le più fortunate. Lo spettacolo dell'incidente lo
induce a ricostruire le esistenze delle 5 vittime per vedere cosa può
avere indotto il Signore a scegliere proprio loro per una fine così
assurda e tragica.
L'indagine sistematica di Ginepro, che
interroga centinaia di persone e riempie pagine e pagine di appunti,
poi raccolti in un libro, non sfugge all'Inquisizione, che giudica
eretico sia il frate sia il libro e manda entrambi al rogo. Per la
popolazione, però, il frate è un santo e infatti Ginepro accetterà
serenamente il suo destino, confortato dalla folla di fedeli che
assiste, triste e impotente, al suo supplizio. Si salva, tuttavia,
una copia del libro, grazie alla quale si possono conoscere le vite
delle 5 persone defunte in ogni minimo dettaglio.
Il gruppo era formato da due coppie
(una formata da una donna anziana e da una ragazza, l'altra da un
uomo anziano e un bambino) e da un uomo giovane. Tra di loro, le
coppie e l'uomo, non si conoscevano: ma una intricata rete di
rapporti li connetteva strettamente.
Le loro identità sono: la Marquesa de
Montemayor, aristocratica e madre della moglie di un importante
dignitario di corte spagnolo; la sua damigella di compagnia Pepita;
l'ex copista Esteban, che stava per riprendere la vita da marinaio
dopo la morte del fratello gemello Manuel; l'avventuriero chiamato
Zio Pio e il piccolo don Jaime, figlio del viceré Don Andrès e
della sua amante, l'attrice Camila Perichole.
I legami tra tutti loro passano per
altre figure, soprattutto la madre badessa del convento di Santa
Maria Rosa de las Rosas, madre Maria del Pilar, che ha allevato sia
Pepita sia Esteban, entrambi orfani; e la Perichole che, oltre a
essere la madre di don Jaime, è stata la pupilla dello zio Pio, ha
goduto di un momento di particolare notorietà dopo aver dileggiato
pubblicamente la Marquesa durante uno spettacolo ed è stata
l'oggetto di una passione sfrenata e insoddisfatta da parte di
Manuel, il gemello morto di Esteban.
Altre figure importanti sono quelle di
Dona Clara, figlia della Marquesa e destinataria di tutta la sua
corrispondenza, e del capitano Alvarado, che stava aiutando Esteban a
superare il trauma della perdita del fratello.
Le esistenze delle 5 vittime sono state
tormentate da dilanianti vicissitudini affettive. La Marquesa adorava
la figlia almeno quanto questa la ignorava, e pativa enormemente la
sua distanza; Pepita era affezionatissima a madre Maria e desiderava
ritornare il prima possibile al convento; Esteban si rimproverava,
senza ragione, di aver impedito, con la propria presenza, che si
concretizzasse il legame tra Manuel e la Perichole; lo zio Pio
adorava la Perichole, che aveva tirato su da piccola orfana ad
attrice di successo, considerandola il proprio capolavoro: ma la
donna lo aveva escluso dalla sua vita dopo essere diventata l'amante
ufficiale del viceré; don Jaime, sofferente di epilessia, era per
questo tenuto a distanza dalla madre, e ne soffriva molto.
I cinque si trovavano sul ponte per
ragioni differenti e simili al tempo stesso. La Marquesa, avendo
letto di nascosto una lettera di Pepita a madre Maria durante un
pellegrinaggio a Santa Maria da Cluxambuqua, era rimasta sconvolta
dall'affetto che la ragazza era capace di provare per la badessa e si
era resa conto di aver escluso dalla propria vita tutte le persone
che la circondavano, fissata com'era sul pensiero della figlia
lontana. Esteban seguiva il capitano Alvarado, che lo aveva salvato
da un tentativo di suicidio, per imbarcarsi sulla sua nave. Lo zio
Pio, visto il rifiuto della Perichole verso il figlio, aveva chiesto
alla donna di affidarglielo per un anno in modo da istruirlo, visto
che il bambino non aveva nessun precettore; don Jaime aveva seguito
con piacere l'avventuriero, lusingato dal suo sincero interesse.
Nell'ultima sequenza del libro, tre
donne si ritrovano a parlare tra loro e a ripensare ai morti con il
cuore gonfio di rimpianto e pentimento. Dona Clara, tornata in Perù
per scoprire tutto ciò che può sulla madre, adorata nel ricordo
quanto disprezzata quando era in vita. Madre Maria, cui la perdita di
Pepita ha tolto l'unica cui avrebbe voluto affidare la direzione del
monastero dopo di sé, mentre quella di Esteban è stata paragonabile
a quella di un figlio prediletto. La Perichole, cui il vaiolo ha
tolto bellezza e fascino, ricca e dimenticata, che non smette di
rimproverarsi l'abbandono dello zio Pio e l'indifferenza verso don
Jaime. Dona Clara si reca al convento di Santa Maria Rosa de las
Rosas per parlare con madre Maria e la trova intenta a occuparsi con
la massima dedizione di malati e invalidi, aiutata anche da una donna
matura in cui fatica a riconoscere la Perichole. Solo madre Maria ha
il coraggio di rivolgersi ai malati terminali, cui rivolge parole di
conforto, ma intanto non smette di pensare ai 5 morti nel disastro
del ponte di San Luis Rey, e si rende conto che, nonostante tutto,
nonostante le loro vite modeste, tristi e inappagate, hanno lasciato
dietro di sé una scia di amore sincero, tanto intenso da
sopravvivere alle loro stesse esistenze, un amore che li fa ricordare
con struggimento e nostalgia da chi li ha conosciuti. Un amore che di
per sé è già un ponte con l'aldilà, perché connette strettamente
i vivi con i morti.
