giovedì 6 dicembre 2018

Il delitto di Montalto Uffugo che ispirò "Pagliacci" di Leoncavallo


Umberto Saba ha scritto, una volta, “il bel canto è italiano, il cinematografo americano, il romanzo poliziesco inglese”: ma non si può negare che alcune delle più celebri opere liriche italiane mettano in scena delle trame, oltre che molto adatte a una trasposizione cinematografica, anche parecchio “noir”, ossia vicine a un poliziesco non tanto all'inglese, quanto all'americana.
Tali, queste opere, anche perché a volte ispirate da fatti di cronaca nera, così come era anche abbastanza prevedibile nel periodo tra fine '800 e primi del '900, in cui dominava la narrativa verista. Quelle considerate le più importanti opere liriche veriste sono “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni (tratta, notoriamente, da una novella di Giovanni Verga) e “Pagliacci” di Ruggiero Leoncavallo, ispirata appunto a un delitto reale.
Giovanni Verga (1840-1922)

Ruggiero Leoncavallo (1857-1919)


Locandina e spartito d'epoca di "Cavalleria rusticana"

Leoncavallo, nato a Napoli nel 1857, figlio di un magistrato, durante la giovinezza risiedette in varie località del Sud Italia, seguendo i trasferimenti per lavoro del padre Vincenzo. In particolare, risiedette per alcuni anni a Montalto Uffugo, in provincia di Consenza, dove iniziò anche gli studi musicali e cui restò sempre legato, anche perché nel 1903 ne ricevette la cittadinanza onoraria.
L'opera cui Leoncavallo (morto poi a Montecatini nel 1919) deve la fama imperitura, appunto “Pagliacci”, appartiene in modo particolare alla sua creatività, dato che ne scrisse sia la musica sia il libretto, quest'ultimo ispirandosi chiaramente a un delitto che lo vide testimone, consumatosi la sera del 4 marzo 1865, quando un domestico della sua famiglia, Gaetano Scavello, di 24 anni, fu pugnalato a morte all'uscita del locale teatro, per ragioni di rivalità amorose, dai fratelli Luigi e Giovanni D'Alessandro.

Locandine e spartiti d'epoca di "Pagliacci"

Nel 1995, una studentessa calabrese, Luisa Longobucco, realizzò la sua tesi di laurea in Lettere ricostruendo tutta la storia dell'opera, eseguita per la prima volta il 21 maggio 1892 a Milano, a partire proprio dalle circostanze del delitto, ricostruite attraverso i documenti d'epoca. Tale lavoro è poi stato pubblicato dall'editore Rubbettino nel 2003.

