giovedì 29 marzo 2018

Lord Halifax e le sue storie di fantasmi


Le storie di fantasmi non sono certo nate nel Regno Unito, ma di sicuro questo è la patria delle storie di fantasmi più celebri e dei più importanti cliché che le accompagnano, a partire da quello delle case infestate, grazie alle sue lunghe notti invernali, alla sua alta concentrazione di castelli e dimore antiche, spesso edifici passati per diverse proprietà e in modo non sempre trasparente, ma anche alla presenza di boschi e grotte che sono a loro volta scenari perfetti per altri tipi di leggende soprannaturali. Per non parlare dell'influenza del folklore celtico, del quale molti elementi (pensiamo alla “banshee”, lo spirito che si lamenta nelle vicinanze di una casa quando questa sta per essere visitata dalla Morte) sono stati importati nei racconti soprattutto ottocenteschi.
La più importante “enciclopedia” dei fantasmi inglesi è sicuramente quella realizzata, con un lungo e incessante lavoro, da parte di un illustre collezionista di storie, Charles Lindley Wood, secondo visconte di Halifax, vissuto dal 7 giugno 1839 al 19 gennaio 1934, Master of Art in Legge a Oxford nel 1865, cattolico, per lungo tempo presidente della English Church Union, una società che aveva l'obiettivo di mediare il dialogo tra cattolici e anglicani onde evitare gli eccessi dei secoli precedenti. Tuttavia, in questa veste, ottenne veramente pochissimi risultati, perché è vero che non ci furono discriminazioni di minoranze religiose, ma le due Chiese restarono sempre ostili l'una all'altra.
Dal suo matrimonio con Lady Elizabeth Fortescue nacquero 6 figli, 4 maschi e 2 femmine. Con gran dolore dei genitori, 3 dei figli maschi morirono all'età di 7, 15 e 20 anni. Il figlio superstite, Edward (1881-1959), fu ambasciatore negli Usa e viceré dell'India, diventando il primo Conte di Halifax nel 1944. Le due figlie fecero ottimi matrimoni, una con un barone e l'altra con un generale.
Lord Halifax

Non si è mai capito esattamente se Lord Halifax credesse veramente alle storie che raccoglieva o facesse finta di crederci per puro divertimento. Secondo le persone che gli stavano accanto, dichiarava di crederci fermamente. Aveva contatti in tutto il Paese con gente che era incaricata di spedirgli resoconti dettagliati, se possibile accompagnati da “prove” quali ritagli di giornale o testimonianze giurate, su ogni avvenimento “paranormale” che si verificava. A volte riceveva anche alcuni di questi collaboratori come ospiti in casa propria, per farsi raccontare i fatti a voce: e, negli ultimi anni, quando l'età avanzata lo aveva reso quasi sordo, gli ospiti dovevano letteralmente gridare per farsi comprendere.
Perfino sul letto di morte, lucidissimo benché avesse oltre 94 anni, volle che i suoi cari gli facessero compagnia leggendogli storie di fantasmi. Morì proprio mentre l'amico J. G. Lockwood, che in seguito sarebbe stato il suo primo biografo, gli stava leggendo “L'uomo nella gabbia di ferro”, una storia di casa aristocratica infestata ambientata tra il 1785 e il 1786, con una ulteriore coda nel 1887, già oggetto di un racconto da parte di un celebre intellettuale del tempo, il reverendo anglicano Sabine Baring-Gould (1834-1924) che, tra una pubblicazione di carattere religioso e un saggio sulle tradizioni popolari (pare che abbia firmato oltre 1200 opere) trovò il modo di redigere diverse famose storie di fantasmi.
Il rev. Sabine Baring-Gould

Lord Halifax raccolse le sue storie di fantasmi per scopo personale, senza pensare alla loro pubblicazione. Anche se in vita pubblicò diversi articoli su case infestate e fenomeni simili, l'edizione in volume delle sue storie si ebbe solo nel 1936, quando era già morto.



