sabato 22 dicembre 2018

La strana morte di Robert Walker, attore di successo


Non si dice aggiunge nulla di nuovo, quando si racconta degli scandali sessuali e delle morti sospette nell'ambiente di Hollywood. Il contrasto tra i “valori tradizionali” propagandati dal cinema delle majors americane nel periodo del codice Hays e i comportamenti privati degli autori e interpreti degli stessi film è stato oggetto di tali e tanti opere di rivelazioni biografiche che ormai si può parlare di una vera e propria mitologia messa in piedi in tal senso, non si sa neanche fino a che punto del tutto vera.
In particolare, una vera enciclopedia del genere si può trovare nei due ponderosi tomi della serie “Hollywood Babylon”, scritti dal cineasta Kenneth Anger (nato nel 1927). Mentre un altro volume, più piccolo e di facile lettura, è “The Casting Couch”, opera di un attore e sceneggiatore inglese, Alan Selwyn (1926-2002), e di un regista pure britannico, Derek Ford (1932-95), uscito nel 1990 e tradotto in Italiano l'anno dopo.
Il primo dei volumi di Anger


Il libro di Selwyn e Ford e la sua traduzione italiana

Tra i casi di abusi, sessuali e non solo, trattati da Selwyn e Ford, spicca in particolare la vicenda che, tra la seconda metà degli anni '40 e i primi anni del decennio successivo, coinvolse il famoso produttore David Selznick, la celeberrima attrice Jennifer Jones, sua futura moglie, e l'allora marito della Jones, l'attore Robert Walker, a quel tempo tra i più quotati della sua generazione.
Walker, nato nello Utah nel 1918, e la Jones (che all'epoca si chiamava ancora Phyllis Lee Isley), nata in Oklahoma nel 1919, si incontrarono per la prima volta mentre erano allievi dell'American Academic of Dramatic Arts di New York e si sposarono poco tempo dopo, il 2 gennaio 1939. Inizialmente tentarono la fortuna a Hollywood, ma gli scarsi risultati li indussero a tornare a New York, dove Walker lavorò con successo alla radio mentre la moglie dava alla luce, nel 1940 e 1941, i loro due figli, Robert Junior e Michael.

Due immagini di Robert Walker


Due immagini di Jennifer Jones

Due immagini di Walker con i figli 

Nello stesso 1941, un agente propose Walker al produttore David O. Selznick, nato nel 1902, reduce dall'enorme successo di “Via col vento”. Selznick non fu particolarmente impressionato da Walker ma prese letteralmente una sbandata per la moglie di questo, che convinse a cambiare il nome in Jennifer Jones e impose quale protagonista di un filmetto non memorabile intitolato “Claudia”, benché al provino non avesse convinto né il regista né la sceneggiatrice, né il co-protagonista Cary Grant, che addirittura lasciò la produzione. L'anno dopo, dopo averla messa sotto contratto, Selznick la prestò alla 20th Century Fox per un nuovo kolossal, stavolta di argomento religioso, “Bernadette”, grazie al quale la nuova stella vinse l'Oscar quale migliore protagonista e divenne rapidamente famosissima.
David O. Selznick

Le voci per cui Selznick imponesse la sua protetta soprattutto in quanto sua amante si moltiplicarono. La vicinanza a Selznick permise a Walker di avere alcune buonissime occasioni, ad esempio con il film bellico “Bataan” in cui diede un'ottima prova, affermandosi come un interprete davvero valido. Tuttavia, il suo rapporto con la moglie finì per deteriorarsi e i due divorziarono nel 1945. Contemporaneamente, anche Selznick affrontò una dura battaglia legale per divorziare dalla moglie, Irene, figlia del produttore Louis B. Mayer.
Irene Mayer Selznick (1907-90)

Intanto, nel 1944, Selznick aveva fatto recitare Walker e la Jones fianco a fianco, in un delicato dramma familiare ambientato durante la guerra, intitolato “Since you went away”, diretto da John Cromwell. Walker faceva la parte del fidanzato della Jones, una ragazza in pena per il padre combattente in Europa, interpretato da Joseph Cotten. Il fidanzato partiva e moriva in guerra (mentre invece il padre sarebbe tornato). Prima della partenza, però, la coppia aveva diversi momenti di intimità piuttosto intensi (nei limiti di quanto permetteva la Hollywood del tempo) e, per la coppia in aperta crisi, l'interpretazione di queste scene fu un'esperienza piuttosto devastante. La Jones fuggiva in camerino e doveva essere riportata sul set in lacrime, mentre Walker si mise a bere smodatamente.

