mercoledì 22 agosto 2018

René Fregni, il marsigliese minore


Il noir francese, in tutte le sue declinazioni cinematografiche e letterarie, ha sempre avuto un discreto successo di pubblico a livello nazionale e internazionale, anche grazie al coinvolgimento, tra gli autori, di veri ex delinquenti che potevano sfruttare la loro diretta conoscenza della realtà criminale nella descrizione di situazioni e personaggi: ad esempio, Henri Charrière (l'autore di Papillon) o Auguste Le Breton (l'autore di Rififi) o, marginalmente (non aveva precedenti penali ma era uscito dallo stesso ambiente), Albert Simonin (l'autore di Touchez pas le Grisbi), anche se l'elenco sarebbe lungo.
Henri Charrière (1906-73)

Auguste Le Breton (1913-99)

Albert Simonin (1905-80)

Ci sono stati poi autori che si sono trovati solo casualmente a vivere l'esperienza della prigione, soprattutto durante l'occupazione tedesca nella Seconda Guerra Mondiale, come André Héléna o Jean Amila, e questo vissuto ha sicuramente avuto un ruolo importante nella genesi delle loro opere.
André Héléna (1919-72)

Jean Amila (1910-95)

Si potrebbe considerare appartenente alla categoria anche una scrittrice di maggiori orizzonti quale Albertine Sarrazin, il cui libro d'esordio (e maggiore successo), L'astragale, può essere letto come un singolare noir autobiografico che ha al centro la storia di una ragazza che scappa da un riformatorio (in cui è stata chiusa per volontà della famiglia in quanto ribelle e senza aver commesso il minimo illecito) e si nasconde per alcuni mesi grazie all'appoggio di alcuni delinquenti comuni, soprattutto contrabbandieri.
Albertine Sarrazin (1937-67) con il marito Julien, ladro e contrabbandiere che ha trascorso complessivamente 18 anni in carcere (lei 8, pur avendo commesso solo reati minori)
Il capolavoro della Sarrazin e la sua prima traduzione in Italiano, risalente al 1966

Questo tipo di noir è essenzialmente urbano nelle sue ambientazioni (a differenza dei romanzi noir di Simenon e di altri autori come Alain Demouzon, che sfruttano soprattutto le location della provincia) e per lo più suddiviso tra Parigi e Marsiglia. I marsigliesi, che rappresentano numericamente la frazione più importante, rendono i loro testi più originali e coloriti ricorrendo a piene mani all'uso dell'argot, ossia del gergo specifico della malavita, quasi un linguaggio a parte, elaborato con straordinaria creatività da generazioni di uomini poco istruiti ma senza dubbio intelligenti, delle più svariate origini etniche.
Durante gli anni '60, però, probabilmente proprio per via del grande successo internazionale di libri e film, che porta a un appiattimento nella produzione generale, il genere tende a diventare monotono e ripetitivo, sempre meno appetibile per editori e lettori.
È a questo punto che si inserisce la figura di un altro marsigliese, Jean-Patrick Manchette, un autore della nuova generazione che ha partecipato al '68 e ne condivide la carica contestataria e rivoluzionaria. Per Manchette, il noir è soprattutto un modo di descrivere polemicamente la società, senza indulgere a nostalgia e autocompiacimento. I suoi libri hanno successo e finiscono per fondare una scuola di autori marsigliesi che appaiono contigui alla malavita spicciola sia per le tematiche trattate sia per l'abitudine di rapportarsi ad essa in vari modi, prevalentemente leciti ma talvolta anche illeciti. Il più autorevole rappresentante di questa scuola sarà Jean-Claude Izzo, oggi considerato un vero maestro.
Jean-Patrick Manchette (1942-95)
Jean-Claude Izzo (1945-2000)

