La vicenda del delitto, ai tempi,
godette di una immensa notorietà, al punto da coinvolgere, nel
giudizio, anche intellettuali di primo piano (Cechov ebbe a
dichiarare al riguardo, durante il processo: “È
una storia così complessa e assurda che solo un Dostoevskij potrebbe
trovarci un senso”). Poi, come spesso avviene, fu dimenticato. E
oggi ne resta solo una vaga eco, legata a un racconto con cui un
grande scrittore, Ivan Bunin, lo ricordò 35 anni dopo.
Battendo
il web per intero, gli unici riferimenti al delitto reale si trovano
nell'estratto di un volume dedicato alle opere di Bunin, (If
you see the Buddha: Studies in the Fiction of Ivan Bunin,
di Thomas Gaiton Marullo, Northwestern University Press, 1998),
mentre tutti gli altri autori si limitano a citare Delo
Corneta Elaghina ossia,
in Italiano, L'affare
dell'alfiere Elaghin,
il racconto di Bunin.
La copertina del libro di T.G. Marullo
La più nota edizione italiana di L'affare dell'alfiere Elaghin
Alcune edizioni in Francese e in Inglese
I
fatti relativi al delitto, sono i seguenti.
Avviene
a Varsavia, all'epoca appartenente all'Impero Russo, nella notte tra
il 18 e il 19 giugno (anche se alcune fonti riportano luglio) 1890. La vittima è una giovane attrice di
teatro, Marija Visnovska, uccisa con un solo colpo di pistola dal suo
amante, un giovanissimo alfiere degli ussari, Aleksandr Bartenev. Il
corpo della Visnovska viene rinvenuto nella casa della donna stessa,
disteso sul divano del soggiorno, accompagnato da una messinscena
postuma (indossa una vestaglia trasparente, gli abiti sono per terra,
intorno diversi mazzi di fiori, sul petto due biglietti d'addio), in
seguito alla confessione di Bartenev, che si è costituito
presentandosi di prima mattina al suo diretto superiore.
Marija Visnovska, da un giornale del tempo
Aleksandr Bartenev
Su
uno dei due biglietti è scritto “L'uomo che mi sta uccidendo
compie un'azione nobile. Egli è la mia giustizia”.
Bartenev
confessa che il progetto originario prevedeva un omicidio-suicidio,
ma non è stato portato a termine perché lui non ha trovato la forza
di rivolgere l'arma contro se stesso dopo aver ucciso la Visnovska
con un colpo al cuore.
Il
processo tiene banco per tutto il febbraio 1891 in cui si svolge. Il
legale di Bartenev, Fedor Nokiforovich Plevako, punta tutto sulla
stranezza della relazione tra i due, che sconfina spesso e volentieri
nella follia. La Visnovska amava la teatralità in tutte le sue
manifestazioni e ha soggiogato con il suo fascino e la sua
straordinaria avvenenza fisica l'ottuso Bartenev, un ragazzo pieno di
complessi d'inferiorità cui non sembra vero di essere l'amante (da
un certo punto in poi addirittura il fidanzato) di una donna così
bella e ammirata. Ma la relazione nasce già con scarse probabilità
di sfociare in qualcosa di definitivo: a parte il fatto che la
Visnovska ha qualche anno più di Bartenev, a parte il suo noto
passato di mangiatrice di uomini, c'è pure da tenere conto del fatto
che lei è polacca e cattolica, lui è russo e ortodosso, lei è di
origine borghese e lui appartiene ad una famiglia aristocratica che
mai accetterebbe il matrimonio con una donna del genere.
Fedor Nikiforovich Plevako
I
due si sono rifugiati quindi in un mondo di fantasie, in cui a farla
da padrone sono soprattutto le ossessioni suicide della Visnovska,
preesistenti all'incontro con Bartenev. E la situazione è andata
aggravandosi di giorno in giorno fino alla decisione del duplice
suicidio.
Un
tribunale militare, senza giuria, degrada Bartenev a soldato semplice, lo priva del titolo nobiliare e lo condanna a otto anni di lavori forzati. Quest'ultima pena non sarà
però mai scontata, e limitata a un esilio a Omsk, in Siberia. Bartenev fu poi rilasciato grazie a un'opportuna amnistia, seguita al matrimonio dell'imperatore Nicola II, nel 1894, e riebbe anche il suo titolo nobiliare.
Tuttavia,
Bartenev, secondo quanto riporta Marullo, non si riprenderà più dalla vicenda e trascorrerà il
resto della vita abbandonato a se stesso, fino a ridursi a un
vagabondo. Stando alle fonti di Marullo, la sua morte è datata 12 dicembre 1916, ma le fonti non
sono concordi su dove sia avvenuta, se a Varsavia o nella sua città
natale, Tambov, nella Russia Europea, distante solo circa 120 km da
Voronez, città d'origine di Ivan Bunin.
I siti in lingua russa riportano però anche altre versioni che vale la pena di riferire: una riferisce che, secondo i giornali di Varsavia, nel 1932 uno strano vagabondo si aggira per la capitale polacca, dorme nell'ospizio dei poveri e passa la giornate sulla tomba dell'attrice Marija Visnovska, e tale individuo sarebbe stato identificato come Aleksandr Bartenev; un'altra riporta che Bartenev, tornato in libertà, riprese il suo servizio nell'esercito e sposò una certa Elizaveta Terekhova, dopodiché non si sa altro di lui (la vicenda del matrimonio potrebbe essere comunque compatibile sia con la morte nel 1916 sia con la ricomparsa a Varsavia nel 1932).
