mercoledì 17 luglio 2024

Georgij Trifonov, Michail Demin, Mikhail Djomine, Youri Vetrov: quattro nomi per l'autore del "primo giallo sovietico"

Un romanzo giallo dovrebbe rappresentare sempre un mistero. Ma nel senso di un mistero da risolvere, al centro della sua trama. Ma esistono anche romanzi gialli in cui il mistero va ben oltre la trama. Romanzi in cui tutto è mistero, dopo tanti anni dalla loro pubblicazione e così poche tracce lasciate. Con molta fatica e sfruttando a fondo gli strumenti digitali che permettono di accedere a testi e a lingue straniere cui in altre circostanze sarebbe impossibile accedere, qualcuno di questi misteri può essere risolto.

Il 18 luglio 1976, il Giallo Mondadori presenta, con il numero 1433 della collana, quello che definisce “il primo giallo sovietico”. Si tratta di Cinque bottiglie di vodka di Youri Vetrov. La traduzione però non è stata compiuta sull'originale, ma su una versione francese, che porta quasi lo stesso titolo: Et cinq bouteilles de vodka, uscita l'anno prima. Visti i costumi degli editori italiani, diffusi peraltro anche all'estero, il sospetto che possa trattarsi di un apocrifo è forte. Anche perché “Youri Vetrov” non ha firmato altro. Anzi, il nome corrisponde a quello di diversi personaggi, ma tutti troppo giovani e nessuno che abbia mai pubblicato romanzi.


Eppure c'è qualcosa che non torna. A leggerlo, il romanzo appare profondamente russo. C'è un ladro, Igor Belaev detto l'Intellettuale, che una volta scontata l'ennesima condanna in Siberia torna a casa a Poltava, in Ucraina, dopo aver formato una nuova banda con quattro compagni di detenzione. Senonché, durante il lungo viaggio in treno verso ovest, due di essi se la squagliano e uno si porta dietro tutta la cassa del gruppo. Rimasti senza uno spicciolo, poco prima di arrivare a Poltava, Igor e gli altri due rubano una valigia. Aprendo la valigia, però, saltano fuori alcune foto dalle quali Igor capisce che la valigia stessa appartiene a Natascia, un'amica d'infanzia della quale ha conservato un ottimo ricordo. Senza dire nulla ai compagni, Igor si reca alla stazione e riporta la valigia a Natascia, dicendo di averla ritrovata per caso.

A questo punto, la trama si complica in due direzioni. Natascia invita Igor a casa ma il marito di lei, Serge, geloso patologico, cerca di farlo arrestare. Igor si ricongiunge allora ai suoi compagni, che lo aspettavano in una birreria che è un noto ritrovo di malavitosi. Quando si presenta senza valigia, i tre litigano e si scambiano minacce, così alla fine Igor se ne va, sbattendo la porta. Pochi minuti dopo, si presenta la polizia per una retata e arresta quasi tutti. Molti pensano che la soffiata l'abbia fatta proprio Igor.

Poltava, in cui si svolge il romanzo, oggi

In realtà, il “soffia” è un certo Corvino, che se n'è andato dal bar poco prima di Igor. A sospettare del Corvino è soprattutto Kostia il Bestione, un amico che si è offerto di aiutare Igor trovandogli un alloggio. Sia Igor sia il Corvino si mettono in cerca di Kostia, per ragioni diverse. Igor lo aspetta nel cortile di casa sua, mentre il Corvino lo segue. Quando Kostia si ritira a casa, il Corvino passa all'azione, colpendolo a morte con un “maïdan”, una mazza di ghisa pesante un chilo, attaccata a una cinghia di cuoio che si tiene avvolta intorno al braccio. Il “maïdan” si può lanciare e riprendere facilmente, ed è un'arma letale quando colpisce organi vitali. Infatti in questo caso colpisce Kostia alla tempia, sfondandogli il cranio. Ma nello stesso tempo Kostia è riuscito a scagliare il suo coltello a serramanico, colpendo il Corvino a una spalla. Limitato nel movimenti, il Corvino non riesce ad anticipare l'entrata in scena di Igor, che ha visto tutto stando nascosto dietro un albero. Igor afferra la pistola che Kostia non ha fatto in tempo a estrarre e abbatte il Corvino con tre colpi. Poi fugge, dopo aver raccolto le tre armi.

