mercoledì 23 settembre 2020

"Storm Fear" di Clinton R. Seeley: quando la paura bussa alla porta

È ormai un caso in cui ci siamo imbattuti spesso, quello di un autore che ha scritto diversi libri ma viene ricordato per uno solo; e, se la sua opera è abbastanza lontana nel tempo, anche una ricerca insistita sul web non permette di venire a conoscenza di altre sue opere a parte quella principale.

Come molti autori che si sono lasciati alle spalle un certo successo, anche Clinton R. Seeley non ha lasciato molte tracce di sé. A livello di profilo biografico, anzi, non sapremmo quasi nulla se non ci imbattessimo nel suo necrologio, pubblicato dal Boston Globe il 9 settembre 1985. Da questo, apprendiamo che Seeley, nato nel 1921, morì al Portsmouth Hospital di Rye Beach, New Hampshire, dove risiedeva dal 1966, delle complicazioni di una malattia cardiaca.

Seeley era militare in servizio nella caserma Schofield alle Hawaii il giorno dell'attacco di Pearl Harbor. Combatté a Guadalcanal e alle isole Salomone. Dopo la guerra, durante gli anni '50, fui redattore della Catskill Gazette, poi si trasferì a Boston e aprì una galleria d'arte, specializzata in pittura e scultura, a Provincetown, Massachusetts; infine lavorò come consulente presso lo studio di Jasinski Architects Inc. di Rye Beach.

Durante tutto questo periodo, scrisse diversi racconti e almeno un romanzo, Storm Fear, pubblicato nel novembre del 1954. Dopo circa un mese, nel dicembre dello stesso anno, l'attore Cornel Wilde, che andava in cerca di un buon soggetto per produrre un film con la sua casa appena fondata e denominata Theodora, ne acquistò i diritti cinematografici.

prima edizione americana


prima edizione inglese


edizione tascabile anni '50

Alla critica, il romanzo piacque abbastanza, tanto che fu tradotto in quattro lingue. Pure il successivo film, diretto e interpretato proprio da Wilde nel 1955, ottenne abbastanza successo da essere esportato in molti Paesi. Entrambi arrivarono anche in Italia.

prima edizione francese

unica edizione italiana


successive edizioni francesi

Il confronto tra romanzo e film mostra alcune differenze, non moltissime, dovute al fatto che il soggetto, così com'era, se fosse stato proposto senza cambiamenti, difficilmente avrebbe passato il visto della censura.

Il romanzo è in gran parte un lungo flashback narrato dal dodicenne Davie, appena salvato dall'assideramento da una squadra di soccorso durante una tempesta di neve sui monti Catskill, a Sud-Ovest di New York. Davie narra della vita isolata e piuttosto infelice della sua famiglia in una casa isolata in montagna: il padre Fred è uno scrittore fallito sempre malato e molto irascibile, la madre Liz deve portare sulle spalle il peso della piccola fattoria che lei e Davey mandano avanti per vivere con l'aiuto di un uomo di fatica, Hank. Un giorno che Hank è assente, si presentano tre persone in auto, una delle quali appare già nota ai genitori di Davey: è lo zio Charlie, il fratello di Fred, che il ragazzino ha già sentito nominare più volte ma ancora non conosce; gli altri due sono Edna, una donna bella e stupida, e Benje, un omuncolo irritabile e violento. I tre non sono in visita amichevole, stanno scappando dopo aver commesso una rapina in cui un altro complice, il marito di Edna, è stato ucciso. Anche Charlie è ferito, a una gamba.

Al di là dell'imbarazzo di nascondere tre rapinatori in casa, Fred, Liz e Davey si ritrovano praticamente presi in ostaggio, anche se la presenza di Charlie dovrebbe garantire la loro incolumità. Ciò non impedisce però a Benje di pestare il quasi invalido Fred, quando i due hanno un diverbio. Benje infatti è incontrollabile e solo Charlie, usando le maniere forti, riesce a farsi obbedire da lui.

