Carlo Battisti, nato a Trento il 10
ottobre 1882 e morto a Empoli il 6 marzo 1977, è universalmente noto
come il protagonista di uno dei film più importanti del neorealismo
italiano e del cinema in generale, Umberto D., diretto da
Vittorio De Sica nel 1952.
Carlo Battisti sulla copertina del dvd del film e in una scena dello stesso
Meno conosciuta è invece la sua
carriera di studioso nell'ambito della Linguistica e della
Glottologia. Laureato a Vienna, pagò il suo irredentismo con la
negazione della cattedra universitaria e, arruolato nell'esercito
austro-ungarico durante la Grande Guerra, fu inviato in Russia, dove
fu preso prigioniero, ma riuscì a sopravvivere alla prigionia e a
tornare a casa.
Inizialmente nominato direttore di una
biblioteca a Gorizia, nel 1925 vinse il concorso da docente
universitario a Firenze e vi si trasferì. Fu accademico della
Crusca, accademico d'Italia, aderì senza troppa convinzione al
Fascismo, scrisse importanti testi di Fonetica e di Latino e un
Dizionario Etimologico Italiano che ancora oggi è ritenuto
un'opera fondamentale.
Carlo Battisti
Negli anni '30, si ritrovò suo
malgrado coinvolto in una diatriba scientifica destinata a finire in
modo particolarmente tragico.
Per comprendere i fatti, occorre
ricordare che, in quel periodo, l'università italiana era piuttosto
politicizzata, ma non come quella tedesca, perché il fascismo non
vantava le stesse basi culturali del nazismo e non intendeva
riformare nessuna scienza. Non esistevano in nessun ambito delle
scuole improntate a una prospettiva fascista. L'interesse per il
passato storico, alla ricerca di antenati di rilievo con cui
nobilitarsi, aveva destato un notevole interesse per l'archeologia e
in particolare per l'etruscologia. Anche perché l'etruscologia,
oltre a essere una specialità quasi esclusivamente italiana (anche
se in passato aveva destato l'interesse di molti studiosi stranieri,
specie tedeschi o scandinavi), rappresentava un campo ancora quasi
tutto da studiare, perché gran parte delle iscrizioni in Etrusco
erano (e in molti casi sono) ancora da decifrare.
Gli studiosi di etruscologia italiani
potevano essere divisi in tre scuole: quella epigrafica, che studiava
le iscrizioni rinvenute cercando di contestualizzarle storicamente,
quella combinatoristica, che si avvale del complesso metodo
combinatorio (che si avvale di analisi archeologiche-antiquarie per
elaborare ipotesi sulla natura di un testo redatto in una lingua
sconosciuta; di analisi formali-strutturali che dividono i termini
della lingua sconosciuta in morfemi, ossia elementi di base, secondo
il confronto con altri testi redatti nella stessa lingua; di analisi
di contenuto e contesto, una volta che sia possibile fare ipotesi sul
significato di qualche termine) e quella etimologica, che cerca
parentele con altre lingue note confrontando i lemmi già decifrati.
In realtà, a livello accademico, si
stava definitivamente affermando il metodo combinatorio, di cui il
maggior esponente sarebbe stato Massimo Pallottino (1909-95), la cui
influenza avrebbe portato nel tempo all'esclusione delle altre due
direttrici dall'ambito accademico. Quello etimologico sarebbe stato
(e lo è ancora) particolarmente disprezzato, perché si presta
facilmente ai dilettantismi e alle conclusioni arbitrarie.
Massimo Pallottino
Al profano possono sembrare questioni
di poco conto: ma gli accademici degli anni '30 si scannavano
continuamente su temi di questo tipo. E, a loro, andavano aggiunti i
dilettanti (almeno un paio l'anno) che producevano continuamente
fantasiosi studi sull'interpretazione delle iscrizioni etrusche,
puntualmente in contrasto con le posizioni accademiche.
La quasi totalità di questi dilettanti
passava inosservata, ma uno di essi riuscì ad assurgere a un
notevole livello di notorietà, grazie ai numerosi appoggi di cui
godeva sia presso gli esponenti del regime sia presso la Chiesa. Si
chiamava Francesco Pironti, era nato nel 1891 e insegnava Greco e
Latino in un liceo di Napoli.
Tre immagini di Francesco Pironti
Pironti, il 26 aprile 1933, sul
quotidiano politico napoletano Il Lavoro Fascista, annunciò
che era imminente la pubblicazione del primo dei 4 volumi con cui
avrebbe spiegato al mondo che l'Etrusco, in definitiva, non era altro
che un dialetto greco.
