sabato 27 ottobre 2018

La poetica disincantata di Raymond Guérin


Raymond Guérin è uno scrittore poco noto oggi, ma sempre molto stimato dai critici.
Nacque a Parigi il 2 agosto 1905, figlio del direttore di sala di un importante ristorante, la Taverne Duménil di Montparnasse. Dopo le scuole, il padre lo indirizzò verso diversi percorsi professionali, tra cui quello di restauratore e quello di cameriere d'albergo (di cui avrebbe trattato nel suo romanzo più noto, L'apprenti, del 1946), ma presto si palesarono le inclinazioni letterarie, con la fondazione di una piccola rivista, la Revue Libre, che durò sette numeri. Intanto, la famiglia Guérin si era trasferita a Bordeaux, dove il padre aveva aperto un'agenzia di assicurazioni. In questa agenzia, Raymond avrebbe lavorato per tutto il resto della vita.
Raymond Guérin

Dopo un precoce matrimonio, durato dal 1928 al 1933, si mise a scrivere ispirandosi alle proprie vicende autobiografiche e il primo romanzo, Zobain (1936), che tratta proprio del fallimento di un matrimonio, ottenne buoni giudizi critici. Ancora meglio andò Quand vient la fin (1940), ispirato alla malattia e alla morte del padre, che piacque a gente come Albert Camus e Jean Paulhan.
Durante la guerra del 1940, fu preso prigioniero e deportato in Germania, dove rimase fino al 1944. Le esperienze di prigionia furono particolarmente importanti nell'evoluzione della sua poetica. Al ritorno, si risposò con Sonja Benjacob, che sarebbe rimasta con lui fino alla morte.
Riprese a fare l'agente assicurativo, perché i suoi romanzi vendevano poco, nonostante le ottime critiche. Continuò a scrivere romanzi di stampo autobiografico, come Les poulpes (1953). ispirato alla prigionia in Germania, in cui compare il personaggio del suo “doppio”, Mr. Hermes, destinato a ritornare in altre opere.



Amico di Curzio Malaparte, dopo uno scambio epistolare con questo, fu invitato a raggiungerlo a Capri e, nel marzo del 1950, trascorse tre settimane ospite dell'autore italiano.
Guérin con Malaparte a Capri

Guérin era un forte fumatore e l'esperienza della prigionia aveva ulteriormente minato la sua salute. Nel 1952 una infezione respiratoria degenerò in una pleurite che si cronicizzò. Nonostante questo, lo scrittore sottovalutò il pericolo che correva e si fece curare troppo tardi. Le conseguenze della malattia (cui dedicò anche un diario, uscito postumo nel 1982, Le pus de la plaie) lo condussero a morte il 12 settembre 1955.
Guérin è un osservatore lucido e disincantato della condizione umana, un autore che non crede in nulla ed è anzi convinto che tutte le nostre convinzioni siano solo il frutto dell'esposizione alla propaganda di qualcuno. Appare in questo senso particolarmente significativo uno scritto apparso postumo nel 2006, Représailles, risalente al 1944, in cui racconta del ritorno a casa dalla prigionia, ma l'euforia della libertà ritrovata si scontra con la ripugnanza di fronte ai tanti processi sommari in cui vengono giudicati e condannati i collaborazionisti.

