venerdì 27 ottobre 2017

Le premonizioni di Aberfan

Aberfan è un villaggio del Galles meridionale, posto in una valle tra colline ricche di foreste di conifere, il cui sottosuolo è ricchissimo di minerali. L'economia della zona si è basata per secoli sull'estrazione di carbone, e tra i suoi abitanti ci sono sempre stati molti minatori.
Per molto tempo, sulla principale collina tra quelle che sovrastano Aberfan, chiamata Mynydd Merthyr e alta 493 m, l'attività delle miniere ha accumulato detriti di carbone e di altri minerali. Tali accumuli apparivano piuttosto pericolosi ma nessuno prese provvedimenti fino al disastro del 21 ottobre del 1966.
Quel giorno, in seguito a diversi giorni di piogge forti e insistenti, i detriti si gonfiarono di acqua fino a diventare una massa liquida e, staccatisi dalla superficie, scesero a valle, prima travolgendo due fattorie e poi spingendosi fino al centro di Aberfan. Il volume dei detriti in movimento è stato stimato in 160.000 mc, di cui 120.000 furono depositati lungo le pendici della collina e 40.000 arrivarono fino al paese.


Alcune immagini del disastro

Ad Aberfan, quella mattina, c'era un tempo molto nebbioso e nessuno vide arrivare la massa di rocce e fango. In un primo tempo, il rumore fece pensare al passaggio di un Jet, poi le vibrazioni del terreno diedero l'idea di un terremoto (eventualità molto rara nell'area), ma comunque tutto avvenne in tempi talmente rapidi che nessuno riuscì a dare l'allarme o a organizzare l'evacuzione dei punti più a rischio.
L'edificio più esposto era la scuola primaria Pantglas, in cui i bambini erano appena entrati per l'ultimo giorno di lezione prima delle vacanze di Mid-term. Per festeggiare l'arrivo di queste vacanze, erano andati a cantare in coro degli inni nella sala riunioni, che per una tragica fatalità era proprio dal lato affacciato verso il Mynydd Merthyr. Stavano cominciando ad avviarsi nelle aule quando si udì il rombo e il pavimento prese a tremare. Alcuni insegnanti, memori delle esercitazioni per la sicurezza, ordinarono di ripararsi sotto i banchi, ma ovviamente non servì a nulla. La massa di detriti travolse la scuola distruggendola quasi completamente e seppellendo nel fango quasi tutti quelli che vi erano dentro.
Complessivamente, morirono 144 persone, tra le quali 116 bambini e 28 adulti.
Alcuni dei bambini morti

Alcuni degli insegnanti morti


La scuola come si presentò ai soccorritori

I funerali delle vittime rappresentarono un importante evento per l'intero Regno Unito. Nove giorni dopo il disastro, anche la Regina e il Principe Consorte visitarono il luogo. Quando Elisabetta ricevette un mazzo di fiori da una bambina superstite, fu vista piangere in pubblico per la prima volta.
Il contraccolpo del fatto per i superstiti ebbe una portata enorme, non solo a livello economico ma soprattutto sul piano psicologico. In pochi anni, i problemi come separazioni e divorzi, alcolismo, consumo di droghe e psicofarmaci, aumentarono vertiginosamente.






Alcuni dei momenti di quel giorno e dei successivi

Tra gli psichiatri che si occuparono di assistere gli abitanti di Aberfan c'era anche John C. Barker, uno specialista che nel dicembre del 1967 pubblicò, sul Journal of the Society for Psychical Research, uno studio che esaminava 35 casi di testimonianze riguardanti fenomeni di precognizione del disastro da parte di persone coinvolte, tra cui diversi bambini che erano morti.
Il caso più significativo è quello di una bambina di 10 anni, Eryl Mai Jones, che due notti prima del disastro aveva sognato che la scuola era scomparsa, sostituita da una massa nera. La bambina sognò anche di essere morta e sepolta ma il sogno non le fece paura, perché accanto a lei c'erano i suoi miglior amici, Peter e June. Dopo il disastro, Eryl Mai fu effettivamente sepolta, insieme alle altre vittime, in una grande fossa comune, e a suoi due lati furono composti i due bambini che le erano apparsi nel sogno.
Questa storia fu raccontata a Barker da un sacerdote locale e poi confermata dai genitori della bambina.
La coincidenza tra la premonizione e i fatti sembra essere eccezionale ma va detto che anche uno come lo pischiatra Ian Stevenson, docente alla scuola di Medicina della Charlottesville University in Virginia, Usa, principale sostenitore della teoria per cui il disastro del Titanic fu preceduto da diversi episodi di premonizione, anche se cita l'episodio di Aberfan a sostegno delle sue idee, mette in guardia contro l'uso di prove aneddotiche di questo tipo, non sempre attendibili e spesso alterate da suggestione, ricordi di copertura o semplice fantasia di chi le riferisce come testimone.
Peraltro, il disastro di Aberfan fu tutt'altro che inaspettato e imprevedibile. Il National Coal Board, che gestiva la miniera, era da tempo bombardato da iniziative dei cittadini locali preoccupati per la propria sicurezza, che si erano intensificate nel tempo. Il Consiglio Comunale aveva stigmatizzato già nel 1963 la pratica di inumidire dei detriti molto duri per ammorbidirli prima di depositarli sugli altri, temendo che le successive infiltrazioni potessero facilitare le frane. Un consigliere comunale, l'anno dopo, scrisse al NCB apposta per sottolineare il fatto che la scuola si trovasse nella posizione piùà a rischio in caso di frane. Nel 1965, la direttrice della scuola, Ann Jennings, presentò al Consiglio della Contea una petizione firmata dai genitori degli alunni per chiedere alle autorità di intervenire, vista l'inerzia del NCB nell'affrontare la questione. La Jennings e i figli di molti firmatari sarebbero morti nel disastro. A forza di insistere, il NCB si era mosso e, dopo aver accertato che le masse sulla cima della collina si erano effettivamente mosse nel tempo, aveva smesso di scaricare detriti su di questa. Ma non aveva rimosso quelli che già vi si trovavano e, per questo, dopo un lungo e complicato processo civile, l'ente fu condannato a pagare la somma complessiva di 160.000 sterline di risarcimenti, mentre il suo presidente, Lord Robens, che non si era nemmeno recato sul posto appena ricevuta la notizia, perché impegnato a ricevere l'investitura a Rettore dell'Univeristà del Surrey, fu costretto a dimettersi.
Il governo, insoddisfatto dell'ammontare dei risarcimenti, aprì a favore dei superstiti e delle famiglie dei morti una sottoscrizione che portò a raccogliere 1.606.929 sterline, ossia una somma dieci volte superiore.
Resta da chiarire se le premonizioni, se ci furono, si ebbero spontaneamente o per reazione al clima di allarme che, evidentemente, aleggiava sul villaggio da tempo. Ma questo, al momento, è impossibile stabilirlo.
Il cimitero di Aberfan

