martedì 24 dicembre 2019

L'impotenza della vittima sacrificale: la convergenza di James Hadley Chase e Jim Thompson


Il thriller e il noir sono due categorie di narrativa che, per definizione, finiscono facilmente per pescare nel torbido, indagando sui più reconditi recessi della mente umana e rivelando spesso degli aspetti sgradevoli o vergognosi di personaggi insospettabili. Un elemento che generalmente manca del tutto nello schema classico di questo tipo di romanzi è la pietà, al posto della quale c'è al massimo una compassione di maniera verso qualche vittima talmente poco fortunata da risvegliare perfino un moto di sensibilità nei duri più spietati, purché non siano ancora del tutto marci.
Eppure qualche autore particolarmente dotato e originale si è spinto fino a toccare un tema che, considerando la mentalità che normalmente si attribuisce al tipico lettore di thriller e noir, tanto più del passato, rappresenta una sorta di tabù invalicabile: l'impotenza sessuale dell'uomo. E lo ha fatto con molta più attenzione e delicatezza di quanto ci si aspetterebbe da chi rappresenta certi generi, perché i personaggi in questione non sono figure secondarie e caricaturali, ma protagonisti di storie davvero drammatiche e tragiche, narrate proprio dal loro punto di vista.
Tanto più sorprendente è il fatto che questi autori siano proprio quelli divenuti più famosi per l'incredibile livello di cinismo che caratterizza la quasi totalità delle loro storie e la personalità di quasi tutti gli “eroi” che le popolano.
Stiamo parlando di James Hadley Chase e di Jim Thompson. In particolare, di due loro romanzi: More deadly than the Male di Chase e A swell-looking babe di Thompson.

James Hadley Chase (1906-85)


Due immagini di Jim Thompson (1906-77)

I due libri sono separati da 8 anni (il Chase esce nel 1946 o nel 1947, le fonti non sono concordi; il Thompson esce nel 1954) ma appartengono entrambi agli anni di massima diffusione e massimo successo del genere.
Chase doveva comunque aver intuito che il suo libro avrebbe spiazzato un po' i lettori, perché inizialmente lo pubblicò dietro lo pseudonimo di Ambrose Grant.
In entrambi questi romanzi, il protagonista è un giovane uomo che non dovrebbe avere alcun problema, anzi appare pure attraente di aspetto, ma non è capace di intrattenere relazioni con le donne, sebbene le desideri moltissimo, perché un trauma subito durante l'infanzia o l'adolescenza lo ha segnato indelebilmente. Entrambi i protagonisti conducono una vita molto frustrante e inferiore alle aspettative in seguito a gravi problemi familiari, e sognano sia un riscatto sociale, sia l'irrompere nella propria vita di una donna capace di far loro superare, come d'incanto, tutti i problemi che si portano dietro. Entrambi finiscono per fidarsi di un “amico” che invece tiene in serbo i più loschi progetti, perché irretiti da una donna legata a questo, che mostra un particolare interesse nei loro riguardi, ma non fino al punto da concedersi a essi, perché questo momento viene sempre rinviato e subordinato ad altri avvenimenti nei quali il protagonista deve avere un ruolo attivo: ovviamente, avvenimenti illeciti. Il protagonista, come si può facilmente intuire a questo punto, è così destinato ad assumere le vesti del capro espiatorio.
Le due storie, però, si concluderanno in modo del tutto diverso.
More deadly than the Male ha avuto due diverse edizioni italiane, una come Giallo Mondadori nel 1966 con il titolo Il mio nome è mitraglia e una come Tascabili Giunti nel 2003 con il titolo Sogno criminale. Tra la due versioni, ci sono poche differenze sostanziali.







