lunedì 30 aprile 2018

L'impossibile profilo del serial killer celeste: “Il ponte di San Luis Rey” di Thornton Wilder


Il 20 luglio 1714, a mezzogiorno, il ponte sospeso sulla strada tra Lima e Cuzco, non lontano dal santuario di Santa Maria da Cluxambuqua, in Perù, si spezza all'improvviso, precipitando nel vuoto (un abisso di oltre 100 metri) le 5 persone che lo attraversavano.
Il fatto ha non pochi testimoni e uno di essi è un monaco italiano, frate Ginepro, da tempo attraversato da dubbi sulla propria fede. Ginepro si è messo in testa di dimostrare logicamente come la volontà di Dio influenzi direttamente la vita degli uomini e, da tempo, sta raccogliendo rudimentali statistiche sul rapporto tra virtù e fortuna. Tuttavia, i suoi calcoli mostrano sistematicamente che le persone più virtuose sono solo raramente le più fortunate. Lo spettacolo dell'incidente lo induce a ricostruire le esistenze delle 5 vittime per vedere cosa può avere indotto il Signore a scegliere proprio loro per una fine così assurda e tragica.
L'indagine sistematica di Ginepro, che interroga centinaia di persone e riempie pagine e pagine di appunti, poi raccolti in un libro, non sfugge all'Inquisizione, che giudica eretico sia il frate sia il libro e manda entrambi al rogo. Per la popolazione, però, il frate è un santo e infatti Ginepro accetterà serenamente il suo destino, confortato dalla folla di fedeli che assiste, triste e impotente, al suo supplizio. Si salva, tuttavia, una copia del libro, grazie alla quale si possono conoscere le vite delle 5 persone defunte in ogni minimo dettaglio.
Il gruppo era formato da due coppie (una formata da una donna anziana e da una ragazza, l'altra da un uomo anziano e un bambino) e da un uomo giovane. Tra di loro, le coppie e l'uomo, non si conoscevano: ma una intricata rete di rapporti li connetteva strettamente.
Le loro identità sono: la Marquesa de Montemayor, aristocratica e madre della moglie di un importante dignitario di corte spagnolo; la sua damigella di compagnia Pepita; l'ex copista Esteban, che stava per riprendere la vita da marinaio dopo la morte del fratello gemello Manuel; l'avventuriero chiamato Zio Pio e il piccolo don Jaime, figlio del viceré Don Andrès e della sua amante, l'attrice Camila Perichole.
I legami tra tutti loro passano per altre figure, soprattutto la madre badessa del convento di Santa Maria Rosa de las Rosas, madre Maria del Pilar, che ha allevato sia Pepita sia Esteban, entrambi orfani; e la Perichole che, oltre a essere la madre di don Jaime, è stata la pupilla dello zio Pio, ha goduto di un momento di particolare notorietà dopo aver dileggiato pubblicamente la Marquesa durante uno spettacolo ed è stata l'oggetto di una passione sfrenata e insoddisfatta da parte di Manuel, il gemello morto di Esteban.
Altre figure importanti sono quelle di Dona Clara, figlia della Marquesa e destinataria di tutta la sua corrispondenza, e del capitano Alvarado, che stava aiutando Esteban a superare il trauma della perdita del fratello.
Le esistenze delle 5 vittime sono state tormentate da dilanianti vicissitudini affettive. La Marquesa adorava la figlia almeno quanto questa la ignorava, e pativa enormemente la sua distanza; Pepita era affezionatissima a madre Maria e desiderava ritornare il prima possibile al convento; Esteban si rimproverava, senza ragione, di aver impedito, con la propria presenza, che si concretizzasse il legame tra Manuel e la Perichole; lo zio Pio adorava la Perichole, che aveva tirato su da piccola orfana ad attrice di successo, considerandola il proprio capolavoro: ma la donna lo aveva escluso dalla sua vita dopo essere diventata l'amante ufficiale del viceré; don Jaime, sofferente di epilessia, era per questo tenuto a distanza dalla madre, e ne soffriva molto.
I cinque si trovavano sul ponte per ragioni differenti e simili al tempo stesso. La Marquesa, avendo letto di nascosto una lettera di Pepita a madre Maria durante un pellegrinaggio a Santa Maria da Cluxambuqua, era rimasta sconvolta dall'affetto che la ragazza era capace di provare per la badessa e si era resa conto di aver escluso dalla propria vita tutte le persone che la circondavano, fissata com'era sul pensiero della figlia lontana. Esteban seguiva il capitano Alvarado, che lo aveva salvato da un tentativo di suicidio, per imbarcarsi sulla sua nave. Lo zio Pio, visto il rifiuto della Perichole verso il figlio, aveva chiesto alla donna di affidarglielo per un anno in modo da istruirlo, visto che il bambino non aveva nessun precettore; don Jaime aveva seguito con piacere l'avventuriero, lusingato dal suo sincero interesse.
Nell'ultima sequenza del libro, tre donne si ritrovano a parlare tra loro e a ripensare ai morti con il cuore gonfio di rimpianto e pentimento. Dona Clara, tornata in Perù per scoprire tutto ciò che può sulla madre, adorata nel ricordo quanto disprezzata quando era in vita. Madre Maria, cui la perdita di Pepita ha tolto l'unica cui avrebbe voluto affidare la direzione del monastero dopo di sé, mentre quella di Esteban è stata paragonabile a quella di un figlio prediletto. La Perichole, cui il vaiolo ha tolto bellezza e fascino, ricca e dimenticata, che non smette di rimproverarsi l'abbandono dello zio Pio e l'indifferenza verso don Jaime. Dona Clara si reca al convento di Santa Maria Rosa de las Rosas per parlare con madre Maria e la trova intenta a occuparsi con la massima dedizione di malati e invalidi, aiutata anche da una donna matura in cui fatica a riconoscere la Perichole. Solo madre Maria ha il coraggio di rivolgersi ai malati terminali, cui rivolge parole di conforto, ma intanto non smette di pensare ai 5 morti nel disastro del ponte di San Luis Rey, e si rende conto che, nonostante tutto, nonostante le loro vite modeste, tristi e inappagate, hanno lasciato dietro di sé una scia di amore sincero, tanto intenso da sopravvivere alle loro stesse esistenze, un amore che li fa ricordare con struggimento e nostalgia da chi li ha conosciuti. Un amore che di per sé è già un ponte con l'aldilà, perché connette strettamente i vivi con i morti.
L'abilità dell'autore rende questa storia, completamente inventata, avvincente come se fosse proprio vera, ricorrendo alle tecniche narrative tipiche del thriller (nel 1945, Indro Montanelli, grande ammiratore di Wilder, farà lo stesso per il suo romanzo Qui non riposano). La questione principale, quello del perché Dio abbia scelto esattamente quei 5 per quel destino, resta irrisolta: e, d'altronde, non può essere altrimenti. Per quasi tutta la teologia, del resto, è assurdo pensare alla morte, anche prematura, come “punizione”. La volontà di Dio è sempre e comunque imperscrutabile. L'indagine di frate Ginepro serve tutt'al più ad aprire uno spiraglio sul senso della vita terrena e quotidiana, attraverso le vicissitudini di persone che hanno sempre inseguito qualcosa che sembra banale e scontato (dei sinceri legami affettivi), senza però mai ricevere fino in fondo ciò cui anelavano.