Alcune edizioni classiche del libro

Spessissimo, i suoi corrispondenti erano ecclesiastici, sia cattolici sia anglicani, dato che evidentemente li considerava delle fonti particolarmente attendibili.
Non tutte le storie sono di ambientazione britannica, dato che tra le amicizie di Lord Halifax c'erano anche ufficiali di Marina con contatti oltre oceano. Ce n'è ad esempio una ambientata nel Canada settentrionale nel 1853 e relativa al trasporto della salma di un commerciante di pelli deceduto durante un viaggio (Lord Halifax annota diligentemente che si chiamava Augustus Richard Peers, che era un anglo-irlandese nato nel 1820 e che morì dopo una breve malattia a Fort McPherson): durante il viaggio, mentre la slitta era bloccata da una tempesta di neve, i cani da slitta affamati si avvicinavano al cadavere richiamati dal suo odore e questo li allontanava con il comando a mettersi in riga (“Marche!”, che è anche il titolo della storia), come raccontato nel 1885 dal testimone diretto Roderick Mcfarlane.
Il tema del morto la cui anima non avrà pace finché il corpo non avrà degna sepoltura (oggetto della prima storia nota di fantasmi, che si trova in una lettera di Plinio il Giovane redatta nel II sec. d. C.) si ritrova in storie come “La bara di Renishaw” in cui mostra anche dei sottintesi vagamente erotici, dato che lo spirito si manifesta baciando con le sue labbra gelate le giovani donne che dormono occasionalmente in una stanza di un castello; poi, durante dei successivi lavori di ristrutturazione, salta fuori che sotto il pavimento della stanza è seppellita una bara vecchia di almeno 2 o 3 secoli, contenente ossa umane.
Nella maggior parte, le storie raccolte da Lord Halifax sono piuttosto brevi, poche pagine al massimo. Alcune sono tanto brevi che l'autore le raccoglie in paragrafi di un'unica storia a tema.
Le storie contenute nell'edizione del 1936 sono una settantina. In Italiano, il libro ha avuto almeno 3 versioni, ma tutte solo parziali. Ci sono 26 storie nell'edizione cartonata Sugar del 1968, poi ripubblicata in tascabile da Longanesi nel 1974. Diventano 50 nell'edizione Odoya del 2016, che oltre a essere la più completa è anche la meglio curata. Ma per vedere un'edizione integrale, evidentemente, il lettore italiano deve ancora pazientare.


Le tre edizioni italiane del libro



giovedì 1 marzo 2018

Vita sregolata e morte misteriosa di un ribelle: Mark Frechette


Lo star system di Hollywood è famoso, tra le tante ragioni, per la facilità con cui riesce a riciclare, per fini pubblicitari, anche le figure dei personaggi morti prematuramente, sulle quali vengono imbastite leggende più o meno posticce in modo da farle aderine a un qualche schema di notevole gradimento per il pubblico poco esigente, alimentando un merchandising pressoché inarrestabile.
Di esempi, ce ne sono a iosa: i più noti sono sicuramente quelli di Marilyn Monroe e di James Dean, la cui dimensione umana sembra completamente dissolta nel calderone di due “personaggi” in cui chiunque può proiettare qualunque tipo di fantasia relativa a qualcuno che era “bello e dannato” ed è morto giovane.
Marilyn Monroe (1926-62) durante la lavorazione di "River of no return" (1953)

In particolare, il personaggio di James Dean sembra costruito apposta per incarnare una certa mentalità giovanilistica ribelle ma superficiale, eternamente adolescenziale e del tutto inconcludente, un “dannato” a misura di giovani faciloni e di adulti che disprezzano i giovani. L'operazione è resa particolarmente facile dall'identificazione di Dean con i suoi pochi personaggi, dal ragazzo tormentato di “La valle dell'Eden” al teddy boy di “Gioventù bruciata”, fino all'improbabile self made man di “Il gigante”: tutti film che all'epoca destarono una notevole impressione nel pubblico ma che oggi appaiono parecchio datati e sempre piuttosto conformi alla mentalità del Codice Hays, del quale superarono tranquillamente il visto di censura.
Tutto questo, indipendentemente da qualunque cosa sia stato realmente Dean nella vita, di cui non importa nulla a nessuno.

