La Sassonia è oggi uno dei sedici
“Bundesländer”, ossia
Stati federati, che costituiscono la Germania, grazie alla
riunificazione del 1990 (nei 45 anni precedenti aveva fatto parte
della Germania Est) e si trova ai confini con Polonia e Repubblica
Ceca, in un'area che nel corso dei secoli è passata per vicende
storiche travagliatissime. In effetti, il toponimo Sassonia, nel
tempo, ha indicato territori di estensione molto variabile e la
Sassonia dell'VIII secolo non corrisponde a quella del XV, così come
quella attuale non corrisponde a nessuna delle due precedenti.
Prima della riunificazione tedesca del
XIX secolo, la Sassonia apparteneva all'ex Sacro Romano Impero,
inizialmente (circa intorno al 700 d. C.) indicata come ducato e poi
successivamente, dal 1423, come principato. I suoi “principi
elettori” (ossia appartenenti al ristretto collegio qualificato a
eleggere l'imperatore) appartenevano alla dinastia Wettin, che nel
1485 divisero il territorio tra due fratelli, la Turingia assegnata a
Ernesto (principe e capostipite della “linea ernestina”) con
capitale a Wittenberg, e la Sassonia assegnata a Alberto (duca e
capostipite della “linea albertina”) con capitale a Dresda.
La Sassonia del tempo: la Turingia in rosso e la Sassonia in giallo
Le due casate avrebbero tenuto nei
secoli successivi dei comportamenti molto differenti, con parecchie
conseguenze a livello di divisioni, aggiunte e perdite di territori,
ma non è questo che ci occuperemo adesso.
Nella prima parte del XVI secolo, la
Sassonia fu interessata da una serie di gravi disordini, la cui
origine era da ricercarsi nella vicenda privata di un sopruso
commesso da un nobile sassone ai danni di un borghese originario del
Bundesländer che si trova
a Nord della Sassonia, il Brandeburgo (all'epoca, occorre sempre
ricordarlo, i confini tra Sassonia e Brandeburgo non coincidevano con
quelli attuali).
Nell'ottobre del 1532, il mercante Hans
Kohlhaase, nato intorno al 1500, originario di Cölln
(oggi quartiere periferico di Berlino, all'epoca parte del
Brandeburgo) e discendente da una famiglia benestante di fabbri e
sarti, si stava recando alla fiera di Lipsia, in Sassonia, quando dei
“bravi” al servizio del nobile sassone Gunther von Zaschwitz lo
attaccarono, mentre attraversava il villaggio di Wellaune, e gli
rubarono due cavalli, accusandolo di averli precedentemente rubati a
von Zaschwitz.
A
Kohlhaase fu impedito di mandare a chiamare a Lipsia delle persone
che avrebbero potuto attestare la sua buona fede e fu interrogato da
un magistrato locale in modo così arrogante e intimidatorio da
determinare in lui uno scoppio d'ira che lo portò a minacciare con
un coltello e a schiaffeggiare uno degli uomini di von Zaschwitz,
prima di andarsene e proseguire il viaggio a piedi.
Un ritratto di Kohlhaase
Kohlhaase
arrivò di conseguenza con grave ritardo alla fiera, con notevole
danno per i suoi affari. Al ritorno, ripassando obbligatoriamente per
Wellaune, gli uomini di von Zaschwitz gli chiesero un riscatto per la
liberazione degli animali. Kohlhaase non solo non pagò, ma chiese un
risarcimento per i danni che aveva subito, tramite una lettera
redatta dall'ufficiale giudiziario di Bitterfeld. Arrivato a casa, si
rivolse al suo sovrano, il principe di Brandeburgo Joachim I Nestor
(1484-1535) Quest'ultimo cercò la mediazione del principe di
Sassonia Johann Frederich I (1503-54), che mise la faccenda in mano
al tribunale.
Joachim I Nestor di Brandeburgo
Johann Frederich I di Sassonia
Il
13 maggio 1533, a Burg Düben,
si discusse la causa. Kohlhaase, assistito da un avvocato, chiese
l'archiviazione dell'accusa di furto che pendeva ancora su di lui, il
rimborso del doppio del valore dei cavalli e 150 fiorini per i danni
economici subiti con il ritardo alla fiera. Von Zaschwitz pretendeva
invece 12 fiorini per il mantenimento dei cavalli. Kohlhaase accettò
di pagare il mantenimento e ridusse la propria richiesta di
risarcimento a soli 4 fiorini, a patto di riavere i cavalli. Ma
questi, che nel frattempo erano stati sfruttati nei lavori di
campagna pur non essendo animali adatti a quelle attività, gli
furono restituiti in condizioni così pessime che uno morì il giorno
dopo la restituzione.
