In una notte di mezza estate, nel
carcere di Baumettes, a Marsiglia, un ragazzo di 22 anni viene
svegliato dalle guardie entrate nella sua cella. Fa un po' di
resistenza, poi viene immobilizzato e si rassegna. Alla presenza
degli avvocati che lo hanno assistito durante il processo, il
direttore del carcere gli comunica che la sua domanda di grazia è
stata rigettata dal Presidente della Repubblica e che la sua
esecuzione capitale avverrà immediatamente. Lo invita a vestirsi, ma
il ragazzo, sconvolto, rifiuta di farlo e si tiene addosso solo il
pigiama in cui stava dormendo. Rifiuta anche, con una sola parola
(“Negativo”) la compagnia del prete che si avvicina per
confortarlo. Gli vengono offerti un bicchierino di cognac e rifiuta
anche quello, poi una sigaretta, che invece accetta. Mentre viene
condotto in cortile, dove c'è la ghigliottina, forse (le
testimonianze non sono concordi), si rivolge due volte ai suoi
avvocati, la prima per fare una battuta (“Ora non vorrete che mi
congratuli con voi”) e l'altra per un'ultima, disperata richiesta
“”Riabilitatemi!”).
Mancano oltre due ore all'alba, sono le
4,13 del 28 luglio 1976, quando la lama tronca la testa di Christian
Ranucci, nato ad Avignone il 6 aprile 1954, il penultimo condannato a
essere giustiziato in Francia prima dell'abolizione definitiva della
pena capitale.
Christian Ranucci
Anche se l'argomento era in discussione
da parecchio tempo, il caso Ranucci diede un impulso decisivo a
questa scelta di civiltà. Il guardasigilli Robert Badinter, nel suo
discorso al Parlamento per chiedere l'abolizione della pena di morte,
citò appunto il caso di Ranucci come esempio di abuso della pena
stessa.
Ma quali fatti, quale delitto aveva
portato Ranucci ad affrontare quel destino?
Torniamo indietro di poco più di due
anni, al 3 giugno 1974. Quella mattina, tra le 11,05 (ora in cui
vengono visti dalla madre) e le 11,20 (ora in cui il padre rientra
dal lavoro), due bambini stanno giocando per strada nel quartiere
popolare di Les Chartreux, a Sainte-Agnès, circoscrizione di
Marsiglia: sono Marie-Dolores Rambla, di 8 anni, e il fratello
Jean-Baptiste, di 6. Un uomo parcheggia l'auto di fronte a loro,
scende e chiede ai bambini di aiutarlo a cercare il suo cane, che si
è smarrito. Jean-Baptiste si mette alla ricerca, mentre Marie-Dolores resta sola con lo sconosciuto, il quale la convince
a salire sulla sua auto. Il carrozziere Eugène Spinelli, che abita
di fronte, mentre esce di casa per andare ad aprire l'officina,
assiste alla scena e identifica l'auto come una Simca 1100, grigia.
I genitori di Marie-Dolores Rambla durante le ricerche
Più tardi, poco distante, un fatto
apparentemente del tutto sconnesso dal rapimento.
Sono le 12,30 e Vincent Martinez si sta
recando a Tolone con la sua ragazza, nella loro Renault 16 bianca,
sulla strada statale N96 (oggi D908). All'incrocio detto “de la
pomme”, nel comune di Belcodène, dove c'è uno stop per le auto
provenienti da Marsiglia, una Peugeot 304 coupé grigia metallizzata
non rispetta lo stop e gli taglia la strada: le due auto si urtano,
la Renault è costretta a fermarsi mentre l'altra si allontana. Un
altro automobilista, Alain Aubert, che ha anche la moglie a bordo,
insegue la Peugeot 304 e la raggiunge dopo circa 1 km, ma si limita
ad annotarne il numero di targa, 1369SG06 e a notare che il guidatore
si è fermato per scaricare un grosso pacco sul ciglio della strada.