In Italiano, di Guérin, sono state tradotte solo due opere relativamente “minori”, ossia il lungo racconto La peau dure (La pelle dura) del 1948 e il romanzo La tête vide (La testa vuota) del 1952, entrambi grazie a Il Melangolo.
La pelle dura vede al centro le vicende parallele di tre sorelle (Clara, Louison e Jacquotte) che sono state letteralmente cacciate di casa dopo il nuovo matrimonio del padre, perché invise alla matrigna. Erano già state educate con una severità fatta di botte e divieti, perché si facessero, come dice il genitore, “la pelle dura”, in vista di ciò che le aspetta da adulte. Le tre si arrangiano a fare i mestieri che hanno imparato, soprattutto cameriere e cucitrici, ma poi vengono spedite come lavoratrici coatte in Germania durante l'occupazione. Qui passano per diverse privazioni ma anche per una vita promiscua e alla giornata, tra amanti, aborti e un figlio di Clara che muore dopo pochi mesi, ma riescono a tornare a casa tutte e tre quando la guerra finisce.
Clara, la più mite e meno ambiziosa delle tre, viene arrestata per essersi procurata un aborto, anche se in realtà ha perso spontaneamente il bambino. La sua posizione si chiarisce con qualche difficoltà e, dopo qualche tempo, può tornare a servizio dai suoi ex padroni, che l'hanno sempre sostenuta.
Jacquotte, che sembra aver fatto un buon matrimonio con un piccolo commerciante, in realtà vive una difficile realtà familiare che la porta a separarsi dal marito, il quale però trova il modo di sottrarle la figlia, cui è legatissima, con la scusa della sua pessima salute. Infatti la donna entra e esce da sanatori e ospedali, ma questo non le impedisce di legarsi a un altro uomo, relativamente benestante ma non intenzionato a sposarla, che la mette incinta di nuovo.
Louison, che è la più cinica e ambiziosa delle tre, passa da un uomo all'altro a seconda della disponibilità di questi a sovvenzionarla e si sforza di aiutare le sorelle a uscire dai guai. Benché la sua sia la condizione moralmente più riprovevole, è la sola delle tre a poter vantare una minima autonomia.
Il libro apre un importante finestra sulla condizione femminile del tempo ed è composto dalla successione di tre capitoli, in cui ognuna delle tre donne racconta la propria vita e il proprio punto di vista sulle altre in prima persona.


Molto più complesso è La testa vuota, che utilizza lo stile del giallo per indagare sui più reconditi recessi della mente umana. Nelle campagne della sonnacchiosa provincia bordolese, nell'inverno 1945-46, vengono rinvenuti i cadaveri di un uomo e di una donna, morti mentre stavano facendo l'amore vestiti sull'erba. Tutto sembra indicare che l'uomo ha ucciso la donna con un colpo di pistola alla tempia e poi si è suicidato nello stesso modo.
La narrazione si apre con una serie di verbali di polizia che descrivono il rinvenimento dei corpi e le prime indagini. Seguono poi le testimonianze di parenti e familiari. I due sono persone diversissime tra loro e nessuno sapeva che avessero una relazione, anche se delle lettere scritte dall'uomo, scoperte dopo qualche giorno, mostrano che durava già da qualche tempo. Lui era Gustave Tonnellier, un ufficiale giudiziario di mezza età, un tipo chiuso sposato da molto tempo con una bigotta e padre di un figlio; lei, Suzanne Chicoine sposata Barcenas, moglie ancora giovane di un ricco pellicciaio e madre di quattro figli, cosa che però non le impediva di condurre una vita privata piuttosto vivace e libertina. Le testimonianze esprimono punti di vista quanto mai soggettivi: Victor, il marito di Suzanne, afferma che il loro matrimonio era felice e di non aver avuto mai ragioni di dubitare della fedeltà della moglie; la cameriera Marie sostiene invece che Suzanne si sentiva prigioniera e non vedeva l'ora di lasciarlo; anche Yvonne, la moglie di Gustave, afferma che il loro matrimonio era felice.
Un'ulteriore dettaglio è che Suzanne era rimasta incinta di Gustave e che entrambi erano entusiasti di questo sviluppo ed avevano deciso di lasciare le rispettive famiglie e andare a vivere insieme al più presto.
L'omicidio-suicidio appare dunque inspiegabile.
L'ultima parte del romanzo comprende il diario di Claude Pellegrin, un possidente che si diletta di giornalismo e che è stato tra i primi a scoprire i corpi. Pellegrin è letteralmente ossessionato dal caso e setaccia in tutti i modi le deposizioni, cercando di rilevare qualsiasi incongruenza. Ve ne sono molte, ma ciò comunque non spiega la folle scelta di Tonnellier. Ma intanto l'ossessione di Pellegrin, che è rimasto solo per qualche tempo con i cadaveri e ne ha approfittato per toccarli ripetutamente, diventa irresistibile. Casualmente, sul luogo dei fatti, scopre una molletta per giarrettiere persa da Suzanne e la conserva. Non riesce a smettere di pensarci e alla fine la porta nel bordello che frequenta, chiedendo alla sua prostituta preferita di indossarla.