La
reazione di Kohlhaase fu di rinunciare alle vie legali, per passare
alle vie di fatto, violando quella “pace perpetua” che, dal 1495,
assegnava tutti i poteri giudiziari alle autorità istituzionali,
vietando ogni forma di giustizia privata. Nel 1534, scrisse e diffuse
una “lettera feudale” con cui esortava tutti quelli che fossero
vittime di soprusi da parte dei sassoni a ribellarsi contro di essi.
Anche se non si hanno notizie di fatti violenti importanti, i sassoni
si rivolsero alla magistratura del Brandeburgo, ma questa rispose che
Kohlhaase aveva rinunciato a tutti i suoi diritti di cittadinanza
brandeburghesi e pertanto non era più perseguibile come cittadino
brandeburghese.
Da
quel momento in poi, nella Sassonia settentrionale, ossia l'area più
prossima al Brandeburgo, si verificarono sempre più atti vandalici,
soprattutto incendi, dei quali fu incolpato Kohlhaase. Un nobile
sassone della zona, Eustachius von Schlieben (1490-1568), si offrì
come mediatore e, con molta fatica, a forza di sottoscrizioni di
dichiarazioni giurate, riuscì a ottenere un accordo extragiudiziale
piuttosto favorevole a Kohlhaase, che veniva scagionato dalle
precedenti accuse e otteneva un risarcimento dagli eredi di von
Zaschwitz, morto nel frattempo. Tuttavia, il principe elettore Joahnn
Friderich I annullò tutto e impose una taglia di 100 talleri su
Kohlhaase, ormai considerato un bandito.
Kohlhaase
si rivolse anche a Martin Lutero, che gli consigliò espressamente di
evitare la violenza.
Kohlhaase in visita a Lutero, in una stampa del tempo
Nel
1535, Kohlhaase visse come un bandito, anche se quasi certamente gli
furono attribuiti anche atti di violenza commessi in realtà da
altri. L'unica azione sicuramente ascrivibile a lui è l'incendio di
un mulino a Gömnigk,
il 26 maggio. Successivamente, Eustachius von Schlieben riuscì a
raggiungerlo e a convincerlo a trattenersi in attesa di un nuovo
giudizio in tribunale.
Tuttavia,
questo giudizio si fece aspettare molto e arrivò solo nel 1537.
Intanto, era morto il principe elettore di Brandeburgo, Joachim I
Nestor, e il suo successore, Joachim II Hector (1505-1571), si rivelò
sempre meno interessato alla risoluzione della vicenda, arrivando a
rilasciare a Kohlhaase un salvacondotto valido per tutto il
Brandeburgo, in data 5 febbraio 1536. Il giudizio del 1537 lasciò le
cose in sospeso e ne fu convocato un altro per l'inizio del 1538. In
quest'occasione, la Sassonia chiese espressamente al Brandeburgo di
imprigionare Kohlhaase, il cui salvacondotto fu annullato in luglio.
Il 23 dello stesso mese, Kohlhaase rapì un mercante di Wittenberg,
Georg Reich, e lo tenne come ostaggio fino all'11 agosto, quando
dovette sfuggire precipitosamente a un tentativo di cattura. Reich fu
dato per disperso ma tornò a casa qualche settimana dopo.
Joachim II Hector di Brandeburgo
Il
Brandeburgo autorizzò allora la magistratura sassone ad operare sul
suo territorio. In poche settimane, i sassoni arrestarono,
torturarono e giustiziarono circa 300 contadini sospetti di essere
complici di Kohlhaase. Quest'ultimo reagì formando una piccola banda
che attraversava il Paese compiendo ogni sorta di azioni di vendetta
verso chiunque collaborasse con i sassoni. Il 7 novembre, alla testa
di un gruppo di 35 uomini, saccheggiò il villaggio di Marzanha.