La copertina di Life dedicata all'evento




venerdì 13 ottobre 2017

Christian Ranucci: spietato criminale o capro espiatorio innocente?

In una notte di mezza estate, nel carcere di Baumettes, a Marsiglia, un ragazzo di 22 anni viene svegliato dalle guardie entrate nella sua cella. Fa un po' di resistenza, poi viene immobilizzato e si rassegna. Alla presenza degli avvocati che lo hanno assistito durante il processo, il direttore del carcere gli comunica che la sua domanda di grazia è stata rigettata dal Presidente della Repubblica e che la sua esecuzione capitale avverrà immediatamente. Lo invita a vestirsi, ma il ragazzo, sconvolto, rifiuta di farlo e si tiene addosso solo il pigiama in cui stava dormendo. Rifiuta anche, con una sola parola (“Negativo”) la compagnia del prete che si avvicina per confortarlo. Gli vengono offerti un bicchierino di cognac e rifiuta anche quello, poi una sigaretta, che invece accetta. Mentre viene condotto in cortile, dove c'è la ghigliottina, forse (le testimonianze non sono concordi), si rivolge due volte ai suoi avvocati, la prima per fare una battuta (“Ora non vorrete che mi congratuli con voi”) e l'altra per un'ultima, disperata richiesta “”Riabilitatemi!”).
Mancano oltre due ore all'alba, sono le 4,13 del 28 luglio 1976, quando la lama tronca la testa di Christian Ranucci, nato ad Avignone il 6 aprile 1954, il penultimo condannato a essere giustiziato in Francia prima dell'abolizione definitiva della pena capitale.

Christian Ranucci

Anche se l'argomento era in discussione da parecchio tempo, il caso Ranucci diede un impulso decisivo a questa scelta di civiltà. Il guardasigilli Robert Badinter, nel suo discorso al Parlamento per chiedere l'abolizione della pena di morte, citò appunto il caso di Ranucci come esempio di abuso della pena stessa.
Ma quali fatti, quale delitto aveva portato Ranucci ad affrontare quel destino?
Torniamo indietro di poco più di due anni, al 3 giugno 1974. Quella mattina, tra le 11,05 (ora in cui vengono visti dalla madre) e le 11,20 (ora in cui il padre rientra dal lavoro), due bambini stanno giocando per strada nel quartiere popolare di Les Chartreux, a Sainte-Agnès, circoscrizione di Marsiglia: sono Marie-Dolores Rambla, di 8 anni, e il fratello Jean-Baptiste, di 6. Un uomo parcheggia l'auto di fronte a loro, scende e chiede ai bambini di aiutarlo a cercare il suo cane, che si è smarrito. Jean-Baptiste si mette alla ricerca, mentre Marie-Dolores resta sola con lo sconosciuto, il quale la convince a salire sulla sua auto. Il carrozziere Eugène Spinelli, che abita di fronte, mentre esce di casa per andare ad aprire l'officina, assiste alla scena e identifica l'auto come una Simca 1100, grigia.
I genitori di Marie-Dolores Rambla durante le ricerche