Una foto e un ritratto di Ivan Bunin da giovane
Bunin esule in Francia nel 1937
Il monumento a Bunin inaugurato nel 1995 a Elec, circa 100 km da Voronez
Bunin
appartiene, come Bartenev, a una famiglia aristocratica, ed è nato
il 22 ottobre 1870. Ha quindi 20 anni all'epoca del delitto e ne
segue appassionatamente tutta la vicenda sui giornali. Già noto come
scrittore, dopo la Rivoluzione del 1917 sceglie di lasciare la Russia
per trasferirsi in Europa Occidentale: prima in Svizzera, dove sarà
ospite di un altro celebre esule suo amico, il pianista-compositore
Sergej Rachmaninov, e poi in Francia, dove vivrà fino alla
scomparsa, avvenuta a Parigi l'8 novembre 1953. Nel 1930, è il primo
scrittore di lingua russa a essere insignito del Premio Nobel per la
Letteratura: ma lo riceverà da “apolide”, essendo stato privato
della cittadinanza russa e non avendone ricevuta alcuna altra e
quindi trovandosi solo in possesso del passaporto rilasciato dalla
Fondazione di Fridtjof Nansen e riconosciuto valido dalla Società
delle Nazioni per facilitare i movimenti di profughi e rifugiati,
detti appunto apolidi.
Sergej Rachmaninov (1873-1943)
Fridtjof Nansen (1861-1930), esploratore polare e filantropo, premio Nobel per la pace nel 1922
Un passaporto Nansen
5
anni prima del Nobel, Bunin ha pubblicato L'affare
dell'alfiere Elaghin,
scritto sicuramente prima ma non si sa con precisione quando. In
questo lungo racconto, la vicenda viene presentata cambiando alcuni
dettagli (il fatto è avvenuto, a detta del narratore, “il 19
giugno dell'anno scorso”) e i cognomi dei protagonisti: Marija
Visnovska diventa Marija Sosnovskaja (un cognome che suona più russo
che polacco) e Aleksandr Bartenev diventa Aleksandr Elaghin.
La
storia è costruita come un mystery psicologico: sappiamo cosa è
accaduto, sappiamo chi è stato, ma non riusciamo a ricostruire il
movente. Dagli scarni resoconti disponibili, non abbiamo né immagini
dei due protagonisti né dati sulla loro effettiva età: Bunin
descrive Marija come una donna slanciata, bruna e pallida dai grandi
occhi, simile a certe modelle dei quadri coevi di Giovanni Boldini;
mentre Aleksandr è un ragazzo basso, tozzo e goffo, rosso e
lentigginoso. Marija ha 28 anni, Aleksandr 22, e si sono conosciuti
appena 4 mesi prima del delitto.
Di
Aleksandr, i commilitoni rivelano che è un buon diavolo,
fondamentalmente gentile, soprattutto con i subordinati, ma tendente
a un'instabilità caratteriale che lo porta a oscillare tra
l'allegria e la tristezza nel giro di pochi istanti. Orfano di madre,
è entrato in Accademia militare soprattutto per sottrarsi alle
angherie di un padre totalmente anaffettivo.
Di
Marija invece si dice che fosse una donna molto istruita ma
facilmente impressionabile, molto influenzata dalle finzioni
letterarie e teatrali come una Madame Bovary, decisa a vivere senza
perdersi nulla della vita, soprattutto per quanto riguarda la sfera
intima, convinta che come l'intenditore di vini debba assaggiare i
prodotti di tutte le cantine senza mai ubriacarsi, una donna
emancipata deve provare tutti gli uomini che le piacciono senza
innamorarsi di nessuno.
Il
rapporto di Marija con gli amanti è però fortemente condizionato
dalla sua ossessione per la morte e per il suicidio: nasconde in casa
ogni tipo di armi e di veleni e, a volte, mette alla prova la
devozione dell'amante di turno con scenate a metà tra Eros e
Thanatos, ad esempio puntandosi una pistola carica alla testa e
dichiarando che si sparerà se non sarà immediatamente baciata sulle
labbra o mettendosi in bocca una pillola di stricnina e annunciando
che la ingoierà se nessuno si getterà in ginocchio davanti a lei e
le bacerà i piedi. Com'è facilmente immaginabile, per quanto Marija
sia bellissima e sensuale, a lungo andare, le sue mattane inducono
gli innamorati a squagliarsela, fino a quando si imbatte nel modesto
Elaghin, che rimane completamente soggiogato da lei.
La
situazione tra i due degenera proprio quando provano a farla
diventare stabile scambiandosi degli anelli di fidanzamento. Marija,
che sa anche di essere tubercolotica anche se lo ha nascosto ad
Aleksandr, è consapevole che la finzione del fidanzamento non
reggerà alla prova dei fatti, ma si rifiuta di affrontare la prova
stessa. Aleksandr, dal canto suo, dichiara che non potrà mai vivere
senza di lei. L'unica via d'uscita è il doppio suicidio, ma andrà a
finire come già visto.
La
conclusione di Bunin, dopo la condanna di Aleksandr, è inquietante.
La giustizia degli uomini ha deciso. Ma cosa deciderebbe la giustizia
di Dio? E, soprattutto, cosa direbbe Marija, se potesse parlare
adesso?
Secondo una visione più moderna, comunque, non è da escludersi che si sia trattato di un femminicidio in piena regola: Bartenev si sarebbe disfatto dell'amante troppo esigente e ingombrante,. avrebbe preparato la messinscena dell'omicidio-suicidio alla Romeo e Giulietta fallito all'ultimo istante e avrebbe trovato molte complicità nelle autorità che seguirono le indagini. La narrazione di Plevako, conforme a un certo cliché romantico, avrebbe fatto il resto. Non si può dire se le cose siano andate davvero così, ma nemmeno si può escludere.
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