Due immagini di James Dean (1931-55)

Hollywood, tuttavia, non ha potuto appropriarsi di una figura che, pur avendo lasciato una piccola ma indelebile traccia nella storia del cinema, si è sempre tenuta lontana dai suoi riflettori. Anche Mark Frechette ha girato solo 3 film, uno negli States diretto da un regista italiano (Michelangelo Antonioni) in una produzione indipendente e due in Italia; anche Frechette è morto prematuramente, in circostanze quanto meno sospette, dopo una vita ben più esagerata di quella di Dean. Se fosse passato per Hollywood, oggi, sicuramente lo vedremmo dappertutto.
Mark Frechette

Frechette era di famiglia franco-canadese e cattolica, nato a Boston il 4 dicembre 1947. Si dice che, da bambino, frequentando la locale parrocchia, fu abusato da un sacerdote (Laurence Francis Xavier Brett, della diocesi di Bridgeport). Comunque, la sua famiglia non lo seguì molto e, dopo aver lasciato la High School di Fairfield, connecticut, dove era cresciuto, senza terminarla, nel 1966, a soli 18 anni, si trovò a dover mantenere una moglie e una figlia, intanto che vagabondava tra Boston e New York. Trovò lavoro come operaio presso una falegnameria di Roxbury, una periferia di Boston abitata soprattutto da neri. Nella zona, a Fort Hill, c'era una comune guidata da un ex musicista che alla fine degli anni '50 aveva goduto di grande notorietà, Mel Lyman. Era una strana comune, che nasceva come esperienza analoga a quella degli hippies ma seguiva delle regole nettamente anti-hippie: tutt'altro che pacifista, tendeva a incoraggiare la violenza e l'uso delle armi, non permetteva il libero amore ed era costantemente sotto il controllo della polizia locale. Questa comune pubblicava una bollettino, intitolato “Avatar”, del quale Frechette divenne accanito lettore. Dopo qualche tempo, chiese di essere ammesso alla comune insieme alla moglie e alla figlia, ma con scarsi risultati, perché Lyman lo giudicò un poveraccio buono a nulla.
Mel Lyman (1938-78)

Tuttavia, la sua vita era destinata a cambiare in seguito a un singolare episodio. Nell'estate del 1969, Michelangelo Antonioni era disperato perché non riusciva a trovare un protagonista adatto al film che aveva in mente, “Zabriskie Point”, nonostante stesse battendo tutti gli States con i casting. Una delle assistenti di Antonioni, Sally Dennison, mentre era in strada, si imbatté in Frechette mentre questo stava litigando con una donna, forse affacciata a una finestra, contro la quale gettò un vaso di fiori. La carica di aggressività del giovane impressionò la Dennison, che chiamò subito Antonioni, proponendo di ingaggiare Frechette. Questi si dimostrò interessato a lavorare in un film ma non particolarmente entusiasta della sceneggiatura.
Michelangelo Antonioni (1912-2007)

“Zabriskie Point” è un film controverso sulla contestazione giovanile degli anni '60, incentrato sulla fuga nel deserto di una giovane coppia incontratasi per caso (uno studente ricercato dalla polizia per aver ucciso un agente durante una manifestazione e una ragazza in cerca di lavoro) fino ad arrivare alla villa di un ricco e cinico pubblicitario, presso il quale la ragazza dovrebbe sostenere un colloquio. Lui vi arriva su un piccolo aereo rubato, lei in macchina. I due hanno una breve storia, poi lei convince lui a riportare l'aereo dove lo aveva preso: ma, nel farlo, lui viene sorpreso e ucciso dai poliziotti. Sconvolta dalla notizia, appresa per radio, la ragazza vorrebbe far esplodere la villa del pubblicitario, ma può solo immaginarlo.
La locandina di "Zabriskie Point"

Frechette insieme a Daria Halprin (nata nel 1948)

Critica e pubblico furono molto divisi e gli incassi furono modesti (2 milioni di dollari dopo che ne erano stati spesi 7 per la produzione). Frechette fu comunque pagato 60.000 dollari così come pattuito, cercò di nuovo di entrare nella comune di Lyman e, stavolta, fu ammesso. Donò interamente il suo compenso alla comune e convinse anche l'altra protagonista del film, Daria Halprin, con cui aveva una storia, a seguirlo. La Halprin restò pochissimo tempo nella comune, perché i metodi di Lyman non le piacevano affatto. Innamoratasi di un altro attore, l'autore e protagonista di “Easy rider”, Dennis Hopper, se ne andò per sposarlo.
Dennis Hopper (1936-2010) a sinistra, insieme a Peter Fonda (1939) in "Easy Rider"

La prestanza e l'avvenenza fisica di Frechette gli garantirono comunque una certa notorietà a prescindere dal successo del film. Tra il 1969 e il 1970, sia “Look Magazine” sia “Rolling Stone” dedicarono servizi e copertine a lui e alla Halprin, così come altre pubblicazioni meno note. Lavorò anche come modello per un servizio uscito su “Vogue”, sempre nel 1969.