Più tardi, poco distante, un fatto apparentemente del tutto sconnesso dal rapimento.
Sono le 12,30 e Vincent Martinez si sta recando a Tolone con la sua ragazza, nella loro Renault 16 bianca, sulla strada statale N96 (oggi D908). All'incrocio detto “de la pomme”, nel comune di Belcodène, dove c'è uno stop per le auto provenienti da Marsiglia, una Peugeot 304 coupé grigia metallizzata non rispetta lo stop e gli taglia la strada: le due auto si urtano, la Renault è costretta a fermarsi mentre l'altra si allontana. Un altro automobilista, Alain Aubert, che ha anche la moglie a bordo, insegue la Peugeot 304 e la raggiunge dopo circa 1 km, ma si limita ad annotarne il numero di targa, 1369SG06 e a notare che il guidatore si è fermato per scaricare un grosso pacco sul ciglio della strada. Martinez intanto va a denunciare l'incidente alla gendarmeria del paese più vicino, Gréasque, distante 35 km da Marsiglia, e dichiara che il guidatore dell'auto che gli ha tagliato la strada era solo in auto.
Poi c'è un terzo episodio, che pure non sembra avere alcuna attinenza con gli altri.
Sono le 17, quando, a due km dall'incrocio “de la pomme”, in territorio del comune di Peypin, Mohammed Rahou sta davanti casa sua su una collina attraversata da diverse gallerie scavate per praticare la funghicoltura. Un giovane ben vestito e dai modi gentili gli chiede di aiutarlo perché la sua auto, una Peugeot 304 grigia, si è impantanata in una delle gallerie. Anche se le spiegazioni del giovane sul perché si trovasse proprio lì non gli sembrano molto convincenti, Rahou chiama il caposquadra della fungaia, Henri Guazzone, e questi, con il suo trattore, tira fuori l'auto dal pantano. Rahou annota la targa dell'auto prima di salutare il ragazzo, che resta a casa sua a prendere un té e se ne va solo verso le 18,30, dicendo che torna a Nizza, dove abita con la madre.
Una Simca 1100

Una Peugeot 304

Il 4 giugno, quando la televisione dà la notizia del rapimento di Marie-Dolores, prima Guazzone e poi Aubert contattano le gendarmerie di zona, raccontando quanto accaduto il giorno prima. Lo stesso fa Martinez, il 5. Aiutati da cani poliziotto, i gendarmi cominciano le ricerche a partire dal punto indicato da Aubert come quello di sosta della Peugeot 304 alle 14,05 e, dopo un po', scoprono un maglione rosso in una delle gallerie della fungaia. Su questo maglione, saranno poi rinvenute tracce di sangue.
Alle 15,45, in un'altra galleria, viene ritrovato il cadavere di Marie-Dolores, con il cranio sfondato e 15 ferite da taglio complessive. L'autopsia mostrerà che non ha subito violenze sessuali. In serata, è il padre Pierre a riconoscerla.
Lo stesso giorno, alle 18,15, a Nizza, viene arrestato il proprietario della Peugeot 304, identificato grazie al numero di targa, il ventenne Christian Ranucci, rappresentante di commercio. La mattina dopo, viene condotto a Marsiglia e mostrato a Jean-Baptiste Rambla ed Eugène Spinelli, che non lo riconoscono come il rapitore di Marie-Dolores. Ranucci ammette di essere coinvolto nell'incidente all'incrocio “de la pomme” e di essere fuggito per paura del ritiro della patente, che gli è indispensabile per il lavoro. Si sarebbe poi nascosto nella fungaia per non essere visto dagli Aubert, ma lì si è ritrovato impantanato.
In serata, però, ha un doppio confronto con i coniugi Aubert, che non lo identificano in un confronto all'americana ma poi lo riconoscono quando se lo trovano davanti da solo e cambiano versione sul “pacco” scaricato dalla macchina, che diventa un “bambino”. Allo stesso modo, Vincent Martinez si rimangia quanto detto prima e afferma che accanto a Ranucci, nella Peugeot 304, c'era un bambino. Come si può spiegare questo doppio voltafaccia?
L'arresto di Ranucci

I coniugi Aubert
Ranucci in un confronto all'americana

Dopo 20 ore consecutive di interrogatori e senza alcuna assistenza legale, Ranucci confessa il delitto e spiega la meccanica del sequestro in uno schizzo. Riconosce come suo anche un coltello marca “Virginia-Inox” che è stato trovato nella fungaia e che si presume sia l'arma del delitto, in quanto è macchiato di sangue dello stesso gruppo della vittima (che però è lo stesso di Ranucci). Ripete poi la stessa confessione davanti al magistrato inquirente e davanti agli psichiatri che lo vedono il giorno dopo.
Più tardi, però, quando potrà finalmente godere di assistenza legale, ritratterà tutto e dirà di essere stato costretto a confessare dalla pressione degli inquirenti, guidati dal commissario Gèrard Alessandra.
Il pubblico ministero Ilda Di Martino ordina un incidente probatorio, in cui Ranucci viene portato sul luogo del ritrovamento del cadavere ma si trincera dietro una serie di “Non ricordo, non è possibile”. La giudice, in quest'occasione, ha un atteggiamento molto intimidatorio con Ranucci, il quale finisce per avere una crisi isterica. Nei giorni successivi, i genitori di due bambini oggetto di tentativi falliti di rapimento a Nizza negli ultimi mesi si presentano agli inquirenti: la madre di Sandra Spineck non riconosce Ranucci, il padre di Patrice Pappalardo invece sì, ma solo da una foto.
Negli interrogatori successivi (saranno solo 5 in tutto, di cui appena 2 in presenza dei suoi legali) Ranucci continua a dire di non ricordare nulla. L'11 marzo 1975 viene rinviato a giudizio. Intanto, è sottoposto ad alcune perizie psichiatriche, da cui risulta sano di mente. Emergono però dettagli inquietanti della sua infanzia: la madre, dopo la separazione dal padre, ha impedito a quest'ultimo di vederlo e ha fatto crescere il figlio nel terrore di essere rapito. Benché abbia fatto anche il servizio militare, Ranucci sembra dipendere psicologicamente da lei in tutto. Non ha nemmeno chiara la portata del rischio che corre a essere condannato.
Dei suoi tre avvocati, tutti piuttosto giovani e destinati in seguito a diventare importanti principi del foro, Paul Lombard e Jean-Francois De Forsonney, sono convinti che la linea difensiva debba basarsi sulla dichiarazione di innocenza, mentre il terzo, Andrè Fraticelli, ritiene che sia più opportuno ammettere il delitto e puntare sulle attenuanti per evitare il patibolo. Prevale, anche per volontà di Ranucci, la prima linea.
Il processo è quasi totalmente basato su indizi, le prove mancano completamente: non si sa se il maglione appartenga o meno a Ranucci (lui e la madre affermano di no); i suoi pantaloni recano piccole tracce di sangue, che lui dice dovute alle conseguenze di una caduta dallo scooter (il fatto che si trovino sul lato esterno del tessuto può significare tutto o nulla); i suoi avambracci hanno alcune abrasioni, che secondo i poliziotti sono dovute alla resistenza della bambina mentre veniva uccisa (ma nessuno si è preso il disturbo di andare a controllare se ci fossero frammenti di pelle sotto le unghie della bambina) mentre lui dice di essersele fatte cercando di farsi strada verso la casa di Rahou, in mezzo ai rovi della vegetazione; nulla dimostra che il coltello di Ranucci (che lui dice di aver perso mentre cercava di spingere l'auto fuori del pantano) sia davvero l'arma del delitto.
C'è poi la faccenda del movente; secondo la ricostruzione, Ranucci si sarebbe comportato con una stupidità che ha dell'incredibile: dopo aver rapito la bambina, avrebbe guidato in modo così imprudente da provocare un incidente e poi, ben sapendo di essere stato visto e seguito da testimoni, avrebbe ucciso la bambina poco distante.
L'avvocato Paul Lombard durante il processo

