mercoledì 21 dicembre 2016

Le verità nascoste e le verità e basta: il caso del mostro marino pescato dallo Zuiyo Maru nel 1977

La mattina del 25 aprile 1977, in un punto dell'Oceano Pacifico che si trova circa 30 miglia a Est di Christchurch, Nuova Zelanda, il pescherccio giapponese Zuiyo Maru aveva gettato le reti a strascico in mare, per pescare sgombri alla profondità di circa 300 metri. Nel tirarle su, i marinai si resero conto di aver preso qualcosa di molto più pesante del solito: qualcosa che appena riemersa apparve come un'unica carcassa, pesante quasi 2 tonnellate e dall'aspetto mai visto prima.
Un'immagine della Zuiyo Maru

La carcassa era già parzialmente decomposta, e il capitano Akira Tanaka pensò in un primo tempo che fosse una balena morta, ragione per cui decise di disfarsene prima che infettasse il pescato che era accumulato sul ponte. Gli altri 17 membri dell'equipaggio non erano così sicuri che si trattasse di una balena: ad alcuni, sembrava piuttosto una tartaruga con il guscio staccato.
Un tecnico della compagnia Tayo Fish Company, per conto della quale la Zuiyo Maru navigava, Michihiko Yano, che era imbarcato a bordo e aveva compiuto studi di oceanografia, volle vederci più chiaro. Intanto che il capitano decideva cosa fare, si fece prestare una fotocamera da un marinaio e scattò 5 immagini della creatura. Si avvicinò poi ad essa e, oltre a prendere una serie di misure, prelevò da una delle pinne, che aveva a portata di mano, una serie di 42 piccoli frammenti, con l'intenzione di farli analizzare da un laboratorio una volta tornato a terra.


Tre delle cinque foto scattate da Michihiko Yano
Uno schizzo con cui Yano ricostruì i dettagli della carcassa in base alle misure prese

Infine, il capitano ordinò di scaricare la carcassa in mare. Dal momento in cui era emersa a quello in cui affondò rapidamente, era passata meno di un'ora.
Yano tormò in Giappone, dopo essere stato trasbordato su un'altra nave, il 10 giugno 1977, e subito portò a sviluppare le immagini che aveva scattato alla creatura. Poi realizzò una serie di schizzi che illustravano l'aspetto della creatura, ricavandoli dalle immagini e delle misure che aveva preso. Infine portò ad analizzare i campioni nei laboratori della Tayo Fish Company.
I dirigenti della Tayo Fish Company, messi al corrente del fatto, contattarono alcuni scienziati, i quali affermarono di non aver mai visto nulla di simile. L'opinione comune era che si trattasse di un Plesiosauro, ossia che appartenesse a una classe di grandi rettili marini (oltre 15 metri di lunghezza) vissuti tra il Triassico Superiore (che inizia circa 330 milioni di anni fa) e il Cretaceo Superiore (che termina circa 65 milioni di anni fa), ritenuti estinti come tutti gli altri dinosauri.
Il 20 luglio 1977, dato che la notizia cominciava a diffondersi in modo ufficioso, i vertici della Tayo Fish Company convocarono una conferenza stampa e rivelarono la scoperta, anche se le analisi dei 42 frammenti prelevati da Yano non era ancora stata completata. La notizia ebbe molto risalto sui quotidiani, così come nelle stazioni radiofoniche e televisive, che intervistarono scienziati famosi in tutto il Paese, come gli zoologi Yoshinori Imaizumi del Museo Nazionale di Tokio e Tokio Shikama della Yokohama National University, ricevendo, se non esplicite conferme, almeno delle aperture (Imaizumi affermò che la creatura non appariva né un pesce né un mammifero ma quasi sicuramente un rettile gigante marino e Shikama confermò che anche a lui sembrava un Plesiosauro).
Una ricostruzione di un Plesiosauro basata su dati paleontologici
Uno scheletro completo di Plesiosauro neonato recentemente ritrovato

Gli scienziati occidentali apparvero da subito molto più scettici. Il paleontologo americano Bob Schaeffer osservò che almeno una volta ogni dieci anni i pescatori giapponesi si imbattevano in qualche “dinosauro”, che poi si rivelava puntualmente appartenente a specie che si trovano normalmente nei mari. L'inglese Alwyne Wheeler, un altro paleontologo, ipotizzò che fosse uno squalo, giustificando questa possibilità con il particolare tipo di decomposizione cui vanno soggetti gli squali. Altri scienziati proposero altre ipotesi.
Alla soluzione del mistero si aggiunse un tassello decisivo quando il 25 luglio 1977, sollecitato da tutti, il laboratorio di analisi della Tayo Fish Company fornì i risultati dei test biochimici svolti sui 42 campioni attraverso la cromatografia a scambio ionico, una tecnica di laboratorio che permette, tra l'altro, di separare gli amminoacidi di un campione proteico e di deteminare l'abbondanza relativa dei diversi amminoacidi nel campione stesso, che è caratteristica dei dei diversi gruppi di viventi al punto da permettere di determinare con certezza l'appartenenza a un gruppo piuttosto che ad un altro. Tali analisi mostravano che, dal punto di vista biochimico, i campioni provenivano senza ombra di dubbio da uno squalo.
Tuttavia, la notizia non risolse la controversia sulla natura dell'animale. Anzi, in Giappone si continuò a parlare della scoperta di un Plesiosauro e, addirittura, il 2 novembre 1977, il governo giapponese celebrò l'evento emettendo addirittura un francobollo a esso dedicato.
Il francobollo giapponese del 1977 dedicato al Plesiosauro