L'azione si svolge a Londra, intorno al 1930 o poco prima. George Fraser, un giovane grande e grosso e un po' ottuso, tira avanti a fatica con un modesto lavoro di rappresentante di libri per una casa editrice di manuali pedagogici. Vive in una stanzetta in una sordida pensione dell'estrema periferia, ha buoni rapporti con la domestica della pensione e la barista del locale in cui passa le serate e un legame affettivo molto stretto con un vecchio gatto ospite della stessa pensione, Leo. Non ha mai avuto una ragazza ma, quando era bambino, durante la Guerra, una donna adulta tentò di sedurlo a forza, facendolo fuggire lontano. Trascorre il tempo libero leggendo storie di gangster sulle pulp magazines americane e poi fantasticando di vivere alla maniera dei gangsters stessi. Un giorno, gli viene affiancato un giovane collega dall'aria poco raccomandabile, Syd Brant, che però si rivela capace di concludere moltissimi affari grazie a un comportamento a dir poco spregiudicato. Tra i due nasce una specie di amicizia, che sembra cementarsi quando Syd presenta a George la propria sorella minore, Cora, una ragazza dalla bellezza vistosa e volgare per la quale George perde immediatamente la testa.
George ha il vizio di raccontare in giro le sue fantasticherie come se fossero vere, e le racconta anche ai due. Inoltre, conserva una vecchia pistola che detiene illegalmente dopo averla ereditata del patrigno. Poiché i due sono nei guai per delle faccende legate al rapporto con un piccolo malavitoso, Crispin, che sembra infastidire Cora in tutti i modi, George si convince ad aiutarli unendosi a loro in una spedizione punitiva nella quale dovrebbero solamente intimidire Crispin e convincerlo a stare alla larga dalla ragazza. Ma, appena George punta la pistola addosso a Crispin, convinto che l'arma sia bloccata dalla sicura, parte un colpo e uccide l'uomo.
Fatto sparire con molta difficoltà il cadavere di Crispin, i tre fuggono, sperando di aver cancellato le tracce. Syd e Cora tentano comunque di far ricadere la colpa su George, ma non serve a nulla, perché la banda cui apparteneva Crispin raggiunge ugualmente Syd e lo fa fuori senza troppi complimenti. A Cora, dunque, non resta che chiedere l'aiuto di George, il quale prima accetta di nasconderla e poi si mette a compiere una serie di piccole rapine per procurarsi il contante necessario ad andarsene. Su suggerimento di Cora, i due si rivolgono a un magnaccia amico di Syd, Little Ernie, per essere aiutati nella fuga, ma Cora si dimostra molto più attratta da Little Ernie che da George, dando il benservito a quest'ultimo, con il risultato che George, ottenebrato dalla gelosia, sottopone il nuovo rivale a un violento pestaggio.
Per vendetta, Cora si reca nell'appartamento in cui si erano inizialmente rifugiati e uccide il gatto Leo, che George si era portato dietro quando aveva lasciato la pensione.
George, a questo punto, si reca personalmente dai complici di Crispin, raccontando la verità e offrendosi di portarli dove è nascosta Cora. I banditi sembrano molto comprensivi nei suoi riguardi e, infatti, una volta catturata la donna, gli offrono la possibilità di andarsene. Ma, mentre George va via e Cora viene torturata a morte con dei cavi elettrici, arriva la polizia, che stava già seguendo i banditi. Anche George viene arrestato ma, nonostante le sue pessimistiche previsioni per il futuro, i poliziotti sembrano apprezzare la sua collaborazione, visto che è l'unico a raccontare tutto.

A swell-looking babe ha avuto due edizioni italiane, entrambe di Mondadori con il titolo L'altra donna, una uscita tra i Mystbooks nel 1992 e l'altra tra i Classici del Giallo nel 1996.






Il giovane Bill Rhodes, detto Dusty, vive in una sonnolenta cittadina da qualche parte negli Stati del Sud e fa il fattorino nel principale albergo, il Manton. Ma non era questa la sua ambizione, dato che fino a poco prima studiava Medicina in una prestigiosa università, dalla quale ha dovuto ritirarsi dopo che il padre, direttore di una scuola, è stato rimosso dal suo impiego perché accusato di aver tenuto comportamenti sovversivi firmando una petizione per la garanzia della libertà di parola (non dobbiamo dimenticare che è il periodo del maccarthismo), mentre la madre è morta dopo una lunga malattia. Tra gli ospiti più assidui dell'hotel c'è un gangster, Tug Trowbridge, sulle attività del quale la direzione chiude un occhio perché paga sempre bene e non crea problemi. Un giorno, in hotel arriva una misteriosa e bellissima ospite, Marcia Hillis, che sembra attirata da Dusty fino a invitarlo nella propria camera ma, successivamente, senza che sia successo nulla, lo accusa di tentato stupro. Dusty sembra nei guai, ma Tug si offre di risolvere la situazione, allontanando la donna dalla città prima che la notizia si sparga.
Ovviamente, Tug non lo fa per generosità, ma per chiedere successivamente a Dusty un favore che questo non potrà rifiutargli, ossia l'assistenza nella rapina che ha progettato per i giorni successivi, quando comincerà la stagione delle corse e il Manton ospiterà diversi allibratori che lasceranno somme enormi nella cassaforte dell'hotel.
Dusty è costretto ad accettare, anche se non è convinto che il piano basti a far sembrare la sua partecipazione solo casuale. Deve infatti essere colpito e immobilizzato insieme al portiere Bascom, ma solo dopo aver nascosto una valigia con l'intero bottino nel deposito dell'hotel, ossia l'ultimo posto dove qualcuno andrebbe a cercare la refurtiva. Ma Bascom sembra sapere più di quanto dovrebbe e, infatti, durante la rapina, Tug lo uccide.
In seguito, però, Tug uccide anche i suoi complici, mentre Marcia Hillis ricompare in città, e si viene a sapere che è la figlia di Bascom, il quale a sua volta era un pregiudicato evaso dalla galera con ancora molti anni da scontare, che si nascondeva sotto falso nome.
Parallelamente, nella vita di Dusty, si svolge un'altra vicenda. Il padre è piuttosto rimbambito e ha problemi di salute e non potrà più riprendere il suo lavoro, ma il legale che lo rappresenta, Kossmeyer, continua a pressare Dusty affinché la causa per il reintegro vada avanti. Tra i due i rapporti si fanno pessimi, perché l'avvocato accusa Dusty di non curare abbastanza il padre.
Quando Tug si rifà vivo pretendendo i soldi, Dusty gli concede un appuntamento ma, anziché andarci, ci manda la polizia. Tug tenta di resistere e viene ucciso.
Intanto, Marcia Hillis e Dusty hanno avuto un chiarimento e lei si è addirittura stabilita da lui, e si occupa del padre. Dusty vorrebbe sposarla, ma la donna ritiene di essere troppo grande per lui. Dusty fino ad allora ha avuto grandi problemi con le donne, perché è stato adottato all'età di 5 anni e nell'infanzia ha avuto un rapporto estremamente morboso con la madre adottiva, che prima lo ha incoraggiato, poi però lo ha respinto quando lui si è fatto espressamente avanti. Secondo Kossmeyer, il rapporto con la madre ha determinato in lui una sordida rivalità con il padre, che lo ha spinto a falsificarne la firma sottoscrivendo la petizione incriminata.
Dusty però è convinto di aver trovato in Marcia la donna che la madre non è stata, anche perché le due si assomigliano molto. Un domani, utilizzando i soldi della rapina che sono ancora in parte nel deposito dell'hotel, potranno andarsene lontano e rifarsi una vita.
A complicare le cose, però, arriva la morte del padre di Dusty: che, già cardiopatico, si ubriaca fino a restarci secco. Kossmeyer arriva a sostenere che Dusty lo ha spinto al suicidio, e convince la polizia ad arrestarlo dopo aver scoperto una polizza sulla vita che il padre ha sottoscritto a beneficio di Dusty, della quale Dusty non sapeva niente. Intanto, Marcia Hillis è fuggita.
Entrambi i romanzi terminano con l'immagine della forca. George Fraser chiede a un detective se sarà impiccato per ciò che ha fatto e il detective gli risponde di non essere troppo pessimista. Dusty invece chiede a Kossmeyer cosa lo aspetta e questo gli mima l'impiccagione. Anche se, oggettivamente, in nessuno dei due casi sembrano esserci abbastanza elementi da giustificare la pena capitale, i due protagonisti vengono comunque lasciati sulla soglia di un futuro quanto mai incerto, che peraltro sembrano disposti ad accettare con la massima rassegnazione, essendo stati privati dalle circostanze dei loro principali oggetti del desiderio.