Il processo, celebrato ad Aix-en-Provence, va in modo disastroso per Ranucci: i suoi avvocati non riescono a smontare le deposizioni dei testimoni e lui stesso dà una pessima impressione al pubblico e alla giuria, presentandosi in aula vestito tutto di nero, con un enorme crocifisso sul petto e poi rispondendo in modo arrogante alle domande, quando viene interrogato. Le indagini, però, hanno preso solo in minima considerazione la testimonianza di una certa Jeannine Mattei di Marsiglia, secondo la quale un uomo con un pullover rosso, che guidava una Simca 1100 grigia, avrebbe tentato di rapire, in momenti diversi, poco prima del delitto, sua figlia e un altro bambino abitante nelle vicinanze. Né la Mattei né i due bambini, messi di fronte a Ranucci, lo identificano. Tuttavia, né la testimonianza della Mattei né quella del carrozziere Spinelli fanno una grande impressione alla corte e alla giuria.
Benché perfino Gilbert Collard, avvocato dei Rambla, raffinato giurista e filosofo del Diritto, raccomandi alla giuria e alla corte di concedere le attenuanti all'imputato onde evitargli la pena capitale, il 10 marzo 1976, la colpevolezza viene dichiarata senza attenuanti e la condanna è a morte.
La sentenza è accolta in modo isterico dal pubblico presente in tribunale, che pretende l'immediata esecuzione del condannato e, non potendola avere, se la prende con sua madre e con l'avvocato Collard, che aveva osato chiedere pietà per lui. I due, per uscire, devono essere protetti dalla polizia.
A questo, contribuisce sicuramente anche il clima di quel periodo. Poco tempo prima, il 18 febbraio 1976, a Troyes, un altro bambino, Philippe Bertrand, è stato ucciso da un certo Patrick Henry. L'unica donna della giuria, Geneviève Donadini, scriverà poi in un libro, “Le procès Ranucci” (2016) che la pressione dell'opinione pubblica era ossessiva, le scritte sui muri e le grida della folla per chiedere la condanna di Ranucci si susseguivano tutti i giorni e, alla fine, i giurati stessi decisero rapidamente, in sole tre ore, di uscire da quell'incubo il più rapidamente possibile, contando sui successivi gradi di giustizia e sulla grazia presidenziale.

Invece, il 17 giugno 1976, la Corte di Cassazione respinge il ricorso presentato dagli avvocati di Ranucci.
Il presidente della Repubblica Valery Giscard d'Estaing si è sempre dichiarato contrario alla pena capitale, per principio. Ma in quel momento, se la passa piuttosto male, per via della crisi economica dovuta alla spirale inflazionistica innescata dallo shock petrolifero del 1973. Ha bisogno del sostegno di un ampio arco parlamentare, del quale fanno parte anche alcuni partiti che invece sono a favore della pena di morte. All'inizio del 1976, la sua decisione di graziare il ventenne Bruno Triplet, assassino di una donna anziana nel 1974, ha sollevato diversi malumori. In più, mentre Giscard decide, un altro bambino, Vincent Gallardo, viene rapito e ritrovato ucciso vicino Tolone. La sorte di Ranucci, a quel punto, è segnata. L'opinione pubblica vuole la sua testa e l'avrà: letteralmente. La grazia viene rifiutata ufficialmente la sera del 27 luglio 1976. Solo poche ore dopo, il destino di Christian Ranucci si compie.
Giscard, successivamente, in tre diverse occasioni, si giustificherà affermando, con un notevole cinismo, che tanto Ranucci era colpevole e quindi giustiziandolo non si commetteva alcuna atrocità.
Giscard d'Estaing

Ranucci dovrà essere sepolto quasi di nascosto, ad Avignone. Il suo nome, sulla lapide, è scritto in alfabeto cirillico, per timore che la lapide stessa possa essere devastata da qualche vandalo.
La tomba di Ranucci