Dall'esempio di Izzo, vengono fuori alcuni autori minori ma di discreto successo e abbastanza ben considerati dalla critica. Un esempio di essi è René Fregni.
Fregni è nato l'8 luglio 1947, ovviamente a Marsiglia, da famiglia operaia. Non conclude gli studi e va a lavorare come cameriere in Turchia. Per questo, non è presente quando gli arriva la cartolina precetto e, presentatosi in ritardo al servizio militare, viene condannato a 6 mesi come renitente alla leva. Riesce a evadere ma, ripreso, si becca una condanna a 5 anni. In carcere, avendo come compagno di cella un laureato in Filosofia con cui fa amicizia, comincia a dedicarsi alla lettura su consiglio di questo e prende ad amare Camus e Giono, ma anche i grandi classici come Dostoevskij. Rilasciato, lavora per 10 anni come infermiere in un ospedale psichiatrico, continuando a leggere e cominciando a scrivere, a partire da un diario delle sue esperienze. Poi tenta la strada del romanzo. Il primo, Les chemins noir, vince il Prix Eugène-Dabit du roman populiste, un riconoscimento che si assegna dal 1931 alla migliore opera francese tra quelle che trattano della vita di gente comune.
Dal 1990, insegna scrittura creativa ai detenuti del carcere marsigliese di Baumettes. Nel 2004 è finito di nuovo nei guai per degli ipotetici illeciti compiuti nella gestione di un ristorante con un amico ma, dopo un'odissea giudiziaria durata 10 anni, nel 2014 è stato prosciolto da tutte le accuse.
In Italiano, sono stati tradotti 4 dei suoi libri, tutti da Meridiano Zero. Queste opere mostrano come la sua produzione, sempre molto legata alla città di Marsiglia e con al centro sempre delle figure ai margini della società (anche quando sembrano vivere esistenze relativamente stabili economicamente, patiscono molto la solitudine e l'abbandono da parte di qualche importante legame affettivo), sia abbastanza disuguale qualitativamente.
René Fregni

La città dell'oblio (in originale Où se perdent les hommes, 1996) ha quali protagonisti uno scrittore che tiene dei corsi a dei detenuti di Baumettes e un taciturno uxoricida che dipinge continuamente ritratti di una donna bellissima. Sospettando che l'uomo sia innocente del delitto e temendo che possa uccidersi per la sofferenza interiore che nasconde, lo scrittore lo fa evadere con un piano geniale. Tuttavia, appena riconquistata la libertà, la follia dell'uomo, che aveva effettivamente ucciso lui la moglie, esplode con una serie di comportamenti inspiegabili che costringono lo scrittore a seguirlo per controllarlo. L'uomo però prende a odiare il suo benefattore ed è anche colto da una gelosia paranoica nei suoi riguardi, perché convinto (a ragione) che questo sia segretamente innamorato della moglie uccisa, e tenta di uccidere anche lui. Nella colluttazione, però, è lo scrittore a ucciderlo. Ovviamente, lo scrittore stesso finisce in galera e sperimenta la stessa alienazione dell'uomo.


Estate (in originale L'été, 2000) è dedicato invece alle vicende di un piccolo ristoratore che si innamora di una donna affascinante che prima va a prendere il sole sugli scogli davanti al suo locale e poi diventa sua cliente. In seguito diventa anche sua amante ma gli dice che non può stare con lui perché è già impegnata in un rapporto con un artista geniale e violento che le mette continuamente le mani addosso, e lei ha paura di lasciarlo. Piano piano, lui la convince a fuggire insieme. Ma, quando va a prenderla, viene sorpreso dall'altro e, per difendersi da lui, lo uccide. Riesce a far sparire il corpo, anche perché l'uomo era un emarginato e nessuno lo cerca, ma il suo rapporto con la donna si disintegra subito dopo. Lei non subiva alcun maltrattamento dall'artista e cercava solo il modo di eliminarlo perché i suoi quadri ricevessero più alte valutazioni, arricchendo lei che li custodisce, e ha solo usato il ristoratore per il suo piano.


Questi due romanzi hanno un eccellente ritmo, aiutato da un sapiente uso della prima persona, e si fanno leggere volentieri.
Con il terzo, il livello si abbassa. Nero Marsiglia (in originale On ne s'endort jamais seul, 2002) narra del rapimento di una bambina da parte di una coppia di pervertiti e della disperata indagine del padre, aiutato da un boss della malavita locale, per ritrovarla. Si tratta di un romanzo decisamente troppo ambizioso e confuso, in cui l'autore mette troppa carne al fuoco e, alla fine, sembra incapace di venirsene fuori. Infatti, l'ultima parte è quasi totalmente sconnessa dal resto.


Sempre dello stesso genere, ma scritto decisamente meglio, è Lettera ai miei assassini (in originale Lettre à mes tueurs, 2004), in cui uno scrittore è coinvolto suo malgrado nella fuga di un suo amico d'infanzia divenuto malavitoso e nella sparizione di un misterioso dischetto, per cui è costretto a fuggire all'estero e a cambiare identità, salvandosi solo grazie all'aiuto di un piccolo boss. Anche in questo caso, però, si ha l'impressione che Fregni vada oltre le sue possibilità, finendo per cadere nell'inverosimile pur di tenere in piedi una storia che si regge un po' a fatica.