Nel
1539, le autorità brandeburghesi perseguivano ufficialmente
Kohlhaase: ma gran parte della popolazione, stanca dei soprusi dei
sassoni, era con lui. Le violenze della banda di Kohlhaase
continuavano. Il principe elettore di Sassonia prese in
considerazione la possibilità di offrirgli un accordo, sollecitato
in tal senso anche da quello del Brandeburgo, al quale si era rivolta
la moglie di Kohlhaase in cerca di aiuto.
Tuttavia,
nel febbraio del 1540, Kohlhaase esagerò. Fino ad allora, le sue
attività si erano svolte a danno dei sassoni o dei brandeburghesi
collaborazionisti, ma stavolta si rivolse contro il suo stesso
principe elettore, attaccando e depredando un carico di argento di
sua proprietà mentre transitava nel villaggio di Kohlhasenbrück. A
questo punto, il principe Joachim II Hector non poteva rimanersene
con le mani in mano. Kohlhaase fu arrestato mentre si trovava in
famiglia, a Berlino.
Il
processo fu molto rapido, l'accusa di violazione della Pace Perpetua
era molto grave. Il 22 marzo 1540, Kohlhaase e i suoi complici furono
condannati a morte. La sentenza fu eseguita nell'attuale Strausberger
Platz: non si sa esattamente quale tipo di supplizio gli fu
somministrato (la ruota o la decapitazione) perché i relativi
incartamenti sono andati perduti.
Oltre
due secoli e mezzo dopo, il drammaturgo tedesco Heinrich von Kleist,
che era anche un ottimo autore di racconti, lesse quanto era rimasto
sulla vicenda e decise di trarne una storia narrativa, che uscì in
forma parziale su una rivista nel 1808 e in forma definitiva in un
volume di racconti nel 1810. Nacque così il “Michael Kohlhaas”,
un classico della letteratura del primo '800.
Heinrich von Kleist (1777-1811)
Frontespizio della prima edizione in volume
Alcune delle tante edizioni tedesche
Una delle tante edizioni italiane
Nella
finzione di Kleist, la vicenda è ulteriormente drammatizzata dal
fatto che Kohlhaas, il protagonista, dopo aver subito lo stesso
sopruso della realtà, viene respinto in tutte le sue azioni legali
in quanto borghese e non aristocratico, quindi estraneo alle
connivenze con cui i detentori del potere si proteggono a vicenda.
Inoltre, sua moglie viene accidentalmente uccisa mentre cerca di
consegnare una supplica al principe brandeburghese. Cominciano così
le violenze di Kohlhaas, che si interrompono solo per l'intercessione
di Lutero, cui l'uomo è devoto. Tuttavia, in attesa di una
definizione giudiziaria del caso, avviene che uno dei luogotenenti
della sua banda, facendosi forte del suo nome, continui le violenze
dandosi a ogni sorta di razzie e vandalismi, così il salvacondotto
di Kohlhaas viene ritorato e l'uomo è arrestato dai sassoni e
condannato a morte. Ma il principe elettore del Brandeburgo ne
reclama e ne ottiene l'estradizione.
Mentre
viene portato a Berlino, Kohlhaas riceve la visita di un uomo
sconosciuto che altri non è se non il principe elettore di Sassonia,
interessato a un misterioso foglio che Kohlhaas porta con sé,
contenente la profezia di una zingara sul destino della casa regnante
sassone, che farebbe seguito a un'altra nefasta profezia già
avveratasi. Il principe, per sottrarre il foglio a Kohlhaas, recluta
una zingara che va a visitarlo in carcere, ma per combinazione questa
è proprio l'autrice della profezia, che consiglia a Kohlhaas di
decidere secondo coscienza cosa farne.
Il
principe elettore di Brandeburgo conferma la condanna di Kohlhaas ma
infligge anche una dura condanna allo junker sassone che lo ha
sottoposto ai propri abusi di potere. Kohlhaas va al patibolo, ma con
la soddisfazione di vedere riconosciute le sue ragioni. In ultimo,
viene a sapere della presenza del principe elettore sassone
all'esecuzione, con l'intenzione di sottrargli il foglio con la
profezia dopo morto e, riconosciuto l'uomo in mezzo alla folla,
distrugge il foglio stesso ingoiandolo subito prima di essere
decapitato.
Il
racconto di von Kleist, oltre a innumerevoli edizioni, ha avuto anche
almeno due versioni cinematografiche. Una di Volker Schlöndorff
nel 1969 e una di Arnaud des Pallières nel 2015.
Locandine dei due film
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