Frattanto, nei due fronti emergevano voci di dissenso: uno scienziato giapponese, Fujio Yasuda, inizialmente sostenitore della teoria del plesiosauro, riconobbe che i risultati dei test biochimici non potevano essere messi in dubbio. Viceversa, uno scienziato americano, John Koster, in un articolo uscito su una prestigiosa rivista di oceanografia e poi ripreso da diverse altre fonti, sostenne che la questione era tutt'altro che risolta.
Dettaglio quasi comico è quello per cui, nei mesi successivi, alcuni gruppi di creazionisti si impossessarono della storia, utilizzandola per mettere in dubbio qualsiasi affermazione dei geologi e dei paleontologi, a partire dall'età della Terra. Questa era, ovviamente, una sciocchezza madornale. Anche se la carcassa fosse appartenuta davvero a un plesiosauro, il concetto di Evoluzione biologica non ne avrebbe minimamente risentito: si conoscono altre forme di fossili viventi (organismi molto antichi che sono riusciti a sopravvivere per molti milioni di anni senza cambiare molto), tipo il Celacanto e, guarda caso, la maggior parte vive proprio nelle profondità marine.
La gran parte degli scienziati attribuì comunque la carcassa a uno Squalo Elefante, il pesce più grande mai apparso sulla Terra dopo lo Squalo Balena (entrambi questi tipi di squalo sono innocui perché si nutrono solo di plancton). E' noto come, durante la decomposizione, dallo Squalo Elefante si stacchino prima le mascelle, gli archi branchiali e la pinna dorsale, lasciando alla struttura una forma che ricorda appunto quella di un Plesiosauro.
Uno Squalo Elefante
Schema che illustra la decomposizone di uno Squalo Elefante

Il criptozoologo (studioso di forme viventi di cui si suppone l'esistenza, ma mai viste e mai descritte) Bernard Heuvelmans, già nel 1968, ricordava come altre volte dei presunti “dinosauri” o “serpenti di mare” si fossero rivelati carcasse di squali parzialmente decomposte (citando casi di celebri mostri marini come quelli avvistati alle Isole Orcadi nel 1808 o davanti alla costa del New Jersey nel 1822; ma ce ne sono anche molti altri, e altri ancora se ne osservano perfino ai giorni nostri). Gli squali elefante tendono a essere confusi con “serpenti marini” anche da vivi, mentre nuotano, perché la forma delle pinne dorsale e caudale, viste in movimento o da lontano, possono dare l'impressione di testa e gobba di un mostro serpentiforme.
Il lavoro decisivo per dirimere la controversia fu quello condotto dall'Università di Tokio tra il 1977 e il 1978, quando il prof. Tadayoshi Sasaki organizzò un gruppo multidisciplinare comprendente biochimici, paleontologi, ittiologi e altri scienziati per studiare la questione da ogni punto di vista. Le conclusioni di questo gruppo, pubblicate in un rapporto della Società Franco-Giapponese di Oceanografia, furono che la carcassa apparteneva senza dubbio a uno Squalo Elefante parzialmente decomposto.
A livello microscopico, infatti, i campioni mostravano fibre cornee rigide rinvenute, rastremate verso entrambe le estremità, di colore marrone chiaro trasparente, secondo lo schema detto “ceratotrichia”, tipico della cartilagine che costituisce lo scheletro degli squali. Vi era poi una notevole quantità di Elastoidina, una proteina del connettivo che si trova solo negli squali, mentre è assente in rettili e pesci ossei. Le stesse percentuali complessive dei singoli amminoacidi (le molecole che unendosi formano le proteine) dei tessuti corrispondevano quasi esattamente alle percentuali che si registrano negli squali, diverse da quelle dei rettili.
Dalle foto e dagli schizzi appariva che le vertebre cervicali non potevano essere più di 7, come negli squali, mentre un Plesiosauro avrebbe dovuto averne almeno 13. La forma del cranio ricordava quella di una tartaruga, così come nello Squalo Elefante, mentre il cranio di un Plesiosauro avrebbe dovuto essere molto più triangolare. Un Plesiosauro morto non avrebbe potuto assumere la posizione della carcassa quando fu tirata a bordo, perché il suo grande sterno gli avrebbe impedito di piegarsi. Era poi strano che la carcassa avesse ancora gli arti attaccati, quando nel Plesiosauro sarebbero stati i primi a staccarsi durante la decomposizione, e non avesse i denti e le mascelle, che un Plesiosauro avrebbe conservato e uno Squalo Elefante no.
Le prove, ovviamente, non finivano qui.
Restava comunque qualche dubbio, circa il puzzo della carcassa (di solito gli squali in decomposizione puzzano di ammoniaca, ma dipende anche dallo stadio della decomposizione), la presenza di grasso o di particolare tessuto muscolare, l'interpretazione della forma di certi organi come le pinne o le costole, ma tutto poteva essere spiegato ipotizzando che la carcassa fosse già in uno stato avanzato di decomposizione.
La vicenda, dal punto di vista scientifico, finisce qui.
Non altrettanto si può dire dal punto di vista mediatico. Dal 1977 a oggi, senza sosta, moltissimi creazionisti e complottisti hanno ripreso questa storia, sempre aggiungendo interpretazioni fantasiose e citandosi a vicenda, per denunciare delle ipotetiche e paranoiche “congiure del silenzio” in cui gli scienziati si sarebbero prestati a coprire con la loro autorità delle verità scomode da rivelare a vantaggio di una versione di comodo. Basta farsi un giro sul web per rendersi conto che gran parte dei documenti consultabili sposa la tesi del Plesiosauro.
Occorrerebbe chiedersi quanto sarebbe difficile confutare certe fantasiose interpretazioni se Michihiko Yano, quel giorno, non avesse avuto la prontezza di spirito di prelevare i 42 campioni che hanno permesso le analisi biochimiche decisive per la soluzione della controversia. E chiedersi anche quante “verità nascoste”, proposte ogni tanto con grande strombazzamento mediatico, si rivelerebbero altrettante invenzioni di menti troppo fervide e poco disciplinate, se i fatti potessero essere affrontati e spiegati disponendo di tutto il materiale utilizzato in questo caso.