Sarà forse per questo che, benché sia ancora in piena attività e nel 2017 abbia raggiunto la quota di 15 romanzi, successivamente al 2006, in Italia non è stato più tradotto, malgrado i suoi libri avessero ottenuto un successo più che discreto.

venerdì 3 agosto 2018

"L'impronta nella neve": un grande del noir (Bruno Fischer) racconta un delitto vero


In una mattinata invernale come tante, poco prima del Natale 1944, l'insignificante cittadina provinciale di Marvin Center (il nome della località, nel racconto, è stato cambiato), a circa 50 km da New York, viene svegliata dalla notizia di un terribile delitto commesso tra i suoi residenti.
Durante la notte, la giovane Vivian Lahey, una cantante che si esibisce spesso in piccole emittenti radiofoniche e più raramente per conto di canali più importanti, è stata uccisa, da qualcuno che le ha spaccato la testa colpendola con una bottiglia del latte vuota, mentre rientrava a casa. Il colpo è stato così violento da mandare la robusta bottiglia di vetro in frantumi e l'ha uccisa praticamente all'istante.
Vivian Lahey, una ragazza nubile e attraente sotto i 30 anni, che va e viene da New York in treno per registrare le trasmissioni, è una persona abbastanza chiacchierata nell'ambito della annoiata comunità locale, anche perché della sua vita privata si sa poco. Opinione comune, però, è che abbia una relazione con un ricco commerciante, sposato.
La polizia locale di Marvin Center conta appena 5 effettivi, comandati dallo sceriffo Edward Herrick. Questo, svegliato all'alba dall'agente Michael Rossi che stava finendo il turno di notte alla stazione di polizia, si reca immediatamente sul luogo del delitto, il cortile di una piccola casa nella zona semicentrale di Marvin Center, in cui Vivian abitava, ospite della sorella maggiore Rose e del marito di questa, George Engleberry, tipografo.
A occuparsi dei rilievi del caso è il sergente Sperling, il vice di Herrick, un ragazzo che è uscito dall'Accademia di Polizia di New York ed è entusiasta del lavoro che fa, nonché molto preparato. Ne sa abbastanza di polizia scientifica da preoccuparsi di isolare la scena del crimine impedendo il passaggio di curiosi e poi si dedica pazientemente all'identificazione di tutte le numerose impronte rinvenute intorno al cadavere, nella neve che è caduta copiosa nei giorni precedenti.
Il corpo si trova vicino alla porta del retro, tra la casa e il garage, perché la donna qualche tempo prima aveva smarrito le chiavi della porta d'ingresso principale, e non è visibile dalla strada.
A rinvenirlo per primo è stato il lattaio, Will Hitch, quando è passato di lì per la solita consegna quotidiana. Hitch ha avuto il buon senso di toccare il cadavere il meno possibile, giusto quanto occorreva per accertarsi che la donna fosse veramente morta.
Tutto fa pensare che si tratti di un delitto d'impeto, non premeditato.
Herrick interroga la sorella e il cognato di Vivian, che appaiono prevedibilmente sconvolti, e apprende da essi che la donna, la sera prima, ha inizialmente dichiarato di non voler uscire, parlando al telefono con il suo agente, poi però ha ricevuto un'altra telefonata che l'ha convinta a uscire. Infatti, il suo agente, arrivato in auto da New York per incontrarla, non l'ha trovata in casa, l'ha aspettata inutilmente per un paio d'ore e infine se n'è andato via piuttosto infuriato con lei. La situazione tra i due non era delle migliori, perché lei lo reputava un incapace e voleva lasciarlo.
I due dichiarano poi di non sapere nulla della vita privata di Vivian, che secondo loro poteva coltivare qualche relazione a New York, visto che spesso restava a dormire lì.
I rilevamenti di Sperling, intanto, portano a un piccolo ma significativo risultato. Vicino al cadevere c'è, ben visibile, un'impronta lasciata dalla scarpa di qualcuno che è passato di lì subito dopo il delitto, perché reca evidenti tracce del sangue della vittima. Si tratta anche di un'impronta particolare, perché si vede nettamente la separazione tra suola e tacco, quindi è stata lasciata da una scarpa. Mentre, per via di tutta la neve caduta negli ultimi giorni, quasi tutti calzano galosce o soprascarpe.
Sperling, pazientemente, ricorrendo alla sua perizia e al suo kit di polizia scientifica, in capo a poche ore ricava un calco di quell'impronta.
