Pochi autori di romanzi gialli sono
riusciti a essere così innovativi e non-convenzionali quanto
Josephine Tey, la cui fama è però relegata in gran parte a una
ristretta cerchia di intenditori.
La Tey, nata a Inverness in Scozia nel
1896, si chiamava in realtà Elizabeth MacKintosh ed esordì nella
narrativa con uno pseudonimo maschile, Gordon Daviot, nel 1929. Solo
dal quarto libro pubblicato, uscito nel 1936, adottò lo pseudonimo
con cui è più nota.
Elizabeth MacKintosh alias Gordon Daviot alias Josephine Tey
Era una persona piuttosto riservata,
tanto che la sua biografia lascia aperte non poche questioni. Si sa
che era la maggiore delle tre figlie di un commerciante e di
un'insegnante, che studiò Educazione Fisica in un college, che
lavorò prima come fisioterapista in una clinica di Leeds e poi come
insegnante in varie scuole private, che lasciò l'insegnamento in
seguito a un incidente occorsole in palestra (fatto che le ispirò
uno dei migliori romanzi, “Miss Pym”, che si mise a scrivere dopo
essere tornata a casa per assistere il padre invalido dopo la
scomparsa della madre. E che la sua riservatezza la portò ad
allontanarsi da tutti i tanti amici che si era fatta, soprattutto
negli ambienti del teatro, dopo che tra il 1950 e il 1951 le fu
diagnosticato un tumore al fegato, malattia di cui morì a Londra nel
1952, prima di compiere 56 anni.
Copertine di alcune edizioni inglesi di romanzi della Tey
Ciò che resta oscuro riguarda
soprattutto gli aspetti interiori della sua personalità. Restò
sempre nubile e, nei suoi romanzi, temi come l'ambiguità sessuale e
le perversioni sono spesso presenti, anche se non trattati in modo
esplicito, quanto piuttosto suggeriti in modo discreto. Tuttavia, le
testimonianze dirette riferiscono di un grande amore vissuto in
gioventù per un ragazzo che poi andò a combattere nella Grande
Guerra e fu ucciso sulla Somme nel 1916.
Si fanno dunque due ipotesi prevalenti
sull'origine dell'ispettore Alan Grant, il suo personaggio
principale, protagonista di cinque dei suoi undici romanzi e presente
anche in un sesto con un ruolo secondario. Una delle ipotesi vedrebbe
in Grant una proiezione di ciò che la Tey stessa avrebbe voluto
essere, e potrebbe essere corroborata dai problemi di identità
personale che affliggono Grant nell'ultimo romanzo, “Sabbie
canore”, pubblicato postumo dopo essere stato ritrovato in bozza
tra le carte dell'autrice. La seconda è molto più romantica e
struggente e presenta Grant come un personaggio modellato sulla
figura dell'amato perduto prematuramente, la cui vita prosegue in
letteratura a compensazione degli anni che non può più vivere nella
realtà.
Oltre a quelli già visti, altri temi
cari alla Tey sono la facilità con cui si crede ad apparenze
fasulle, specie quando mostrano ciò che si vorrebbe vedere; i cambi
di identità e i travestimenti; l'uso strumentale delle bugie per
manipolare una o più persone; i segreti nascosti dietro le
situazioni apparentemente più insospettabili. In questo senso, la
Tey è la prima innegabile antesignana di una generazione di grandi
gialliste capaci di scavare a fondo nella psicologia criminale e
nelle più recondite ragioni che possono indurre non solo a
commettere dei delitti, ma anche a subirli o a smascherarli: come, ad
esempio, Patricia Highsmith, Margaret Yorke, Margaret Millar e
soprattutto Ruth Rendell, che ha portato questo genere di romanzi
fino ai vertici della narrativa contemporanea, travalicando i limiti
del genere.
La Tey, si diceva, ha scritto undici
romanzi (più la biografia di un personaggio storico, il visconte di
Claverhouse, e dodici opere teatrali, delle quali solo quattro sono
state rappresentate nel corso della sua vita, peraltro con buon
successo), ma solo otto di questi sono gialli. Tutti questi otto
gialli sono stati tradotti in Italiano, anche se non sono tutti
reperibili con la stessa facilità perché usciti con differenti editori.
Alcune edizioni italiane di romanzi della Tey. A volte, lo stesso libro è uscito con titoli diversi presso diversi editori
Il libro che è considerato il suo
capolavoro assoluto, che oggi si può leggere in edizione Sellerio, è
“La figlia del tempo” (titolo tratto da un antico proverbio
inglese: “La verità è figlia del tempo”), un giallo molto
atipico, un giallo storico concepito però non come un classico
romanzo storico ma come un romanzo in cui si svolge, alla metà del
XX secolo, un'indagine su un fatto storico del XV secolo. Non un
fatto storico qualunque ma uno dei più importanti misteri lasciati
in eredità all'Inghilterra dalle oscure trame dei suoi secoli
passati: la scomparsa dei principini dalla Torre di Londra,
ufficialmente tra la primavera e l'estate del 1483, mentre erano
sotto la custodia dello zio paterno, il principe Riccardo di
Glouchester, appena salito al trono con il nome di Riccardo III.
In pratica, l'ispettore Grant, mentre
si trova ricoverato in ospedale per la frattura di una gamba dopo un
incidente subito durante l'inseguimento di un malvivente, ammazza il
tempo dedicandosi soprattutto alla lettura di libri di Storia, una
materia che lo affascina molto. Trovandosi davanti alla figura del
principe reietto Riccardo III, che un'intera e compatta tradizione
vuole assassino dei suoi nipoti allo scopo di occupare il loro posto
nella successione al trono, Grant scopre improvvisamente di avere dei
grossi dubbi sul fatto che le cose siano andate esattamente come gli
è stato sempre insegnato a scuola e come è sempre stato mostrato
dalle più svariate fonti, a partire da Shakespeare. E la prima cosa
che scopre è che Shakespeare (così come Thomas More che lo ispirò)
sostiene una cosa falsa, ossia che Riccardo fosse nano, gobbo e
storpio (uno scheletro rinvenuto nel 2012 a Leicester, dove Riccardo
fu sepolto dopo essere stato ucciso durante la battaglia di Bosworth
nel 1485, e successivamente identificato come quello del re, mostra
che al massimo soffriva di una certa scoliosi). Successivamente,
Grant si rende conto che tutti i documenti originali che trattano
della figura di Riccardo sono posteriori di diversi anni alla sua
scomparsa e che i primi tra questi, che hanno rappresentato la base
di quelli successivi, sono tutti opera di fedelissimi cortigiani di
Enrico VII Tudor, il vincitore di Bosworth e successore di Riccardo
sul trono inglese. Ricontrollando con occhio da poliziotto i
possibili moventi che potevano indurre a eliminare i principini, poi,
appaiono più realistici quelli di Enrico piuttosto che quelli di
Riccardo. Con l'aiuto di un amico storico, Grant ricostruirà una
versione alternativa a quella che normalmente viene raccontata,
affrontando anche, con considerazioni tutt'altro che banali, il tema
di quanto sia facile manipolare la Storia passata per chi detiene il
potere o calunniare le persone morte che non possono più difendersi.
Lo stile della Tey non è mai serioso o
verboso, anzi la lettura di tutti i suoi libri viene agevolata dal
suo umorismo raffinato e gentile, come si confà a una scrittrice
colta senza essere pedante e sicura del proprio talento narrativo.
Le edizioni italiane di La figlia del tempo
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