Che la sfortuna possa perseguitare un
uomo innocente fino a ucciderlo si mette in conto nella realtà, ma
che a essa possa aggiungersi anche la legge diventa un'ipotesi
inaccettabile per il buon senso. Eppure questo è accaduto molte
volte durante i processi penali, soprattutto nei Paesi come gli Usa,
in cui le condanne capitali sono state spesso comminate ed eseguite
con una disinvoltura indegna di un Paese civile.
I casi che potrebbero essere citati
sono tanti, ma uno dei più celebri è relativo a un processo che
alla metà degli anni '50 appassionò tutta l'America durante il suo
svolgimento, che peraltro non fu affatto tra i più corretti. I
tentativi della difesa di annullarlo per ottenere un nuovo giudizio
furono poi frustrati dalla volontà dell'amministrazione di chiudere
il caso alla svelta, anche a costo di affrettare i tempi
dell'esecuzione al di là di quello che era permesso da leggi e
regolamenti.
Ma andiamo per ordine.
Si parte naturalmente da un delitto, un
delitto mostruoso ed efferato. La vittima si chiama Stephanie Bryan
ed è una studentessa di 14 anni, figlia di un medico di Berkeley,
California, che scompare nel pomeriggio del 28 aprile 1955 dopo aver
attraversato il parcheggio dell'Hotel Claremont. Il 1° e il 5 maggio
arrivano due lettere con richieste di riscatto alla famiglia, poi i
rapitori non si fanno più sentire.
Stephanie Bryan
Il 16 luglio 1955, una donna di nome
Georgia Abbott, residente ad Alameda, poco distante da Berkeley,
contatta la polizia perché, nel seminterrato della casa che divide
con il marito, il figlio di 4 anni e la suocera, ha trovato una borsa
contenente un documento di identità intestato a Stephanie. La
polizia compie un sopralluogo sul posto e scopre altri effetti
personali della ragazza, come gli occhiali e il reggiseno. La suocera
di Georgia, Elsie Moore, dichiara di aver già visto la borsa nel
seminterrato e di non averla aperta, non sospettando nulla.
Viene interrogato anche il marito di
Georgia, Burton Abbott, un ventisettenne che studia Contabilità
all'Università della California. Quando gli viene chiesto l'alibi
per il 28 aprile, Abbott dichiara che si trovava presso un capanno di
proprietà della sua famiglia nella campagne di Weaverville, sempe in
Califormia ma a oltre 500 km di distanza. Il 20 luglio, mentre il
capanno viene ispezionato, uno dei tanti civili che si sono uniti
alle ricerche, un venditore di automobili di nome Leroy Myers,
richiama l'attenzione del giornalista Edward Montgomery del San
Francisco Examiner e del fotografo Bob Bryant su un tumulo di
terra smossa qualche centinaio di metri dietro il capanno stesso.
Dallo scavo che segue, emerge il corpo già notevolmente decomposto
di Stephanie.
Il luogo in cui venne rinvenuto il corpo
Burton Abbott viene arrestato e
incriminato con l'accusa di stupro e omicidio.
Burton Abbott durante gli interrogatori
Il processo si tiene a Oakland. Le
prove sono solo circostanziali: nulla indica che Burton Abbott abbia
direttamente avuto a che fare con la ragazza. Tuttavia, il
procuratore distrettuale J. Frank Coakley non rinuncia a nulla pur di
ottenere un verdetto di colpevolezza. Descrive, non si sa in base a
quali risultanze scientifiche, Abbott come un maniaco sessuale, che
avrebbe ucciso Stephanie perché questa si sarebbe difesa durante uno
stupro. Ma in realtà lo stato di decomposizione del corpo non ha
permesso di accertare né le cause della morte (che si presume
avvenuta per strangolamento) né se vi sia stata una violenza
sessuale. Né Abbott sembra un tale energumeno dal quale ci si possa
aspettare chissà quali violenze: tra l'altro, soffre anche di
tubercolosi e ha notevoli problemi respiratori, non avrebbe mai la
forza di trascinare e seppellire un cadavere.
J. Frank Coakley (1897-1983)
Coakley porta in aula come prove anche
i reperti disponibili, compresi i residui di abiti trovati addosso al
corpo quando è stato disseppellito, impregnati di un odore di
decomposizione che impressiona tutti. L'avvocato della difesa,
Stanley D. Withney, protesterà inutilmente.
I reperti esibiti al processo
La madre di Stephanie al processo, insieme alla testimone che aveva visto la ragazza per ultima
L'opinione pubblica sembra favorevole
alla colpevolezza di Abbott e questo orienta la scelta dei giurati:
che, dopo 47 giorni di dibattimento e 51 ore di camera di consiglio,
lo giudicano colpevole di entrambi i reati, dopodiché il giudice
Wade Snook lo condanna alla camera a gas.
Tra ricorsi e appelli, passano 13 mesi
dalla condanna.
L'esecuzione avviene in circostanze
particolarmente drammatiche, il 15 marzo 1957, a San Quentin.
L'orario previsto è le 10 del mattino. Il nuovo legale di Abbott,
George T. Davis, un fiero avversario della pena capitale, passa tutta
la mattinata a cercare di ottenere un rinvio, perché la data è
stata fissata troppo presto (ci sono almeno 2 settimane di anticipo
rispetto ai termini di legge) e non tutte le autorità deputate hanno
avuto la possibilità di visionare gli incartamenti del processo, per
cui non è ancora detto che Abbott non possa ottenerne una revisione.