martedì 17 dicembre 2019

Debunking in giallo: "La figlia del tempo" di Josephine Tey


Pochi autori di romanzi gialli sono riusciti a essere così innovativi e non-convenzionali quanto Josephine Tey, la cui fama è però relegata in gran parte a una ristretta cerchia di intenditori.
La Tey, nata a Inverness in Scozia nel 1896, si chiamava in realtà Elizabeth MacKintosh ed esordì nella narrativa con uno pseudonimo maschile, Gordon Daviot, nel 1929. Solo dal quarto libro pubblicato, uscito nel 1936, adottò lo pseudonimo con cui è più nota.

Elizabeth MacKintosh alias Gordon Daviot alias Josephine Tey

Era una persona piuttosto riservata, tanto che la sua biografia lascia aperte non poche questioni. Si sa che era la maggiore delle tre figlie di un commerciante e di un'insegnante, che studiò Educazione Fisica in un college, che lavorò prima come fisioterapista in una clinica di Leeds e poi come insegnante in varie scuole private, che lasciò l'insegnamento in seguito a un incidente occorsole in palestra (fatto che le ispirò uno dei migliori romanzi, “Miss Pym”, che si mise a scrivere dopo essere tornata a casa per assistere il padre invalido dopo la scomparsa della madre. E che la sua riservatezza la portò ad allontanarsi da tutti i tanti amici che si era fatta, soprattutto negli ambienti del teatro, dopo che tra il 1950 e il 1951 le fu diagnosticato un tumore al fegato, malattia di cui morì a Londra nel 1952, prima di compiere 56 anni.




Copertine di alcune edizioni inglesi di romanzi della Tey

Ciò che resta oscuro riguarda soprattutto gli aspetti interiori della sua personalità. Restò sempre nubile e, nei suoi romanzi, temi come l'ambiguità sessuale e le perversioni sono spesso presenti, anche se non trattati in modo esplicito, quanto piuttosto suggeriti in modo discreto. Tuttavia, le testimonianze dirette riferiscono di un grande amore vissuto in gioventù per un ragazzo che poi andò a combattere nella Grande Guerra e fu ucciso sulla Somme nel 1916.
Si fanno dunque due ipotesi prevalenti sull'origine dell'ispettore Alan Grant, il suo personaggio principale, protagonista di cinque dei suoi undici romanzi e presente anche in un sesto con un ruolo secondario. Una delle ipotesi vedrebbe in Grant una proiezione di ciò che la Tey stessa avrebbe voluto essere, e potrebbe essere corroborata dai problemi di identità personale che affliggono Grant nell'ultimo romanzo, “Sabbie canore”, pubblicato postumo dopo essere stato ritrovato in bozza tra le carte dell'autrice. La seconda è molto più romantica e struggente e presenta Grant come un personaggio modellato sulla figura dell'amato perduto prematuramente, la cui vita prosegue in letteratura a compensazione degli anni che non può più vivere nella realtà.
Oltre a quelli già visti, altri temi cari alla Tey sono la facilità con cui si crede ad apparenze fasulle, specie quando mostrano ciò che si vorrebbe vedere; i cambi di identità e i travestimenti; l'uso strumentale delle bugie per manipolare una o più persone; i segreti nascosti dietro le situazioni apparentemente più insospettabili. In questo senso, la Tey è la prima innegabile antesignana di una generazione di grandi gialliste capaci di scavare a fondo nella psicologia criminale e nelle più recondite ragioni che possono indurre non solo a commettere dei delitti, ma anche a subirli o a smascherarli: come, ad esempio, Patricia Highsmith, Margaret Yorke, Margaret Millar e soprattutto Ruth Rendell, che ha portato questo genere di romanzi fino ai vertici della narrativa contemporanea, travalicando i limiti del genere.
La Tey, si diceva, ha scritto undici romanzi (più la biografia di un personaggio storico, il visconte di Claverhouse, e dodici opere teatrali, delle quali solo quattro sono state rappresentate nel corso della sua vita, peraltro con buon successo), ma solo otto di questi sono gialli. Tutti questi otto gialli sono stati tradotti in Italiano, anche se non sono tutti reperibili con la stessa facilità perché usciti con differenti editori. 






