lunedì 29 giugno 2020

La fama italiana di Anders Bodelsen


Anders Bodelsen è uno degli scrittori danesi più noti del XX secolo. Nato a Frederiksberg l'11 febbraio 1937 da una famiglia di notevoli tradizioni intellettuali (il padre docente universitario di Letteratura inglese, la madre storica dell'Arte), ebbe però una formazione piuttosto irregolare, dato che passò per tre diversi indirizzi di studio prima di lasciare l'università in seguito al buon successo del suo primo romanzo, nel 1959.

Un'immagine giovanile e una matura di Bodelsen

In seguito, ha lavorato a lungo prima nella pubblicità e poi soprattutto per la radio e la televisione, diventando un importante sceneggiatore di originali radiofonici e di tv movies.
In Italia, è considerato essenzialmente un giallista, ma questa definizione appare decisamente riduttiva se si pensa alla fama di cui gode in patria, dove è considerato tra i maggiori autori neorealisti, e ai numerosi premi di prestigio che ha vinto. Bodelsen ricorre spesso allo schema del thriller nei suoi romanzi, ma si tratta sempre di thriller di un certo impegno, di storie che raccontano in modo critico della società danese e in particolare della sua classe media.
Bodelsen è un autore di grande successo, ma la medaglia del successo ha sempre un rovescio. Mantenere un elevato standard qualitativo nella propria scrittura, nonostante la pluralità degli impegni, gli ha richiesto decenni di impegno massacrante, durante i quali ha dovuto anche subire continui attacchi dai critici più schierati a destra, che lo accusava di accusavano di dare un'immagine distorta della società danese. Per queste ragioni e probabilmente anche per qualche forma di debolezza non meglio confessata, nonostante una vita privata apparentemente felice (è sposato dal 1975 con una musicista che gli ha dato due figli), Bodelsen ha sofferto a lungo di problemi di alcolismo, che lo hanno costretto a terapie disintossicanti.
La fama di giallista in Italia si deve soprattutto al fatto che gli unici suoi romanzi presentati nel nostro Paese sono usciti inizialmente in collane poliziesche della Mondadori: due nel “Giallo” e uno nei “Super”.
Il primo a essere tradotto è anche il maggior successo della sua carriera, Tænk på et tal, letteralmente Pensa un numero, uscito nel 1968 e tradotto con il titolo Buon appetito, Borck! come Giallo Mondadori numero 1174, il 1° agosto 1971. È la storia di un cassiere di banca della provincia danese, Flemming Borck, e della sua intuizione che sta per essere commessa una rapina nella sua banca. Anziché sollecitare provvedimenti, Borck comincia a nascondere banconote nella scatola di latta in cui di solito tiene il pranzo e, quando avviene effettivamente la rapina, dopo aver consegnato al bandito il contenuto dei suoi cassetti, fa risultare che siano stati rubati molti più soldi, includendo nella refurtiva anche quelli che ha nascosto nella scatola di latta, depositata in una cassetta della stessa banca.
I mass media però riferiscono l'importo esatto del denaro rubato e, da quel momento, Borck subisce lo stalking del vero rapinatore, W. C. Sorgenfrey, deciso a ottenere almeno metà dei soldi (poiché la rapina gli ha fruttato solo la sedicesima parte del denaro trafugato). Borck non scende a patti con Sorgenfrey e riesce a incastrarlo per un altro illecito, con una denuncia anonima, dopo averlo seguito. Contemporaneamente, però, deve vedersela con una complice di Sorgenfrey, Alice Badran, che si è insinuata nella sua vita ed è diventata la sua amante. Tuttavia, Alice finisce per mollare Sorgenfrey e diventare complice di Borck. Borck, per non dare adito a sospetti, continua il suo lavoro in banca ma investe una parte dei soldi in una villetta in Tunisia dove va a trascorrere le vacanze insieme ad Alice che vi risiede stabilmente. La situazione va avanti per alcuni anni ma poi Sorgenfrey viene rilasciato e per prima cosa si mette alla caccia dei due. Quando li raggiunge in Tunisia, non sa di essere pedinato da un poliziotto C. O. Grau, che lo sospetta di aver partecipato alla rapina della banca di Borck. L'arrivo di Sorgenfrey sconvolge Borck e Alice che, tentando di ucciderlo, uccidono Grau, sopraggiunto nel frattempo per arrestare tutti.
Alice scappa, coperta da Borck, ma Borck è costretto ad accettare le condizioni di Sorgenfrey, che lo aiuta a far sparire il corpo di Grau e le tracce del delitto in un finto incidente, nel quale viene utilizzato anche un cadavere fornito dalla malavita spicciola locale, che nelle intenzioni deve passare per quello di Sorgenfrey, in modo da mettere fine alla caccia della polizia allo stesso.







