giovedì 12 luglio 2018

Dalla realtà alla letteratura: il delitto Visnovska-Bartenev del 1890


La vicenda del delitto, ai tempi, godette di una immensa notorietà, al punto da coinvolgere, nel giudizio, anche intellettuali di primo piano (Cechov ebbe a dichiarare al riguardo, durante il processo: “È una storia così complessa e assurda che solo un Dostoevskij potrebbe trovarci un senso”). Poi, come spesso avviene, fu dimenticato. E oggi ne resta solo una vaga eco, legata a un racconto con cui un grande scrittore, Ivan Bunin, lo ricordò 35 anni dopo.
Battendo il web per intero, gli unici riferimenti al delitto reale si trovano nell'estratto di un volume dedicato alle opere di Bunin, (If you see the Buddha: Studies in the Fiction of Ivan Bunin, di Thomas Gaiton Marullo, Northwestern University Press, 1998), mentre tutti gli altri autori si limitano a citare Delo Corneta Elaghina ossia, in Italiano, L'affare dell'alfiere Elaghin, il racconto di Bunin.
La copertina del libro di T.G. Marullo

La più nota edizione italiana di L'affare dell'alfiere Elaghin



Alcune edizioni in Francese e in Inglese

I fatti relativi al delitto, sono i seguenti.
Avviene a Varsavia, all'epoca appartenente all'Impero Russo, nella notte tra il 18 e il 19 giugno (anche se alcune fonti riportano luglio) 1890. La vittima è una giovane attrice di teatro, Marija Visnovska, uccisa con un solo colpo di pistola dal suo amante, un giovanissimo alfiere degli ussari, Aleksandr Bartenev. Il corpo della Visnovska viene rinvenuto nella casa della donna stessa, disteso sul divano del soggiorno, accompagnato da una messinscena postuma (indossa una vestaglia trasparente, gli abiti sono per terra, intorno diversi mazzi di fiori, sul petto due biglietti d'addio), in seguito alla confessione di Bartenev, che si è costituito presentandosi di prima mattina al suo diretto superiore.
Marija Visnovska, da un giornale del tempo
Aleksandr Bartenev

Su uno dei due biglietti è scritto “L'uomo che mi sta uccidendo compie un'azione nobile. Egli è la mia giustizia”.
Bartenev confessa che il progetto originario prevedeva un omicidio-suicidio, ma non è stato portato a termine perché lui non ha trovato la forza di rivolgere l'arma contro se stesso dopo aver ucciso la Visnovska con un colpo al cuore.
Il processo tiene banco per tutto il febbraio 1891 in cui si svolge. Il legale di Bartenev, Fedor Nokiforovich Plevako, punta tutto sulla stranezza della relazione tra i due, che sconfina spesso e volentieri nella follia. La Visnovska amava la teatralità in tutte le sue manifestazioni e ha soggiogato con il suo fascino e la sua straordinaria avvenenza fisica l'ottuso Bartenev, un ragazzo pieno di complessi d'inferiorità cui non sembra vero di essere l'amante (da un certo punto in poi addirittura il fidanzato) di una donna così bella e ammirata. Ma la relazione nasce già con scarse probabilità di sfociare in qualcosa di definitivo: a parte il fatto che la Visnovska ha qualche anno più di Bartenev, a parte il suo noto passato di mangiatrice di uomini, c'è pure da tenere conto del fatto che lei è polacca e cattolica, lui è russo e ortodosso, lei è di origine borghese e lui appartiene ad una famiglia aristocratica che mai accetterebbe il matrimonio con una donna del genere.
Fedor Nikiforovich Plevako
I due si sono rifugiati quindi in un mondo di fantasie, in cui a farla da padrone sono soprattutto le ossessioni suicide della Visnovska, preesistenti all'incontro con Bartenev. E la situazione è andata aggravandosi di giorno in giorno fino alla decisione del duplice suicidio.
Un tribunale militare, senza giuria, degrada Bartenev a soldato semplice, lo priva del titolo nobiliare e lo condanna a otto anni di lavori forzati. Quest'ultima pena non sarà però mai scontata, e limitata a un esilio a Omsk, in Siberia. Bartenev fu poi rilasciato grazie a un'opportuna amnistia, seguita al matrimonio dell'imperatore Nicola II, nel 1894, e riebbe anche il suo titolo nobiliare.
Tuttavia, Bartenev, secondo quanto riporta Marullo, non si riprenderà più dalla vicenda e trascorrerà il resto della vita abbandonato a se stesso, fino a ridursi a un vagabondo. Stando alle fonti di Marullo, la sua morte è datata 12 dicembre 1916, ma le fonti non sono concordi su dove sia avvenuta, se a Varsavia o nella sua città natale, Tambov, nella Russia Europea, distante solo circa 120 km da Voronez, città d'origine di Ivan Bunin.
I siti in lingua russa riportano però anche altre versioni che vale la pena di riferire: una riferisce che, secondo i giornali di Varsavia, nel 1932 uno strano vagabondo si aggira per la capitale polacca, dorme nell'ospizio dei poveri e passa la giornate sulla tomba dell'attrice Marija Visnovska, e tale individuo sarebbe stato identificato come Aleksandr Bartenev; un'altra riporta che Bartenev, tornato in libertà, riprese il suo servizio nell'esercito e sposò una certa Elizaveta Terekhova, dopodiché non si sa altro di lui (la vicenda del matrimonio potrebbe essere comunque compatibile sia con la morte nel 1916 sia con la ricomparsa a Varsavia nel 1932).