Martinez intanto va a denunciare l'incidente alla gendarmeria del
paese più vicino, Gréasque, distante 35 km da Marsiglia, e dichiara
che il guidatore dell'auto che gli ha tagliato la strada era solo in
auto.
Poi c'è un terzo episodio, che pure
non sembra avere alcuna attinenza con gli altri.
Sono le 17, quando, a due km
dall'incrocio “de la pomme”, in territorio del comune di Peypin,
Mohammed Rahou sta davanti casa sua su una collina attraversata da
diverse gallerie scavate per praticare la funghicoltura. Un giovane
ben vestito e dai modi gentili gli chiede di aiutarlo perché la sua
auto, una Peugeot 304 grigia, si è impantanata in una delle
gallerie. Anche se le spiegazioni del giovane sul perché si trovasse
proprio lì non gli sembrano molto convincenti, Rahou chiama il
caposquadra della fungaia, Henri Guazzone, e questi, con il suo
trattore, tira fuori l'auto dal pantano. Rahou annota la targa
dell'auto prima di salutare il ragazzo, che resta a casa sua a
prendere un té e se ne va solo verso le 18,30, dicendo che torna a
Nizza, dove abita con la madre.
Una Simca 1100
Una Peugeot 304
Il 4 giugno, quando la televisione dà
la notizia del rapimento di Marie-Dolores, prima Guazzone e poi
Aubert contattano le gendarmerie di zona, raccontando quanto accaduto
il giorno prima. Lo stesso fa Martinez, il 5. Aiutati da cani
poliziotto, i gendarmi cominciano le ricerche a partire dal punto
indicato da Aubert come quello di sosta della Peugeot 304 alle 14,05
e, dopo un po', scoprono un maglione rosso in una delle gallerie
della fungaia. Su questo maglione, saranno poi rinvenute tracce di sangue.
Alle 15,45, in un'altra galleria, viene
ritrovato il cadavere di Marie-Dolores, con il cranio sfondato e 15
ferite da taglio complessive. L'autopsia mostrerà che non ha subito violenze sessuali. In serata, è il padre Pierre a
riconoscerla.
Lo stesso giorno, alle 18,15, a Nizza,
viene arrestato il proprietario della Peugeot 304, identificato
grazie al numero di targa, il ventenne Christian Ranucci,
rappresentante di commercio. La mattina dopo, viene condotto a
Marsiglia e mostrato a Jean-Baptiste Rambla ed Eugène Spinelli, che
non lo riconoscono come il rapitore di Marie-Dolores. Ranucci ammette
di essere coinvolto nell'incidente all'incrocio “de la pomme” e
di essere fuggito per paura del ritiro della patente, che gli è
indispensabile per il lavoro. Si sarebbe poi nascosto nella fungaia per non essere visto dagli Aubert, ma lì si è ritrovato impantanato.
In serata, però, ha un doppio confronto con i coniugi Aubert, che non lo identificano in un confronto all'americana ma poi lo riconoscono quando se lo trovano davanti da solo e cambiano versione sul “pacco” scaricato dalla macchina, che diventa un “bambino”. Allo stesso modo, Vincent Martinez si rimangia quanto detto prima e afferma che accanto a Ranucci, nella Peugeot 304, c'era un bambino. Come si può spiegare questo doppio voltafaccia?
In serata, però, ha un doppio confronto con i coniugi Aubert, che non lo identificano in un confronto all'americana ma poi lo riconoscono quando se lo trovano davanti da solo e cambiano versione sul “pacco” scaricato dalla macchina, che diventa un “bambino”. Allo stesso modo, Vincent Martinez si rimangia quanto detto prima e afferma che accanto a Ranucci, nella Peugeot 304, c'era un bambino. Come si può spiegare questo doppio voltafaccia?
L'arresto di Ranucci
I coniugi Aubert
Ranucci in un confronto all'americana
Dopo 20 ore consecutive di
interrogatori e senza alcuna assistenza legale, Ranucci confessa il
delitto e spiega la meccanica del sequestro in uno schizzo. Riconosce
come suo anche un coltello marca “Virginia-Inox” che è stato
trovato nella fungaia e che si presume sia l'arma del delitto, in
quanto è macchiato di sangue dello stesso gruppo della vittima (che
però è lo stesso di Ranucci). Ripete poi la stessa confessione
davanti al magistrato inquirente e davanti agli psichiatri che lo
vedono il giorno dopo.
