Umberto Saba ha scritto, una volta, “il
bel canto è italiano, il cinematografo americano, il romanzo
poliziesco inglese”: ma non si può negare che alcune delle più
celebri opere liriche italiane mettano in scena delle trame, oltre
che molto adatte a una trasposizione cinematografica, anche parecchio
“noir”, ossia vicine a un poliziesco non tanto all'inglese,
quanto all'americana.
Tali, queste opere, anche perché a
volte ispirate da fatti di cronaca nera, così come era anche
abbastanza prevedibile nel periodo tra fine '800 e primi del '900, in
cui dominava la narrativa verista. Quelle considerate le più
importanti opere liriche veriste sono “Cavalleria rusticana” di
Pietro Mascagni (tratta, notoriamente, da una novella di Giovanni
Verga) e “Pagliacci” di Ruggiero Leoncavallo, ispirata appunto a
un delitto reale.
Giovanni Verga (1840-1922)
Ruggiero Leoncavallo (1857-1919)
Locandina e spartito d'epoca di "Cavalleria rusticana"
Leoncavallo, nato a Napoli nel 1857,
figlio di un magistrato, durante la giovinezza risiedette in varie
località del Sud Italia, seguendo i trasferimenti per lavoro del
padre Vincenzo. In particolare, risiedette per alcuni anni a Montalto
Uffugo, in provincia di Consenza, dove iniziò anche gli studi
musicali e cui restò sempre legato, anche perché nel 1903 ne
ricevette la cittadinanza onoraria.
L'opera cui Leoncavallo (morto poi a
Montecatini nel 1919) deve la fama imperitura, appunto “Pagliacci”,
appartiene in modo particolare alla sua creatività, dato che ne
scrisse sia la musica sia il libretto, quest'ultimo ispirandosi
chiaramente a un delitto che lo vide testimone, consumatosi la sera
del 4 marzo 1865, quando un domestico della sua famiglia, Gaetano
Scavello, di 24 anni, fu pugnalato a morte all'uscita del locale
teatro, per ragioni di rivalità amorose, dai fratelli Luigi e
Giovanni D'Alessandro.
Locandine e spartiti d'epoca di "Pagliacci"
Nel 1995, una studentessa calabrese,
Luisa Longobucco, realizzò la sua tesi di laurea in Lettere
ricostruendo tutta la storia dell'opera, eseguita per la prima volta
il 21 maggio 1892 a Milano, a partire proprio dalle circostanze del
delitto, ricostruite attraverso i documenti d'epoca. Tale lavoro è
poi stato pubblicato dall'editore Rubbettino nel 2003.
Sappiamo dunque, dai verbali dei
carabinieri, che il magistrato inquirente, Francesco Marigliano,
assistito dal cancelliere Tommaso Bonelli, il 7 marzo 1865 convocò
quattro conoscenti dello Scavello, due muratori e due sarti, affinché
ne riconoscessero il corpo.
Fu poi separatamente interrogato il
padre della vittima, Carmine, domestico. Questi raccontò che la sera
del 5 marzo il figlio Gaetano si era recato a teatro per vedere
un'opera lirica e, all'uscita, ma ancora all'interno del locale,
mentre chiacchierava con l'amico Pietro Ammirata, era stato aggredito
dai fratelli Luigi e Giovanni D'Alessandro, che avevano trascorso la
serata camminando su e giù davanti al teatro, con lo scopo evidente
di tendere un'imboscata a qualcuno che doveva uscirne. I due gli
vibrarono altrettante coltellate, una che lo colse al braccio e
l'altra al ventre, poi si diedero alla fuga. Sebbene il giovane fosse
rapidamente soccorso, la seconda ferita era troppo grave per
sopravvivere, e la morte sopraggiunse alle 2 di notte. Al fatto
assistettero almeno 9 testimoni.
Altre testimonianze attestarono che, il
giorno prima del delitto, Scavello aveva percosso un adolescente che
era al servizio dei D'Alessandro, non si sa per quale motivo, e già
subito dopo i due fratelli si erano presentati a lui con i coltelli
spianati, ma non erano riusciti a colpirlo perché diverse persone si
erano messe in mezzo, permettendo a Scavello di allontanarsi.
Giovanni D'Alessandro fu arrestato in
casa sua, la notte stessa del delitto e negò immediatamente di aver
colpito Scavello. Luigi D'Alessandro, invece, si costituì a Cosenza
il giorno dopo, affermando di non aver partecipato a nessuna
aggressione e di aver lasciato Montalto perché aveva sentito dire
che volevano arrestare suo fratello e non voleva essere messo in
mezzo.
L'autopsia accertò che Scavello era
morto in seguito alla massiva emorragia insorta quando la coltellata,
infertagli sotto l'ombelico, gli aveva tagliato l'arteria ipogastrica
sinistra.