L'edizione originale del libro e alcune edizioni italiane

A scrivere questo romanzo, The bridge of San Luis Rey (Il ponte di San Luis Rey), che nel 1928 vinse il Premio Pulitzer, è stato Thornton Wilder, un autore statunitense nato nel Wisconsin il 17 aprile 1897, figlio di un importante diplomatico e fratello di intellettuali e docenti universitari di buon livello, cresciuto in Cina e con un curriculum accademico di prim'ordine (laurea a Yale, master a Princeton), poliglotta e con un numero sterminato di interessi culturali, primi tra i quali l'archeologia e la Storia antica.
Thornton Wilder

Wilder è conosciuto tanto come narratore (un altro suo romanzo, The Eight Day, L'ottavo giorno, ha vinto il National Book Award nel 1968) quanto come drammaturgo: due sue opere (Our Town, Piccola Città, del 1938 e The skin of our teeth, che in Italiano è stato tradotto come La famiglia Antrobus, 1942) hanno vinto anch'esse il Pulitzer e appartengono sicuramente al novero dei titoli teatrali più originali e moderni, soprattutto nella messa in scena, del XX secolo.






Altri romanzi di Wilder, tutti tradotti in Italiano ma non sempre facilmente reperibili oggi. Dall'ultimo, è stato tratto anche un film, Mr. North, di Danny Huston (1988)



Locandine e un testo teatrale di Wilder


Da una rappresentazione di Our Town




Altre messe in scena di opere teatrali di Wilder: le prime due immagini sono relative a The Matchmaker e le ultime due a The skin of our teeth

Dopo la sua scomparsa, avvenuta per cause naturali in Connecticut il 7 dicembre 1975, è emerso che Wilder, benché avesse condotto una vita irreprensibile e fosse considerato un uomo molto religioso, di stampo prettamente calvinista, era quasi certamente gay (non si sposò mai) e quello che comunemente era considerato uno dei suoi migliore amici, l'intellettuale Samuel M. Steward (che mollò la carriera di docente universitario per diventare tatuatore e autore di romanzi pornografici firmati con uno pseudonimo, Phil Andros, che è già un riferimento a un libro di Wilder), è stato sicuramente un suo amante, dato che parla della sua relazione con Wilder nei suoi diari.
Samuel M. Steward (1909-93)