Più tardi, però, quando potrà finalmente godere di assistenza legale, ritratterà tutto e dirà di essere stato costretto a confessare dalla pressione degli inquirenti, guidati dal commissario Gèrard Alessandra.
Più tardi, però, quando potrà finalmente godere di assistenza legale, ritratterà tutto e dirà di essere stato costretto a confessare dalla pressione degli inquirenti, guidati dal commissario Gèrard Alessandra.
Il pubblico ministero Ilda Di Martino
ordina un incidente probatorio, in cui Ranucci viene portato sul
luogo del ritrovamento del cadavere ma si trincera dietro una serie
di “Non ricordo, non è possibile”. La giudice, in
quest'occasione, ha un atteggiamento molto intimidatorio con Ranucci,
il quale finisce per avere una crisi isterica. Nei giorni successivi,
i genitori di due bambini oggetto di tentativi falliti di rapimento a
Nizza negli ultimi mesi si presentano agli inquirenti: la madre di
Sandra Spineck non riconosce Ranucci, il padre di Patrice Pappalardo
invece sì, ma solo da una foto.
Negli interrogatori successivi (saranno
solo 5 in tutto, di cui appena 2 in presenza dei suoi legali) Ranucci
continua a dire di non ricordare nulla. L'11 marzo 1975 viene
rinviato a giudizio. Intanto, è sottoposto ad alcune perizie
psichiatriche, da cui risulta sano di mente. Emergono però dettagli
inquietanti della sua infanzia: la madre, dopo la separazione dal
padre, ha impedito a quest'ultimo di vederlo e ha fatto crescere il
figlio nel terrore di essere rapito. Benché abbia fatto anche il
servizio militare, Ranucci sembra dipendere psicologicamente da lei
in tutto. Non ha nemmeno chiara la portata del rischio che corre a
essere condannato.
Dei suoi tre avvocati, tutti piuttosto
giovani e destinati in seguito a diventare importanti principi del
foro, Paul Lombard e Jean-Francois De Forsonney, sono convinti che la
linea difensiva debba basarsi sulla dichiarazione di innocenza,
mentre il terzo, Andrè Fraticelli, ritiene che sia più opportuno
ammettere il delitto e puntare sulle attenuanti per evitare il
patibolo. Prevale, anche per volontà di Ranucci, la prima linea.
Il processo è quasi totalmente basato su indizi, le prove mancano completamente: non si sa se il maglione appartenga o meno a Ranucci (lui e la madre affermano di no); i suoi pantaloni recano piccole tracce di sangue, che lui dice dovute alle conseguenze di una caduta dallo scooter (il fatto che si trovino sul lato esterno del tessuto può significare tutto o nulla); i suoi avambracci hanno alcune abrasioni, che secondo i poliziotti sono dovute alla resistenza della bambina mentre veniva uccisa (ma nessuno si è preso il disturbo di andare a controllare se ci fossero frammenti di pelle sotto le unghie della bambina) mentre lui dice di essersele fatte cercando di farsi strada verso la casa di Rahou, in mezzo ai rovi della vegetazione; nulla dimostra che il coltello di Ranucci (che lui dice di aver perso mentre cercava di spingere l'auto fuori del pantano) sia davvero l'arma del delitto.
C'è poi la faccenda del movente; secondo la ricostruzione, Ranucci si sarebbe comportato con una stupidità che ha dell'incredibile: dopo aver rapito la bambina, avrebbe guidato in modo così imprudente da provocare un incidente e poi, ben sapendo di essere stato visto e seguito da testimoni, avrebbe ucciso la bambina poco distante.