Un altro poliziotto, l'agente Byron, è andato in giro a interrogare tutti i vicini ed ha appreso un altro dettaglio: la signora Anderson, la cui camera da letto affaccia proprio sul vialetto d'ingresso al cortile degli Engleberry, verso mezzanotte, ha sentito un uomo e una donna litigare insistentemente in strada, anche se non ne ha identificato le voci.
Le voci del paese indicavano il commerciante di abbigliamento John Shanken come il più probabile amante di Vivian. Herrick si reca a interogarlo nel suo negozio. Shanken inizialmente nega la relazione ma poi, chiedendo che la notizia non sia resa pubblica, la ammette. E ammette anche di essere l'autore della telefonata che ha indotto Vivian a uscire dopo che aveva deciso di restare a casa. Si è recato a prenderla e poi sono rimasti in macchina a parlare. Il motivo? Vivian voleva troncare la loro relazione, rifiutava di incontrarlo da settimane, e lui non si dava pace per questo, voleva convincerla a ripensarci. Ma non l'ha uccisa, così afferma. Verso mezzanotte l'ha riportata a casa e l'ha lasciata lì nel vialetto.
Gli indizi contro Shanken sono pochi e Herrick decide che, per il momento, non vale la pena di fermarlo. Il procuratore distrettuale Simms è d'accordo con lui e propone di insistere sull'unica vera prova che hanno, il calco dell'impronta preso da Sperling. Ne faranno due copie, una per verificare Shanken e l'altra per verificare l'agente di Vivian, Dwight Braun. Stanno già per mandare l'agente Rossi a New york, quando Braun si presenta alla stazione di polizia, dicendo che gli agenti di New York sono già stati a interrogarlo e vuole mettere subito in chiaro come stanno le cose.
Mentre dichiara che la sera prima, uscendo da casa Engleberry, non ha incontrato Vivian, Sperling confronta le sue scarpe con il calco. Il risultato scagiona Braun, il cui piede è molto più piccolo di quello che ha lasciato l'impronta.
Lo stesso risultato si ha confrontando l'impronta con le scarpe di Shanken. Appare evidente come nessuno dei due sia l'uomo che ha camminato accanto al cadavere di Vivian mentre il sangue era ancora fluido.
Herrick non sa più che pesci pigliare, ma gli viene in mente che c'è un altro confronto possibile, che non è stato ancora fatto. Ordina a Sperling di prendere il calco e di seguirlo a casa Engleberry. Qui c'è solo la signora, che sembra ancora più sconvolta della mattina e, da allora, non si è ancora vestita. La donna dice che il marito è al lavoro ma mette a disposizione dei poliziotti un paio di scarponi del marito, la cui misura, benché grande, appare comparabile con quella dell'impronta. I due poliziotti decidono di andare a confrontarsi con l'uomo sul suo posto di lavoro ma, quando vi arrivano, scoprono che è appena andato via.
Tornano a casa sua e sono accolti dalla moglie, la quale dice che George è in seminterrato e sta aggiustando la caldaia che ha un problema. Herrick lo chiama e, quando l'uomo si presenta, nota che calza un paio di scarpe vecchie e consumate. Sperling si precipita di sotto e riesce a estrarre dalla caldaia i resti di un altro paio di scarpe, molto più nuove, che Engleberry stava bruciando.
Di fronte a una tale evidenza, Engleberry crolla e confessa. Vivian l'ha uccisa lui. Perché? Perché lei lo ha sempre rifiutato. Anni prima la corteggiava ma lei non volle saperne. Allora lui ha sposato la sorella, non immaginando che presto si sarebbe trovato a vivere sotto lo stesso tetto. Ossessionato dal pensiero di lei, non tollerava che se la facesse con un uomo ricco ma privo di carattere come Shanken, oltretutto pure sposato e con figli. A un certo punto aveva pensato che la relazione con Shanken fosse finita, perché i due non si vedevano più. Ma, trovandosi di nuovo davanti la macchina di Shanken, quella notte, la gelosia era esplosa. Tanto più dopo che, ai suoi insulti, Vivian aveva reagito ancora più furiosamente. A quel punto, aveva perso la testa e l'aveva colpita con il primo oggetto a portata di mano.
Ironia della sorte, senza la confessione di Engleberry, il processo finirebbe in un vicolo cieco. Le scarpe bruciate sono pressoché iriconoscibili. Invece, nonostante il tentativo della difesa di appellarsi alla momentanea infermità mentale, sei settimane dopo il delitto, il 29 gennaio 1945, la giuria riconosce Engleberry colpevole di omicidio di primo grado, senza aggravanti, e il giudice lo condanna a 20 anni di reclusione.