La fama italiana di Il ponte di San Luis Rey si giova anche della bellissima traduzione in cui è stato presentato al pubblico, opera di Lauro De Bosis, un raffinato poeta e docente universitario italo-americano, amico personale di Wilder, passato alla Storia soprattutto per le circostanze della sua scomparsa: il 3 ottobre 1931, emulando l'impresa di D'Annunzio su Vienna, volò su Roma con un aereo monoposto, lanciando 400.000 volantini inneggianti all'antifascismo e poi, inseguito dai caccia italiani, cadde in mare per l'esaurimento del carburante mentre cercava di riparare a Barcellona. Non si sa con sicurezza dove sia caduto perché non sono state mai ritrovate tracce del suo aereo. Ma, nel 1952, in un punto del Mar Tirreno che si presume quello della caduta, fu calata l'urna con le ceneri della sua compagna, l'attrice americana Ruth Draper.

Lauro De Bosis (1901-31)

Ruth Draper (1884-1952)



giovedì 12 aprile 2018

Frederick Thompson fu posseduto dallo spirito di Robert Swain Gifford?


Il caso è di quelli celebri nel mondo anglofono, decisamente meno noto altrove. Ne trattano tutti gli “specialisti” di paranormale, con estrema dovizia di particolari, e non è mai stato completamente smontato secondo una prospettiva razionale, anche se gli elementi per sospettare una truffa ci sarebbero tutti.
Protagonisti sono un artista e un artigiano. Il primo è un pittore paesaggista molto noto ai suoi tempi e ancora parecchio quotato nelle aste, Robert Swain Gifford (1840-1905); il secondo è un orafo e incisore, Frederick Louis Thompson, che dovrebbe essere vissuto dal 1868 al 1933 (ma le fonti al riguardo non sono concordi). Secondo quanto rieferisce la storia, da morto, Gifford avrebbe posseduto Thompson, inducendolo a lasciare le sue attività artigianali per dedicarsi unicamente alla pittura a olio.
Robert Swain Gifford




Alcuni famosi quadri di Gifford

Attualmente, il reperimento delle opere di Thompson sul web risulta particolarmente complicato, perché il suo è un nome parecchio diffuso e, in particolare, è facile confonderlo con un pittore coevo e omonimo, Frederick “Fred” Thompson, vissuto dal 1876 al 1923. Ciò rende molto difficile la convalida diretta dell'ipotesi “paranormale”, quella per cui lo spirito di Gifford avrebbe continuato a dipingere anche da morto attraverso il corpo di Thompson.
Frederick Thompson

Comunque, la vicenda prende l'avvio dalla morte improvvisa di Gifford, il 13 gennaio 1905. Thompson, che per un certo periodo era vissuto nella sua stessa cittadina, New Bedford sulla costa del Massachusetts, lo conosceva superficialmente, lo incontrava nelle passeggiate domenicali e intorno al 1898 gli aveva chiesto una raccomandazione per essere assunta alla Tiffany Glass Company (non si sa se Gifford si prestò a raccomandarlo). Dal 1900, però, Thompson si era trasferito a New York e, a quanto riferì poi, non sapeva nulla della morte di Gifford.
Sempre secondo i suoi racconti, durante il 1905, Thompson cominciò a sentire un fortissimo e inspiegabile impulso a dipingere. Tale impulso divenne irresistibile dopo che nel gennaio del 1906 visitò una mostra di quadri di Gifford a New York e apprese che l'artista era morto. Thompson riferì anche di aver sentito, in quell'occasione, una voce che gli avrebbe detto “Guarda cosa ho fatto. Vuoi riprendere e finire il mio lavoro?”
Nel 1907, Thompson si rivolse a James Hyslop (1854-1920), un ex docente di Filosofia della Columbia University che ora si dedicava alle ricerche psichiche, soprattutto a quelle su fenomeni inspiegabili. Hyslop poteva essere stato un buon filosofo, ma certo era anche un gran credulone, tanto è vero che, per convalidare le affermazioni di Thompson riguardo la sua “possessione”, si rivolse a due medium che provarono a consultare il defunto Gifford attraverso il contatto dei loro “spiriti guida”. Una era Miss Rathbun e l'altra, conosciuta come Miss Chenoweth, era la più conosciuta medium americana di quel tempo, Minnie Meserve Soule. Entrambe confermarono l'esistenza dello spirito di un uomo distinto e barbuto (come la maggior parte degli uomini del tempo) che cercava di comunicare qualcosa a Thompson relativamente a un certo paesaggio da dipingere, caratterizzato dalla presenza di grosse querce.
James Hyslop