A Igor non resta che darsi alla fuga, aiutato da Natascia che gli trova un posto per nascondersi in una vecchia fabbrica dismessa. A cercarlo ora sono i malavitosi che pensano ancora a lui come a un “soffia” e la polizia che vuole attribuirgli entrambi gli omicidi cui ha assistito. Due poliziotti incapaci e pavidi, Protzenko e Sergueevitch, pensano che in questo modo il caso sarà risolto senza ulteriori grane. Non la pensa così, invece, un terzo commissario, Savitsky, che ha ascoltato il racconto di un anziano poliziotto presente alla scena perché impegnato a pedinare Kostia: l'ispettore Zubavine è considerato un ubriacone ma il suo racconto è coerente e quanto dice corrisponde ai riscontri sulla scena del crimine.

Savitsky vuole raggiungere Igor per scagionarlo, gli altri due per arrestarlo, i malavitosi per eliminarlo: chi arriverà per primo?

Cercare una prima edizione russa di questo romanzo è difficilissimo. Qualsiasi ricerca porta sempre allo stesso risultato: un'edizione del 1991, in cui l'opera è presentata insieme a un altro romanzo dello stesso autore, “Misteri dei diamanti siberiani”.

Ma adesso la firma non è più “Youri Vetrov”, bensì Michail Demin. Cercando tra le pagine web redatte in russo, Michail Demin compare come autore di alcuni libri, di cui i principali sono quelli di una trilogia composta da Ladri, Diavolo rosso e Vagabondo nella taiga.





Le edizioni russe di questi libri, però, sono piuttosto recenti. Invece, di edizioni d'epoca (anni '70), se ne trovano in Francese, firmate Mikhail Djomine.





Ma il dettaglio più importante è che le edizioni russe sono disponibili per la lettura online e accompagnate da interessanti note introduttive, cui sono accluse anche delle immagini. In tal modo, conosciamo la storia quasi incredibile dell'autore.

Michail Demin nasce con il nome Georgij Trifonov il 18 luglio 1926. Dove, non è chiaro: forse a Mosca, forse in Finlandia, probabilmente a Helsinki. Appartiene a una famiglia cosacca dalla storia un po' particolare: il padre Evgenij e lo zio Valentin, nati intorno al 1880, dopo un'infanzia difficile e un'esperienza come soldati, hanno partecipato alla Rivoluzione d'ottobre diventando due importanti figure di bolscevichi. Tuttavia, entrambi finiscono coinvolti nelle purghe staliniste del 1937. Tratti entrambi in arresto, Evgenij muore per cause naturali, Valentin finisce fucilato.

Valentin Trifonov

Le tragedie sconvolgono anche le loro famiglie. Ma i figli di Valentin, Jurij e Tatjana, verranno allevati dai parenti della madre ed avranno la possibilità di studiare all'università. Invece, i figli di Evgenij, Andrej e Georgij di primo letto e Sonya di secondo, si disperdono dopo la morte della vedova Ksenia. I due maschi crescono abbandonati a loro stessi, perché la madre Lika, cui sono stati affidati, non pensa a loro. Nel 1942, Andrej si arruola per combattere i nazisti e muore al fronte a diciannove anni. Georgij è invece renitente alla leva e finisce per questo in carcere a Mosca. Liberato dopo un anno, partecipa alla guerra senza vedere il fronte. Terminata la guerra, ottiene un impiego da disegnatore tecnico presso una fabbrica di auto, sempre a Mosca. Ma quando la polizia comincia a tenere sotto controllo tutti i pregiudicati della città, effettuando arresti arbitrari, decide di andarsene. Tenta inutilmente di emigrare in Mongolia, poi si reca a Rostov, dove ritrova alcuni compagni di cella che lo introducono al mestiere di “maydannik”, ossia di ladro sui treni.

Georgij Trifonov nel 1944


Va avanti così finché lo beccano e gli danno dieci anni di lavori forzati.

Durante la prigionia, assecondando una vocazione che ha ereditato dal padre, si mette a scrivere poesie e canzoni ispirate al mondo della malavita, che piacciono moltissimo ai suoi compagni di detenzione. Prima che venga liberato, sono loro stessi a incoraggiarlo a continuare.

Ma intanto è accaduto un fatto nuovo. Il cugino Jurij Trifonov, nato nel 1925, ha scritto un romanzo con cui ha vinto un importante premio letterario nel 1950 ed è il giovane autore russo del momento. 