Dopo di Ranucci, salirà sulla ghigliottina solo un altro condannato, Hamida Djandoubi, reo dell'omicidio della sua compagna, aggravato dalla crudeltà, il 10 settembre 1977. Poi, nel 1981, la pena di morte in Francia sarà abolita, dopo che gli ultimi 8 condannati sono stati graziati o assolti in cassazione. Da allora, contrariamente a quanto affermavano gli anti-abolizionisti, il tasso di crimini violenti non è aumentato: anzi, è addirittura diminuito.
L'uscita del libro “Le pull-over rouge” di Gilles Perrault (divenuto anche un film diretto da Michel Drach), nel 1978, aprì una lunga stagione di polemiche tra i sostenitori dell'innocenza di Ranucci (e quelli, molto più numerosi, per cui Ranucci non aveva avuto affatto un giusto processo, a prescindere dal fatto che fosse colpevole o no) e il ministero della Giustizia francese. Che ha sempre rifiutato di riaprire il caso, perfino quando (nel 2006) il quotidiano belga “Le Soir” scrisse di avere le prove per cui il serial killer Michel Fourniret (nato nel 1942 e attualmente all'ergastolo per 8 omicidi di bambine e ragazze) era a Marsiglia nel giugno del 1974 e possedeva una Peugeot 304 identica a quella di Ranucci. La questione non è stata mai approfondita, quindi non ci sono state né conferme né smentite. Esiste ancora un comitato a favore della revisione del caso Ranucci, di cui faceva parte anche la madre, Heloise Mathon, morta nel 2013.
Questa storia ha una ulteriore, tragica sequela. Il fratello di Marie-Dolores, Jean-Baptiste, negli ultimi anni si ritrova al centro di due casi criminali: nel luglio del 2004 uccide una sua amica dai tempi dell'infanzia, Corinne Beidl, e finisce condannato a 18 anni di carcere. Esce in libertà condizionata nel 2016 e, nel luglio del 2017 viene nuovamente arrestato per l'omicidio della ventunenne Cintia Lunimbu.



Michel Fourniret in un'immagine recente






giovedì 5 ottobre 2017

L'incidente dello Yangtze, la fregata Amethyst e il gatto-eroe Simon

La storia di un piccolo animale e del suo coinvolgimento in un episodio secondario ma molto significativo della storia recente cominciò nella primavera del 1948 a Stonecutters, una delle isole di Hong Kong, quando un marinaio inglese non ancora diciottenne, George Hickinbottom, si imbatté in un piccolo gatto bianco e nero dall'aspetto piuttosto denutrito e dal carattere molto vivace. Il gatto si lasciò accarezzare e poi prendere dal ragazzo, che decise di portarselo a bordo della sua nave, la fregata Amethyst, in cui stava rientrando dopo una breve passeggiata a terra.
George, come quasi tutti i marinai, pensava che una nave senza un gatto a bordo fosse destinata a diventare una nave sfortunata; e, durante i suoi pochi mesi di servizio, aveva appreso che i gatti di Stonecutters, abituati a competere con i grossi ratti dell'area portuale, erano eccellenti compagni di navigazione.
veduta di Stonecutters

L'Amethyst era una nave militare che nella seconda guerra mondiale si era occupata con successo di scortare i convogli e di dare la caccia ai sommergibili tedeschi. Il 20 febbraio 1945, al largo di Dungarvan, Irlanda, aveva affondato il sommergibile U-1276, che a sua volta aveva appena affondato un'altra nave militare inglese, la corvetta Vervain. Nel 1948 l'Amethyst era di stanza a Hong Kong e sembrava destinata a trascorrere anni tranquilli, visto che non c'era nessuna guerra in corso.

L'Amethyst prima e dopo i fatti

Il comandante dell'Amethyst, il capitano di corvetta Ian Griffiths, non aveva autorizzato Hickinbottom a portare alcun animale a bordo, ma era un amante dei gatti, sapeva come la pensavano i marinai sull'argomento e accettò subito la presenza del nuovo venuto sulla sua nave. Per i primi mesi di “servizio”, il gatto, battezzato Simon da Griffiths (anche se i marinai continuarono sempre a chiamarlo Blackie) se la spassò, mangiando a sazietà fino a diventare un esemplare robustissimo malgrado la sua taglia restasse piccola e diventando il beniamino dei marinai, che nel tempo libero passavano ore a giocare con lui o a lasciarlo giocare (il suo gioco preferito era “catturare” cubetti di ghiaccio che galleggiavano sulla superficie di una brocca). Il suo carattere socievole gli permise di fare amicizia anche con una cagna di razza terrier, Peggy, che già si trovava a bordo. Ma, già in questo periodo, dimostrò di essere uno spietato cacciatore di ratti.
Il capitano Griffiths



Simon (e Peggy) con l'equipaggio dell'Amethyst

Per le navi e i marinai, i ratti sono sempre stati un enorme problema. Salgono a bordo utilizzando come ponti le cime che ormeggiano le navi alle bitte del porto, si introducono nella cambusa e, oltre a mangiare i cibi lì stivati, li contaminano con i loro escrementi, diffondendo infezioni di ogni tipo. Inoltre, se vi sono malati o feriti a bordo, possono attaccarli e morderli, provocando lesioni che si infettano facilmente. Si può dunque capire perché i marinai siano tanto affezionati ai gatti, che sono sempre stati lo stumento più efficace e con meno problemi collaterali per fare la guerra ai ratti.
Durante i primi mesi del 1949, Griffiths lasciò il comando dell'Amethyst perché destinato ad un'altra nave e il suo posto fu preso da un altro ufficiale, il capitano di corvetta Bernard Skinner. Se la vita di Simon con Griffiths era stata felice, con Skinner lo fu anche di più, perché anche il nuovo capitano prese a benvolerlo e a trattarlo quasi come un figlio.
Il capitano Skinner