Intanto, Thompson si era effettivamente messo a dipingere paesaggi, dicendo ogni volta alla moglie Caroline che era Gifford a ordinarglielo. Tali quadri riuscivano molto bene e venivano venduti facilmente (ne comprò uno anche Mark Twain), anche se la storia della possessione spiritica non era stata ancora diffusa. Un mercante che faceva da intermediario, accettandone alcuni, commentò che gli ricordavano molto le opere di Gifford. Dal 1908, Thompson lasciò perdere tutte le altre sue attività e si dedicò unicamente alla pittura.
Il dettaglio del paesaggio con le querce è al centro di una ricerca che Thompson avrebbe compiuto sulla scia delle indicazioni ricevute da Gifford. La vedova di Gifford gli avrebbe detto che uno dei posti preferiti del marito erano le isole Elizabeth, poco a Sud di Cape Cod. Thompson ci sarebbe andato e, oltre a trovare le querce, avrebbe trovato anche un faggio con le iniziali di Gifford incise sulla scorza con una data del 1902. Quando ci tornò con Hyslop, qualche tempo dopo, questo cominciò ad avere qualche sospetto e dichiarò che a lui le incisioni sembravano parecchio più recenti.
La faccenda a questo punto si complica per l'entrata in scena di altre due medium, Miss Gaule e Miss Cleveland, e per il fatto che Thompson cominciò a frequentare sia queste sia Miss Chenoweth anche in assenza di Hyslop, ottenendo “contatti” con Gifford sempre più intensi, di cui riferiva solo successivamente a Hyslop, lasciandolo sempre più scettico. Hyslop pensava sempre di più che Thompson fosse in buona fede, ma che la sua “possessione” fosse soprattutto l'effetto di una molto più banale “ossessione” di diventare artista a tutti i costi.
Un quadro di Thompson che, secondo la vedova di Gifford, coincideva con un'opera che il marito aveva abbozzato prima di morire




Altri quadri di Thompson

A forza di produrre quadri e di venderli, Thompson riuscì a entrare in un club di pittori molto ambito ed esclusivo, il Salmagundi, nel 1912. Negli anni '20 si trasferì definitivamente a Martha's Vineyard, al largo di New Bedford. Nel 1919, Hyslop gli aveva comunque dedicato il suo ultimo libro, intitolato “Contact with other word” ed era morto l'anno successivo.
Pare evidente come Hyslop non fosse proprio la figura più adatta a indagare su un caso simile. Dopo la prematura morte della moglie nel 1900, aveva avuto un grave esaurimento nervoso e da allora si era messo a studiare i fenomeni medianici, a volte smascherando delle truffe, ma più spesso mostrando una credulità che agli scienziati di oggi appare imbarazzante, tant'è che Martin Gardner ha fatto letteralmente a pezzi la sua opera. Dai suoi contemporanei, però, era criticato soprattutto per il suo modo confuso di esprimersi per iscritto.
In tempi più recenti sono emersi dettagli non molto lusinghieri sulla vita privata di Thompson, che dal momento del suo trasferimento in Massachusetts condusse un singolare ménage à trois con la moglie Caroline e uno strano avventuriero, chiamato colonnello Brookes anche se non aveva mai fatto il militare, che nonostante la sua età avanzata (era nato nel 1842) finì per diventare l'amante di Caroline e per indurla a lasciare il marito, che dava segni sempre più evidenti di squilibrio. Nel 1925, infatti, Thompson abbandonò anche la pittura e si mise a studiare i crostacei e gli altri invertebrati marini per provare una sua sgangherata teoria scientifica che a suo dire rappresentava l'applicazione della relatività di Einstein alla biologia. Caroline accusò poi Thompson di aver ripetutamente tentato di ucciderla sia attraverso l'avvelenamento dei cibi, sia colpendola alla testa con una grossa pietra. Dopo aver scoperto una stanza segreta nella loro casa, in cui il marito custodiva lettere di amanti e libri osceni, la donna, insieme a Brookes, si trasferì a Miami, dove però continuò a ricevere lettere intimidatorie dall'ex marito, che si spacciava per un boss della Mano Nera, la mafia italiana.
A forza di ricevere denunce, Thompson fu arrestato nel 1929. Fu poi internato in un ospedale psichiatrico a Edgerton per 52 giorni, nei quali fu sottoposto a diverse prove e osservazioni in base alle quali fu dichiarato sano di mente. Processato per il tentato omicidio della moglie, fu assolto e subito dopo le fece causa per danni. Anche Caroline gli fece causa a sua volta, ma la morte di Thompson nel 1933 impedì che i procedimenti giungessero a termine. Brookes morì poi nel 1935 e Caroline nel 1954.