venerdì 3 agosto 2018

"L'impronta nella neve": un grande del noir (Bruno Fischer) racconta un delitto vero


In una mattinata invernale come tante, poco prima del Natale 1944, l'insignificante cittadina provinciale di Marvin Center (il nome della località, nel racconto, è stato cambiato), a circa 50 km da New York, viene svegliata dalla notizia di un terribile delitto commesso tra i suoi residenti.
Durante la notte, la giovane Vivian Lahey, una cantante che si esibisce spesso in piccole emittenti radiofoniche e più raramente per conto di canali più importanti, è stata uccisa, da qualcuno che le ha spaccato la testa colpendola con una bottiglia del latte vuota, mentre rientrava a casa. Il colpo è stato così violento da mandare la robusta bottiglia di vetro in frantumi e l'ha uccisa praticamente all'istante.
Vivian Lahey, una ragazza nubile e attraente sotto i 30 anni, che va e viene da New York in treno per registrare le trasmissioni, è una persona abbastanza chiacchierata nell'ambito della annoiata comunità locale, anche perché della sua vita privata si sa poco. Opinione comune, però, è che abbia una relazione con un ricco commerciante, sposato.
La polizia locale di Marvin Center conta appena 5 effettivi, comandati dallo sceriffo Edward Herrick. Questo, svegliato all'alba dall'agente Michael Rossi che stava finendo il turno di notte alla stazione di polizia, si reca immediatamente sul luogo del delitto, il cortile di una piccola casa nella zona semicentrale di Marvin Center, in cui Vivian abitava, ospite della sorella maggiore Rose e del marito di questa, George Engleberry, tipografo.
A occuparsi dei rilievi del caso è il sergente Sperling, il vice di Herrick, un ragazzo che è uscito dall'Accademia di Polizia di New York ed è entusiasta del lavoro che fa, nonché molto preparato. Ne sa abbastanza di polizia scientifica da preoccuparsi di isolare la scena del crimine impedendo il passaggio di curiosi e poi si dedica pazientemente all'identificazione di tutte le numerose impronte rinvenute intorno al cadavere, nella neve che è caduta copiosa nei giorni precedenti.
Il corpo si trova vicino alla porta del retro, tra la casa e il garage, perché la donna qualche tempo prima aveva smarrito le chiavi della porta d'ingresso principale, e non è visibile dalla strada.
A rinvenirlo per primo è stato il lattaio, Will Hitch, quando è passato di lì per la solita consegna quotidiana. Hitch ha avuto il buon senso di toccare il cadavere il meno possibile, giusto quanto occorreva per accertarsi che la donna fosse veramente morta.
Tutto fa pensare che si tratti di un delitto d'impeto, non premeditato.
Herrick interroga la sorella e il cognato di Vivian, che appaiono prevedibilmente sconvolti, e apprende da essi che la donna, la sera prima, ha inizialmente dichiarato di non voler uscire, parlando al telefono con il suo agente, poi però ha ricevuto un'altra telefonata che l'ha convinta a uscire. Infatti, il suo agente, arrivato in auto da New York per incontrarla, non l'ha trovata in casa, l'ha aspettata inutilmente per un paio d'ore e infine se n'è andato via piuttosto infuriato con lei. La situazione tra i due non era delle migliori, perché lei lo reputava un incapace e voleva lasciarlo.
I due dichiarano poi di non sapere nulla della vita privata di Vivian, che secondo loro poteva coltivare qualche relazione a New York, visto che spesso restava a dormire lì.
I rilevamenti di Sperling, intanto, portano a un piccolo ma significativo risultato. Vicino al cadevere c'è, ben visibile, un'impronta lasciata dalla scarpa di qualcuno che è passato di lì subito dopo il delitto, perché reca evidenti tracce del sangue della vittima. Si tratta anche di un'impronta particolare, perché si vede nettamente la separazione tra suola e tacco, quindi è stata lasciata da una scarpa. Mentre, per via di tutta la neve caduta negli ultimi giorni, quasi tutti calzano galosce o soprascarpe.
Sperling, pazientemente, ricorrendo alla sua perizia e al suo kit di polizia scientifica, in capo a poche ore ricava un calco di quell'impronta.