L'abilità dell'autore rende questa
storia, completamente inventata, avvincente come se fosse proprio
vera, ricorrendo alle tecniche narrative tipiche del thriller (nel 1945, Indro Montanelli, grande ammiratore di Wilder, farà lo stesso per il suo romanzo Qui non riposano). La questione principale, quello del perché Dio abbia scelto
esattamente quei 5 per quel destino, resta irrisolta: e, d'altronde,
non può essere altrimenti. Per quasi tutta la teologia, del resto, è
assurdo pensare alla morte, anche prematura, come “punizione”. La
volontà di Dio è sempre e comunque imperscrutabile. L'indagine di
frate Ginepro serve tutt'al più ad aprire uno spiraglio sul senso
della vita terrena e quotidiana, attraverso le vicissitudini di
persone che hanno sempre inseguito qualcosa che sembra banale e
scontato (dei sinceri legami affettivi), senza però mai ricevere
fino in fondo ciò cui anelavano.
L'edizione originale del libro e alcune edizioni italiane
A scrivere questo romanzo, The
bridge of San Luis Rey (Il ponte di San Luis Rey), che nel
1928 vinse il Premio Pulitzer, è stato Thornton Wilder, un autore
statunitense nato nel Wisconsin il 17 aprile 1897, figlio di un
importante diplomatico e fratello di intellettuali e docenti
universitari di buon livello, cresciuto in Cina e con un curriculum
accademico di prim'ordine (laurea a Yale, master a Princeton),
poliglotta e con un numero sterminato di interessi culturali, primi
tra i quali l'archeologia e la Storia antica.
Thornton Wilder
Wilder è conosciuto tanto come
narratore (un altro suo romanzo, The Eight Day, L'ottavo
giorno, ha vinto il National Book Award nel 1968) quanto come
drammaturgo: due sue opere (Our Town, Piccola Città,
del 1938 e The skin of our teeth, che in Italiano è stato
tradotto come La famiglia Antrobus, 1942) hanno vinto
anch'esse il Pulitzer e appartengono sicuramente al novero dei titoli
teatrali più originali e moderni, soprattutto nella messa in scena,
del XX secolo.
Altri romanzi di Wilder, tutti tradotti in Italiano ma non sempre facilmente reperibili oggi. Dall'ultimo, è stato tratto anche un film, Mr. North, di Danny Huston (1988)
Locandine e un testo teatrale di Wilder
Da una rappresentazione di Our Town
Altre messe in scena di opere teatrali di Wilder: le prime due immagini sono relative a The Matchmaker e le ultime due a The skin of our teeth
Dopo la sua scomparsa, avvenuta per
cause naturali in Connecticut il 7 dicembre 1975, è emerso che
Wilder, benché avesse condotto una vita irreprensibile e fosse
considerato un uomo molto religioso, di stampo prettamente
calvinista, era quasi certamente gay (non si sposò mai) e quello che
comunemente era considerato uno dei suoi migliore amici,
l'intellettuale Samuel M. Steward (che mollò la carriera di docente
universitario per diventare tatuatore e autore di romanzi
pornografici firmati con uno pseudonimo, Phil Andros, che è già un
riferimento a un libro di Wilder), è stato sicuramente un suo
amante, dato che parla della sua relazione con Wilder nei suoi diari.
Samuel M. Steward (1909-93)
La fama italiana di Il ponte di San
Luis Rey si giova anche della
bellissima traduzione in cui è stato presentato al pubblico, opera
di Lauro De Bosis, un raffinato poeta e docente universitario
italo-americano, amico personale di Wilder, passato alla Storia
soprattutto per le circostanze della sua scomparsa: il 3 ottobre
1931, emulando l'impresa di D'Annunzio su Vienna, volò su Roma con un
aereo monoposto, lanciando 400.000 volantini inneggianti
all'antifascismo e poi, inseguito dai caccia italiani, cadde in mare
per l'esaurimento del carburante mentre cercava di riparare a
Barcellona. Non si sa con sicurezza dove sia caduto perché non sono
state mai ritrovate tracce del suo aereo. Ma, nel 1952, in un punto
del Mar Tirreno che si presume quello della caduta, fu calata l'urna
con le ceneri della sua compagna, l'attrice americana Ruth Draper.
Lauro De Bosis (1901-31)
Ruth Draper (1884-1952)
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