Frontespizio e alcuna pagine del libro di Pironti
Sulle colonne di La Nazione, il
quotidiano di Firenze, Battisti, consultato come esperto sulla
questione, rispose che la notizia lo lasciava piuttosto scettico, ma
aspettava la pubblicazione del testo per giudicarlo.
Il 6 maggio, sempre tramite stampa,
Pironti gli ribatté, accusandolo di incompetenza.
Battisti, tre giorni dopo, rispose a
sua volta che il parere gli era stato chiesto espressamente e ribadì
che aspettava di vedere il volume.
La polemica sembrò finire lì.
Il libro uscì a dicembre di quello
stesso anno. Aveva un prezzo di copertina altissimo ma fu ugualmente
lanciato con una martellante pubblicità. Sul Giornale d'Italia,
apparvero anche delle lettere a suo sostegno firmate da un importante
studioso (molto considerato in ambiente clericale perché fratello di
due arcivescovi, Bartolomeo Nogara, che sosteneva l'idea che gli
etrsuchi fossero un popolo ibrido (facendo imbestialire il più
importante etruscologo del tempo, Pericle Ducati, un fascistissimo
per il quale era un'eresia immaginare che il primo popolo italiano
potesse essere stato contaminato).
L'ambiente accademico lesse il libro di
Pironti e lo trovò tutt’altro che convincente. Al punto che il
ministro per l'Educazione Nazionale, Francesco Ercole, nominò una
commissione composta da tre illustri studiosi (il maggiore dei quali
era Giacomo Devoto, l'autore del celebre dizionario) perché facesse
chiarezza sull'argomento.
Intanto, la polemica divampò, perché
due sostenitori di Pironti, Pericle Perali e Ugo Antonielli,
sfruttando la ribalta dell'Osservatore Romano, attaccarono
ripetutamente il mondo dell'etruscologia accademica (anche a costo di
smentire proprie precedenti posizioni). A essi rispose sempre
Battisti, che a un certo punto ottenne anche l'inaspettato sostegno
di Ducati, con il quale era in pessimi rapporti.
Altri giornali si misero di traverso,
pur senza avere particolari interessi nella vicenda. Su Il Regime
Fascista, quotidiano politico di Cremona, arrivò una stroncatura
dovuta al fatto che il suo direttore, il gerarca Roberto Farinacci,
non voleva perdere l'occasione per colpire il suo nemico Ugo Manunta,
direttore di Il Lavoro Fascista. Poco dopo ne arrivò
un'altra, ancora più pesante, firmata da Massimo Pallottino su La
Nuova Antologia, ossia la più importante testata del mondo
intellettuale italiano.
La commissione composta da Giacomo
Devoto, Francesco Ribezzo e Giorgio Pasquali consegnò il suo parere
al Ministero dell'Educazione Nazionale a metà febbraio. Il 15 di
quel mese venne reso pubblico, anche se non sarebbe mai stato
pubblicato ufficialmente: il testo di Pironti non aveva il minimo
valore scientifico.
Il 27 febbraio, Battisti pubblicò un
breve volumetto, Polemica Etrusca, in cui riassunse le tappe
della vicenda.
Il libro di Battisti
Il secondo volume dell'opera di
Pironti, già pronto e stampato in alcune copie di prova, restò
inedito. Una delle copie di prova è stata donata da Giorgio
Pasquali, insieme ad altri libri, alla Scuola Normale di Pisa.
Sebbene i suoi sostenitori
continuassero sporadicamente a pubblicare articoli in suo sostegno,
Pironti finì per ritrovarsi completamente squalificato. Sembra che
fosse un eccellente classicista, ma aveva fatto il passo più lungo
della gamba. Non si sa per quali esatte ragioni, l'anno successivo
(1935) finì per dimettersi dall'insegnamento. Cadde in depressione
e, la mattina del 6 ottobre 1935, si chiuse nel suo studio e si
impiccò. Lasciava una numerosa famiglia: moglie e 6 figli, con un
settimo in arrivo.
Battisti non era stato il più feroce
dei suoi detrattori, ma sicuramente quello che si era esposto di più.
Ancora oggi si trovano sul web articoli che polemizzano con gli
etruscologi accademici non tanto perché Pironti potesse avere
ragione (questo ormai è definitivamente assodato) ma per la veemenza
con cui si continuò ad attaccarlo anche a questione chiusa, forse
arrivando al punto da spingerlo al suicidio.
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