Ma la situazione politica internazionale nella zona stava evolvendo in modo tale che presto l'Amethyst si sarebbe di nuovo trovata in azione militare, in condizioni forse ancora più pericolose di quelle vissute in precedenza. Era in corso la guerra civile in Cina, tra la fazione comunista guidata da Mao Tze-tung e quella nazionalista guidata da Chiang Kai-shek, e gli occidentali che si trovavano in quel Paese, stretti tra l'incudine e il martello, erano costantemente in pericolo. In particolare, a rischiare la pelle, era il personale del consolato inglese di Nanchino, sullo Yangtze (Fiume Azzurro), ossia in una zona in cui i combattimenti tra le due fazioni erano molto intensi e caratterizzati da violenti bombardamenti, per cui il governo britannico aveva deciso di tenere ormeggiata lì nel porto fluviale (lo Yangtze è un fiume enorme, il maggiore dell'Asia) una nave militare che potesse evacuarli rapidamente se la situazione fosse precipitata. Per i primi tempi, la nave incaricata era stata il cacciatorpediniere Consort: nell'aprile del 1949, all'Amethyst fu ordinato di darle il cambio.
La missione era molto più pericolosa di quanto potesse sembrare: gli inglesi navigavano sullo Yangtze in virtù di un trattato del 1858 ma, se i nazionalisti lo avevano riconosciuto, i comunisti non lo avevano fatto e, anzi, non mancavano mai di ricordare che avrebbero aperto il fuoco senza pensarci due volte se si fossero sentiti minacciati. L'Amethyst, partita da Shangai, doveva attraversare una zona del fiume in cui la riva Nord era occupata dai comunisti e quella Sud dai nazionalisti, ma per la prima parte del viaggio non ci furono problemi, grazie a una tregua stipulata tra le due parti. Tuttavia, tale tregua scadeva nella notte tra il 20 e il 21 aprile.
Infatti, il mattino di quel giorno, i cannoni ripresero a sparare dalle due coste, ma lontano dall' Amethyst. Alle 9,20 però, mentre la nave inglese si trovava di fronte al villaggio di San-Chiang-ying, una salva di proiettili da 105 mm centrò la timoneria, uccidendo diversi uomini e lasciando la nave senza controllo. L' Amethyst rispose al fuoco ma in maniera disordinata, e venne colpita diverse altre volte. I danni furono gravi, con diversi morti e feriti tra i quali il capitano Skinner, che non fu più in grado di esercitare il comando e dovette passarlo al suo primo ufficiale, il tenente di vascello Geoffrey Weston, benché anche questo fosse ferito. Weston usò l'unica scialuppa rimasta intatta per evacuare alcuni feriti e rifiutò l'aiuto che gli veniva offerto dal Consort, che nel frattempo era accorso e cercava di agganciarlo per trainarlo, perché temeva che legate insieme e costrette a muoversi lentamente, le due imbarcazioni sarebbero state un comodissimo bersaglio per le batterie di cannoni. Fortunatamente, un'incursione aerea nazionalista costrinse le batterie che stavano sparando a interrompere il fuoco.
Un'immagine dei danni prodotti sull'Amethyst

Il Consort si allontanò e i superstiti dell'Amethyst cercarono di compiere qualche riparazione che permettesse alla nave di ripartire. Durante lo sgombero delle macerie, saltò fuori anche Simon. Il gatto, che il comandante Skinner aveva chiuso nella propria cabina per tenerlo al sicuro, era saltato in aria quando questa era stata colpita, era coperto di ferite piene di schegge e di bruciature e non sembrava destinato a sopravvivere. Tuttavia, esortato dai marinai, il medico di bordo rimosse le schegge, disinfettò e fasciò le ferite; il piccolo animale restò in infermeria insieme agli altri feriti: nessuno si aspettava che sopravvivesse alla notte. Durante la notte, morirono alcuni feriti gravi, tra i quali il capitano Skinner.
Arrivarono altri soccorsi, tra cui un medico cinese e uno inviato dal consolato, che organizzarono il trasporto di altri feriti gravi. La situazione restava però rischiosissima e, appena si fu un po' ripreso, la mattina del 22, il tenente Weston fece spostare l'Amethyst verso il centro del fiume, fuori della portata delle batterie di cannoni.
Un ufficiale di marina che prestava servizio al consolato di Nanchino, il capitano di corvetta John S. Kerans, fu incaricato dall'Ammiragliato di prendere il comando dell'Amethyst. Vi arrivò nel pomeriggio del 22 e fece giusto in tempo a far evacuare altri feriti, tra cui il tenente Weston, che furono messi in viaggio verso Shangai subito prima che una repentina offensiva comunista mettesse in fuga i nazionalisti della costa Sud. A questo punto, quindi, l'Amethyst non rischiava più di trovarsi in mezzo al fuoco incrociato ma era circondato.
Il capitano Kerans