Una tempesta di neve isola la casa e questo dovrebbe garantire un minimo di tranquillità al trio in fuga, intanto che la gamba di Charlie migliora. Tuttavia, i progressi di questa sono lenti e, dopo la visita di un vicino, che incontra solo Liz prima di andarsene, e la notizia che a valle si sta preparando una spedizione per cercare i tre fuggiaschi in montagna, inducono Charlie ad affrettare la fuga. Poiché non conoscono i sentieri, i tre si faranno accompagnare da Davey come guida; la presenza di Davey dovrebbe garantire anche che Liz e Fred non daranno l'allarme.

La fuga in montagna diventa particolarmente drammatica per via dell'ottusità di Edna, che rifiuta di abbandonare la sua pesante pelliccia e di cambiare le sue scarpe eleganti con scarponi da montagna. La donna rimane infatti indietro e, quando comincia a dare in escandescenze, Benjie la fa cadere accidentalmente da un costone. Edna si rompe una gamba e a quel punto diventa impossibile continuare a portarsela dietro. Charlie le lascia delle provviste e poi gli altri tre la abbandonano, incuranti delle sue grida di aiuto.

La gamba di Charlie va sempre peggio e Benje prende il sopravvento, costringendo Davey ad abbandonare anche lui in una baita di legno. Quando Benje esagera con le minacce, però, il ragazzino ha una improvvisa e violenta reazione e uccide l'omuncolo. Poi ritorna dove è Charlie, trovandolo ancora vivo; nell'impossibilità di trasportarlo da qualche parte, resosi conto che la spedizione mandata alla ricerca dei fuggiaschi è proprio sotto di loro, incendia la baita dopo aver trasportato fuori Charlie. La spedizione è partita in anticipo perché allertata dai sospetti del vicino.

Davey, sebbene mezzo assiderato, sopravvive. Charlie, nonostante l'amputazione della gamba, muore dopo qualche giorno. Edna è stata ritrovata morta assiderata dai soccorritori. Qualche mese dopo, muore anche Fred, che era affetto da una tubercolosi avanzata, e Davey torna a casa a mandare avanti la fattoria insieme a Liz e a Hank.

Uno degli aspetti più importanti della storia è il rapporto tra Davey e Charlie. Davey ha un pessimo rapporto con Fred, uomo freddo e anaffettivo, geloso al punto da uccidergli il cane. Invece, con Charlie, cordiale e ben disposto, Davey lega subito. Molti indizi fanno comprendere (in pratica, Davey è l'unico a non rendersene conto) che in realtà il vero padre del ragazzo è Charlie, che però è stato costretto a fuggire per non finire in carcere, quindi a sposare la madre Liz, forse su indicazione di Charlie stesso, è stato Fred. Da qui il rancore di Fred verso Charlie, Liz e perfino Davey, che pure ha cercato a lungo un rapporto con lui. In effetti, alla fine del romanzo, pur non avendo compreso la verità, Davey appare più addolorato per Charlie che per Fred.





versioni del film nel mondo

Nel film, questo aspetto resta appena accennato. Resta il sospetto che Charlie possa essere il padre di Davey, ma non se ne ha mai la certezza. Sparisce la figura del vicino che visita la casa e allerta la spedizione: al suo posto, si amplia il ruolo di Hank, che finisce per ridimensionare anche la figura di Davey: è infatti Hank, che ha seguito i tre, a uccidere Charlie, dopo che Benje è stato ucciso da Davey.  Benje non è un omuncolo ma un energumeno. Fred è molto meno malato che nel libro, infatti la fuga disperata dei tre banditi attraverso la montagna innevata si deve al fatto che Fred è scappato verso la città per chiamare aiuto. In realtà, Fred muore assiderato prima di arrivarci ma, rinvenendo il suo corpo lungo la strada, mentre si reca alla fattoria, Hank capisce che sta succedendo qualcosa, prima ancora di trovare Liz legata in casa che gli racconta tutto. Edna muore come nel libro e non ci sono spedizioni alla ricerca dei tre fuggiaschi.







alcune scene del film


Il personaggio di Charlie, molto carismatico e affascinante benché assolutamente negativo, permette a Cornel Wilde di dare una buona prova di interprete. Anche nella regia se la cava con mano abbastanza sicura.