Una locandina e una scena del film (in Italiano, "Da quando te ne andasti")

Dopo il divorzio di Selznick, questo poté finalmente sposare la Jones, nel 1949. Due anni prima, Walker si era risposato con Barbara Ford, attrice figlia del regista John, ma l'unione era durata solo cinque mesi. Tuttavia, non gli mancavano le compagnie femminili né le occasioni di lavoro, anche senza la spinta interessata di Selznick.
Walker con Barbara Ford (1922-85)

Nel 1950 diede una straordinaria prova d'interprete, coronata da grande successo, in “Strangers on a train” di Hitchcock, in cui interpretò un affascinante psicopatico. Tuttavia, il vizio del bere non lo lasciava più ed era sempre più spesso ubriaco.
Locandina di "Strangers on a train"

Fino alla sera del 28 agosto 1951, in cui, non si sa per quale ragione, ritirandosi a casa sbronzo come sempre, trovò ad aspettarlo uno o due medici (le versioni sono contrastanti) che, con la scusa di sedarlo, gli somministrarono una iniezione di un sedativo, l'amobarbital, che preso in combinazione con l'alcol è quasi sempre micidiale. Walker era ancora abbastanza lucido da chiedere aiuto e resistere, ma i sanitari chiamarono degli inservienti che lo tennero fermo permettendo l'iniezione. Walker perse conoscenza e morì tre ore dopo.
Il dettaglio più significativo è che, dopo la successiva inchiesta giudiziaria, il coroner stabilì quale causa della morte l'alcolismo, senza mai citare l'iniezione.
Selznick è stato ripetutamente chiamato in causa come mandante del delitto, anche se il movente non è stato mai chiarito. Va detto che in quel periodo gli Usa stavano entrando nella fase storica del Maccarthismo, caratterizzata da un paranoico anticomunismo, nella quale Hollywood fu coinvolta sia per le accuse di corrompere la popolazione raccontando storie poco patriottiche nei film, sia attraverso la produzione di film di propaganda anticomunista. Per alcuni anni, ci fu una vera “caccia alle streghe” pere ripulire anche dai soli sospetti comunisti tutto il mondo della cultura e dello spettacolo, e alcune persecuzioni finirono per concludersi con delle morti sospette, la più celebre delle quali è quella dell'attore John Garfield, che non aveva voluto collaborare con la “Commissione per le attività antiamericane”, che si occupava appunto di scoprire e “punire” i comunisti.
John Garfield (1913-52)

Non risulta che Walker fosse in qualche modo legato ai comunisti ma, quando morì, stava recitando come protagonista nel film “My son John”, uno dei più incredibili prodotti della paranoia del tempo, in cui una madre preferisce uccidere il figlio piuttosto che vederlo diventare un nemico della patria. La pellicola dovette essere terminata con l'uso di controfigure e altri artifici tecnici.
Selznick continuò poi a imporre la Jones come protagonista di diversi film, ma i numerosi insuccessi collezionati lo indussero a desistere nei primi anni '60. Morì improvvisamente nel 1965.
Selznick e la Jones da coniugi

Jennifer Jones è sopravvissuta fino al 2009, lavorando ancora raramente in ruoli secondari fino al 1974. L'ultima sua apparizione fu in “L'inferno di cristallo”. I due figli suoi e di Walker, entrambi molto rassomiglianti al padre, hanno avuto discrete carriere di attori caratteristi, specie il primo. 
Robert Walker jr.