Ma gli uffici giudiziari statali e federali fanno a scaricabarile e
l'unico che possa smuovere la situazione è il governatore della
California, Goodwin J. Knight. Il quale, però, in quel momento, è
in visita ufficiale sulla portaerei Hancock nella Baia di San
Francisco. Non riuscendo a raggiungerlo in altri modi, Davis gli
lancia un appello tramite un canale televisivo: Knight risponde e
concede una sospensione di un'ora. Durante questo tempo, gli appelli
di Davis alla Corte Suprema e al Tribunale distrettuale federale
vengono respinti. Ma ci sono le condizioni per chiedere un ulteriore
rinvio a Knight. Tuttavia, questo è irreperibile. Ha dato a Davis
due numeri telefonici assicurando che li avrebbe lasciati liberi,
invece Davis li trova a lungo occupati entrambi. Quando finalmente
Knight risponde, sono le 11,12 e Burton Abbott sta uscendo dalla
cella per raggiungere la camera a gas. La discussione tra Knight e
Davis è rapida, ma non abbastanza. Knight concede un nuovo rinvio e
chiama il suo segretario, Joseph Babich, perché avvisi la direzione
del carcere.
George T. Davis (1908-2006)
Goodwin Knight (1896-1970) con Richard Nixon nel 1958
Sono le 11,18, quando arriva la
telefonata di Babich alla linea diretta del braccio della morte, ma
in quel momento le 16 palline che sciogliendosi nell'acido solforico
avrebbero liberato il gas letale sono già cadute nel relativo
recipiente. Il giornalista George Draper di The Chronicle, uno
dei testimoni ufficiali, dirà poi che Abbott aveva inizialmente
trattenuto il fiato, ma al primo respiro morì rapidamente.
Subito dopo che Abbott ha reclinato la
testa, arriva la telefonata di Babich, e il guardiano Harley Teets
gli risponde che ormai è troppo tardi per fermare l'esecuzione.
La moglie di Abbott, Georgia, se ne
andò a vivere altrove. Il figlio, Christopher, era troppo piccolo
per ricordare i fatti: solo da adulto apprese delle circostanze della
morte del padre. Sia i fratelli sia soprattutto la madre di Burton
Abbott erano fermamente convinti della sua innocenza e, anche dopo
l'esecuzione, cercarono di farla riconoscere, soprattutto la madre,
che sarebbe morta all'età di 100 anni nel 2004. Elsie Moore, in
particolare, insistette sostenendo che bisognava indagare di più su
suo fratello, un camionista di San Leandro di nome Wilbur Moore, che
frequentava sia casa loro sia il capanno di Weaverville e che avrebbe
avuto ogni possibilità di seminare indizi capaci di incastrare
Burton. La Moore dichiarò di avere dei testimoni che il tribunale
non aveva ammesso al dibattimento.
Elsie Moore al processo, al centro, con la moglie di Burton, Georgia, in primo piano
Sicuramente, la colpevolezza di Burton
Abbott fu tutt'altro che provata. Anzi, sembra certo che fosse
innocente e che sia stato incastrato. Ma da chi?
Una teoria alquanto sconvolgente in tal
senso arriva da John W. Cameron, un ex poliziotto che dopo la
pensione si è messo a fare ricerche sui cold cases. Nel 2014,
Cameron scrive un libro in cui sostiene che una enorme quantità di
delitti irrisolti o dalla dubbia attribuzione potrebbe essere stata
commessa da Edward Wayne Edwards (1933-2011), un istrionico serial
killer condannato infine a morte per l'omicidio del figlio adottivo
allo scopo di incassare una polizza assicurativa e deceduto per cause
naturali in carcere quattro mesi prima dell'esecuzione, ma
sicuramente coinvolto in almeno altri 5 delitti.
Il libro di John Cameron
Due immagini, da giovane e da anziano, di Edward Wayne Edwards
Cameron ipotizza perfino che Edwards
possa essere responsabile di delitti famosi e atroci, come quello di
Elizabeth Short, la Black Dahlia, nel 1947, e quello della
piccola JonBenét Ramsey nel 1996. Le sue teorie sono state molto
criticate, ma la sua ricostruzione del ruolo di Edwards nel caso
Bryan appare abbastanza credibile, anche perché desunta da una serie
di informazioni contenute in uno dei libri autobiografici che Edwards
scrisse per vantarsi delle sue prodezze, però alterando
sistematicamente i nomi delle vittime.
Elizabeth Short (1924-47) in primo piano
JonBenét Ramsey (1990-96)
Secondo Cameron, Edwards, che nel 1955
si trovava nella Califormia meridionale e si faceva passare per il
dottor James Garfield Langley, sarebbe riuscito ad attirare la
ragazza in trappola promettendole di procurarle per 10 dollari una
torta per il compleanno del padre, cui Stephanie intendeva fare una
sorpresa, risparmiando la somma ad hoc. Una volta uccisa la ragazza,
Edwards avrebbe scelto Abbott quale capro espiatorio perché i due si
assomigliavano fisicamente e possedevano un'auto dello stesso tipo,
una Chevy del 1949-50. In seguito, Edwards si sarebbe disfatto della
sua, vendendola a Minneapolis.
Dopo aver nascosto la borsa e gli altri
reperti del delitto nel seminterrato degli Abbott (che, tra il
delitto e il ritrovamento degli effetti personali della ragazza, era
stato visitato da parecchie persone senza che nessuno vi notasse
nulla), il 15 luglio 1955 (quindi il giorno prima del ritrovamento),
Edwards avrebbe poi assunto l'identità del venditore di auto Leroy
Myers e guidato il giornalista Montgomery e il fotografo Bryant al
corpo che lui stesso aveva sepppellito.
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