Cornel Wilde (1912-89): in realtà era ungherese e si chiamava Kornél Lajos Weisz

Piuttosto particolare è il personaggio di Liz, ben lontana dai tipici cliché materni di Hollywood. Già prima che arrivino i tre non sembra disprezzare il corteggiamento di Hank. Cede poi abbastanza facilmente alle lusinghe di Charlie. Infine, senza piangere Fred oltre il necessario, si mette con Hank appena le cose vanno a posto. L'unico aspetto che la distanzia dal genere femme fatale è la preoccupazione per il figlio. A darle il volto e la presenza scenica è l'allora moglie di Wilde, Jean Wallace.

Jean Wallace (1923-90)

Davey è David Stollery, un celebre attore bambino degli anni '50 che poi lasciò il cinema per diventare designer di automobili (ha progettato uno dei modelli della Toyota Celica)

David Stolley (1941) quando era attore bambino

Il primo modello di Toyota Celica (1970)

Hank è un giovane Dennis Weaver, ancora ben lontano dal personaggio di Sam McCloud, lo Sceriffo a New York che lo renderà una stella della televisione vent'anni dopo.


Dennis Weaver (1924-2006) al tempo del film e nei panni di Sam McCloud

Edna è una sorprendente Lee Grant, in un ruolo diversissimo da quelli soliti.

Lee Grant (1927)

Fred è Dan Duryea, un eccellente caratterista specializzato in ruoli di vilain in film noir e western, che qui comincia a staccarsi dallo stereotipo (e infatti nell'ultima parte della carriera farà ruoli completamente differenti, sia al cinema sia in tv).

Dan Duryea (1907-68)

Benje è Steven Hill, un attore attivo soprattutto in teatro e in tv, in una delle sue poche apparizioni cinematografiche.

Steven Hill (1922-2016)




sabato 5 settembre 2020

Dopo quasi mezzo secolo, il caso ancora irrisolto di Vincenzo De Waure

 

Le forze dell'ordine, in un regime autoritario, sono strumenti di potere e oppressione dei cittadini; nel sistema democratico, sono garanzia di libertà e ordinato progresso.

Offrire la vita per questo ideale è eroismo da additare ai posteri.



Questa scritta si trova apposta sullo scarno monumento che il Municipio di San Lorenzello (BN) eresse nel 1989 alla memoria di uno dei suoi cittadini, l'appuntato di P.S. Antonio Cestari, nato nel 1930, ucciso l'8 gennaio 1980, a Milano, in un agguato terroristico delle BR (insieme ai colleghi Rocco Santoro e Michele Tatulli) durante una perlustrazione su un'auto civetta, medaglia d'oro al merito civile alla memoria.

Il dettaglio anagrafico ci racconta che Cestari, entrato in polizia nel 1950 (i suoi colleghi erano molto più giovani), aveva vissuto in divisa gli anni della Celere di Scelba, quando i giovani si arruolavano per sfuggire alla miseria del lavoro a giornata nei campi, o il pericolo di fabbriche in cui non c'era alcun tipo di sicurezza o garanzia, o quello ancora maggiore di miniere come Marcinelle o Ribolla (teatro di tragedie con centinaia di morti) e venivano sfruttati per uno stipendio miserabile ma sicuro, non godevano neppure del riposo settimanale (fu introdotto da Fanfani solo nel 1953), dormivano in camerate inospitali piene di cimici, mangiavano un rancio quasi sempre insufficiente e potevano essere sbattuti fuori da un momento all'altro se solo non manganellavano abbastanza ferocemente gli scioperanti e i manifestanti, ossia contadini, operai e minatori uguali a quelli che loro stessi sarebbero stati senza la divisa. Sandro Medici, in “Vite di poliziotti” (Einaudi) ha raccontato alcuni aspetti di questa realtà dimenticata.