Michael Walker



giovedì 6 dicembre 2018

Il delitto di Montalto Uffugo che ispirò "Pagliacci" di Leoncavallo


Umberto Saba ha scritto, una volta, “il bel canto è italiano, il cinematografo americano, il romanzo poliziesco inglese”: ma non si può negare che alcune delle più celebri opere liriche italiane mettano in scena delle trame, oltre che molto adatte a una trasposizione cinematografica, anche parecchio “noir”, ossia vicine a un poliziesco non tanto all'inglese, quanto all'americana.
Tali, queste opere, anche perché a volte ispirate da fatti di cronaca nera, così come era anche abbastanza prevedibile nel periodo tra fine '800 e primi del '900, in cui dominava la narrativa verista. Quelle considerate le più importanti opere liriche veriste sono “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni (tratta, notoriamente, da una novella di Giovanni Verga) e “Pagliacci” di Ruggiero Leoncavallo, ispirata appunto a un delitto reale.
Giovanni Verga (1840-1922)

Ruggiero Leoncavallo (1857-1919)


Locandina e spartito d'epoca di "Cavalleria rusticana"

Leoncavallo, nato a Napoli nel 1857, figlio di un magistrato, durante la giovinezza risiedette in varie località del Sud Italia, seguendo i trasferimenti per lavoro del padre Vincenzo. In particolare, risiedette per alcuni anni a Montalto Uffugo, in provincia di Consenza, dove iniziò anche gli studi musicali e cui restò sempre legato, anche perché nel 1903 ne ricevette la cittadinanza onoraria.
L'opera cui Leoncavallo (morto poi a Montecatini nel 1919) deve la fama imperitura, appunto “Pagliacci”, appartiene in modo particolare alla sua creatività, dato che ne scrisse sia la musica sia il libretto, quest'ultimo ispirandosi chiaramente a un delitto che lo vide testimone, consumatosi la sera del 4 marzo 1865, quando un domestico della sua famiglia, Gaetano Scavello, di 24 anni, fu pugnalato a morte all'uscita del locale teatro, per ragioni di rivalità amorose, dai fratelli Luigi e Giovanni D'Alessandro.

Locandine e spartiti d'epoca di "Pagliacci"

Nel 1995, una studentessa calabrese, Luisa Longobucco, realizzò la sua tesi di laurea in Lettere ricostruendo tutta la storia dell'opera, eseguita per la prima volta il 21 maggio 1892 a Milano, a partire proprio dalle circostanze del delitto, ricostruite attraverso i documenti d'epoca. Tale lavoro è poi stato pubblicato dall'editore Rubbettino nel 2003.