Diverse edizioni, compresa quella italiana, di Tænk på et tal

Il romanzo non ha una vera conclusione e, infatti, otto anni dopo (1976) avrà un seguito, Pengene og livet, ossia La borsa e la vita, che esce in Italiano nel Giallo Mondadori con il titolo I soldi e la vita e il numero 1552, il 29 ottobre 1978.
Siamo quattro anni dopo i fatti narrati nel primo romanzo. Borck non ha più notizie né di Sorgenfrey né di Alice ma non ha mai smesso di pensare che prima o poi si rifaranno vivi e gli chiederanno di partecipare a qualche impresa criminale. Intanto, ha una relazione con una collega, Miriam Berg, che è separata e ha un figlio di 4 anni, David. Il ritorno di Sorgenfrey e di Alice si materializza proprio con il rapimento di David, preso in ostaggio per costringere anche Miriam a collaborare. Il piano per la rapina è molto ambizioso ma non tiene conto del fatto che la polizia non ha mai smesso di sorvegliare Borck (tanto più dopo i tanti dubbi lasciati dalla misteriosa morte di Grau e del finto Sorgenfrey) e, da qualche tempo, sta seguendo anche i due delinquenti, pur senza averli identificati.
Il giorno della rapina, Borck, inizialmente disposto a collaborare, si ribella ai due perché infuriato all'idea che siano stati coinvolti anche Miriam e David. Ha un suo piano per mandare tutto all'aria ma, a questo, si sovrappone l'intempestivo intervento della polizia, che scatena un conflitto a fuoco dalle tragiche conseguenze.




Diverse edizioni, compresa quella italiana, di Pengene og livet

Il terzo romanzo di Bodelsen giunto in Italia si intitola, nell'edizione originale, Straus, e risale al 1971. Fu tradotto nel 1974 con il titolo Il rivale e uscì nella collana mondadoriana “I Super”, mensile e costituita da libri cartonati, che durò appena una decina di numeri e presentava romanzi thriller di una certa levatura letteraria.
Straus è un romanzo decisamente sperimentale, nel quale si sovrappongono due storie, spesso confondendosi tra loro. Una è quella dello scrittore A. B., che è considerato il secondo miglior autore di thriller in Danimarca ma si macera continuamente nell'invidia e nel rancore verso il collega Straus, da tutti considerato superiore a lui. L'altra è quella del romanzo che A. B. sta scrivendo, nel quale un personaggio nevrotico che cambia nome tre volte durante la stesura uccide per futili e paranoici motivi la moglie.
Dopo che Straus ha demolito con una sarcastica stroncatura il suo ultimo libro durante una trasmissione radiofonica, A. B. perde completamente il controllo e decide di uccidere Straus. Il suo delitto è talmente assurdo e insensato da risultare, di fatto, un delitto perfetto.



Diverse edizioni, compresa quella italiana, di Straus

Giudicato con molto favore dai suoi contemporanei (Ross Macdonald lo giudicò “un esperimento perfettamente riuscito, un libro davvero affascinante”), non ha avuto però altre edizioni italiane.
Invece i due della miniserie di Borck sono stati ripubblicati da Iperborea nel 2001 e nel 2012, con i titoli tradotti più fedelmente di un tempo.