Il processo è quasi totalmente basato su indizi, le prove mancano completamente: non si sa se il maglione appartenga o meno a Ranucci (lui e la madre affermano di no); i suoi pantaloni recano piccole tracce di sangue, che lui dice dovute alle conseguenze di una caduta dallo scooter (il fatto che si trovino sul lato esterno del tessuto può significare tutto o nulla); i suoi avambracci hanno alcune abrasioni, che secondo i poliziotti sono dovute alla resistenza della bambina mentre veniva uccisa (ma nessuno si è preso il disturbo di andare a controllare se ci fossero frammenti di pelle sotto le unghie della bambina) mentre lui dice di essersele fatte cercando di farsi strada verso la casa di Rahou, in mezzo ai rovi della vegetazione; nulla dimostra che il coltello di Ranucci (che lui dice di aver perso mentre cercava di spingere l'auto fuori del pantano) sia davvero l'arma del delitto.
C'è poi la faccenda del movente; secondo la ricostruzione, Ranucci si sarebbe comportato con una stupidità che ha dell'incredibile: dopo aver rapito la bambina, avrebbe guidato in modo così imprudente da provocare un incidente e poi, ben sapendo di essere stato visto e seguito da testimoni, avrebbe ucciso la bambina poco distante.
L'avvocato Paul Lombard durante il processo
Il processo, celebrato ad
Aix-en-Provence, va in modo disastroso per Ranucci: i suoi avvocati
non riescono a smontare le deposizioni dei testimoni e lui stesso dà
una pessima impressione al pubblico e alla giuria, presentandosi in
aula vestito tutto di nero, con un enorme crocifisso sul petto e poi rispondendo in modo arrogante alle domande, quando viene interrogato.
Le indagini, però, hanno preso solo in minima considerazione la testimonianza
di una certa Jeannine Mattei di Marsiglia, secondo la quale un uomo
con un pullover rosso, che guidava una Simca 1100 grigia, avrebbe
tentato di rapire, in momenti diversi, poco prima del delitto, sua
figlia e un altro bambino abitante nelle vicinanze. Né la Mattei né
i due bambini, messi di fronte a Ranucci, lo identificano. Tuttavia, né la testimonianza della Mattei né quella del carrozziere Spinelli fanno una grande impressione alla corte e alla giuria.
Benché perfino Gilbert Collard,
avvocato dei Rambla, raffinato giurista e filosofo del Diritto,
raccomandi alla giuria e alla corte di concedere le attenuanti
all'imputato onde evitargli la pena capitale, il 10 marzo 1976, la
colpevolezza viene dichiarata senza attenuanti e la condanna è a
morte.
La sentenza è accolta in modo isterico
dal pubblico presente in tribunale, che pretende l'immediata
esecuzione del condannato e, non potendola avere, se la prende con
sua madre e con l'avvocato Collard, che aveva osato chiedere pietà
per lui. I due, per uscire, devono essere protetti dalla polizia.
A questo, contribuisce sicuramente
anche il clima di quel periodo. Poco tempo prima, il 18 febbraio
1976, a Troyes, un altro bambino, Philippe Bertrand, è stato ucciso
da un certo Patrick Henry. L'unica donna della giuria, Geneviève
Donadini, scriverà poi in un libro, “Le procès Ranucci” (2016)
che la pressione dell'opinione pubblica era ossessiva, le scritte sui
muri e le grida della folla per chiedere la condanna di Ranucci si
susseguivano tutti i giorni e, alla fine, i giurati stessi decisero
rapidamente, in sole tre ore, di uscire da quell'incubo il più
rapidamente possibile, contando sui successivi gradi di giustizia e
sulla grazia presidenziale.
Invece, il 17 giugno 1976, la Corte di
Cassazione respinge il ricorso presentato dagli avvocati di Ranucci.