Un'immagine recente di Nanchino attraversata dallo Yangtze

Questa sgradevole situazione era destinata a protrarsi molto a lungo. Quello che fu poi chiamato “l'incidente dello Yangtze” rischiava di avere pesanti ripercussioni internazionali e i canali della diplomazia dovevano muoversi con prudenza. Sul posto, già dal 26 aprile, si aprirono i negoziati per una soluzione quanto più possibile pacifica della crisi. Il comandante delle truppe comuniste cinesi, maggiore Kung, era disponibile a trattare ma doveva anche rendere conto ai suoi superiori dei 250 soldati che aveva perso tra l'azione, soprattutto quando gli inglesi avevano risposto al fuoco, e il successivo bombardamento dei nazionalisti: pretendeva dunque che gli inglesi ammettessero di aver sparato per primi, il che non era vero. Kerans si fidava talmente poco dei cinesi che mandò a trattare al suo posto un sottufficiale, William Freeman, dopo averlo fatto vestire con una uniforme da ufficiale, temendo di poter essere preso in ostaggio se si fosse presentato direttamente. Ovviamente, non si prestò al gioco dei cinesi e restò fermo sulle sue posizioni.
La trattativa riuscì se non altro ad aprire una via a un canale che assicurasse un minimo di rifornimenti all'Amethyst, su cui scarseggiava tutto, tranne i ratti. I ratti stessi, spinti dalla carestia, erano anche divenuti più aggressivi e intraprendenti. Benché si stesse riprendendo solo lentamente dalle ferite, Simon tornò a combatterli duramente appena fu di nuovo in grado di reggersi sulle quattro zampre, particolarmente in infermeria, dove tentavano di salire sulle brande dei feriti. Questi ultimi, infatti, avrebbero voluto che il gatto restasse sempre con loro e il medico di bordo registrò che bastava la sua sola presenza a metterli nella migliore disposizione d'animo.
Kerans non era un amante dei gatti come Griffiths e Skinner e inizialmente pensò a come liberarsi in qualche modo di quell'animale. Tuttavia, Simon si comportò con lui esattamente come faceva con gli altri capitani, ossia “portandogli in dono” tutti i ratti che riusciva a uccidere. Kerans capì subito che, con le poche riserve di cibo e acqua potabile di cui disponeva l'Amethyst, disfarsi del gatto sarebbe stata una follia: si abituò quindi a coccolare Simon ogni volta che questo lo raggiungeva con un ratto morto e, solo dopo che Simon se n'era andato, gettava la carogna del ratto in mare. Simon ne fu talmente soddisfatto che cominciò a fargli trovare ratti morti anche dentro la cuccetta: nonostante il disgusto, Kerans accettò di buon grado anche questo.
I cinesi avevano avvertito Kerans che ogni tentativo di fuga dell'Amethyst avrebbe avuto come conseguenza un immediato bombardamento e la distruzione dell'unità. Tra i pochi rifornimenti che riuscivano ad arrivare, mancava sempre il combustibile e, man mano che la stagione calda entrava nel vivo, il carburante non bastava più nemmeno per far funzionare le pompe e i ventilatori. L'equipaggio si stava demoralizzando, ma fu proprio a questo punto che Simon mise a segno il suo colpo più importante.
Un branco di ratti assediava la cambusa e nessun marinaio riusciva ad averne ragione. A guidare i ratti, animali sociali e organizzati in strutture tribali, era un esemplare di enormi dimensioni e particolarmente aggressivo, che i marinai avevano ironicamente battezzato Mao Tze-tung. Un giorno, mentre presidiava la cambusa, Simon si trovò di fronte il branco, faccia a faccia con Mao Tze-tung. Senza perdersi d'animo, mentre i ratti cercavano di circondarlo, si avventò contro Mao Tze-tung e con una zampata gli inflisse una grave ferita alla gola. Il grosso ratto morì dissanguato e gli altri, davanti allo spettacolo della sua fine, scapparono e si dispersero. I marinai festeggiarono l'avvenimento redigendo per Simon un brevetto di nomina ad Able Seacat (letteralmente, Marinaio Felino Scelto).
L'11 luglio, i cinesi permisero all'Amethyst di caricare 54 tonnellate di carburante, dopo che Kerans li aveva convinti che l'equipaggio sarebbe morto dal caldo e la nave sarebbe andata a fondo se non fosse stato possibile attivare le pompe e i ventilatori. Kerans aveva in mente un piano per squagliarsela ma stava bene attento a non scoprire le carte. Fece coprire alcune zone della nave con teloni neri, apparentemente per fare un po' di ombra e, di notte, fece avvolgere pesanti coperte intorno alle catene delle ancore, dopo averle ingrassate. Evitò di rivelare le sue intenzioni sia ai subordinati sia ai superiori fino all'ultimo giorno, in cui mandò al vice-ammiraglio Madden uno strano messaggio a proposito di un tifone in avvicinamento.
La sera del 30 luglio, approfittando del passaggio di un grosso mercantile cinese che lo copriva alla vista della riva, l'Amethyst si mise in moto. I cinesi impiegarono un quarto d'ora a rendersene conto e, quando spararono alcuni colpi, finirono per colpire il mercantile e dovettero fermarsi. Misero allora in acqua alcune lance armate per inseguire l'Amethyst, ma queste non erano in grado di competere con la fregata inglese.
Due ore e mezza dopo, l'Amethyst forzò il blocco, per la verità non troppo stretto, del canale davanti al porto di Kiang Yin. Il mare aperto a quel punto distava meno di 80 km ma restava da superare lo scoglio più duro, le batterie dei forti di Woosung, che si trovavano ad ambo i lati della riva ed erano armati con cannoni abbastanza potenti da polverizzare l'Amethyst. Arrivato sul posto, Kerans, deciso a tentare il tutto per tutto, fece spingere le macchine al massimo e si ritrovò illuminato dai proiettori, ma non fu sparato neppure un colpo. Evidentemente, anche i cinesi ne avevano abbastanza di quella crisi diplomatica e non vedevano l'ora di lasciarsi una tale rogna alle spalle.
Prima ancora di arrivare in mare aperto, l'Amethyst fu raggiunto dal Consort, che lo scortò per il resto del tragitto.
Il re Giorgio V in persona si congratulò con l'equipaggio, per la felice conclusione dell'episodio, attraverso un telegramma.
Durante il viaggio di ritorno in patria, Kerans contattò il comitato per l'assegnazione della medaglia Dickin. Questa decorazione può suonare come una stramberia a chi non è inglese, ma da quando esiste viene presa molto sul serio dai britannici. A istituirla era stata Maria Dickin, fondatrice, nel 1917, del People's Dispensary for Sick Animals (PDSA), la prima e principale istituzione inglese per la cura degli animali randagi o appartenenti a proprietari troppo poveri per pagare un veterinario (il PDSA è attualmente il più importante datore di lavoro privato per veterinari del Regno Unito). Fino ad allora, la medaglia, destinata a premiare atti eroici compiuti da animali, era stata assegnata a diversi cani o cavalli, perfino a piccioni, ma mai a un gatto e questo suonava intollerabile alla mentalità dei marinai. Apprendendo la storia di Simon, la signora Dickin, anziana e malata ma ancora molto attiva, conferì immediatamente la decorazione al gatto dell'Amethyst che, perciò, divenne rapidamente il gatto più famoso del mondo. A ogni scalo della nave riceveva talmente tante lettere da parte degli ammiratori che Kerans dovette incaricare un sottufficiale di fargli da segretario. Riceveva anche tanti doni, tra i quali un coniglietto dei suoi stessi colori, Hugo, che sorprendentemente non aggredì e anzi diventò suo amico. Hugo però non arrivò mai in Inghilterra: tra i marinai corsero accuse per cui qualcuno lo avrebbe mangiato di nascosto degli altri, ma è possibile che sia stato semplicemente sbarcato prima per non dover pagare la salata tassa inglese sull'introduzione di animali stranieri in patria (all'epoca, la notevole somma di 30 sterline).
Maria Dickin (1870-1951) durante la prima guerra mondiale