Copertine con Frechette e la Halprin





Frechette modello per "Vogue" nel novembre 1969

Si fece notare in una serie di apparizioni televisive controverse ma di grande impatto mediatico, sia comparendo al fianco dell'attivista anarchico Abbie Hoffman in “The Merv Griffin Show”, sia litigando con un altro ospite mentre si trovava nel celebre “Dick Cavett Show” insieme a Daria Halprin.
Tra il 1970 e il 1971, Frechette soggiornò a lungo in Europa, tra Italia e Jugoslavia, dove girò altri due film: il capolavoro del cinema pacifista “Uomini contro” di Francesco Rosi, tratto dal libro “Un anno sull'altipiano” di Emilio Lussu, in cui recitò accanto a un altro ribelle (ma soprattutto un grandissimo attore), Gian Maria Volontè; e “La grande scrofa nera”, un confuso film contestatario ambientato in una famiglia tradizionale e autoritaria, in cui ritrovò Alain Cuny, il grande attore francese che aveva già avuto accanto in “Uomini contro”.
Locandina di "Uomini contro"

Frechette in "Uomini contro"

Alain Cuny (1908-94) e Gian Maria Volontè (1933-94) in "Uomini contro"

Locandina di "La grande scrofa nera"

Frechette con Rada Rassimov in "La grande scrofa nera"

Anche i compensi di questi film furono devoluti alla comune di Lyman, presso la quale Frechette riprese a vivere una volta tornato negli Usa.
A quel punto, mentre la comune cominciava a dare segni di imminente sfascio (Lyman sarebbe poi morto per cause naturali nel 1978, a 40 anni), Frechette prese a coltivare un proprio personale progetto artistico, quello di girare un film come protagonista, tratto da “Delitto e castigo” di Dostoevskij, ma non trovò nessun produttore disposto a finanziarlo. Ciò nonostante, assicurò l'amico regista Deszo Magyar, ungherese, che divideva con lui la paternità del soggetto, che i soldi si sarebbero trovati. Magyar sarebbe rimasto sbalordito dalla folle idea venuta in mente a Frechette.
Il 29 agosto 1973, Frechette e altri due membri della comune di Lyman tentarono di rapinare la filiale di Roxbury della New England Merchant's Bank. Intervenne la polizia e uno dei complici di Frechette, Christopher Thein, fu ucciso. Frechette e l'altro complice, Sheldon Bernhard, furono catturati, processati per direttissima e condannati a una pena compresa tra i 6 e i 15 anni.
Frechette, che non era considerato socialmente pericoloso, fu così rinchiuso nella prigione statale di minima sicurezza di Norfolk, nel Massachusetts, dove era libero di svolgere diverse attività e fraternizzò facilmente con gli altri detenuti.
Malgrado le buone condizioni in cui era tenuto, tuttavia, dopo qualche tempo cadde in depressione e cominciò a dimagrire. Il suo avvocato tentò di farlo accedere a qualche programma di pene alternative, ma la relativa commissione perse molto tempo prima di occuparsi del caso. Sembra che Frechette non si desse pace per aver coinvolto nella rapina il giovane Thein, di cui era molto amico, e si considerasse responsabile della sua morte.
Tuttavia, le circostanze della morte di Frechette, avvenuta in carcere il carcere la notte tra il 27 e il 28 settembre 1975, non sono state mai ben chiarite. La sera prima, un compagno di detenzione lo aveva lasciato in palestra. La mattina dopo, Frechette fu trovato morto su una panca bassa, ucciso dal peso di un bilanciere di 70 kg che gli sarebbe sfuggito di mano e caduto sul collo, facendogli perdere conoscenza e poi soffocandolo, durante un esercizio.
La ricostruzione non è stata mai considerata molto convincente e da più parti si è sostenuto che in realtà Frechette fu “eliminato”, anche se non sono state mai fornite né prove né ricostruzioni alternative al riguardo.
Il film “Death Valley Superstar” di Michael Yaroshevsky, uscito nel 2008, ha riportato a una certa fama la figura di Frechette, sulla quale il tempo aveva steso un velo di oblio.
Locandina di "Death Valley Superstar", un film mai doppiato in Italiano