Il libro di Sandro Medici

Ma poi la situazione, piano piano, è cambiata. Non solo per i poliziotti, ma pure per tutti gli altri cittadini. La Costituzione, che inizialmente esisteva solo sulla carta, è stata faticosamente attuata, almeno in parte, vincendo le resistenze dei tanti privilegiati che ne aborrivano i principi egualitari. E il concetto espresso dai concittadini di Cestari nel monumento è chiaro e limpido, coerente con i principi costituzionali. Non esiste democrazia, non esiste diritto, senza efficaci strumenti di controllo, prevenzione e indagine al servizio del terzo potere dello Stato. Nessuna persona che si consideri minimamente civile può rifiutarsi di condividerlo.

Purtroppo, però, troppe volte, in Italia, questo concetto è rimasto solo sulla carta. L'evidenza di non pochi fatti ormai definitivamente accertati oppure molto dubbi di fronte a discutibili verità ufficiali mostra che non di rado le FF.OO. sono state impiegate come una sorta di milizia privata di chi deteneva il potere in quel momento, quando non addirittura di chi tirava i fili dietro la pantomima di un potere attribuito in modo formalmente democratico. Gran parte di ciò che si sa di questi episodi deve ancora essere oggetto di uno studio sistematico, perché non sempre gli archivi e le altre fonti di notizie sono a disposizione di chi vorrebbe approfondire le questioni. Solo la tenace insistenza di pochi che spesso erano stati duramente toccati nella propria vita personale, tramite ad esempio la perdita di una persona cara, è riuscita ad aprire qualche squarcio in una cortina di silenzio imposta d'autorità e poi mantenuta per decenni.

La storia che stiamo per raccontare è talmente poco conosciuta che nemmeno quelli che sarebbero più interessati a divulgarla la conoscono. Riguarda la fine di un giovane militante di sinistra, eppure neanche “Cuori rossi” di Cristiano Armati (Newton Compton), il più dettagliato catalogo di figure ed episodi simili, gli dedica l'ombra di un rigo. E, addirittura, perfino il collettivo studentesco che gli è stato intitolato a Napoli ha un'idea piuttosto vaga di come siano andate le cose, tant'è vero che, in tutte le pagine web che gli ha dedicato, la data della sua morte è sbagliata. Per ricostruirla, è stata necessaria una paziente ricerca tra gli archivi digitali dei quotidiani del tempo.



Stiamo parlando di Vincenzo De Waure, nato a Napoli nel 1951 e morto in circostanze che è già un eufemismo definire misteriose nella notte tra il 20 e il 21 gennaio 1972.


Enzo De Waure appartiene a una famiglia numerosa (genitori e 13 figli, lui è il secondo) che, proprio per la sua consistenza, non versa in una situazione molto favorevole, benché il padre abbia un impiego fisso da centralinista al Comune di Napoli. Il padre è un militante del Msi e, nel 1965, iscrive anche Enzo alla federazione giovanile di questo partito. Ma Enzo vi si trova molto a disagio e, dopo due anni, lascia il Msi per mettersi a frequentare circoli di marxisti-leninisti. Intanto, frequenta con ottimo profitto il liceo scientifico a via Cinthia, nella scuola che inizialmente si chiamava IV Liceo Scientifico e oggi si chiama Liceo Copernico ma, per la maggior parte del tempo, incluso il periodo in cui vi studia Enzo, si chiama VIII Liceo Scientifico.