mercoledì 14 dicembre 2016

Razionalità contro pregiudizio: Georg Steller combatte e vince lo scorbuto nella spedizione di Vitus Bering

Lo scorbuto è una grave sindrome che colpisce gli organismi che non introducono abbastanza vitamina C (acido L-ascorbico) nella loro dieta. La vitamina C, essendo idrosolubile, non si accumula all'interno dell'organismo: la sua eventuale eccedenza, viene espulsa con le orine e non accumulata: deve, dunque, essere introdotta ogni giorno, tranne che negli animali carnivori tipo canidi o felidi, nei quali è prodotta dal fegato a partire dal glucosio.
Struttura della Vitamina C

La vitamina C svolge diversi ruoli nell'interno dell'organismo umano, alcuni dei quali forse ancora da scoprire. E' noto che la sua carenza provoca la depressione del sistema immunitario e alcuni scienziati illustri hanno imputato a questa carenza e alle altre ipovitaminosi un ruolo importante nella genesi dei tumori maligni. Il grande chimico Linus Pauling (scopritore della struttura delle proteine e delle cause genetiche dell'anemia falciforme, premio Nobel per la Chimica nel 1954 e per la Pace nel 1962 per il suo impegno contro la proliferazione delle armi atomiche) ne era talmente convinto che, per anni, prese supplementi di vitamina C per prevenire questa malattia. Morì per le conseguenze di un cancro alla prostata: ma, comunque, era già ultranovantenne.
Linus Pauling (1901-94)

Ma il ruolo più importante della vitamina C nell'organismo umano è quello svolto nella genesi del collagene, la proteina principale dei tessuti connettivi, che in sua assenza non si forma. Pertanto, l'ipovitaminosi C si presenta innanzitutto con il cedimento di tutte le parti molli ed elastiche del corpo, a cominciare dai tendini e dai muscoli a essi collegati, per arrivare ai tessuti di sostegno delle mucose.
Fibre di Collagene viste al microscopio elettronico

