Raymond Guérin è uno scrittore poco
noto oggi, ma sempre molto stimato dai critici.
Nacque a Parigi il 2 agosto 1905,
figlio del direttore di sala di un importante ristorante, la Taverne
Duménil di Montparnasse. Dopo le scuole, il padre lo indirizzò
verso diversi percorsi professionali, tra cui quello di restauratore
e quello di cameriere d'albergo (di cui avrebbe trattato nel suo
romanzo più noto, L'apprenti, del 1946), ma presto si
palesarono le inclinazioni letterarie, con la fondazione di una
piccola rivista, la Revue Libre, che durò sette numeri.
Intanto, la famiglia Guérin si era trasferita a Bordeaux, dove il
padre aveva aperto un'agenzia di assicurazioni. In questa agenzia,
Raymond avrebbe lavorato per tutto il resto della vita.
Raymond Guérin
Dopo un precoce matrimonio, durato dal
1928 al 1933, si mise a scrivere ispirandosi alle proprie vicende
autobiografiche e il primo romanzo, Zobain (1936),
che tratta proprio del fallimento di un matrimonio, ottenne buoni
giudizi critici. Ancora meglio andò Quand
vient la fin (1940), ispirato alla malattia e alla morte
del padre, che piacque a gente come Albert Camus e Jean Paulhan.
Durante la guerra del 1940, fu preso
prigioniero e deportato in Germania, dove rimase fino al 1944. Le
esperienze di prigionia furono particolarmente importanti
nell'evoluzione della sua poetica. Al ritorno, si risposò con Sonja
Benjacob, che sarebbe rimasta con lui fino alla morte.
Riprese a fare l'agente assicurativo,
perché i suoi romanzi vendevano poco, nonostante le ottime critiche.
Continuò a scrivere romanzi di stampo autobiografico, come Les
poulpes (1953). ispirato alla prigionia in Germania, in cui
compare il personaggio del suo “doppio”, Mr. Hermes, destinato a
ritornare in altre opere.
Amico di Curzio Malaparte, dopo uno
scambio epistolare con questo, fu invitato a raggiungerlo a Capri e,
nel marzo del 1950, trascorse tre settimane ospite dell'autore
italiano.
Guérin con Malaparte a Capri
Guérin era un forte fumatore e
l'esperienza della prigionia aveva ulteriormente minato la sua
salute. Nel 1952 una infezione respiratoria degenerò in una pleurite
che si cronicizzò. Nonostante questo, lo scrittore sottovalutò il
pericolo che correva e si fece curare troppo tardi. Le conseguenze
della malattia (cui dedicò anche un diario, uscito postumo nel 1982,
Le pus de la plaie) lo condussero a morte il 12 settembre
1955.
Guérin è un osservatore lucido e
disincantato della condizione umana, un autore che non crede in nulla
ed è anzi convinto che tutte le nostre convinzioni siano solo il
frutto dell'esposizione alla propaganda di qualcuno. Appare in questo
senso particolarmente significativo uno scritto apparso postumo nel
2006, Représailles, risalente al 1944, in cui racconta del
ritorno a casa dalla prigionia, ma l'euforia della libertà ritrovata
si scontra con la ripugnanza di fronte ai tanti processi sommari in
cui vengono giudicati e condannati i collaborazionisti.
In Italiano, di Guérin, sono state
tradotte solo due opere relativamente “minori”, ossia il lungo
racconto La peau dure (La pelle dura) del 1948 e il
romanzo La tête
vide (La
testa vuota) del 1952,
entrambi grazie a Il Melangolo.
La
pelle dura vede al
centro le vicende parallele di tre sorelle (Clara, Louison e
Jacquotte) che sono state letteralmente cacciate di casa dopo il
nuovo matrimonio del padre, perché invise alla matrigna. Erano già
state educate con una severità fatta di botte e divieti, perché si
facessero, come dice il genitore, “la pelle dura”, in vista di
ciò che le aspetta da adulte. Le tre si arrangiano a fare i mestieri
che hanno imparato, soprattutto cameriere e cucitrici, ma poi vengono
spedite come lavoratrici coatte in Germania durante l'occupazione.
Qui passano per diverse privazioni ma anche per una vita promiscua e
alla giornata, tra amanti, aborti e un figlio di Clara che muore dopo
pochi mesi, ma riescono a tornare a casa tutte e tre quando la guerra
finisce.