Qualche parola sulla scuola di Enzo va spesa. L'VIII riceve la sua utenza da quartieri popolari come Soccavo, Fuorigrotta e Pianura ed è considerato una roccaforte della sinistra. Ragione per cui sul suo conto girano parecchie brutte voci, tutte inventate. Si racconta che sia un covo di tossicomani: ma, anche se non pochi alunni fumano canne, nessuno fa uso di droghe pesanti (nel periodo tra fine anni '70 e primi anni '80, quando la tossicodipendenza miete ogni anno diverse centinaia di vite tra i giovani, nessuno studente o ex studente dell'VIII muore di overdose). Se mai è vero che, nello spazio antistante la scuola, piuttosto isolato e buio, vanno spesso a “farsi” i tossici provenienti da altrove. Un'altra leggenda è che sia una scuola dalle promozioni facili, dove si va avanti con il “6 politico”: ma basta dare un'occhiata ai quadri di fine anno per rendersi conto che neanche questo è vero. Ci sono continuamente occupazioni e autogestioni, ma chi a fine anno non ha raggiunto la sufficienza in tutte le materie non ce la fa lo stesso. Tra quelli che si iscrivono all'VIII, solo il 35-40% arriva a prendere la maturità, a volte solo dopo aver ripetuto uno o due anni.


Un'immagine dell'VIII Liceo Scientifico, oggi Liceo Copernico

L'ultima leggenda, che prenderà forma solo qualche tempo dopo la fine di Enzo, è che sia una scuola “maledetta”, che porta sfortuna a quelli che la frequentano. In effetti, alcuni ragazzi muoiono per cause naturali e già questo suona abbastanza sinistro, specie in rapporto alla fascia di età e al numero non alto di studenti (non si formano mai più di 5 sezioni). Ciò che fa impressione, però, è soprattutto la catena di disgrazie che si abbatte sui ragazzi dell'VIII negli anni '80. Nel gennaio 1984, mentre si trova nella macchina dello zio a Pomigliano d'Arco, Aldo Arciuli viene raggiunto alla testa da un colpo sparato durante un regolamento di conti tra bande della delinquenza locale: morirà dopo pochi giorni e i colpevoli non saranno mai identificati. L'anno dopo, una motocicletta che arriva ad alta velocità da Pianura si abbatte su un gruppo di studenti che stanno attraversando la strada davanti alla scuola, dopo essere scesi da un autobus. Diversi di essi restano feriti o contusi: il più grave, Massimiliano Bassotti, che ha battuto la testa sull'asfalto, muore il giorno stesso. Nel 1989, mentre se ne sta per i fatti suoi davanti alla funicolare del Vomero, Marco Paracolli viene aggredito e ucciso a coltellate da un malato di mente, Michele Fragna, che non lo aveva mai visto prima.

In realtà, benché atroci e impressionanti, questi episodi sono ancora troppo pochi per rappresentare un valido campione statistico.

Ma torniamo alla vicenda di Enzo.

Arriva il '68 e la contestazione giovanile lo trova in prima fila, tanto che diventerà uno dei leader del '68 napoletano. A Enzo non interessano né il 6 politico né le lauree facili, è uno studente brillantissimo, ma si è reso conto che per quelli come lui, quelli che non sono nati privilegiati, anche l'istruzione diventa una dura conquista, malgrado la Costituzione affermi il contrario. La scuola che frequenta gli sembra, per usare le parole di Don Milani, “un ospedale che cura i sani e respinge i malati” e si impegna in prima fila per cambiare questa ingiustizia. Intanto, però, per poter andare all'università, dopo il diploma, dovrà mettersi a guadagnare per proprio conto, sia lavorando come rappresentante di enciclopedie, sia impartendo ripetizioni di Matematica e Fisica, materie in cui ha sempre brillato.

Si iscrive a Ingeneria Nucleare: una scelta particolarmente legata ai tempi che sta vivendo. Allora, infatti, i pericoli del nucleare civile sono pressoché sconosciuti e non ci sono stati ancora i primi incidenti che apriranno gli occhi al movimento ecologista, come la contaminazione dell'operaia Karen Silkwood a Crescent, Oklahoma, nel 1974 (la Silkwood morì poi in un incidente automobilistico molto dubbio mentre raccoglieva le prove dei pericoli che correvano lei e i suoi colleghi. La sua storia è raccontata in un celebre film di Mike Nichols) e soprattutto la fuoriuscita di gas radioattivi dalla centrale di Three Mile Island, in Pennsylvania, nel marzo 1979. A quel tempo il nucleare è considerato l'alternativa pulita al carbone e al petrolio e la sola strada per l'autonomia energetica. Non a caso, nel 1963, i maggiori gruppi petroliferi hanno condotto una durissima campagna di stampa affinché si arrivasse a una pesante condanna per il geologo Felice Ippolito, segretario generale del Comitato Nazionale per l'Energia Nucleare (CNEN) e maggiore sponsor del nucleare in Italia, che, per una serie di irregolarità amministrative non particolarmente gravi, si è beccato addirittura 11 anni di galera. Questa vicenda è raccontata in “Un complotto nucleare” di Orazio Barrese (Newton Compton).