Una foto e un ritratto di Ivan Bunin da giovane

Bunin esule in Francia nel 1937

Il monumento a Bunin inaugurato nel 1995 a Elec, circa 100 km da Voronez

Bunin appartiene, come Bartenev, a una famiglia aristocratica, ed è nato il 22 ottobre 1870. Ha quindi 20 anni all'epoca del delitto e ne segue appassionatamente tutta la vicenda sui giornali. Già noto come scrittore, dopo la Rivoluzione del 1917 sceglie di lasciare la Russia per trasferirsi in Europa Occidentale: prima in Svizzera, dove sarà ospite di un altro celebre esule suo amico, il pianista-compositore Sergej Rachmaninov, e poi in Francia, dove vivrà fino alla scomparsa, avvenuta a Parigi l'8 novembre 1953. Nel 1930, è il primo scrittore di lingua russa a essere insignito del Premio Nobel per la Letteratura: ma lo riceverà da “apolide”, essendo stato privato della cittadinanza russa e non avendone ricevuta alcuna altra e quindi trovandosi solo in possesso del passaporto rilasciato dalla Fondazione di Fridtjof Nansen e riconosciuto valido dalla Società delle Nazioni per facilitare i movimenti di profughi e rifugiati, detti appunto apolidi.
Sergej Rachmaninov (1873-1943)

Fridtjof Nansen (1861-1930), esploratore polare e filantropo, premio Nobel per la pace nel 1922

Un passaporto Nansen

5 anni prima del Nobel, Bunin ha pubblicato L'affare dell'alfiere Elaghin, scritto sicuramente prima ma non si sa con precisione quando. In questo lungo racconto, la vicenda viene presentata cambiando alcuni dettagli (il fatto è avvenuto, a detta del narratore, “il 19 giugno dell'anno scorso”) e i cognomi dei protagonisti: Marija Visnovska diventa Marija Sosnovskaja (un cognome che suona più russo che polacco) e Aleksandr Bartenev diventa Aleksandr Elaghin.
La storia è costruita come un mystery psicologico: sappiamo cosa è accaduto, sappiamo chi è stato, ma non riusciamo a ricostruire il movente. Dagli scarni resoconti disponibili, non abbiamo né immagini dei due protagonisti né dati sulla loro effettiva età: Bunin descrive Marija come una donna slanciata, bruna e pallida dai grandi occhi, simile a certe modelle dei quadri coevi di Giovanni Boldini; mentre Aleksandr è un ragazzo basso, tozzo e goffo, rosso e lentigginoso. Marija ha 28 anni, Aleksandr 22, e si sono conosciuti appena 4 mesi prima del delitto.
Di Aleksandr, i commilitoni rivelano che è un buon diavolo, fondamentalmente gentile, soprattutto con i subordinati, ma tendente a un'instabilità caratteriale che lo porta a oscillare tra l'allegria e la tristezza nel giro di pochi istanti. Orfano di madre, è entrato in Accademia militare soprattutto per sottrarsi alle angherie di un padre totalmente anaffettivo.
Di Marija invece si dice che fosse una donna molto istruita ma facilmente impressionabile, molto influenzata dalle finzioni letterarie e teatrali come una Madame Bovary, decisa a vivere senza perdersi nulla della vita, soprattutto per quanto riguarda la sfera intima, convinta che come l'intenditore di vini debba assaggiare i prodotti di tutte le cantine senza mai ubriacarsi, una donna emancipata deve provare tutti gli uomini che le piacciono senza innamorarsi di nessuno.
Il rapporto di Marija con gli amanti è però fortemente condizionato dalla sua ossessione per la morte e per il suicidio: nasconde in casa ogni tipo di armi e di veleni e, a volte, mette alla prova la devozione dell'amante di turno con scenate a metà tra Eros e Thanatos, ad esempio puntandosi una pistola carica alla testa e dichiarando che si sparerà se non sarà immediatamente baciata sulle labbra o mettendosi in bocca una pillola di stricnina e annunciando che la ingoierà se nessuno si getterà in ginocchio davanti a lei e le bacerà i piedi. Com'è facilmente immaginabile, per quanto Marija sia bellissima e sensuale, a lungo andare, le sue mattane inducono gli innamorati a squagliarsela, fino a quando si imbatte nel modesto Elaghin, che rimane completamente soggiogato da lei.
La situazione tra i due degenera proprio quando provano a farla diventare stabile scambiandosi degli anelli di fidanzamento. Marija, che sa anche di essere tubercolotica anche se lo ha nascosto ad Aleksandr, è consapevole che la finzione del fidanzamento non reggerà alla prova dei fatti, ma si rifiuta di affrontare la prova stessa. Aleksandr, dal canto suo, dichiara che non potrà mai vivere senza di lei. L'unica via d'uscita è il doppio suicidio, ma andrà a finire come già visto.
La conclusione di Bunin, dopo la condanna di Aleksandr, è inquietante. La giustizia degli uomini ha deciso. Ma cosa deciderebbe la giustizia di Dio? E, soprattutto, cosa direbbe Marija, se potesse parlare adesso?
Secondo una visione più moderna, comunque, non è da escludersi che si sia trattato di un femminicidio in piena regola: Bartenev si sarebbe disfatto dell'amante troppo esigente e ingombrante,. avrebbe preparato la messinscena dell'omicidio-suicidio alla Romeo e Giulietta fallito all'ultimo istante e avrebbe trovato molte complicità nelle autorità che seguirono le indagini. La narrazione di Plevako, conforme a un certo cliché romantico, avrebbe fatto il resto. Non si può dire se le cose siano andate davvero così, ma nemmeno si può escludere. 


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