Sappiamo dunque, dai verbali dei carabinieri, che il magistrato inquirente, Francesco Marigliano, assistito dal cancelliere Tommaso Bonelli, il 7 marzo 1865 convocò quattro conoscenti dello Scavello, due muratori e due sarti, affinché ne riconoscessero il corpo.
Fu poi separatamente interrogato il padre della vittima, Carmine, domestico. Questi raccontò che la sera del 5 marzo il figlio Gaetano si era recato a teatro per vedere un'opera lirica e, all'uscita, ma ancora all'interno del locale, mentre chiacchierava con l'amico Pietro Ammirata, era stato aggredito dai fratelli Luigi e Giovanni D'Alessandro, che avevano trascorso la serata camminando su e giù davanti al teatro, con lo scopo evidente di tendere un'imboscata a qualcuno che doveva uscirne. I due gli vibrarono altrettante coltellate, una che lo colse al braccio e l'altra al ventre, poi si diedero alla fuga. Sebbene il giovane fosse rapidamente soccorso, la seconda ferita era troppo grave per sopravvivere, e la morte sopraggiunse alle 2 di notte. Al fatto assistettero almeno 9 testimoni.
Altre testimonianze attestarono che, il giorno prima del delitto, Scavello aveva percosso un adolescente che era al servizio dei D'Alessandro, non si sa per quale motivo, e già subito dopo i due fratelli si erano presentati a lui con i coltelli spianati, ma non erano riusciti a colpirlo perché diverse persone si erano messe in mezzo, permettendo a Scavello di allontanarsi.
Giovanni D'Alessandro fu arrestato in casa sua, la notte stessa del delitto e negò immediatamente di aver colpito Scavello. Luigi D'Alessandro, invece, si costituì a Cosenza il giorno dopo, affermando di non aver partecipato a nessuna aggressione e di aver lasciato Montalto perché aveva sentito dire che volevano arrestare suo fratello e non voleva essere messo in mezzo.
L'autopsia accertò che Scavello era morto in seguito alla massiva emorragia insorta quando la coltellata, infertagli sotto l'ombelico, gli aveva tagliato l'arteria ipogastrica sinistra.
Il numero dei testimoni aumentava man mano che la ricostruzione andava avanti. Tre amici di Scavello raccontarono che il pomeriggio del 4 marzo erano con lui a casa di uno di essi, vicino alla fontana detta del Somaro; vedendo arrivare una donna per la quale provava un certo interesse, accompagnata da un ragazzo al servizio dei D'Alessandro, Pasquale Esposito, Scavello invitò gli amici a scendere insieme a lui, perché gli sembrava che la coppia volesse appartarsi in una vecchia torre. In strada, Scavello si mise a infastidire Esposito, appena uscito dalla torre, e, quando questi non rispose alle sue provocazioni, lo colpì leggermente con un bastone.
Questo è quanto dichiararono gli amici di Scavello. Più verosimilmente, la donna e il ragazzo furono infastiditi da Scavello perché questo era interessato alla prima e forse cercò anche di metterle le mani addosso, ottenendone un netto rifiuto. Infatti la donna, di cui non è stato tramandato il nome, non aveva niente a che fare con Esposito ma rappresentava anche l'oggetto del desiderio di Luigi D'Alessandro e probabilmente preferiva quest'ultimo a Scavello.
Comunque, Esposito andò a chiamare i padroni e, prima che Scavello e gli amici potessero rincasare, questi si prentarono armati di una frusta, anche se Luigi D'Alessandro si limitò a schiaffeggiare Scavello quando questi rispose in modo indisponente alle sue domande. Allora Scavello gli tirò contro un sasso, senza colpirlo, e fu a quel punto che i due tirarono fuori i coltelli. Il trambusto aveva fatto affacciare parecchi degli abitanti della strada, che videro Scavello allontanarsi e i suoi amici frapporsi tra lui e i due D'Alessandro che lo minacciavano. In particolare, un uomo che era sceso in strada sentì ripetutamente i due minacciare di morte Scavello, precisando che alla prima occasione lo avrebbero fatto fuori.
Un altro testimone riferì che la sera del 5 marzo i due fratelli si erano presentati al teatro entrando e lasciando Esposito a fare da palo fuori, e che il ragazzo aveva candidamente raccontato che tutti e tre erano lì per uccidere Scavello.
Altri quattro testimoni dissero di aver visto un uomo fuggire dal teatro: uno di essi precisò di aver riconosciuto Luigi D'Alessandro, con cui aveva anche parlato. D'Alessandro era molto agitato e aveva fretta di andare lontano.
Pietro Ammirata, che era ai piedi della scalinata del teatro con Scavello quando questo fu aggredito, era voltato dall'altra parte quando avvenne il fatto, e se ne rese conto solo dalle grida di dolore dell'amico. Un altro testimone vide però distintamente Luigi D'Alessandro vibrare il colpo al braccio e il fratello Giovanni quello al ventre.
Diversi altri testimoni, nella notte, videro fuggire sia Luigi sia Giovanni D'Alessandro, il secondo ancora con il coltello in mano.
L'inchiesta fu condonna inizialmente proprio dal padre di Leoncavallo, ma questi dovette poi ritirarsi in quanto troppo direttamente coinvolto, lasciandola al procuratore Marigliano. Al processo, seguito dopo poco, Luigi D'Alessandro fu condannato a 20 anni di reclusione, suo fratello Giovanni ai lavori forzati a vita.
Veduta del centro storico di Montalto Uffugo