Alcune edizioni italiane di romanzi della Tey. A volte, lo stesso libro è uscito con titoli diversi presso diversi editori

Il libro che è considerato il suo capolavoro assoluto, che oggi si può leggere in edizione Sellerio, è “La figlia del tempo” (titolo tratto da un antico proverbio inglese: “La verità è figlia del tempo”), un giallo molto atipico, un giallo storico concepito però non come un classico romanzo storico ma come un romanzo in cui si svolge, alla metà del XX secolo, un'indagine su un fatto storico del XV secolo. Non un fatto storico qualunque ma uno dei più importanti misteri lasciati in eredità all'Inghilterra dalle oscure trame dei suoi secoli passati: la scomparsa dei principini dalla Torre di Londra, ufficialmente tra la primavera e l'estate del 1483, mentre erano sotto la custodia dello zio paterno, il principe Riccardo di Glouchester, appena salito al trono con il nome di Riccardo III.
In pratica, l'ispettore Grant, mentre si trova ricoverato in ospedale per la frattura di una gamba dopo un incidente subito durante l'inseguimento di un malvivente, ammazza il tempo dedicandosi soprattutto alla lettura di libri di Storia, una materia che lo affascina molto. Trovandosi davanti alla figura del principe reietto Riccardo III, che un'intera e compatta tradizione vuole assassino dei suoi nipoti allo scopo di occupare il loro posto nella successione al trono, Grant scopre improvvisamente di avere dei grossi dubbi sul fatto che le cose siano andate esattamente come gli è stato sempre insegnato a scuola e come è sempre stato mostrato dalle più svariate fonti, a partire da Shakespeare. E la prima cosa che scopre è che Shakespeare (così come Thomas More che lo ispirò) sostiene una cosa falsa, ossia che Riccardo fosse nano, gobbo e storpio (uno scheletro rinvenuto nel 2012 a Leicester, dove Riccardo fu sepolto dopo essere stato ucciso durante la battaglia di Bosworth nel 1485, e successivamente identificato come quello del re, mostra che al massimo soffriva di una certa scoliosi). Successivamente, Grant si rende conto che tutti i documenti originali che trattano della figura di Riccardo sono posteriori di diversi anni alla sua scomparsa e che i primi tra questi, che hanno rappresentato la base di quelli successivi, sono tutti opera di fedelissimi cortigiani di Enrico VII Tudor, il vincitore di Bosworth e successore di Riccardo sul trono inglese. Ricontrollando con occhio da poliziotto i possibili moventi che potevano indurre a eliminare i principini, poi, appaiono più realistici quelli di Enrico piuttosto che quelli di Riccardo. Con l'aiuto di un amico storico, Grant ricostruirà una versione alternativa a quella che normalmente viene raccontata, affrontando anche, con considerazioni tutt'altro che banali, il tema di quanto sia facile manipolare la Storia passata per chi detiene il potere o calunniare le persone morte che non possono più difendersi.
Lo stile della Tey non è mai serioso o verboso, anzi la lettura di tutti i suoi libri viene agevolata dal suo umorismo raffinato e gentile, come si confà a una scrittrice colta senza essere pedante e sicura del proprio talento narrativo.



Le edizioni italiane di La figlia del tempo


venerdì 29 novembre 2019

I Molly Maguires e l'impronta della mano di Alexander Campbell


Durante gli anni '70 del XIX secolo, la sempre maggiore diffusione dell'acciaio portò a un supersfuttamento delle miniere di carbone e, soprattutto, degli uomini che vi lavoravano. Il fenomeno procedette incontrollato in mancanza di una qualsiasi legislazione sociale, e fu particolarmente accentuato nell'area della Pennsylvania orientale, che nel periodo immediatamente precedente si era riempita di irlandesi immigrati in seguito alla carestia del 1847.
L'arbitrio e l'abuso da parte dei proprietari delle miniere e delle loro milizie erano così accentuati e la repressione dei tentativi di sindacalizzazione così brutale che un gruppo di minatori scelse di affrontare la questione con altrettanta violenza, dando vita a un'organizzazione terroristica chiamata “Molly Maguires”, che nacque in seno all'Antico Ordine degli Hiberniani, un'organizzazione pacifica di mutua assistenza tra gli operai, l'unica sul territorio a essere aperta anche agli immigrati.
Le vicende relative all'attività dei Molly Maguires sono state oggetto di diversi resoconti, tra i quali è rimasto particolarmente famoso il film “I cospiratori”, diretto nel 1968 da Martin Ritt e interpretato da Sean Connery e Richard Harris. 
Locandina del film di Ritt con Connery e Harris