Jurij Trifonov nel 1950






Alcuni dei tanti libri di Jurij Trifonov tradotti in Italiano

Nel 1952, Georgij è rilasciato per buona condotta a condizione che si faccia tre anni di confino ad Abakan, in Chakassia. Invece, benché gli sia vietato mettere piede nelle grandi città, per prima cosa si reca dal cugino, chiedendogli di aiutarlo nella carriera di scrittore. Jurij Trifonov, che gli è molto affezionato, lo nasconde per qualche tempo, e intanto lo convince a scrivere in prosa, che ha più seguito della poesia. Quando l'aria si fa pesante e il rischio di essere scoperto e finire di nuovo in galera diventa concreto, Georgij lascia Mosca per Abakan. Poi ci ripensa e se ne va a Irkutsk, a 1.400 km di distanza, perché Jurij lo ha raccomandato a un giornalista locale. A Irkutsk si impiega appunto come giornalista, ma deve lasciare il lavoro quando i suoi racconti sulla malavita ottengono tanto successo da guadagnarsi lettere di apprezzamento provenienti dalle prigioni. Va finalmente ad Abakan, dove fa il taglialegna ma lavora con successo anche in teatro, come attore, cantautore, assistente di maghi.

Georgij Trifonov con la madre, 1952


Dopo la morte di Stalin (1953) viene proclamata un'amnistia e Georgij se ne può andare dove vuole. Resta però in Siberia, dove lavora soprattutto come giornalista e svolge molte ricerche etno-antropologiche, dalle quali ricava due libri di buon successo firmati Michail Demin.

Nel 1964 torna a Mosca, dove sposa una donna, Maya, madre di una bambina. La sua irrequietezza farà però fallire il matrimonio. Nel 1967, con la scusa di andare a trovare una sorella della madre, fa un viaggio a Parigi e vi resta tre mesi. Come pregiudicato, dovrebbe avere problemi a espatriare: ma le conoscenze del cugino hanno facilitato la partenza. Al ritorno, si porta dietro una donna franco-russa da lui chiamata Puppy, che è la sua nuova amante (ne ha sempre avute molte) e questo determina la fine del suo rapporto con Maya. Sebbene abbia avuto rapporti pessimi con i russi emigrati in Occidente e con i discendenti degli emigrati in seguito alla Rivoluzione d'ottobre, da lui definiti fanatici antisemiti, ormai ha deciso che se ne andrà in Occidente e vivrà in Francia, perché il regime sovietico gli sembra intollerabile.

Nel 1968 riesce a partire di nuovo e stavolta chiede asilo politico in Francia. Lo scambiano per il cugino (Jurij e Georgij sono lo stesso nome scritto in due modi diversi) e lui non fa niente per chiarire l'equivoco. Jurij Trifonov rischia conseguenze per questa bravata, ma se la caverà.



Jurij e Georgij Trifonov negli anni '60

A Georgij, ormai conosciuto come Michail Demin, viene proposto di lavorare per una radio americana di stampo anticomunista destinata al pubblico dell'Est, ma rifiuta di farlo. Entra nell'orbita di un gruppo di intellettuali russi emigrati che fa capo a Vladimir Maksimov, scrittore sempre pieno di soldi di cui si ignora la provenienza, ma anche lì rimane poco, preferisce affrontare la povertà anziché farsela con gente di cui non si fida, a differenza di un altro auore sovietico che emigra in Francia poco dopo di lui, l'ucraino Viktor Nekrasov, che pure i due Trifonov stimano moltissimo. Allo stesso modo, così come Georgij, anche Jurij Trifonov disprezza Maksimov, pur essendo generalmente comprensivo con gli scrittori emigrati im Occidente.

Vladimir Maksimov (1932-95)
Viktor Nekrasov (1911-87)

Finalmente Georgij riesce a far uscire, nel 1975-76, i suoi romanzi sulla vita dei malavitosi russi. Il successo, in Germania e in Francia, è notevole e lo solleva dalle preoccupazioni economiche. I libri escono uno dietro l'altro e per non saturare il nercato con lo stesso nome, uno viene firmato con lo pseudonimo Youri Vetrov.

Quando nel 1980 Jurij Trifonov si reca in Francia a trovare il pittore Marc Chagall, i due cugini si rivedono e Georgij chiede a Jurij di aiutarlo a rientrare in URSS. Ma Jurij non potrà fare nulla, anche perché muore improvvisamente il 28 marzo 1981.

Una delle ultime foto di Georgij Trifonov
Charlotte Kreis (1948) in una foto del 2017


Georgij vive gli ultimi anni nella periferia parigina, insieme alla nuova moglie Charlotte Kreis, anche lei di origine russa, che si ritrova a doverlo mantenere quando finiscono i soldi dei diritti d'autore, e con il suo gatto Dashka. Dopo un viaggio a New York per promuovere la traduzione americana dei suoi libri, che non avrà molto successo, nel 1983 cade in depressione. L'ipertensione lo tormenta, ma non si cura abbastanza. Il 23 marzo 1984 ha un ictus e deve essere ricoverato in ospedale. Vi muore tre giorni dopo, il 26 marzo.


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