Santuario di S. Maria della Serra a Montalto Uffugo

Bozzetto per le scenografie di "Pagliacci" realizzato da Rocco Ferrari e chiaramente ispirato a Montalto Uffugo

A distanza di molti anni, Leoncavallo non dimenticava la sostanza dei fatti (era molto legato a Scavello, assunto apposta per badargli) ma ne confondeva i dettagli. Raccontò infatti di ricordare un delitto in cui aveva visto un uomo accoltellato in un teatro da un altro uomo vestito da pagliaccio, che aveva già accoltellato sua moglie in scena nella finzione teatrale appena vista. Il lavoro lo prese talmente che impiegò appena venti giorni a redigere il libretto. Tuttavia, il suo editore, Ricordi, rifiutò quest'ultimo, ritenendolo troppo ardito nella sua mescolanza di circostanze comiche e tragiche. Leoncavallo non si perse d'animo e lo propose allora a Sonzogno, che lo accettò. L'immediato successo dell'opera e l'entusiasmo ridestato da questa in artisti del calibro di Arturo Toscanini avrebbero dato ragione a entrambi.



Immagini dalla rappresentazione del 2014 al teatro Petruzzelli di Bari, diretta da Marco Bellocchio, che si è ispirato all'opera anche per un "corto"



martedì 27 novembre 2018

L'Adagio di Albinoni è un falso?


Uno dei protagonisti della ricca stagione musicale del Barocco Veneziano (e italiano in generale) è sicuramente Tomaso Albinoni, nato appunto a Venezia l'8 giugno 1671 e ivi morto il 17 gennaio 1751. Nato in una ricca famiglia di industriali cartari originari del Bergamasco (all'epoca appartenente alla Repubblica Veneta), non fu musicista per professione ma solo per passione, al punto che si fece chiamare “Dilettante veneto”.
Tomaso Albinoni

Ma dilettante lo era solo nel senso del diletto, perché stiamo comunque parlando di un compositore di prim'ordine, autore di pezzi originali e capaci di superare tranquillamente la prova del tempo. Grande viaggiatore, fu più volte in Germania, in particolare in Sassonia. Qui, nella Biblioteca Nazionale Sassone, a Dresda, sono rimasti custodite le partiture autografe di diverse sue opere inedite per alcuni secoli.
L'antica Biblioteca Nazionale Sassone di Dresda

La nuova Biblioteca Nazionale Sassone di Dresda
L'interno della Biblioteca Nazionale Sassone

Dresda fu sottoposta a un terrificante bombardamento aereo tra il 13 e il 15 febbraio 1945. In quest'occasione, tra i tanti edifici distrutti vi fu anche la Biblioteca Nazionale. In tal modo, insieme a molti altri importanti documenti e a tante opere d'arte, andarono perdute anche le opere di Albinoni.
Nello stesso 1945, tuttavia, arrivò a Dresda un musicologo e compositore romano impegnato nella ricostruzione del catalogo delle opere di Albinoni, Remo Giazotto, nato nel 1910, e si mise al lavoro sul poco che era stato ritrovato tra le macerie. In particolare, su sei frammenti di melodia, che identificavano almeno due spunti, e un “basso numerato” in Sol minore, le cui strutture suggerivano l'appartenenza alla musica da chiesa anziché da camera: tale che, sebbene non fossero riportati da nessuna parte gli strumenti che dovevano eseguire il pezzo, Giazotto assegnò il basso a un organo e la melodia agli archi. Ipotizzò anche che appartenesse a una parte della op. 4 del maestro, datandola approssimativamente al 1708.
Remo Giazotto
L'organo della chiesa veneziana di S. Nicola da Tolentino

Ne venne fuori, così, la ricostruzione di un Adagio (probabilmente il tempo di mezzo di una sonata, preceduto e seguito da due Allegri andati perduti) che fu pubblicato nel 1958 dalla Ricordi e ottenne da subito un enorme successo, destinato a travalicare i confini della musica barocca e perfino classica, tant'è vero che oggi se ne possono ascoltare versioni di tutti i generi, comprese quelle accompagnate da un testo cantato, il più famoso dei quali è probabilmente quello in Italiano eseguito dal cantante tedesco Udo Jurgens (1934-2014) nel 1968.