Nel tempo, l'argomento è stato studiato soprattutto dagli storici del Diritto, che hanno messo in luce come, nell'occasione, lo Stato degli Usa cedette completamente la propria sovranità a dei soggetti privati, i proprietari delle miniere, permettendo loro di creare milizie di polizia e di ricorrere a detectives privati da infiltrare tra i minatori, e non interferendo nemmeno quando, una volta catturati i principali esponenti dei Molly Maguires, questi furono condannati a morte attraverso dei processi farsa basati su prove molto dubbie, per non dire inconsistenti.
Fu, insomma, un amaro anticipo di quanto sarebbe successo poi ad Chicago nel 1886, con gli attentati e i disordini di Haymarket dovuti all'attività di agenti provocatori, che portarono successivamente alla condanna capitale degli innocenti leader sindacali che negli stessi giorni stavano guidando manifestazioni assolutamente pacifiche.
A differenza dei sindacalisti di Haymarket, tuttavia, i Molly Maguires qualche delitto lo commisero. Radicati nelle principali contee minerarie, si organizzarono in modo da eliminare persecutori, spie e crumiri attraverso il “sistema reciproco”, tale che le squadre della morte attive in una contea provenivano sempre da un'altra contea in modo che i loro componenti non fossero facilmente identificabili. Una iniziale serie di delitti restò in questo modo impunita.
I proprietari delle miniere si rivolsero quindi alla Pinkerton, l'agenzia investigativa che già si era fatta conoscere nella caccia ai fuorilegge. Allan Pinkerton decise quindi di infiltrare nel movimento un proprio agente, il trentenne James McParlan, pure lui immigrato irlandese. McPartland giunse nella cittadina di Port Clinton il 27 ottobre 1873 facendosi passare per il minatore disoccupato James McKenna.
Allan Pinkerton (1819-84)

James McParlan (1844-1919)

McPartland, per alcuni mesi, lavorò in miniera e frequentò i locali degli altri minatori, poi fu finalmente ammesso nell'Antico Ordine degli Hiberniani e, da qui, entrò nei Molly Maguires. Dovette passare oltre un anno, però, prima che fosse coinvolto in qualche fatto di sangue.
Fu nell'estate del 1875 che Jack Kehoe, capo dei Molly Maguires, lanciò l'offensiva. Il 28 giugno di quell'anno, quattro sicari armati spararono a Billy Thomas ferendolo gravemente. McParlan, pur al corrente del piano, non intervenne per non far saltare la sua copertura. Una settimana dopo, all'alba, fu ucciso il vigilante Benjamin Yost nella cittadina di Tamaqua. Un mese dopo, tre sicari uccisero un sovrintendente di vigilanza, attivissimo nella repressione delle manifestazioni, John P. Jones. Un mese ancora dopo, fu la volta di un altro sovrintendente, Thomas Sargent, e di un minatore crumiro, il gallese William Uren, a Wiggan's Patch. Quest'ultimo episodio ebbe una conseguenza ancora più tragica, perché alcuni vigilanti credettero di identificare tra gli assassini un minatore, Charles O'Donnell, assaltarono casa sua e lo uccisero insieme alla figlia e al figlio.
Molto ingenuamente, un certo Kerrigan, con cui era entrato in confidenza, raccontò a McParlan che il vigilante Yost era stato ucciso per errore. Il vero bersaglio era un suo collega, Bernard McCarron, con il quale aveva scambiato il turno. Kerrigan mostrò a McParlan anche l'arma del delitto e gli fece i nomi dei due colleghi che lo avevano aiutato nell'omicidio. McParlan rischiò di essere designato come assassino del sovrintendente Jones, ma riuscì a evitarlo fingendosi malato. In un modo o in un altro, McParlan riuscì ad apprendere sia il nome di quello che lo aveva sostituito sia i nomi del cinque sicari di Wiggan's Patch.


Tre episodi in stampe del tempo
Un biglietto del tempo con una minaccia di morte

Ai primi del 1876 scattò la retata, e i principali membri dei Molly Maguires furono arrestati dai vigilanti e dagli agenti della Pinkerton. Nei successivi processi, tenuti a Pottsville, oltre a disporre di un'assistenza legale molto carente, dovettero vedersela anche con giurie dalle quali i padroni delle miniere avevano preteso e ottenuto di espellere tutti i cittadini americani di origine irlandese. Quasi tutti i giurati erano di origine tedesca, non conoscevano perfettamente l'Inglese e furono sottoposti a ogni genere di intimidazioni.
Il piatto forte delle udienze fu la deposizione di McParlan, il 6 maggio 1876. La rivelazione della sua reale identità provocò una reazione di dolore da parte del pubblico, in mezzo ai quali c'era molta gente che lo aveva conosciuto e gli era stata amica.
La vicenda processuale fu comunque molto complessa e, in ogni caso, si concluse con la condanna di 19 Molly Maguires all'impiccagione per la serie di omicidi che abbiamo visto e per altri che furono loro addebitati.
Le prime 10 sentenze furono eseguite il 21 giugno 1877, in due sedi separate: nella prigione di Mauch Chunk furono impiccati quattro uomini per l'omicidio di John P. Jones e in quella di Pottsville altri sei per gli omicidi di Yost, Sanger e Uren. Le esecuzioni sarebbero andate avanti fino al 16 gennaio 1879. Il leader dei Molly Maguires, Jack Kehoe, fu impiccato il 18 dicembre 1878.
Jack Kehoe (1837-78)