Quanto abbiamo appena riassunto è la cronaca di un delitto vero, che si può leggere in un volume della Anabasi intitolato L'età d'oro del crimine, in cui sono raccolte 21 cronache giornalistiche di nera redatte da altrettanti importanti scrittori di noir che si sono dedicati, in qualche momento della loro attività, anche al giornalismo. C'è quasi tutto il Gotha del noir americano: Hammett, Gardner, Thompson, Keene e altri. Questo pezzo, intitolato L'impronta nella neve, è firmato da Bruno Fischer.
Fischer, come tradisce anche il nome, è un autore di origine tedesca, anzi proprio tedesco di nascita, venuto al mondo a Berlino il 29 giugno 1908 ed emigrato con la famiglia negli Usa da bambino (1913). Dopo studi sociologici, intraprende la carriera di giornalista, cominciando come cronista sportivo per il Long Island Daily Press e poi scrivendo soprattutto su periodici del Partito Socialista, come Labour Voice e Socialist Call. Nel 1938 è anche candidato al Senato con il Partito Socialista per un seggio dello Stato di New York, ovviamente non eletto.
Bruno Fischer

Sposato sin dal 1934, per mantenere la famiglia, il reddito di giornalista non gli basta, allora comincia a scrivere racconti noir per le pulp magazines. La sua prima storia, un horror intitolato The cat woman, esce su Dime mystery nel dicembre del 1936. Il suo talento lo rende presto un autore di punta del genere: i suoi racconti, firmati talvolta con lo pseudonimo Russell Gray, sono centinaia e non sono ancora stati del tutto censiti.
Nel 1939 pubblica il suo primo romanzo, So much blood, e da allora diventa rapidamente uno dei romanzieri più frequentemente ospitati nella collezione di tascabili della Dell, prima di passare alla Gold Medal, anche se scrive pure per altri editori. Quasi tutti i suoi romanzi non hanno personaggi fissi, se si esclude il ciclo del detective Ben Helm, che si muove soprattutto tra gli ambienti intellettuali. Diminuisce il numero dei racconti, che peraltro continuano a essere pubblicati su tutte le riviste disponibili, specie Manhunt. Partecipa alla fondazione della Mystery Writers of America e, dagli anni '60, dirada la sua produzione narrativa, precedentemente intensissima, per lavorare come direttore editoriale e come editor presso la Collier Books e altri editori. Il suo ultimo romanzo, The evil days, esce nel 1973.

Due edizioni d'epoca del primo romanzo





Altre edizioni d'annata di Fischer

In vecchiaia, vive tra una comunità cooperativa di ispirazione socialista (Comunità delle Tre Frecce) nella contea di Putnam, vicino New York, e la città messicana di San Miguel de Allende. Nonostante soffra di notevoli problemi di vista, in Messico, tiene corsi all'Università della Terza Età. Muore improvvisamente di infarto a San Miguel il 16 marzo 1992.
In Italia, Fischer è stato tradotto sin dal 1949 (La valigia di cinghiale), sia nei Gialli Mondadori sia in altre collane di Garzanti, Longanesi, Ponzoni, ecc. Anche se non sono stati tradotti tutti i suoi romanzi, chi si mettesse a cercarli su bancarelle e siti specializzati in libri vintage ne troverebbe ben 25. Tra i migliori, vanno segnalati almeno A mani nude, Dietro il sipario, Omicidio su misura, Una tomba piena di soldi e Belle da morirne, usciti nel Giallo Mondadori, e La donna del motel, uscito nei Gialli Garzanti. Ma tutta la sua produzione è sempre di buon livello. Molti suoi racconti possono essere invece letti nelle antologie di Giallo Selezione, edizione italiana di Manhunt.




Alcuni romanzi di Fischer usciti in Italiano

L'originale e la traduzione italiana dell'ultimo



Manhunt e la sua versione italiana, Giallo Selezione

Apprezzato dai critici come Anthony Boucher (che ne lodava la capacità di comprendere le relazioni umane, quella di descrivere circostanze violente senza alcun campiacimento e quella di mettere in scena persone comuni in situazioni straordinarie), nel corso della sua carriera, Fischer è stato tradotto in almeno 12 lingue e ha venduto oltre 10 milioni di copie.
Un Fischer tradotto in portoghese per il mercato brasiliano