L'incapacità di arrivare a una verità definita a livello di movente mostra con la massima evidenza la difficoltà a tradurre le azioni altrui in ragioni che stanno alla loro base e lascia il dubbio che spesso queste ragioni non esistano, che le persone agiscano spesso seguendo oscuri impulsi di cui ignorano qualunque origine, eppure talmente forti da far passare in secondo piano la questione delle conseguenze.


lunedì 8 ottobre 2018

Chi segnò il primo gol ai Mondiali: Laurent o McGhee?


Ragazzi che rincorrono spensierati un pallone, dimenticando i pensieri della vita di tutti i giorni. Il gioco del calcio è tante cose, ma è soprattutto questo, o per meglio dire lo era, prima di diventare uno show business tritatutto, in mano a pay tv, sponsor e centrali di scommesse più o meno lecite.
E quella che ci accompagna in questa storia è la faccia di un ragazzo, un ragazzo come tanti, basso e un po' cicciotto, uno tipo Maradona ma con il look di chi è nato nel 1907 e al calcio ci ha giocato molto più per divertimento che per soldi. Si chiama Lucien Laurent.

Lucien Laurent in azione con la maglia della Nazionale francese

Un ragazzo francese che viene tesserato per la prima volta a 14 anni, in una società che si chiama Cercle Athlétique, e poi a 22 approda al Sochaux, la squadra di monsieur Peugeot, quello delle automobili. Nei due anni che ci resta non vincerà nulla (in realtà non vincerà nulla mai, da nessuna parte) ma si mette in luce come un ottimo elemento e viene selezionato dal CT Raoul Caudron per far parte della Nazionale che in quell'anno (1930) andrà a disputare il primo Campionato del Mondo in Uruguay. Lui, suo fratello Jean e due suoi colleghi, André Maschinot ed Étienne Mattler. Colleghi in senso stretto, perché a quel tempo il calcio non è ancora una professione remunerativa e i quattro si allenano la mattina e giocano la domenica, ma tutti i pomeriggi sono alla catena di montaggio dove si producono le auto Peugeot. Tant'è che monsieur Peugeot fa un sacco di storie per lasciarli andare ai Mondiali, e cede solo quando la Federazione gli garantisce che, per quei due mesi che saranno impegnati, non dovrà pagare loro neanche uno stipendio.
André Maschinot (1903-63)

 Étienne Mattler (1905-86)

Innanzitutto, devono andare a Marsiglia, dove c'è la sartoria che cucirà loro addosso le divise d'ordinanza, bianche blu e rosse, compreso il blazer che a quel tempo si usava al posto della maglietta. Il viaggio per Montevideo lo fanno su un piroscafo italiano, il “Conte Verde”, lo stesso su cui viaggia Jules Rimet, l'inventore della Coppa del Mondo, ammiratissimo come ballerino nelle numerose feste che di sera si danno nei saloni. Caudron non vuole rischiare di perdere in mare i non molti palloni di cui la Federazione lo ha rifornito e fa allenare i suoi ragazzi sul ponte principale, correndo e facendo ginnastica al ritmo della musica con cui l'orchestrina della nave fa le prove. Lucien in questo periodo fraternizza con i compagni, che ha già conosciuto come avversari. In tutto sono 16 e pochi passeranno alla Storia. Quello che giocherà più partite internazionali sarà proprio il suo compagno Mattler (46 in 10 anni); quello che segnerà più gol (14) l'attaccante Émile Veinante, che però ora è una riserva e dovrà aspettare addirittura il 1938 per marcare una rete ai Mondiali; il capitano, nonché giocatore più rappresentativo, è un franco-algerino che frequenta delinquenti ed è dedito alle scommesse clandestine, ragione per cui finirà squalificato a vita nel 1935, Alexandre Villaplane. Poiché il lupo solitamente perde il pelo ma non il vizio, una volta smessa l'attività agonistica, Villaplane continuerà a frequentare delinquenti, ma stavolta di quelli con la divisa e la svastica, quelli dediti alla cattura, alla deportazione e all'uccisione degli ebrei, e manderà a morte parecchi connazionali con la stella gialla nel periodo dell'occupazione nazista: per questo, sarà processato e fucilato come traditore, nel 1944, dopo la Liberazione. Ma questo è ancora molto di là da venire.
Il "Conte Verde"