Alla prima serie di esecuzioni è legato un episodio singolare, spesso citato dagli appassionati di paranormale. Uno dei condannati, Alexander Campbell, nato a Donegal in Irlanda nel 1833 e proprietario di una locanda in cui i Molly Maguires si riunivano, sicuramente non coinvolto direttamente in nessun omicidio ma condannato lo stesso alla forca, protestò un'ultima volta la sua innocenza quando le guardie andarono a prenderlo per l'esecuzione e, dopo aver strofinato la mano nel terreno che faceva da pavimento alla sua cella, la numero 17, la sbatté contro un muro, lasciando un'impronta ben visibile e dichiarando che questa sarebbe rimasta lì per sempre a testimoniare la sua innocenza.
Alexander Campbell

L'impronta, stando a quel che si dice, avrebbe poi resistito a ogni tentativo di lavaggio e sarebbe ricomparsa anche dopo degli interventi drastici, ossia più di una ritinteggiatura del muro e perfino dopo la demolizione di questo, per ordine dello sceriffo Biegler, nel 1930.
L'impronta come appare oggi
La prigione di Mauch Chunk

La prigione finì in disuso nel 1995 e, dopo qualche tempo, divenne un'attrazione turistica, soprattutto per via dell'impronta nella cella numero 17. Nel 2004, due scienziati forensi, James Starr della George Washington University e Jeff Kercheval della polizia scientifica di Hagerstown, compirono un rapido studio dell'impronta stessa, utilizzando la fotografia a infrarossi. Stabilirono che non era stata dipinta né con vernici né con altri mezzi, ma restarono ugualmente molto scettici riguardo la sua origine paranormale. 
Il professor James Starr

Tra l'altro, scoprirono che non si è mai capito bene a quale delle due mani di Campbell appartenesse, perché le diverse versioni, nel tempo, sono discordanti. Di questo studio, trattarono in un contributo pubblicato sul bollettino dell'American Academy of Forensics Sciences del settembre 2004.

martedì 19 novembre 2019

Avvistamento, equivoco o burla? Il Dover Demon del 1977


Dover, nella contea di Norfolk, Massachusetts, è una cittadina ricca e prospera immersa tra le aree rurali e quelle boschive, per cui è facilmente visitata da animali da allevamento o selvatici. Tuttavia, la creatura che alcuni adolescenti affermarono di aver visto nella primavera del 1977 non è stata ancora identificata con certezza.
Tutto cominciò la sera del 21 aprile di quell'anno, quando il 17enne William Bartlett, che stava guidando lungo la strada chiamata Farm Street, circondata da campi e boschi, vide uno strano essere che si arrampicava su un muro di pietra, alla sua sinistra. L'essere sembrava alto circa 150 cm, con una testa ovale grande come il tronco e lunghe braccia e gambe. Il volto sembrava privo di lineamenti e la pelle color pesca, lucida come quella di un pesce. Erano circa le 22.

William Bartlett al tempo dei fatti

Il suo disegno

Più tardi, verso le 00,30, un altro giovane, il 15enne John Baxter, che stava tornando a casa dopo aver incontrato la sua ragazza, arrivato all'incrocio tra Farm Street e Miller Hill Road, si vide venire incontro un conoscente, tale Bourchard, un ragazzo che soffriva di idrocefalia. Ma, quando questo arrivò a circa 5 metri, John si rese conto che non era Bourchard, bensì un essere di circa 150 cm dalla testa molto grande, molto rassomigliante alla creatura appena vista da Baxter e con gli occhi luminosi. L'essere scappò verso nel bosco vicino e John lo inseguì per un tratto, fino al fiume. Qui, i due restarono per qualche istante a guardarsi, finché John ebbe paura e scappò a casa.

Il disegno di John Baxter

La notte successiva, verso mezzanotte, il 18enne Will Taintor e la 15enne Abby Brabham erano in giro in macchina lungo Springdale Avenue, quando la ragazza vide una figura sul ciglio della strada, dal lato sinistro, vicino al ponte. La creatura aveva la testa oblunga e li guardava con occhi luminosi.
In tutti e tre i casi, gli autori degli avvistamenti realizzarono, subito dopo, dei disegni di ciò che avevano visto, ma ne parlarono poco in giro.
Tuttavia, rendendosi conto che altri avevano avuto la sua stessa visione, William Bartlett realizzò dei disegni dettagliati della creatura e li distribuì in giro, alla ricerca di altri testimoni. La storia si diffuse al punto da finire sui giornali, il Boston Herald e il Boston Globe, che pubblicarono degli articoli al riguardo il 16 maggio.
Un articolo del tempo con la mappa degli avvistamenti

Bartlett risollevò la questione l'anno dopo, quando affermò che, mentre era con la sua ragazza nella macchina parcheggiata in Farm Street, sentì un urto contro il veicolo e vide una creatura simile a quella vista l'anno prima, che si allontanava.
Anche se molti hanno subito parlato di invasione aliena, le teoria sulla natura della visione sono tante e molto variegate. Per esempio, si è parlato dei Mannegishi, ossia delle ipotetiche piccole creature umanoidi che sarebbero state avvistate dai nativi americani Cree nel Canada meridionale. I Mannegishi sono una delle tante forme con cui le tradizioni locali di parecchie parti del mondo identificano il Piccolo Popolo di umanoidi che ritengono vivere nei boschi.