Le due recenti edizioni Iperborea

Dalle opere di Bodelsen sono state tratte alcune riduzioni televisive e cinematografiche, tra le quali spiccano i due film tratti da Tænk på et tal, che si avvalgono dell'interpretazione di attori di livello internazionale come Bibi Andersson e Elliott Gould. 



Locandina e due immagini da Tænk på et tal, del 1968







Locandine e immagini da The silent partner, 1978



venerdì 19 giugno 2020

Myles Fukunaga e le tensioni razziali nelle Hawaii


Le manifestazioni antirazziste cui stiamo assistendo in questo periodo in seguito all'uccisione di George Floyd non sono certo una novità per gli Stati Uniti. In una nazione che rappresenta un enorme crogiolo di etnie e sempre soggetta a importanti flussi migratori, la convivenza civile non è stata sempre pacifica, anzi non lo è stata quasi mai.
Un episodio meno noto, ma tutt'altro che marginale, di questa lunga storia di sangue, violenze e ingiustizie, è quello che vide contrapposti i Nisei (discendenti di seconda generazione degli immigrati giapponesi) agli Haole (bianchi e di origine anglosassone) nelle Hawaii della fine anni '20, in seguito al delitto di Myles Yutaka Fukunaga.

Myles Yutaka Fukunaga

Il conflitto era stato latente a lungo. I lavoratori Nisei sfruttati nelle piantagioni di canna da zucchero avevano già affrontato scioperi di massa nel 1909 e nel 1920. Questo delitto e il processo che ne seguì evidenziarono in modo palese le discriminazioni razziali.

Lavoratori Nisei hawaiiani della canna da zucchero, primo '900

Fukunaga era nato il 4 febbraio 1909 a Waialua. Nel 1928 lavorava come inserviente nella dispensa di un hotel di Honolulu. Era un ragazzo solitario e infelice, che una volta aveva già tentato il suicidio. Benché fosse letteralmente spremuto come un limone (il suo orario di lavoro ammontava a 80 ore settimanali), guadagnava pochissimo e viveva in una famiglia oppressa dai problemi economici. In particolare, i suoi genitori erano stati appena sfrattati da casa ad opera della Hawaiian Trust Bank, forse per iniziativa di Frederick Jamieson, un dirigente della banca stessa.
Come vendetta verso questo atto, e forse anche suggestionato dal delito di Leopold e Loeb, Fukunaga decise di rapire e uccidere il figlio decenne di Jamieson, George, detto Gill.

Gill Jamieson

Il 18 settembre 1928, Fukunaga si travestì da infermiere e si recò alla scuola di Punahou frequantata dal piccolo Gill, fece uscire il bambino dalla classe e lo convinse a seguirlo con la scusa di portarlo in ospedale dalla madre ferita in un incidente. I due fecero almeno una parte del viaggio in taxi. Una volta scesi, Fukunaga portò il bambino in un nascondiglio predisposto ad hoc e lo uccise colpendolo alla testa con uno scalpello d'acciaio. Poi inviò una richiesta di riscatto alla famiglia Jamieson, firmandola “I Re Magi” e chiedendo 10.000 dollari. La sera stessa, telefonò anche alla famiglia Jamieson, chiedendo 4.000 dollari. Il padre del bambino glieli portò subito nel luogo designato, Fukunaga si presentò mascherato e li prese, poi andò via annunciando la prossima liberazione del bambino. Ovviamente, non fu liberato nessuno.
Appena si diffuse la notizia, la polizia dichiarò che il messaggio e l'eloquio del rapitore sembravano richiamarsi alla parlata Nisei, scatenando le prime ostilità della popolazione Haole contro i giapponesi. Peraltro, in un primo tempo, fu fermato l'ex autista degli Jamieson, Harry Kaisan, che si riteneva potesse avere forti motivi di rancore verso di loro. Nonostante le pressioni dei poliziotti, che arrivarono fino a drogarlo, Kaisan si rifiutò di confessare qualsiasi addebito.
Il 20 settembre, Fukunaga scrisse una lettera al giornale Honolulu Star-Bulletin, di fatto annunciando che Gill Jamieson era morto. Infatti, il corpo del bambino fu ritrovato quella sera stessa, in una radura vicino al canale Ala Wai, quasi di fronte al Royal Hawaiian Hotel.