Alcune versioni attualmente in commercio dell'Adagio

L'attuale spartito del pezzo

Udo Jurgens negli anni '60

Il pezzo è entrato poi a far parte di moltissime colonne sonore televisive e cinematografiche ed è regolarmente eseguito in occasione di importanti cerimonie, di cui la più nota è stata il funerale di Enrico Berlinguer a Roma nel 1984.
La fama dell'Adagio appare definitivamente consolidata quando Giazotto muore, nel 1998 (il musicologo è tra l'altro il padre di un importante astrofisico italiano, Adalberto Giazotto, insigne studioso di onde gravitazionali). Nello stesso anno, però, altri ricercatori si recano alla Biblioteca Nazionale Sassone e non vi trovano da nessuna parte i frammenti su cui Giazotto affermò di aver lavorato. C'è solo il “basso numerato”. Almeno questa è la versione ufficiale e quindi quella che poi si è affermata nel tempo.
Adalberto Giazotto (1940-2017)

In altri termini, Giazotto avrebbe solo preso ispirazione da Albinoni, ma l'Adagio l'avrebbe composto lui personalmente. Solo le prime note, al massimo, sarebbero di Albinoni. L'opera sarebbe quindi un falso. Non si può certo paragonare a certe ricostruzioni attentissime e filologicamente perfette come quella del concerto per flauto e orchestra da camera denominato "La notte" di Vivaldi, compiuta da un altro musicologo italiano (nonché importante compositore del '900), Roberto Lupi (che però aveva a disposizione molto più materiale. Lupi, tra l'altro, è l'autore della celebre "Armonie del pianeta Saturno" che per molto tempo è stata la sigla della Fine delle trasmissioni della Rai).
Roberto Lupi (1908-71)

Una parte del mondo della musica obietta che parlare di “falso” è piuttosto improprio. Ai tempi di Albinoni era normale elaborare brani musicali partendo da spunti di altri musicisti, e Giazotto non avrebbe fatto altro che questo, rispettando perfettamente lo spirito del tempo originale. Ha più senso parlare di una strana “collaborazione” spalmata su oltre due secoli.
In seguito, Giazotto è stato accusato di aver quanto meno forzato le interpretazioni di alcuni fatti concernenti la vita di Antonio Vivaldi, di cui pure si è a lungo occupato.
Antonio Vivaldi (1978-1741)

In “Documenti inediti su Vivaldi a Roma” (Olschki, Firenze, 1982), Fabrizio Della Seta, dell'Università di Pavia, smentisce la sua ricostruzione della querelle che oppose Vivaldi alla famiglia Marcello (la stessa dei compositori Benedetto e Alessandro, quest'ultimo autore di un altro Adagio, universalmente noto come “Anonimo veneziano” dopo essere stato il leitmotiv della colonna sonora del film omonimo) per questioni inerenti la gestione del teatro S.Angelo di Venezia, intorno al 1720.
Fabrizio Della Seta (1951)

Benedetto Marcello (1686-1739)

Alessandro Marcello (1673-1747)

Tony Musante e Florinda Bolkan in una scena del film "Anonimo veneziano"

La studiosa americana Eleanor Selfridge-Field, della Stanford University, ha poi messo in dubbio l'esistenza, dichiarata da Giazotto, di un documento sottoscritto da un censore veneziano riguardo la prima rappresentazione della terza opera lirica di Vivaldi, “Arsilda, regina del Ponto”, datato 1716. Poiché Giazotto ha messo mano anche al catalogo delle opere di Vivaldi, alcuni dei suoi detrattori arrivano a sostenere che potrebbe essere lui l'autore di alcune composizioni attribuite a Vivaldi, così come forse lo sarebbe di altri pezzi ancora di Albinoni.
Eleanor Selfridge-Field