Raffigurazione artistica del Mannegishi

Altri, più realisticamente, hanno parlato di un animale selvatico ancora non descritto o mutante. L'ufologo (sempre piuttosto scettico) Martin Kottmeyer ha ipotizzato che potesse essere un giovane alce, di un'età tale da non avere ancora le corna.
Martin Kottmeyer

A studiare maggiormente il fatto fu un criptozoologo, Loren Coleman, colpito dalla frequenza delle apparizioni in zona. Infatti, nell'area di Dover, questo tipo di avvistamenti è un fenomeno che si è già verificato. Ce ne sono stati almeno tre precedenti. Coleman ipotizzò anche che la collina rocciosa vicina a Farm Street, Polka Stone, si chiami in realtà Pooka Stone, con un chiaro riferimento al Piccolo Popolo.
Loren Coleman e una ricostruzione del Bigfoot

Coleman, per verificare tutte le ipotesi, controllò presso tutti gli allevatori di cavalli della zona se fosse scappato un puledro in quei giorni, ma non ne erano scappati. Gli alci sono stati visti qualche volta in quell'area ma, in quella stagione, se ce ne fosse stato uno, avrebbe raggiunto i 300 kg di peso.
Molti anni dopo, un altro ragazzo di quel periodo, Mark Sennott di Sherborn, un paese vicino, dichiarò di aver visto fuggevolmente un qualcosa che poteva assomigliare all'avvistamento di Dover nella Springdale Avenue di Channing Pond, nel 1972.
La vicenda ha portato molta fama e molti turisti a Dover, oltre a ispirare personaggi di fumetti e serie tv, ma gli stessi abitanti sono in gran parte scettici. La polizia locale finì per archiviare il caso come uno scherzo goliardico di alcuni adolescenti che si erano messi d'accordo tra loro.

venerdì 25 ottobre 2019

Sangue sugli studi classici: la "polemica etrusca" tra Carlo Battisti e Francesco Pironti


Carlo Battisti, nato a Trento il 10 ottobre 1882 e morto a Empoli il 6 marzo 1977, è universalmente noto come il protagonista di uno dei film più importanti del neorealismo italiano e del cinema in generale, Umberto D., diretto da Vittorio De Sica nel 1952.

Carlo Battisti sulla copertina del dvd del film e in una scena dello stesso

Meno conosciuta è invece la sua carriera di studioso nell'ambito della Linguistica e della Glottologia. Laureato a Vienna, pagò il suo irredentismo con la negazione della cattedra universitaria e, arruolato nell'esercito austro-ungarico durante la Grande Guerra, fu inviato in Russia, dove fu preso prigioniero, ma riuscì a sopravvivere alla prigionia e a tornare a casa.
Inizialmente nominato direttore di una biblioteca a Gorizia, nel 1925 vinse il concorso da docente universitario a Firenze e vi si trasferì. Fu accademico della Crusca, accademico d'Italia, aderì senza troppa convinzione al Fascismo, scrisse importanti testi di Fonetica e di Latino e un Dizionario Etimologico Italiano che ancora oggi è ritenuto un'opera fondamentale.
Carlo Battisti

Negli anni '30, si ritrovò suo malgrado coinvolto in una diatriba scientifica destinata a finire in modo particolarmente tragico.
Per comprendere i fatti, occorre ricordare che, in quel periodo, l'università italiana era piuttosto politicizzata, ma non come quella tedesca, perché il fascismo non vantava le stesse basi culturali del nazismo e non intendeva riformare nessuna scienza. Non esistevano in nessun ambito delle scuole improntate a una prospettiva fascista. L'interesse per il passato storico, alla ricerca di antenati di rilievo con cui nobilitarsi, aveva destato un notevole interesse per l'archeologia e in particolare per l'etruscologia. Anche perché l'etruscologia, oltre a essere una specialità quasi esclusivamente italiana (anche se in passato aveva destato l'interesse di molti studiosi stranieri, specie tedeschi o scandinavi), rappresentava un campo ancora quasi tutto da studiare, perché gran parte delle iscrizioni in Etrusco erano (e in molti casi sono) ancora da decifrare.
Gli studiosi di etruscologia italiani potevano essere divisi in tre scuole: quella epigrafica, che studiava le iscrizioni rinvenute cercando di contestualizzarle storicamente, quella combinatoristica, che si avvale del complesso metodo combinatorio (che si avvale di analisi archeologiche-antiquarie per elaborare ipotesi sulla natura di un testo redatto in una lingua sconosciuta; di analisi formali-strutturali che dividono i termini della lingua sconosciuta in morfemi, ossia elementi di base, secondo il confronto con altri testi redatti nella stessa lingua; di analisi di contenuto e contesto, una volta che sia possibile fare ipotesi sul significato di qualche termine) e quella etimologica, che cerca parentele con altre lingue note confrontando i lemmi già decifrati.
In realtà, a livello accademico, si stava definitivamente affermando il metodo combinatorio, di cui il maggior esponente sarebbe stato Massimo Pallottino (1909-95), la cui influenza avrebbe portato nel tempo all'esclusione delle altre due direttrici dall'ambito accademico. Quello etimologico sarebbe stato (e lo è ancora) particolarmente disprezzato, perché si presta facilmente ai dilettantismi e alle conclusioni arbitrarie.
Massimo Pallottino

Al profano possono sembrare questioni di poco conto: ma gli accademici degli anni '30 si scannavano continuamente su temi di questo tipo. E, a loro, andavano aggiunti i dilettanti (almeno un paio l'anno) che producevano continuamente fantasiosi studi sull'interpretazione delle iscrizioni etrusche, puntualmente in contrasto con le posizioni accademiche.
La quasi totalità di questi dilettanti passava inosservata, ma uno di essi riuscì ad assurgere a un notevole livello di notorietà, grazie ai numerosi appoggi di cui godeva sia presso gli esponenti del regime sia presso la Chiesa. Si chiamava Francesco Pironti, era nato nel 1891 e insegnava Greco e Latino in un liceo di Napoli.