La difficoltà nella conservazione di cibi freschi durante i lungi viaggi, soprattutto per mare, faceva sì che la dieta dei marinai fosse molto ricca in termini calorici (anche 5-6000 calorie al giorno, che peraltro bastavano a fatica a coprire il fabbisogno di una vita durissima) ma molto povera come varietà, essendo basata quasi esclusivamente sulla carne conservata sotto sale. E' un fatto che, dopo la scoperta dell'America e l'inizio dei viaggi oceanici, lo scorbuto cominciò a mietere vittime tra i marinai, che morivano come le mosche: si parla di oltre 2 milioni e mezzo di morti in mare, solo per questa causa, in poco più di 2 secoli.
I viaggi più tragici, in tal senso, erano quelli diretti alle zone polari o nei loro dintorni, soprattutto quelli intrapresi per scoprire il Passaggio a Nord-Ovest (a Nord dell'America) o quello a Nord-Est (a Nord della Russia), nella speranza di evitare i pericolosissimi passaggi a Sud (il Capo di Buona Speranza in Africa e il Capo Horn in America) durante le circumnavigazioni del globo terrestre. Anche una volta scoperti, questi passaggi si dimostrarono di fatto impraticabili.
Uno dei viaggi più importanti e meglio documentati in tal senso, è quello organizzato dalla Russia e comandato dall'esploratore danese Vitus Bering, partito dal Kamchatka (la penisola che si estende in senso Nord-Sud dalla Siberia settentrionale all'Oceano Pacifico) nel 1741 per esplorare il Pacifico del Nord e raggiungere l'Alaska (oggi conosciuto come Secondo Viaggio di Vitus Bering, dopo il primo compiuto alcuni anni prima).
La mappa mostra in verde il primo e in rosso il secondo viaggio di Bering
Vitus Bering (1681-1741)

A bordo di una delle due navi, l'ammiraglia Sankt Petr (l'altra era la Sankt Pavlov, sua gemella), era imbarcato anche il giovane medico tedesco Georg Steller, nato vicino Norimberga il 10 marzo 1709, che possedeva una cultura enciclopedica in tutte le scienze e, perciò, sin dall'inizio, si rivelò un fastidio per gli ufficiali che non sapevano che farsene dei suoi consigli non richiesti. Steller intuì abbastanza rapidamente la direzione in cui avrebbero trovato più facilmente la terraferma (era quella da cui provenivano i resti vegetali trasportati dalle correnti marine) e il miglior luogo per approdare e fare rifornimento di acqua (alla foce di un fiume) ma in ambo i casi non fu ascoltato. Né fu ascoltato quando, a bordo, si verificarono i primi casi di scorbuto e la sua reazione fu di scendere a terra a procurarsi piante che potessero contrastare la malattia. Steller forse sapeva che i membri della spedizione francese di Jacques Cartier, che aveva tentato di penetrare nell'interno del Nordamerica seguendo il corso del fiume San Lorenzo nel 1553, inizialmente sterminati dallo scorbuto, erano sopravvissuti dopo aver seguito il consiglio degli indigeni di consumare un decotto di corteccia e foglie di un albero (chiamato “Annedda” e identificato con la Tuia occidentale); mentre era sicuramente al corrente delle qualità della Coclearia, già consigliata dai medici europei e aveva osservato che i nativi della Kamchatka, che consumavano una varietà di Coclearia locale, un'Acetosa, delle Genziane e un tipo di Crescione locale, non andavano soggetti a scorbuto. Pertanto, cercava proprio queste piante, diffusissime nella zona.

Georg Steller (1709-46)
Un albero di Tuia
Una pianta di Coclearia
Una pianta di Acetosa
Fiori di Genziana
 Una pianta di Crescione 

Tuttavia, gli ufficiali continuarono a non ascoltarlo, e i marinai ancora meno, almeno finché cominciarono a morire uno dietro l'altro. A quel punto, i più ragionevoli si rassegnarono a consumare le erbe che il medico aveva raccolto e portato a bordo, ricavandone immediato miglioramento.
Le pessime condizioni di salute del comandante Bering fecero sì che il viaggio di ritorno dall'Alaska verso il Kamchatka si fosse comandato da due ufficiali, Khitrov e Waxell, i quali si rivelarono ottusi e incompetenti, persero la rotta e finirono per approdare sulla terraferma parecchie miglia a Nord del porto di Petropavlosk, dove erano diretti. In realtà, non si trovavano nemmeno sul Kamchatka, ma su un'isola non segnata sulle carte che si trovava davanti alla costa (oggi chiamata Isola di Bering).
Era ormai novembre inoltrato (la spedizione era partita a giugno), la nave era ridotta malissimo e l'equipaggio dovette rassegnarsi a svernare lì, in condizioni terribili. Insieme al suo domestico, a un altro viaggiatore tedesco, a tre marinai tedeschi e due cosacchi e a due servitori personali di Bering, Steller costruì, scavandolo nel terreno e coprendolo con il legname che le onde gettavano sulla spiaggia, un rifugio sotterraneo simile a quelli in cui abitavano gli indigeni della Kamchatka. Constatato che se la passavano meglio di loro, anche gli altri marinai decisero di seguirne l'esempio. Molti marinai morirono comunque, appena furono trasportati a terra dalla nave.
Steller andava continuamente a caccia di animali da mangiare oltre che di erbe per integrare la dieta e, in questo modo, scoprì e descrisse per la prima volta alcuni animali tipici di quelle aree, compresa una specie di sirenide mai visto altrove, che fu poi chiamato Ritina di Steller e oggi si è estinta per la caccia cui è stato sottoposto. Scoprì anche alcune piante.
Ricostruzione della Vacca Marina o Ritina di Steller
Uno scheletro di Ritina di Steller conservato a Helsinki
Il Chryptochiton (mollusco) scoperto da Steller
Un esemplare di Aquila di Steller
Un esemplare di Lontra marina di Steller
Due esemplari di Leone marino di Steller
Un esemplare di Anatra di Steller
Un esemplare di Ghiandaia di Steller
Una pianta di Artemisia, pure scoperta da Steller