La Nazionale francese sul "Conte Verde"

Jules Rimet (1873-1956)

Émile Veinante (1907-83)

Alexandre Villaplane (1904-44)

Il Mondiale si è organizzato un po' in fretta e, secondo una consuetudine che si ripeterà spesso nelle edizioni successive, le strutture per ospitarlo, tutte a Montevideo, non sono ancora pronte. Gli uruguaiani, grandi favoriti dopo le vittorie olimpiche del 1924 e del 1928, hanno annunciato la costruzione di uno stadio da 90.000 posti, lo Stadio del Centenario. In questo si dovrebbero giocare le gare più importanti, mentre le altre andrebbero allo Stadio Gran Parque Central, che pure ha la capienza di 20.000 posti, rispettabilissima per quei tempi. Ma il 13 luglio 1930, quando si giocano le prime due partite del torneo, lo Stadio del Centenario è ancora da finire. Per cui, la partita che vi doveva essere ospitata, Francia-Messico, viene dirottata sull'altro stadio di Montevideo, lo Stadio Pocitos, quello dove gioca il Penarol. In realtà solo un campo da gioco con un paio di tribune intorno, che possono ospitare al massimo 2000 spettatori. Poiché la trasferta dei tifosi ha un costo proibitivo, il pubblico è composto nella quasi totalità da uruguayani che vogliono vedere l'Uruguay e da argentini che vogliono vedere l'Argentina. Le altre squadre hanno pochissimo seguito. Francia-Messico sarà seguita da soli 500 spettatori e perfino il piccolo Pocitos sembrerà deserto.
Lo stadio Pocitos dagli spalti

A questo punto, nasce un piccolo mistero. Mentre al Pocitos si gioca Francia-Messico, al Gran Parque si gioca USA-Belgio. Le due partite dovrebbero essere contemporanee, alle 15,00, ma per una serie di contrattempi Francia-Belgio comincia con 10' di ritardo.
La formazione della Francia contro il Messico
La formazione del Messico contro la Francia. Nel riquadro, il portiere Oscar Bonfiglio

Montevideo è nell'emisfero australe e il 13 luglio è pieno inverno. Non nevica spesso, ma quella volta sì, e gli operai hanno dovuto liberare il terreno di gioco spalando la neve in grossi mucchi ai suoi lati. Il Messico attacca e la Francia lo colpisce in contropiede al 19'. Il portiere Alex Thépot esce in presa alta e rilancia al centro, dove il centrocampista Augustin Chantrel serve subito sulla destra il veloce esterno d'attacco (all'epoca detto ala) Ernest Liberati. Questo semina in progressione il suo marcatore Felipe Rosas e serve al centro, dove sta accorrendo, smarcato, l'interno Lucien Laurent. Lucien, il tracagnotto, si coordina, anticipa il disperato contrasto di Garcia Gutierrez e batte al volo di destro, appena entrato in area. Il tiro non è fortissimo ma ben angolato, il portiere messicano Oscar Bonfiglio si allunga ma non riesce a deviarlo: è l'1-0 ed è anche il primo gol dei Mondiali.
O forse no?
Al Gran Parque, la partita è iniziata in perfetto orario, ma questo inizio sarà l'unica cosa “perfetta” del match. Il referto dice chiaramente che finisce 3-0 per gli USA, ma non si è per nulla certi dei minuti cui sono stati segnati i gol e, a dire il vero, nemmeno di chi li abbia segnati. Non c'erano ancora i numeri sulle maglie (arriveranno nel 1938) ed era facile confondersi. Alcuni attribuiscono una doppietta all'attaccante Bart McGhee (uno scozzese, figlio di un bomber ottocentesco del Celtic e dell'Hibernian) e altri affermano che McGhee segnò solo il primo gol, mentre il secondo fu marcato da Thomas Florie (che, essendo nato nel 1897, è il giocatore più anziano ad aver disputato i Mondiali. Giocò anche quelli del 1934). Comunque, a posteriori, la FIFA daterà il primo gol, quello sicuramente di McGhee, al 23'. Tecnicamente, quindi, essendo segnato alle 15,23, precederebbe quello di Laurent, che è stato segnato alle 15,29. Ma, sempre per le statistiche della FIFA, le due gare vanno considerate contemporanee e quindi il primo gol, ufficialmente, è quello di Lucien Laurent.
La Nazionale Usa schierata contro il Belgio