La centrale nucleare di Three Miles Island

Karen Silkwood (1946-74)

Felice Ippolito (1915-97) e la notizia del suo arresto

Il libro sulla vicenda Ippolito

Quando Enzo si iscrive all'università, dunque, Ingegneria Nucleare è una scelta che appare coerente con le sue idee. Per lui, in realtà, è un ripiego, perché ha tentato l'ammissione alla Scuola Normale di Pisa e non ce l'ha fatta per pochissimo. Ma, nei due anni che riuscirà a frequentarla, ci mette il massimo impegno, superando quasi tutti gli esami.

I progetti di vita di Enzo, però, trovano davanti a loro un ostacolo. I neofascisti napoletani, particolarmente violenti (anche perché spesso protetti dalle FF. OO.) lo considerano un traditore e aspettano solo l'occasione giusta per regolare i conti. Sono anni in cui questi neofascisti si macchiano di ogni sorta di crimini, arrivando a incendiare il portone dell'Università Centrale il 24 gennaio 1969, poi quello del liceo G. B. Vico, poi assaltano l'ITIS A. Righi e infine fanno esplodere a Piazzale Tecchio (proprio il luogo dove Enzo ha trovato la morte undici mesi prima) una bomba che solo per combinazione non provoca una strage, il 12 dicembre 1972, con la tracotanza di scegliere proprio il terzo anniversario di piazza Fontana (nel luglio precedente è addirittura saltata in aria una sede del Msi a Pozzuoli, indicata come un covo di armi ed esplosivi). Questo senza contare le ininterrotte aggressioni a cortei, manifestazioni o sedi di partiti e circoli culturali, né il coinvolgimento di alcuni elementi napoletani nell'accoltellamento mortale all'operaio parmense Mariano Lupo, il 25 agosto 1972.

Enzo in un primo tempo accetta la sfida e combatte, forse rispondendo colpo su colpo alle aggressioni, tant'è vero che si becca anche lui la sua dose di denunce e finisce sotto processo (che non sarà celebrato per via della sua morte). Ma i suoi amici raccontano un'altra versione. Enzo finisce denunciato il giorno (l'11 dicembre 1970) in cui subisce un'aggressione e, poiché conosce personalmente i responsabili (Nicola Mezzasalma, Guido Baioni e Paolo Petroccio), va dritto a denunciarli. Purtroppo però si rivolge al commissariato di Fuorigrotta, al cui vertice c'è un funzionario al quale vengono attribuite simpatie neofasciste. E questo lo trasforma da vittima a indagato e lo mette nei guai. Gli amici di Enzo diranno anche che il commissario fa quello che gli pare perché ha le spalle coperte dal questore, Zamparelli, che è della sua stessa parrocchia e si è sempre fatto in quattro per proteggere i neofascisti. Zamparelli coprirà di vergogna le istituzioni che rappresenta il 24 giugno 1976 quando, ai funerali di Iolanda Palladino uccisa da una molotov neofascista, manderà gli agenti a caricare il corteo funebre per proteggere i neofascisti che espongono striscioni provocatori lungo il tragitto.

La figura di questo commissario riemergerà con un ruolo da protagonista in seguito.

Il 1971 è un anno decisivo. Nell'aprile di quell'anno, Enzo è chiamato a testimoniare in un procedimento contro due picchiatori neofascisti, Salvatore Caruso e Dario Carino, che hanno tentato di incendiare la sede del Pci di Fuorigrotta e la sua testimonianza è decisiva per la loro condanna. I due sono però condannati a pene ridicole (1 anno di reclusione) e, grazie alla condizionale, rimessi subito in libertà. Benché perfino in aula Caruso provi a intimidirlo minacciandolo di morte davanti ai giudici, non viene preso nessun provvedimento.