Sappiamo dunque, dai verbali dei carabinieri, che il magistrato inquirente, Francesco Marigliano, assistito dal cancelliere Tommaso Bonelli, il 7 marzo 1865 convocò quattro conoscenti dello Scavello, due muratori e due sarti, affinché ne riconoscessero il corpo.
Fu poi separatamente interrogato il padre della vittima, Carmine, domestico. Questi raccontò che la sera del 5 marzo il figlio Gaetano si era recato a teatro per vedere un'opera lirica e, all'uscita, ma ancora all'interno del locale, mentre chiacchierava con l'amico Pietro Ammirata, era stato aggredito dai fratelli Luigi e Giovanni D'Alessandro, che avevano trascorso la serata camminando su e giù davanti al teatro, con lo scopo evidente di tendere un'imboscata a qualcuno che doveva uscirne. I due gli vibrarono altrettante coltellate, una che lo colse al braccio e l'altra al ventre, poi si diedero alla fuga. Sebbene il giovane fosse rapidamente soccorso, la seconda ferita era troppo grave per sopravvivere, e la morte sopraggiunse alle 2 di notte. Al fatto assistettero almeno 9 testimoni.
Altre testimonianze attestarono che, il giorno prima del delitto, Scavello aveva percosso un adolescente che era al servizio dei D'Alessandro, non si sa per quale motivo, e già subito dopo i due fratelli si erano presentati a lui con i coltelli spianati, ma non erano riusciti a colpirlo perché diverse persone si erano messe in mezzo, permettendo a Scavello di allontanarsi.
Giovanni D'Alessandro fu arrestato in casa sua, la notte stessa del delitto e negò immediatamente di aver colpito Scavello. Luigi D'Alessandro, invece, si costituì a Cosenza il giorno dopo, affermando di non aver partecipato a nessuna aggressione e di aver lasciato Montalto perché aveva sentito dire che volevano arrestare suo fratello e non voleva essere messo in mezzo.
L'autopsia accertò che Scavello era morto in seguito alla massiva emorragia insorta quando la coltellata, infertagli sotto l'ombelico, gli aveva tagliato l'arteria ipogastrica sinistra.
Il numero dei testimoni aumentava man mano che la ricostruzione andava avanti. Tre amici di Scavello raccontarono che il pomeriggio del 4 marzo erano con lui a casa di uno di essi, vicino alla fontana detta del Somaro; vedendo arrivare una donna per la quale provava un certo interesse, accompagnata da un ragazzo al servizio dei D'Alessandro, Pasquale Esposito, Scavello invitò gli amici a scendere insieme a lui, perché gli sembrava che la coppia volesse appartarsi in una vecchia torre. In strada, Scavello si mise a infastidire Esposito, appena uscito dalla torre, e, quando questi non rispose alle sue provocazioni, lo colpì leggermente con un bastone.
Questo è quanto dichiararono gli amici di Scavello. Più verosimilmente, la donna e il ragazzo furono infastiditi da Scavello perché questo era interessato alla prima e forse cercò anche di metterle le mani addosso, ottenendone un netto rifiuto. Infatti la donna, di cui non è stato tramandato il nome, non aveva niente a che fare con Esposito ma rappresentava anche l'oggetto del desiderio di Luigi D'Alessandro e probabilmente preferiva quest'ultimo a Scavello.
Comunque, Esposito andò a chiamare i padroni e, prima che Scavello e gli amici potessero rincasare, questi si prentarono armati di una frusta, anche se Luigi D'Alessandro si limitò a schiaffeggiare Scavello quando questi rispose in modo indisponente alle sue domande. Allora Scavello gli tirò contro un sasso, senza colpirlo, e fu a quel punto che i due tirarono fuori i coltelli. Il trambusto aveva fatto affacciare parecchi degli abitanti della strada, che videro Scavello allontanarsi e i suoi amici frapporsi tra lui e i due D'Alessandro che lo minacciavano. In particolare, un uomo che era sceso in strada sentì ripetutamente i due minacciare di morte Scavello, precisando che alla prima occasione lo avrebbero fatto fuori.
Un altro testimone riferì che la sera del 5 marzo i due fratelli si erano presentati al teatro entrando e lasciando Esposito a fare da palo fuori, e che il ragazzo aveva candidamente raccontato che tutti e tre erano lì per uccidere Scavello.
Altri quattro testimoni dissero di aver visto un uomo fuggire dal teatro: uno di essi precisò di aver riconosciuto Luigi D'Alessandro, con cui aveva anche parlato. D'Alessandro era molto agitato e aveva fretta di andare lontano.
Pietro Ammirata, che era ai piedi della scalinata del teatro con Scavello quando questo fu aggredito, era voltato dall'altra parte quando avvenne il fatto, e se ne rese conto solo dalle grida di dolore dell'amico. Un altro testimone vide però distintamente Luigi D'Alessandro vibrare il colpo al braccio e il fratello Giovanni quello al ventre.
Diversi altri testimoni, nella notte, videro fuggire sia Luigi sia Giovanni D'Alessandro, il secondo ancora con il coltello in mano.
L'inchiesta fu condonna inizialmente proprio dal padre di Leoncavallo, ma questi dovette poi ritirarsi in quanto troppo direttamente coinvolto, lasciandola al procuratore Marigliano. Al processo, seguito dopo poco, Luigi D'Alessandro fu condannato a 20 anni di reclusione, suo fratello Giovanni ai lavori forzati a vita.
Veduta del centro storico di Montalto Uffugo

Santuario di S. Maria della Serra a Montalto Uffugo

Bozzetto per le scenografie di "Pagliacci" realizzato da Rocco Ferrari e chiaramente ispirato a Montalto Uffugo

A distanza di molti anni, Leoncavallo non dimenticava la sostanza dei fatti (era molto legato a Scavello, assunto apposta per badargli) ma ne confondeva i dettagli. Raccontò infatti di ricordare un delitto in cui aveva visto un uomo accoltellato in un teatro da un altro uomo vestito da pagliaccio, che aveva già accoltellato sua moglie in scena nella finzione teatrale appena vista. Il lavoro lo prese talmente che impiegò appena venti giorni a redigere il libretto. Tuttavia, il suo editore, Ricordi, rifiutò quest'ultimo, ritenendolo troppo ardito nella sua mescolanza di circostanze comiche e tragiche. Leoncavallo non si perse d'animo e lo propose allora a Sonzogno, che lo accettò. L'immediato successo dell'opera e l'entusiasmo ridestato da questa in artisti del calibro di Arturo Toscanini avrebbero dato ragione a entrambi.



Immagini dalla rappresentazione del 2014 al teatro Petruzzelli di Bari, diretta da Marco Bellocchio, che si è ispirato all'opera anche per un "corto"



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