Il numero dei testimoni aumentava man
mano che la ricostruzione andava avanti. Tre amici di Scavello
raccontarono che il pomeriggio del 4 marzo erano con lui a casa di
uno di essi, vicino alla fontana detta del Somaro; vedendo arrivare
una donna per la quale provava un certo interesse, accompagnata da un
ragazzo al servizio dei D'Alessandro, Pasquale Esposito, Scavello
invitò gli amici a scendere insieme a lui, perché gli sembrava che
la coppia volesse appartarsi in una vecchia torre. In strada,
Scavello si mise a infastidire Esposito, appena uscito dalla torre,
e, quando questi non rispose alle sue provocazioni, lo colpì
leggermente con un bastone.
Questo è quanto dichiararono gli amici
di Scavello. Più verosimilmente, la donna e il ragazzo furono
infastiditi da Scavello perché questo era interessato alla prima e
forse cercò anche di metterle le mani addosso, ottenendone un netto
rifiuto. Infatti la donna, di cui non è stato tramandato il nome,
non aveva niente a che fare con Esposito ma rappresentava anche
l'oggetto del desiderio di Luigi D'Alessandro e probabilmente
preferiva quest'ultimo a Scavello.
Comunque, Esposito andò a chiamare i
padroni e, prima che Scavello e gli amici potessero rincasare, questi
si prentarono armati di una frusta, anche se Luigi D'Alessandro si
limitò a schiaffeggiare Scavello quando questi rispose in modo
indisponente alle sue domande. Allora Scavello gli tirò contro un
sasso, senza colpirlo, e fu a quel punto che i due tirarono fuori i
coltelli. Il trambusto aveva fatto affacciare parecchi degli abitanti
della strada, che videro Scavello allontanarsi e i suoi amici
frapporsi tra lui e i due D'Alessandro che lo minacciavano. In
particolare, un uomo che era sceso in strada sentì ripetutamente i
due minacciare di morte Scavello, precisando che alla prima occasione
lo avrebbero fatto fuori.
Un altro testimone riferì che la sera
del 5 marzo i due fratelli si erano presentati al teatro entrando e
lasciando Esposito a fare da palo fuori, e che il ragazzo aveva
candidamente raccontato che tutti e tre erano lì per uccidere
Scavello.
Altri quattro testimoni dissero di aver
visto un uomo fuggire dal teatro: uno di essi precisò di aver
riconosciuto Luigi D'Alessandro, con cui aveva anche parlato.
D'Alessandro era molto agitato e aveva fretta di andare lontano.
Pietro Ammirata, che era ai piedi della
scalinata del teatro con Scavello quando questo fu aggredito, era
voltato dall'altra parte quando avvenne il fatto, e se ne rese conto
solo dalle grida di dolore dell'amico. Un altro testimone vide però
distintamente Luigi D'Alessandro vibrare il colpo al braccio e il
fratello Giovanni quello al ventre.
Diversi altri testimoni, nella notte,
videro fuggire sia Luigi sia Giovanni D'Alessandro, il secondo ancora
con il coltello in mano.
L'inchiesta fu condonna inizialmente
proprio dal padre di Leoncavallo, ma questi dovette poi ritirarsi in
quanto troppo direttamente coinvolto, lasciandola al procuratore
Marigliano. Al processo, seguito dopo poco, Luigi D'Alessandro fu
condannato a 20 anni di reclusione, suo fratello Giovanni ai lavori
forzati a vita.
Veduta del centro storico di Montalto Uffugo
Santuario di S. Maria della Serra a Montalto Uffugo
Bozzetto per le scenografie di "Pagliacci" realizzato da Rocco Ferrari e chiaramente ispirato a Montalto Uffugo
A distanza di molti anni, Leoncavallo
non dimenticava la sostanza dei fatti (era molto legato a Scavello,
assunto apposta per badargli) ma ne confondeva i dettagli. Raccontò
infatti di ricordare un delitto in cui aveva visto un uomo
accoltellato in un teatro da un altro uomo vestito da pagliaccio, che
aveva già accoltellato sua moglie in scena nella finzione teatrale
appena vista. Il lavoro lo prese talmente che impiegò appena venti
giorni a redigere il libretto. Tuttavia, il suo editore, Ricordi,
rifiutò quest'ultimo, ritenendolo troppo ardito nella sua mescolanza
di circostanze comiche e tragiche. Leoncavallo non si perse d'animo e
lo propose allora a Sonzogno, che lo accettò. L'immediato successo
dell'opera e l'entusiasmo ridestato da questa in artisti del calibro
di Arturo Toscanini avrebbero dato ragione a entrambi.
Immagini dalla rappresentazione del 2014 al teatro Petruzzelli di Bari, diretta da Marco Bellocchio, che si è ispirato all'opera anche per un "corto"
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