Tre immagini di Francesco Pironti

Pironti, il 26 aprile 1933, sul quotidiano politico napoletano Il Lavoro Fascista, annunciò che era imminente la pubblicazione del primo dei 4 volumi con cui avrebbe spiegato al mondo che l'Etrusco, in definitiva, non era altro che un dialetto greco.

Frontespizio e alcuna pagine del libro di Pironti

Sulle colonne di La Nazione, il quotidiano di Firenze, Battisti, consultato come esperto sulla questione, rispose che la notizia lo lasciava piuttosto scettico, ma aspettava la pubblicazione del testo per giudicarlo.
Il 6 maggio, sempre tramite stampa, Pironti gli ribatté, accusandolo di incompetenza.
Battisti, tre giorni dopo, rispose a sua volta che il parere gli era stato chiesto espressamente e ribadì che aspettava di vedere il volume.
La polemica sembrò finire lì.
Il libro uscì a dicembre di quello stesso anno. Aveva un prezzo di copertina altissimo ma fu ugualmente lanciato con una martellante pubblicità. Sul Giornale d'Italia, apparvero anche delle lettere a suo sostegno firmate da un importante studioso (molto considerato in ambiente clericale perché fratello di due arcivescovi, Bartolomeo Nogara, che sosteneva l'idea che gli etrsuchi fossero un popolo ibrido (facendo imbestialire il più importante etruscologo del tempo, Pericle Ducati, un fascistissimo per il quale era un'eresia immaginare che il primo popolo italiano potesse essere stato contaminato).
L'ambiente accademico lesse il libro di Pironti e lo trovò tutt’altro che convincente. Al punto che il ministro per l'Educazione Nazionale, Francesco Ercole, nominò una commissione composta da tre illustri studiosi (il maggiore dei quali era Giacomo Devoto, l'autore del celebre dizionario) perché facesse chiarezza sull'argomento.
Intanto, la polemica divampò, perché due sostenitori di Pironti, Pericle Perali e Ugo Antonielli, sfruttando la ribalta dell'Osservatore Romano, attaccarono ripetutamente il mondo dell'etruscologia accademica (anche a costo di smentire proprie precedenti posizioni). A essi rispose sempre Battisti, che a un certo punto ottenne anche l'inaspettato sostegno di Ducati, con il quale era in pessimi rapporti.
Altri giornali si misero di traverso, pur senza avere particolari interessi nella vicenda. Su Il Regime Fascista, quotidiano politico di Cremona, arrivò una stroncatura dovuta al fatto che il suo direttore, il gerarca Roberto Farinacci, non voleva perdere l'occasione per colpire il suo nemico Ugo Manunta, direttore di Il Lavoro Fascista. Poco dopo ne arrivò un'altra, ancora più pesante, firmata da Massimo Pallottino su La Nuova Antologia, ossia la più importante testata del mondo intellettuale italiano.
La commissione composta da Giacomo Devoto, Francesco Ribezzo e Giorgio Pasquali consegnò il suo parere al Ministero dell'Educazione Nazionale a metà febbraio. Il 15 di quel mese venne reso pubblico, anche se non sarebbe mai stato pubblicato ufficialmente: il testo di Pironti non aveva il minimo valore scientifico.
Il 27 febbraio, Battisti pubblicò un breve volumetto, Polemica Etrusca, in cui riassunse le tappe della vicenda.
Il libro di Battisti

Il secondo volume dell'opera di Pironti, già pronto e stampato in alcune copie di prova, restò inedito. Una delle copie di prova è stata donata da Giorgio Pasquali, insieme ad altri libri, alla Scuola Normale di Pisa.
Sebbene i suoi sostenitori continuassero sporadicamente a pubblicare articoli in suo sostegno, Pironti finì per ritrovarsi completamente squalificato. Sembra che fosse un eccellente classicista, ma aveva fatto il passo più lungo della gamba. Non si sa per quali esatte ragioni, l'anno successivo (1935) finì per dimettersi dall'insegnamento. Cadde in depressione e, la mattina del 6 ottobre 1935, si chiuse nel suo studio e si impiccò. Lasciava una numerosa famiglia: moglie e 6 figli, con un settimo in arrivo.
Battisti non era stato il più feroce dei suoi detrattori, ma sicuramente quello che si era esposto di più. Ancora oggi si trovano sul web articoli che polemizzano con gli etruscologi accademici non tanto perché Pironti potesse avere ragione (questo ormai è definitivamente assodato) ma per la veemenza con cui si continuò ad attaccarlo anche a questione chiusa, forse arrivando al punto da spingerlo al suicidio.