Questa immagine potrebbe rappresentare il primo gol di Bart McGhee

Bart McGhee (1899-1979) anticipato dal portiere belga

Tom Florie (1897-1966)

In azione contro un difensore belga, Bert Patenaude (1909-74), autore della prima tripletta in un Mondiale

La Francia, poi, dilaga, anche se 5 minuti dopo il gol il portiere Thépot si infortuna e, poiché non sono ancora previste le sostituzioni, a difendere la porta va Chantrel. Il Messico continua ad attaccare e la Francia continua a colpire in contropiede. Sul finire del primo tempo, in due minuti, i due attaccanti Maschinot e Marcel Langiller portano il risultato sul 3-0. Nella ripresa, Juan Carreno accorcia le distanze per il Messico, ma Maschinot sul finire le ristabilisce: finisce 4-1.
Marcel Langiller (1908-80)

Per la Francia, in quel Mondiale, sarà la sola giornata di gloria. Nel secondo turno, le prende dall'Argentina, le prende letteralmente, non tanto per il risultato di 1-0 quanto per le botte con cui gli argentini massacrano gli avversari grazie alla tolleranza degli arbitri. Dopo pochi minuti, il centromediano Luis Monti (il più famoso giocatore gay della Storia, anche se lo si è saputo solo dopo la sua morte), che segnerà anche il gol decisivo, azzoppa Lucien Laurent, che si fa tanto male da non poter giocare nemmeno la gara successiva, quella in cui la Francia perde, sempre per 1-0, con il Cile ed esce definitivamente di scena.
La Francia schierata contro l'Argentina

Luis Monti (1901-83)

Lucien, dopo quelle due partite mondiali, ne giocherà altre 8 in nazionale, segnando ancora un gol in un Francia-Inghilterra 5-2 del 1931. La sua carriera, tutta trascorsa tra squadre di secondo piano, sarà interrotta nel 1940 quando, arruolato nell'Esercito francese, dopo la sconfitta sarà catturato e deportato in un campo di prigionia in Sassonia. Liberato nel 1943, andrà a chiudere la carriera a Besancon, dove gioca fino al 1946 e comincia a fare l'allenatore con poca voglia. Infatti, appena se lo può permettere, apre una birreria nella stessa città e ci lavora fino al 1972 che va in pensione.
I tedeschi, durante l'occupazione, gli hanno rubato tutto, compresi i cimeli di tutta una carriera. Ma gli restano i ricordi, grazie anche al fatto che arriverà lucidissimo fino a un età molto avanzata.
Nel 1998, la Federazione lo vuole in tribuna d'onore alla finale di Parigi, e qui potrà vedere, a 91 anni, la Francia diventare per la prima volta Campione del Mondo. Si dichiara sempre sorpreso di tanta attenzione per il calcio: che, non smette mai di ripetere, in fondo è solo un gioco.
Nel 1998, è anche l'unico superstite del Mondiali del 1930.
Muore in casa sua a Besancon, nel 2005, pochi mesi prima di compiere 98 anni.
Lo stadio in cui fu segnato il gol di Laurent, il Pocitos, che prendeva il nome dal barrio in cui si trovava, fu demolito nel 1940. Oggi al suo posto ci sono dei palazzi di case popolari. Il cerchio di centrocampo coincide con un appartamento che fa angolo tra Charrúa e calle Coronel Alegre. La prima partita dei Mondiali viene commemorata da due sculture di Eduardo Di Mauro, realizzate nel 2006 e intitolate Cero a cero y pelota al medio (Zero a zero e palla al centro) e Donde duerman las araňas (Dove dormono i ragni, paragonando a una ragnatela il “sette” della porta di calcio).

Le due sculture di Eduardo Di Mauro nel barrio Pocitos