Copie delle lettere di Fukunaga

Il 21 settembre, poiché la comunità Nisei si sentiva molto toccata dai fatti e, oltre a esprimere il proprio cordoglio alla famiglia Jamieson, aveva messo una taglia sul responsabile e organizzato squadre di ricerca, Fukunaga tentò di arruolarsi in una di queste squadre, ma non fu accettato in quanto troppo giovane e gracile.

Scuola Nisei hawaiiana, circa 1920

Il 22 settembre, Fukunaga commise l'imprudenza di acquistare un biglietto ferroviario per la sua città natale usando una delle banconote del riscatto. I numeri di serie di queste, infatti, erano stati segnati e, dopo la segnalazione della biglietteria, la polizia lo identificò immediatamente. La polizia perquisì la sua casa, trovando alcuni indizi della sua partecipazione al delitto, e lo arrestò al ritorno da Waialua, la sera del 23.
Foto segnaletiche di Fukunaga

Fukunaga confessò immediatamente e fu mandato a processo nel giro di soli dieci giorni. Il dibattimento si svolse in un clima caratterizzato da manifestazioni degli Haole che chiedevano la pena capitale. Il giudice Alva E. Steadman condusse il processo in modo frettoloso e approssimativo, impedendo di fatto al legale di Fukunaga di citare testimoni a discarico e ignorando le richieste di perizia psichiatrica avanzate dall'insigne psichiatra Lockwood Myrick, per il quale Fukunaga era palesemente infermo di mente. Anche alcuni membri della giuria la pensavano allo stesso modo e rimasero molto perplessi quando Steadman, l'8 ottobre, condannò Fukunaga a morte per impiccagione.
I Nisei protestarono in massa, in particolare dal loro quotidiano Hawaii Hochi, sul quale il direttore Fred Makino denunciò non solo l'abuso costituito dalla condanna di una persona incapace di intendere e volere, ma anche la difformità di trattamento rispetto a delinquenti Haole che avevano ucciso vittime Nisei. Le loro insistenze portarono a petizioni e richieste ufficiali per la revisione del processo. La Corte Suprema delle Hawaii rigettò il ricorso con un provvedimento che conteneva degli errori formali ma che, nonostante questo, fu confermato anche dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.
Fukunaga fu impiccato a Honolulu il 19 novembre 1929.
La posizione dei Nisei non è stata sempre compatta. Jasutaro Soga, direttore del giornale Nippu Jiji, accusò Fred Makino di travisare i fatti. Tuttavia, dopo che nel 1932 cinque ragazzi non Haole, tra i quali c'era anche il Nisei Horace Ida, furono ingiustamente accusati dello stupro di una ragazza Haole, le voci di denuncia delle discriminazioni si moltiplicarono. Studiosi più recenti come Dennis Ogawa e Jonathan Okamura hanno ripreso le posizioni di Fred Makino riguardo la condanna di un infermo di mente con lo scopo palesemente intimidatorio di affermare l'intoccabilità della popolazione bianca. Le Hawaii non sono mai state il paradiso di felice convivenza razziale che alcuni hanno descritto.

soldati Nisei Hawaiiani nella Seconda Guerra Mondiale

Stella Nakadate, Miss Nisei Hawaii, 1955

Ragazze Nisei Hawaiiane in costume tradizionale, 1966