Nonostante le cure di Steller, il comandante Bering morì l'8 dicembre 1741. In seguito, il numero di morti diminuì, anche perché, per contrastare la denutrizione, i marinai presero a consumare anche le interiora degli animali catturati, spesso addirittura crude, ossia in condizioni tali da conservare ancora molta della vitamina C originaria.
In primavera, smontarono la Sankt Petr che era stata gettata a riva dalle correnti e dal materiale ricavato ne ricavarono una barca più piccola, cui diedero lo stesso nome. Con questa, il 13 agosto 1742, dopo aver fatto provvista di cibo e acqua, si misero in viaggio verso Petropvlosk, che raggiunsero poche settimane dopo. L'equipaggio, originariamente composto da 78 uomini, si era ridotto a 46.
Steller passò i due anni successivi a esplorare la Kamchatka, e presto si rese conto degli abusi commessi dai funzionari zaristi a danno delle tribù locali. Cercò in tutti i modi di denunciarli, ma finì arrestato e accusato di fomentare una ribellione. Processato e assolto, fu richiamato a San Pietroburgo ma, durante il viaggio, si ammalò di polmonite e morì a Tyumen, importante città siberiana sul fiume Tura, il 14 novembre 1746, all'età di 37 anni.
I suoi diari relativi alla seconda spedizione Bering furono poi salvati e pubblicati dallo scienziato tedesco Peter Simon Pallas.
Peter Simon Pallas (1741-1811)

Nella primavera del 1747, il medico scozzese James Lind, in servizio sulla nave HMS Salisbury, compì quello che è stato successivamente definito il primo esperimento veramente scientifico della Storia, in cui testò alcune sostanze che si ipotizzava potessero avere un effetto sullo scorbuto (sidro, acido diluito, aceto, ecc) somministrandone solo una per ogni gruppo e confrontandone le reazioni rispetto a quelle di un “gruppo di controllo” cui non veniva somministrato nulla. Risultò, entro pochi giorni, che solo i marinai trattati con il succo di lime ottenevano vistosi miglioramenti. Lind estese il trattamento con il succo di lime anche agli altri ed ottenne una percentuale di guarigione del 100%.
James Lind (1716-94)

I risultati dell'esperimento di Lind furono una delle guide della condotta di James Cook, il più grande navigatore della Storia, che era stato anche un attento lettore dei diari di Steller. Cook, che compì tre lunghissimi e avventurosi viaggi intorno al mondo, scoprendo gran parte delle terre del Pacifico e l'Antartide (su cui però non riuscì mai a sbarcare), sebbene viaggiasse sempre in condizioni difficilissime, non perse mai neppure un uomo per lo scorbuto. Oltre che il lime e gli altri agrumi, per contrastare lo scorbuto introdusse nella dieta dei marinai anche i crauti (ricavati dal cavolo) sott'aceto, che si conservavano molto a lungo. Inflessibile sulla disciplina, era solito far frustare i marinai che provassero a disattendere le sue prescrizioni alimentari.
James Cook (1728-79)


La struttura e i meccanismi di azione della vitamina C sono stati scoperti solo nel XX secolo, dal chimico ungherese (ma attivo a Cambridge) Albert Szent-Gyorgy, che ricevette il premio Nobel per questo lavoro.      
Albert Szent-Gyorgy (1893-1986)

sabato 3 dicembre 2016

La vera madame Bovary

Si dice che il romanzo moderno, in Europa, sia nato nel 1857 con Madame Bovary, libro ritenuto il capolavoro assoluto di un grande autore che ha scritto poche opere ma tutte memorabili, Gustave Flaubert.
Gustave Flaubert (1821-80)

