All'anagrafe si chiamava Michel Cade ed era, tutto sommato, un autodidatta. Nato a Parigi il 2 aprile 1930, faceva il cameriere quando conobbe lo scrittore Maurice-Bernard Endrèbe, che lo prese in simpatia e lo incoraggiò a proporre i suoi manoscritti agli editori di romanzi popolari.
Erano i primi anni '50 e il suo primo titolo uscì nel 1954. Non si sa bene quale sia stato esattamente, perché in quell'anno risultano da lui pubblicati otto romanzi, cinque di spionaggio con lo pseudonimo Michel Lecler e tre polizieschi firmati Michel Lenoir. Non si direbbero opere destinate a durare nel tempo, infatti non di tutti si trovano ancora immagini sul web, e uno solo, Caveau de famille, è stato successivamente ripubblicato. Ma ormai la strada era aperta.
E il successo si consolidò nel 1956, con Pleins feux sur Sylvie, che vinse il Grand prix de la littérature policière e gli spalancò di fatto anche le porte del cinema. Questo romanzo era firmato con un terzo pseudonimo, Michel Lebrun, che sarebbe poi rimasto quello definitivo, portando all'abbandono degli altri. In una sola occasione, nel 1971, l'autore sarebbe ricorso a uno pseudonimo diverso, il quarto della serie, Pierre Anduze.
Come Michel Lenoir, aveva firmato sei titoli, come Michel Lecler quattordici. Come Michel Lebrun ne avrebbe firmati più di cinquanta.
È facile immaginare come una produzione così copiosa debba essere per forza diseguale. Tant'è che solo alcuni dei tanti romanzi, dopo una prima edizione in collane popolari, sono stati ristampati. Il suo maggior successo editoriale sembra essere il penultimo romanzo firmato Michel Lenoir, Reproduction interdite, ispirato alla vicenda del celebre falsario d'arte olandese Han van Meegeren.
Alcuni critici, ad esempio Claude Mesplède, non hanno mai smesso di sollecitare ristampe dei romanzi più riusciti, ma finora invano.
Michel Lebrun è stato anche un valente traduttore dall'Inglese. Non solo di gialli: tradusse anche i libri di Woody Allen e di un altro importante umorista, l'israeliano Ephraîm Kishon.
La sua attività si è però concentrata soprattutto su tre fronti: oltre alla narrativa, il cinema e la critica letteraria.
Come sceneggiatore e dialoghista, ha partecipato alla realizzazione di almeno ventiquattro film, otto dei quali tratti da suoi romanzi.
Come critico, ha curato dal 1980 al 1988 l'Almanach du crime (dovrebbero esserne usciti 5 volumi) e scritto innumerevoli articoli e recensioni. La sua conoscenza enciclopedica del genere gli valse il soprannome di Pape du polar.
Michel Lebrun è morto a Parigi il 20 giugno 1996. Alla sua memoria è oggi dedicato un importante premio letterario di narrativa poliziesca, che si assegna a Le Mans dal 1986 e del quale presiedette la giuria dal 1993 alla morte.
In Italia, Michel Lebrun ha sempre goduto di scarsa considerazione. In tutto, sono stati tradotti soltanto tre suoi romanzi.
Il primo, sulla scorta del Grand prix appena vinto, è stato Pleins feux sur Sylvie, uscito nel Giallo Mondadori il 15 giugno 1957 con il numero 437 della collana e il titolo Le stelle muoiono.
I sospetti si appuntano soprattutto su altri due uomini, uno dei quali è il secondo marito di Sylvie: Michel Barraut, un giovane commediografo che deve a lei tutte le sue fortune; l'altro è lo sceneggiatore Jean-Pierre Frank, che Sylvie ha abbandonato proprio per mettersi con Barraut. I due si accusano a vicenda e i loro alibi sembrano un po' troppo costruiti per essere veri, ma quale dei due sta mentendo? O non sta mentendo nessuno dei due? E se non avessero mentito nemmeno gli altri due? Il romanzo si chiude con una serie di colpi di scena davvero sorprendenti e, malgrado la scrittura un po' datata e i personaggi un po' sbozzati con l'accetta, è godibilissimo.
Il secondo Lebrun che esce in Italia è Candidat au suicide, originariamente uscito nel 1957, che viene presentato il 5 maggio 1966 da Segretissimo con il numero 127 della collana e il titolo Rick Seville: candidato al suicidio.
L'ultimo romanzo di Lebrun arrivato in Italia è proprio l'unico che ha firmato con l'ultimo pseudonimo, Pierre Anduze. Uscito nel 1971 come Tue-moi, chéri, viene proposto nel Giallo Mondadori l'8 luglio 1973, con il numero 1275 della collana e il titolo Amore mio, uccidimi.
Si tratta di un romanzo piuttosto originale, dalla scrittura (tutta al presente e in terza persona) essenziale, rapida e nervosa. Per il lettore è facile entrare nella mente di Bruno e condividere la sua tensione. A un certo punto, però, l'autore scopre le carte e svela come stanno le cose in realtà. Da quel punto in poi, la suspense sta tutta nella possibilità che la verità venga svelata oppure no. Le circostanze che determinano la scelta del titolo sono, comunque, estremamente bizzarre.
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