In estate, Enzo va in campeggio a Montesilvano, in Abruzzo, come aveva già fatto in altri anni. Ma stavolta viene via quasi subito e torna precipitosamente a Napoli. Il campeggio si trova in vicinanza del campo-scuola del Fronte della Gioventù. Appena tornato a casa, Enzo si rivolge al suo avvocato e gli racconta di essere stato fatto oggetto di continue e insistenti minacce anche lì, finché non ce l'ha fatta più e se n'è scappato.

Emotivamente, non ce la fa più in ogni senso. Si sente circondato e abbandonato al suo destino. Lascia la politica attiva, non partecipa più nemmeno alle assemblee e alle manifestazioni. Si dedica solo all'università e frequenta, oltre alla fidanzata Maria Grotta, studentessa liceale, solo pochi amici fidati.

Finché arriva il giorno fatale, il 20 gennaio 1972. Enzo lo trascorre all'università e studiando, poi nel tardo pomeriggio si incontra con Maria, con cui resta fino alle 20,30. La accompagna a casa e poi si incontra con due amici, il geometra Bruno Cati e lo studente di Architettura Lucio Tutino. I tre se ne vanno allo studio di Cati, dove passano la serata chiacchierando ed Enzo esprime il suo desiderio di ritentare l'ammissione alla Normale l'anno successivo. Dopo mezzanotte, Enzo torna a casa e trova che tutti stanno già dormendo. Mangia qualcosa in cucina, si prepara anche il letto (non ha una sua stanza e dorme su una branda pieghevole). Ma poi, anziché coricarsi, esce. Alla sorella Anna, che si è svegliata, dice che tornerà tra poco.

Circa un'ora dopo, intorno alle 2 del 21 gennaio, Mario Esposito, un operaio dell'Italsider che rientra a piedi dal turno di lavoro, attraversa piazzale Tecchio, davanti allo stadio S. Paolo. Vede che qualcosa sta bruciando in mezzo alla strada. Pensa che sia una motocicletta e va a vedere. Invece è una persona, è Enzo De Waure disteso per terra.


La Facoltà di Ingegneria (sede triennio) a Napoli negli anni '60

La stessa sede oggi

Panoramica di piazzale Vincenzo Tecchio: il sindaco De Magistris ha annunciato il prossimo cambio di nome dell'area, che sarà intitolata a Giorgio Ascarelli, primo presidente del Napoli Calcio

“Il Mattino”, il giorno dopo, dando la notizia come “ultim'ora” in prima pagina, titola il pezzo: “Universitario si uccide alla maniera dei bonzi stanotte a Fuorigrotta”. Il giorno dopo, Enzo è ancora in prima pagina: “Si ignora perché lo studente De Waure si è ucciso”, poi le successive notizie finiscono in cronaca. Il servizio di “La Stampa”, il 22, si intitola “Universitario minacciato da alcuni mesi dai fascisti s'uccide con il fuoco a Napoli” ed è molto dettagliato. Nel tipico linguaggio del tempo, si precisa che, nella zona, a quell'ora, sono presenti soprattutto “equivoci personaggi del mondo del vizio (prostitute, lenoni, omosessuali)”.

La tesi del suicidio è stata immediatamente diffusa dai carabinieri, i primi a intervenire, senza nemmeno aver compiuto tutti i rilevamenti. Forse è la suggestione del caso Jan Palach a Praga nel 1969, ma forse è pure qualcos'altro. Il luogo in cui è stato rinvenuto il corpo di Enzo dista circa 100 m dal commissariato di Fuorigrotta, quello in cui spadroneggia il commissario che ha preso Enzo di mira, ed è impossibile che dal commissariato non si sia sentito nulla. Non pochi testimoni dai palazzi intorno (e soprattutto gli “equivoci personaggi del mondo del vizio” che hanno visto e sentito tutto direttamente ma che non saranno mai chiamati a rilasciare deposizioni) parlano di una serie di forti grida e di fiamme altissime, ben visibili. Non si è visto un poliziotto sulla scena dei fatti e dal commissariato si giustifica la cosa affermando che il caso era di competenza dei carabinieri, perché erano stati chiamati per primi.