E' una storia che parte dalle vicissitudini di un giovane medico condotto, un uomo timido e insicuro, Charles Bovary, che prima sposa una donna più grande di lui e poi, rimasto presto vedovo, si risposa con una bella ragazza di campagna, Emma Rouault. La giovane pervasa da uno spirito inquieto ma è anche frivola, ignorante e sprovveduta. Confonde ciò che legge nei romanzi sentimentali e sulle riviste alla moda con la realtà, e sogna una vita di lusso. Charles è un brav'uomo e pure benestante, ma ha il difetto di essere noioso, tanto più che lascia la moglie libera di fare ciò che le pare e la accontenta in tutto. Il matrimonio va in crisi alla nascita del primo figlio: entrambi vorrebbero un maschio, ma arriva una femmina ed è una delusione. Charles pensa di curare le “malinconie” della moglie trasferendosi in un altro villaggio, ossia da Tostes (in realtà ispirato a Totes) a Yonville (in realtà ispirato a Ry: entrambi i luoghi si trovano nella Seine-Maritime, un dipartimento della regione Haute-Normandie) ma qui la situazione non migliora. Anzi, Emma conosce un giovane studente di Legge, Léon Dupuis, con cui avvia una relazione basata sulla condivisione del gusto per le spese facili e i beni di lusso, anche se i due non diventano amanti. Quando Léon va a Parigi a finire gli studi, Emma si trova un vero amante, Rodolphe Boulanger, un proprietario terriero. Per lei, Rodolphe è il grande amore romantico sempre vagheggiato; ma, per lui, Emma non è che una delle tante donne con cui procurarsi un po' di facile divertimento. Emma organizza una fuga per scappare di casa e raggiungerlo ma lui si tira indietro all'ultimo istante. Allora Emma ha una crisi e, per qualche tempo, si rifugia nella religione. Più tardi, a Rouen, la città più vicina a Yonville, Emma incontra ancora Léon, e stavolta i due diventano amanti sul serio. Ogni settimana lei si reca a incontrarlo, facendo credere al marito che va a prendere lezioni di pianoforte. Ma il gioco dura poco, perché Emma, inseguendo i suoi sogni di bella vita, ha speso somme enormi e ora è braccata dai creditori. I suoi amanti le rifiutano qualunque aiuto e, allora, per impietosire il marito prima di metterlo davanti alla realtà, la donna inscena un finto suicidio prendendo dell'arsenico. Però la quantità di veleno è tale da ucciderla comunque, dopo diversi giorni di atroci sofferenze. Per Charles, oltre alla perdita della moglie che amava ancora, arriva anche la mazzata della scoperta dei tradimenti. Poco tempo dopo, sconvolto e incapace di rifarsi una vita, morirà anche lui. La figlia Berthe, principale vittima di tutta la vicenda, sarà affidata a dei parenti che, non potendole dare una dote, la manderanno presto a lavorare in una filanda.





Alcune immagini di Ry, il borgo della Normandia che, con il nome di Yonville, fa da location del romanzo

Sembrerebbe uno dei tanti romanzi edificanti che si leggevano a quel tempo, ma la mano di Flaubert fa la differenza. Emma Bovary è una donna detestabile, ma piena di fascino carnale, seducente malgrado la sua volgarità e superficialità. Le tante “persone perbene” che stanno sullo sfondo, sono figure se possibile ancora più detestabili di lei, o grigie e inutili o meschine e ipocrite. Spiccano le figure del farmacista Homais, che si spaccia per intellettuale e uomo di mondo, pur essendo un provincialotto dagli orizzonti inesistenti, e il mercante Lheureux, un manipolatore che fa leva sui complessi di inferiorità della donna per indurla a spendere molto al di sopra dei suoi mezzi. I due amanti sono figure ancora più superficiali e mediocri di Emma. Charles è un uomo buono e gentile: ma, nell'ambiente in cui vive, queste qualità rappresentano debolezze che si pagano care.
Il romanzo, scritto tra il 1851 e il 1856 uscì inizialmente, tra l'ottobre e il dicembre di quello stesso anno, sulla Revue de Paris. Nel febbraio del 1857, Flaubert e il direttore Leon Laurent-Pichat furono processati per oltraggio alla morale e alla religione, ma finirono assolti. In seguito, pubblicato in volume, il romanzo divenne un famoso bestseller.
L'edizione originale in volume di Madame Bovary

Su Madame Bovary, la critica ha versato fiumi di inchiostro. La storia ha avuto anche diverse versioni cinematografiche. E' noto che l'autore dichiarava “Madame Bovary c'est moi” (“Madame Bovary sono io”) e, come è stato evidenziato tra l'altro dal saggio di Dacia Maraini Cercando Emma, molte espressioni e molti vezzi della protagonista gli furono ispirati dalla sua amica ed ex amante Louise Colet, con la quale ebbe una fitta corrispondenza nel periodo della composizione dell'opera. La Maraini ha confrontato pensieri e parole di Emma Bovary con il contenuto delle lettere di Louise Colet a Flaubert e vi ha trovato un bel po' di corrispondenze, troppe per essere casuali.
La Colet era anch'essa un'artista. Mediocrissima scrittrice, è più nota come modella dello scultore franco-svizzero Jean-Jacques Pradier e come amica di letterati (ne aiutò diversi a farsi un nome, o nei periodi di difficoltà) che per altre ragioni. Sembra che si riconoscesse con un po' di imbarazzo nel personaggio di Emma, ma che non ne abbia fatto tragedie.
Louise Colet (1810-76)

Louise Colet ritratta da Pradier

Jean-Jacques Pradier (1790-1852)