Clara,
la più mite e meno ambiziosa delle tre, viene arrestata per essersi
procurata un aborto, anche se in realtà ha perso spontaneamente il
bambino. La sua posizione si chiarisce con qualche difficoltà e,
dopo qualche tempo, può tornare a servizio dai suoi ex padroni, che
l'hanno sempre sostenuta.
Jacquotte,
che sembra aver fatto un buon matrimonio con un piccolo commerciante,
in realtà vive una difficile realtà familiare che la porta a
separarsi dal marito, il quale però trova il modo di sottrarle la
figlia, cui è legatissima, con la scusa della sua pessima salute.
Infatti la donna entra e esce da sanatori e ospedali, ma questo non
le impedisce di legarsi a un altro uomo, relativamente benestante ma
non intenzionato a sposarla, che la mette incinta di nuovo.
Louison,
che è la più cinica e ambiziosa delle tre, passa da un uomo
all'altro a seconda della disponibilità di questi a sovvenzionarla e
si sforza di aiutare le sorelle a uscire dai guai. Benché la sua sia
la condizione moralmente più riprovevole, è la sola delle tre a
poter vantare una minima autonomia.
Il
libro apre un importante finestra sulla condizione femminile del
tempo ed è composto dalla successione di tre capitoli, in cui ognuna
delle tre donne racconta la propria vita e il proprio punto di vista
sulle altre in prima persona.
Molto
più complesso è La testa vuota, che
utilizza lo stile del giallo per indagare sui più reconditi recessi
della mente umana. Nelle campagne della sonnacchiosa provincia
bordolese, nell'inverno 1945-46, vengono rinvenuti i cadaveri di un
uomo e di una donna, morti mentre stavano facendo l'amore vestiti
sull'erba. Tutto sembra indicare che l'uomo ha ucciso la donna con un
colpo di pistola alla tempia e poi si è suicidato nello stesso modo.
La
narrazione si apre con una serie di verbali di polizia che descrivono
il rinvenimento dei corpi e le prime indagini. Seguono poi le
testimonianze di parenti e familiari. I due sono persone diversissime
tra loro e nessuno sapeva che avessero una relazione, anche se delle
lettere scritte dall'uomo, scoperte dopo qualche giorno, mostrano che
durava già da qualche tempo. Lui era Gustave Tonnellier, un
ufficiale giudiziario di mezza età, un tipo chiuso sposato da molto
tempo con una bigotta e padre di un figlio; lei, Suzanne Chicoine
sposata Barcenas, moglie ancora giovane di un ricco pellicciaio e
madre di quattro figli, cosa che però non le impediva di condurre
una vita privata piuttosto vivace e libertina. Le testimonianze
esprimono punti di vista quanto mai soggettivi: Victor, il marito di
Suzanne, afferma che il loro matrimonio era felice e di non aver
avuto mai ragioni di dubitare della fedeltà della moglie; la
cameriera Marie sostiene invece che Suzanne si sentiva prigioniera e
non vedeva l'ora di lasciarlo; anche Yvonne, la moglie di Gustave,
afferma che il loro matrimonio era felice.
Un'ulteriore
dettaglio è che Suzanne era rimasta incinta di Gustave e che
entrambi erano entusiasti di questo sviluppo ed avevano deciso di
lasciare le rispettive famiglie e andare a vivere insieme al più
presto.
L'omicidio-suicidio
appare dunque inspiegabile.
L'ultima
parte del romanzo comprende il diario di Claude Pellegrin, un
possidente che si diletta di giornalismo e che è stato tra i primi a
scoprire i corpi. Pellegrin è letteralmente ossessionato dal caso e
setaccia in tutti i modi le deposizioni, cercando di rilevare
qualsiasi incongruenza. Ve ne sono molte, ma ciò comunque non spiega
la folle scelta di Tonnellier. Ma intanto l'ossessione di Pellegrin,
che è rimasto solo per qualche tempo con i cadaveri e ne ha
approfittato per toccarli ripetutamente, diventa irresistibile.
Casualmente, sul luogo dei fatti, scopre una molletta per
giarrettiere persa da Suzanne e la conserva. Non riesce a smettere di
pensarci e alla fine la porta nel bordello che frequenta, chiedendo
alla sua prostituta preferita di indossarla.
L'incapacità
di arrivare a una verità definita a livello di movente mostra con la
massima evidenza la difficoltà a tradurre le azioni altrui in
ragioni che stanno alla loro base e lascia il dubbio che spesso
queste ragioni non esistano, che le persone agiscano spesso seguendo
oscuri impulsi di cui ignorano qualunque origine, eppure talmente
forti da far passare in secondo piano la questione delle conseguenze.
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