Il presidente della Repubblica Valery
Giscard d'Estaing si è sempre dichiarato contrario alla pena
capitale, per principio. Ma in quel momento, se la passa piuttosto
male, per via della crisi economica dovuta alla spirale
inflazionistica innescata dallo shock petrolifero del 1973. Ha
bisogno del sostegno di un ampio arco parlamentare, del quale fanno
parte anche alcuni partiti che invece sono a favore della pena di
morte. All'inizio del 1976, la sua decisione di graziare il ventenne
Bruno Triplet, assassino di una donna anziana nel 1974, ha sollevato
diversi malumori. In più, mentre Giscard decide, un altro bambino,
Vincent Gallardo, viene rapito e ritrovato ucciso vicino Tolone. La
sorte di Ranucci, a quel punto, è segnata. L'opinione pubblica vuole
la sua testa e l'avrà: letteralmente. La grazia viene rifiutata
ufficialmente la sera del 27 luglio 1976. Solo poche ore dopo, il
destino di Christian Ranucci si compie.
Giscard, successivamente, in tre diverse occasioni, si giustificherà affermando, con un notevole cinismo, che tanto Ranucci era colpevole e quindi giustiziandolo non si commetteva alcuna atrocità.
Giscard, successivamente, in tre diverse occasioni, si giustificherà affermando, con un notevole cinismo, che tanto Ranucci era colpevole e quindi giustiziandolo non si commetteva alcuna atrocità.
Giscard d'Estaing
Ranucci dovrà essere sepolto quasi di
nascosto, ad Avignone. Il suo nome, sulla lapide, è scritto in alfabeto
cirillico, per timore che la lapide stessa possa essere devastata da
qualche vandalo.
La tomba di Ranucci
Dopo di Ranucci, salirà sulla
ghigliottina solo un altro condannato, Hamida Djandoubi, reo
dell'omicidio della sua compagna, aggravato dalla crudeltà, il 10
settembre 1977. Poi, nel 1981, la pena di morte in Francia sarà
abolita, dopo che gli ultimi 8 condannati sono stati graziati o
assolti in cassazione. Da allora, contrariamente a quanto affermavano
gli anti-abolizionisti, il tasso di crimini violenti non è
aumentato: anzi, è addirittura diminuito.
L'uscita del libro “Le pull-over
rouge” di Gilles Perrault (divenuto anche un film diretto da Michel
Drach), nel 1978, aprì una lunga stagione di polemiche tra i
sostenitori dell'innocenza di Ranucci (e quelli, molto più numerosi,
per cui Ranucci non aveva avuto affatto un giusto processo, a
prescindere dal fatto che fosse colpevole o no) e il ministero della
Giustizia francese. Che ha sempre rifiutato di riaprire il caso,
perfino quando (nel 2006) il quotidiano belga “Le Soir” scrisse
di avere le prove per cui il serial killer Michel Fourniret (nato nel
1942 e attualmente all'ergastolo per 8 omicidi di bambine e ragazze)
era a Marsiglia nel giugno del 1974 e possedeva una Peugeot 304
identica a quella di Ranucci. La questione non è stata mai
approfondita, quindi non ci sono state né conferme né smentite.
Esiste ancora un comitato a favore della revisione del caso Ranucci,
di cui faceva parte anche la madre, Heloise Mathon, morta nel 2013.
Questa storia ha una ulteriore, tragica sequela. Il fratello di Marie-Dolores, Jean-Baptiste, negli ultimi anni si ritrova al centro di due casi criminali: nel luglio del 2004 uccide una sua amica dai tempi dell'infanzia, Corinne Beidl, e finisce condannato a 18 anni di carcere. Esce in libertà condizionata nel 2016 e, nel luglio del 2017 viene nuovamente arrestato per l'omicidio della ventunenne Cintia Lunimbu.
Questa storia ha una ulteriore, tragica sequela. Il fratello di Marie-Dolores, Jean-Baptiste, negli ultimi anni si ritrova al centro di due casi criminali: nel luglio del 2004 uccide una sua amica dai tempi dell'infanzia, Corinne Beidl, e finisce condannato a 18 anni di carcere. Esce in libertà condizionata nel 2016 e, nel luglio del 2017 viene nuovamente arrestato per l'omicidio della ventunenne Cintia Lunimbu.
Michel Fourniret in un'immagine recente
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