In realtà, però, la storia di madame Bovary è ricalcata pari pari su una vicenda di cronaca svoltasi nella Francia del 1848, al centro della quale c'era una famiglia di conoscenti di Flaubert.
Eugène Delamare, ufficiale sanitario ed ex allievo del padre di Flaubert (docente universitario di medicina), rimasto vedovo di una donna più anziana, nel 1839 sposò la diciassettenne Delphine Couturier. La ragazza era figlia di contadini benestanti come Emma, molto avvenente come Emma e molto sognatrice come Emma. La coppia, dopo il matrimonio, si trasferì a Ry, la Yonville del romanzo, ed ebbe una bambina, Alice. Qui, la ragazza ebbe una relazione con un tale Louis Campion Road, proprietario terriero come Rodolphe Boulanger, e cercò di convincerlo, senza riuscirci, a fuggire insieme. Poi ebbe un'altra storia con un giovane, Narcisse Bollet (studente di Legge come Léon Dupuis) ma fu abbandonata anche da questo. In un momento di depressione, durante un gioro di mercato a Ry, si avvelenò. Il marito chiamò in aiuto tutti i migliori medici che conosceva, compreso il padre di Flaubert, ma la donna non volle rivelare cosa aveva preso e non fu possibile somministrarle alcun antidoto. Morì l'8 marzo 1848, a 26 anni appena compiuti (per combinazione, la stessa data in cui sarebbe morta, 28 anni dopo, Louise Colet). Eugène, che aveva nove anni più della moglie ed era all'oscuro dei suoi tradimenti (ma secondo alcune versione ne era al corrente e la protesse perché era troppo innamorato di lei per abbandonarla), le sopravvisse poco più di un anno.
Il quadro Rigolette prova a distrarsi in assenza di Germain (un soggetto tratto da I misteri di Parigi di Eugène Sue) dipinto da Joseph-Désirè Court nel 1842, per il quale si ritiene che la modella sia stata Delphine Couturier 

La tomba di Eugène Delamare a Ry, accanto alla lapide posta nel 1990 in memoria di Delphine, rubata o venduta non si sa da chi

Flaubert, in pratica, non fece altro che riportare la storia così come era andata, restituendo però un briciolo di dignità alle uniche due figure che avevano dimostrato di possederne: la moglie, frivola e traditrice ma almeno ribelle all'ipocrisia delle convenzioni sociali, e il marito, vittima della sincerità dei propri sentimenti.


domenica 20 novembre 2016

The lady vanishes: una scrittrice scomparsa (Barbara Newhall Follett) e una ritrovata (Gertrude Barrows Bennett)

Tra le tante persone di cui viene prima o poi denunciata la scomparsa negli Usa del 1939, ci sono due scrittrici dalle origini diversissime, che però finiscono per convergere in alcuni punti importanti. Entrambe hanno avuto un non trascurabile ma breve successo negli anni precedenti, e saranno riscoperte a diversi anni di distanza.
Di una delle due, dopo molto tempo, si saprà il destino finale. Dell'altra, ancora no.
Gertrude Barrows, nata a Minneapolis nel 1883, aveva sognato una carriera di artista ma aveva abbandonato presto gli studi per lavorare come stenografa. Nel 1909 aveva sposato il giornalista inglese Stewart Bennett, da cui aveva avuto una figlia, Connie, trasferendosi a Philadelphia. Tuttavia, il marito era morto dopo poco tempo, durante un viaggio di lavoro. Poco dopo era morto anche il padre e la Bennett aveva dovuto farsi carico della madre invalida e priva di altro sostentamento.
Fu sicuramente per racimolare qualche guadagno in più che, nel 1917, si mise a scrivere racconti per le pulp magazines di Science Fiction, di cui era un'accanita lettrice. Il primo che inviò, The Nightmare, fu subito pubblicato su All-Story Weekly sotto lo pseudonimo di Francis Stevens (con cui avrebbe firmato anche le opere successive), e accolto con grande favore dal pubblico. Nei tre anni successivi scrisse e pubblicò sei romanzi e altri tre racconti, mentre almeno altri tre titoli sono rimasti inediti o sono usciti sotto altri pseudonimi.
Gertrude Barrows Bennett

Le sue opere più note sono due romanzi, The citadel of fear (una storia fantasy che tratta di una città azteca che sopravvive nella foresta messicana e viene casualmente riscoperta durante la Prima Guerra Mondiale) e The heads of Cerberus (una storia di fantascienza in cui chi inala una misteriosa polvere viene trasportato nella Philadelphia del 2118, dominata da un regime totalitario): quest'ultimo libro è stato anche tradotto in Italiano (Le teste del Cerbero) dall'Editrice Nord. Tutte le sue opere ottennero un buon successo di pubblico e favorevoli giudizi critici: per la critica moderna (Sam Moskowitz in particolare), la Bennett è una delle maggiori autrici di fantasy di tutti i tempi.