Gli amici di Enzo, davanti alla “verità” ufficiale, non se ne stanno con le mani in mano e conducono un'inchiesta molto più dettagliata di quella delle FF. OO., che ovviamente non è giunta a niente. Già la mattina del 21, recandosi sulla scena dei fatti, scoprono che questa non è stata recintata, che chiunque va e viene alterando le tracce e che molti importanti reperti, tra cui un accendino e i resti di una latta di benzina, non sono stati raccolti. Li prendono con ogni precauzione e li portano al commissariato, dove chiedono inutilmente una ricevuta. Altri reperti (tra cui orologio, anello e occhiali di Enzo) o non sono stati mai rinvenuti o sono spariti. Le prostitute presenti, interrogate la notte successiva, parlano chiaramente di un'aggressione a un uomo, che è stato gettato a terra in una delle aiuole della piazza e poi dato alle fiamme. Raccontano anche di intimidazioni da parte dei poliziotti, che avrebbero addirittura portato via a forza una di loro, una certa Rosina. L'autopsia di Enzo mostra che il ragazzo ha subito un pestaggio ed ha ricevuto anche una coltellata all'addome, prima di prendere fuoco. Le stesse ustioni si trovano da un solo lato del corpo, come se la benzina gli fosse stata versata addosso mentre era disteso per terra su un fianco. Enzo è stato bruciato mentre era ancora vivo, tanto è vero che ha provato ad alzarsi ed ha raggiunto la strada prima di cadere di nuovo.

Nel silenzio quasi totale dei mass media, solo “Lotta continua” e “Mo' che il tempo si avvicina” (il cui direttore era Giampiero Mughini), due fogli di estrema sinistra, continuano a chiedere giustizia per Enzo. Forse le loro posizioni sono estremiste, forse le loro conclusioni sono azzardate, ma certo è che nessuno si spreca a rispondere, in nessun modo, a tutte le numerose questioni che sollevano, neppure per smentirle. In compenso, Salvatore Caruso, il neofascista che in tribunale minacciò Enzo di morte, va infastidendo gli studenti che vendono per strada le copie dei due giornali, minacciandoli di querela se continuano a parlare del fatto e a metterlo in mezzo. Ma poi non attua questa minaccia. Naturalmente, per quella notte, ha un alibi di ferro.





Numeri d'epoca delle due testate

Il caso finisce archiviato e non sarà mai riaperto. Negli anni successivi, se ne parla sempre meno e spesso a sproposito (alla fine degli anni '70 si diceva addirittura che Enzo era stato “colpito da una bottiglia molotov mentre lavava la macchina in mezzo alla piazza” e qualcuno arriverà a inventarsi che “è stato ucciso da quelli del Pci perché voleva lasciare la politica e sapeva troppe cose”). Negli anni '80 cade nel vuoto la proposta di intitolare l'VIII alla sua memoria, avanzata dalla professoressa Maria Prinzi. Solo nel 2002, a 30 anni dalla sua morte, il Comune di Napoli appone una lapide a suo ricordo nel luogo in cui fu ritrovato, davanti alla Mostra d'Oltremare. L'evento passa quasi inosservato e di questa lapide non si trovano immagini in rete.


Per la stesura di questo pezzo mi sono avvalso della collaborazione dell'amico Sandro Pagano, lettore attento e critico dei miei articoli e memoria vivente dell'VIII Liceo Scientifico, da noi frequentato tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80. L'occasione è stata buona anche per dedicare un pensiero affettuoso a Enzo, Aldo, Massimiliano, Marco e gli altri amici che hanno diviso la loro giovinezza con noi e oggi vivono ancora in un angolo speciale del nostro cuore.