La medaglia Dickin

Il 1° novembre, finalmente, l'Amethyst arrivò a Plymouth. Ma questa storia non ha un lieto fine.
I marinai ebbero una lunga licenza e se ne tornarono tutti a casa. Simon, invece, poteva anche essere un eroe, ma era comunque soggetto alle leggi sulla quarantena degli animali e doveva restare 6 mesi in un luogo protetto. Il PDSA gli trovò un posto confortevole in un centro del Surrey, dove poteva ricevere la migliore assistenza.

Simon durante la quarantena nel Surrey

Malgrado questo, però, dopo poche settimane, Simon si ammalò. Il veterinario che lo ebbe in cura lo trattò per un'infezione virale, convinto che sarebbe guarita solo stando a riposo e al caldo. Ma, nella notte tra il 28 e il 29 novembre, mentre era assistito da un infermiere inviato appositamente dall'Ammiragliato, Simon morì improvvisamente. Secondo le stime compiute dai veterinari che l'avevano visitato, aveva circa 4 anni.
Si ritiene che a ucciderlo siano state diverse concause. Sicuramente l'infezione virale ebbe il suo ruolo, ma è anche vero che il cuore cedette troppo presto. Probabilmente, Simon risentiva ancora molto sia delle ferite subite quando era saltato in aria con la cabina del capitano Skinner, sia di quelle subite ripetutamente dai ratti mentre li combatteva. Lo stesso stress dell'esplosione poteva avergli indebolito gravemente il cuore e, per un animale come lui, nato e cresciuto nel calore di un isola tropicale, il clima freddo e umido del Surrey non era certo un toccasana. I marinai dell'Amethyst aggiunsero che, secondo loro, il gatto era anche caduto in depressione quando era stato separato a forza da quella che per lui era la sua “famiglia”, ossia l'equipaggio della nave.
Simon ebbe un funerale militare cui parteciparono, oltre ai marinai dell'Amethyst, anche diverse autorià militari e civili, e fu sepolto nella fossa n° 281 del cimitero del PDSA di Ilford, Essex, dove la sua tomba è ancora visitabile.
La tomba di Simon a Ilford, Essex

L'equipaggio dell'Amethyst, prima di riprendere il mare, volle imbarcare un altro gatto il più possibile rassomigliante a Simon, che fu battezzato Simon II. A questo gatto toccò, tra l'altro, interpretare il ruolo del suo predecessore in un documentario sulla storia dell'Amethyst realizzato nel 1950. Si parlò anche di realizzare un film d'animazione sulla vicenda, ma poi non se ne fece più nulla.
La carriera militare dell'Amethyst terminò con il coinvolgimento in uno spaventoso incidente nel porto di Plymouth, insieme ad altre 3 navi militari, nel 1957. Morirono 46 uomini, alcuni dei quali appartenenti all'Amethyst. In seguito, il relitto fu demolito.
A ricordare l'Amethyst e la sua vicenda c'è una sala nel museo galleggiante allestito sul Tamigi a bordo dell'ex incrociatore Belfast, dove sono conservati ed esposti tutti i cimeli recuperati dal relitto.
Il vecchio incrociatore Belfast, sopravvissuto al D-Day del 1944