Opere di "Francis Stevens" in edizioni dì'epoca
L'edizione italiana di Le teste del Cerbero

Nel 1920 morì la madre, e Gertrude dovette affrontare molte meno spese rispetto a prima. Fu probabilmente questa la ragione che la indusse a prendersi una pausa dal lavoro di scrittrice, mentre continuava a fare la segretaria per mantenersi. Purtroppo, questa pausa sarebbe durata per tutto il resto della sua vita: infatti, non avrebbe scritto più nulla.
Quando Connie divenne autonoma, la Bennett si trasferì in California. Madre e figlia mantennero per lo più contatti epistolari, sempre molto cordiali, fino al settembre del 1939, quando la Bennett scrisse una breve missiva a Connie annunciandole una lettera molto più lunga di lì a breve. Lettera che però Connie non ricevette mai. I suoi successivi tentativi di ricontattare e poi di ritrovare la madre, non ebbero alcun esito, nemmeno dopo il 1952, quando le opere della Bennett cominciarono a essere ristampate in volume, con grande successo.
Ancora nel 1993, anno dell'edizione italiana di Le teste del Cerbero, non si avevano sue notizie. Successive ricerche, però, hanno rinvenuto un certificato di morte a suo nome, datato 1948. Sembrerebbe che sia deceduta per cause naturali, anche se resta un grosso punto interrogativo riguardo ciò che può aver fatto tra il 1939 e il 1948.
Ancora più complessa è la vicenda di Barbara Newhall Follett, nata in New Hampshire nel 1914 e figlia dell'influente critico e editor Wilson Follett. Dopo aver rivelato un precocissimo talento letterario, a 13 anni, nel 1927, grazie ai contatti del padre, pubblicò un romanzo, The house without windows, che ottenne un discreto successo e fu molto acclamato dalla critica. Il romanzo, che aveva avuto una storia decisamente travagliata (la versione iniziale era andata distrutta in un incendio, poi era stato riscritto a memoria), trattava di una ragazza che scappava di casa per andare a vivere come una creatura selvaggia in un bosco. L'anno dopo, sempre grazie ai contatti del padre, riuscì a imbarcarsi su una nave mercantile in cui trascorse alcuni mesi, e da questa esperienza ricavò il secondo libro, The voyage of Norman D., che pure ottenne un discreto successo.

Immagini di Barbara Newhall Follett quando era considerata l'enfante prodige della letteratura statunitense

Le edizioni originali dei suoi due libri

A questo punto, dopo pochi anni, la sua vita ebbe una svolta, non certo positiva. Il padre perse la testa per una donna molto più giovane e piantò la famiglia (moglie e tre figlie) in una situazione economica molto precaria. Barbara fu costretta a cercarsi un lavoro: impresa ardua, dato che era il periodo della Grande Depressione e lei, istruita in casa, non aveva alcun titolo di studio. Nel 1932 riuscì a trovare un impiego come segretaria a New York. Sembra che abbia scritto almeno altre tre opere, ma nessuna di queste riuscì a trovare un editore. Due di queste sono però state pubblicate da un nipote, Stefan Cooke, sul sito che le ha dedicato, farksolia.org.
Barbara con il resto della sua famiglia

Barbara con la madre Helen



Altre immagini risalenti a quando aveva 16 anni

Con l'amica Alice Dyar Russell
Durante un'escursione in montagna come quella in cui conobbe il marito

Nel 1933, durante un'escursione in montagna, conobbe un tale Nickerson Rogers, che sposò nello stesso anno. La coppia compì un viaggio in Europa, prima di stabilirsi a Brookline, nel Massachusetts. Barbara trovò un nuovo interesse nella danza, seguendo alcuni stage presso scuole prestigiose. Tuttavia, dopo qualche anno, cadde in depressione, pare a seguito della scoperta di una serie di tradimenti da parte del marito. La sera del 7 dicembre 1939, dopo un ennesimo litigio, Barbara se ne andò di casa, senza alcun bagaglio e con non più di 30 dollari nella borsa.
Il marito aspettò due settimane prima di denunciarne la scomparsa, a suo dire perché convinto che sarebbe tornata da sola. Quando poi cominciarono le ricerche, la donna fu indicata nei bollettini con il nome da sposata (Barbara Rogers), circostanza che non facilitò certo il riconoscimento. Nel 1952, la madre di Barbara, Helen, cercò inutilmente di far riaprire il caso e scrisse una serie di lettere al genero, accusandolo più o meno apertamente di nascondere qualcosa e di essere implicato nella scomparsa della figlia. Tuttavia, non se ne fece nulla e a tutt'oggi non si sa quale fine possa avere fatto Barbara. Non si è saputo più nulla di lei e il suo corpo non è stato mai ritrovato.
Un suo inedito recentemente pubblicato