Un altro poliziotto, l'agente Byron, è andato in giro a interrogare tutti i vicini ed ha appreso un altro dettaglio: la signora Anderson, la cui camera da letto affaccia proprio sul vialetto d'ingresso al cortile degli Engleberry, verso mezzanotte, ha sentito un uomo e una donna litigare insistentemente in strada, anche se non ne ha identificato le voci.
Le voci del paese indicavano il commerciante di abbigliamento John Shanken come il più probabile amante di Vivian. Herrick si reca a interogarlo nel suo negozio. Shanken inizialmente nega la relazione ma poi, chiedendo che la notizia non sia resa pubblica, la ammette. E ammette anche di essere l'autore della telefonata che ha indotto Vivian a uscire dopo che aveva deciso di restare a casa. Si è recato a prenderla e poi sono rimasti in macchina a parlare. Il motivo? Vivian voleva troncare la loro relazione, rifiutava di incontrarlo da settimane, e lui non si dava pace per questo, voleva convincerla a ripensarci. Ma non l'ha uccisa, così afferma. Verso mezzanotte l'ha riportata a casa e l'ha lasciata lì nel vialetto.
Gli indizi contro Shanken sono pochi e Herrick decide che, per il momento, non vale la pena di fermarlo. Il procuratore distrettuale Simms è d'accordo con lui e propone di insistere sull'unica vera prova che hanno, il calco dell'impronta preso da Sperling. Ne faranno due copie, una per verificare Shanken e l'altra per verificare l'agente di Vivian, Dwight Braun. Stanno già per mandare l'agente Rossi a New york, quando Braun si presenta alla stazione di polizia, dicendo che gli agenti di New York sono già stati a interrogarlo e vuole mettere subito in chiaro come stanno le cose.
Mentre dichiara che la sera prima, uscendo da casa Engleberry, non ha incontrato Vivian, Sperling confronta le sue scarpe con il calco. Il risultato scagiona Braun, il cui piede è molto più piccolo di quello che ha lasciato l'impronta.
Lo stesso risultato si ha confrontando l'impronta con le scarpe di Shanken. Appare evidente come nessuno dei due sia l'uomo che ha camminato accanto al cadavere di Vivian mentre il sangue era ancora fluido.
Herrick non sa più che pesci pigliare, ma gli viene in mente che c'è un altro confronto possibile, che non è stato ancora fatto. Ordina a Sperling di prendere il calco e di seguirlo a casa Engleberry. Qui c'è solo la signora, che sembra ancora più sconvolta della mattina e, da allora, non si è ancora vestita. La donna dice che il marito è al lavoro ma mette a disposizione dei poliziotti un paio di scarponi del marito, la cui misura, benché grande, appare comparabile con quella dell'impronta. I due poliziotti decidono di andare a confrontarsi con l'uomo sul suo posto di lavoro ma, quando vi arrivano, scoprono che è appena andato via.
Tornano a casa sua e sono accolti dalla moglie, la quale dice che George è in seminterrato e sta aggiustando la caldaia che ha un problema. Herrick lo chiama e, quando l'uomo si presenta, nota che calza un paio di scarpe vecchie e consumate. Sperling si precipita di sotto e riesce a estrarre dalla caldaia i resti di un altro paio di scarpe, molto più nuove, che Engleberry stava bruciando.
Di fronte a una tale evidenza, Engleberry crolla e confessa. Vivian l'ha uccisa lui. Perché? Perché lei lo ha sempre rifiutato. Anni prima la corteggiava ma lei non volle saperne. Allora lui ha sposato la sorella, non immaginando che presto si sarebbe trovato a vivere sotto lo stesso tetto. Ossessionato dal pensiero di lei, non tollerava che se la facesse con un uomo ricco ma privo di carattere come Shanken, oltretutto pure sposato e con figli. A un certo punto aveva pensato che la relazione con Shanken fosse finita, perché i due non si vedevano più. Ma, trovandosi di nuovo davanti la macchina di Shanken, quella notte, la gelosia era esplosa. Tanto più dopo che, ai suoi insulti, Vivian aveva reagito ancora più furiosamente. A quel punto, aveva perso la testa e l'aveva colpita con il primo oggetto a portata di mano.
Ironia della sorte, senza la confessione di Engleberry, il processo finirebbe in un vicolo cieco. Le scarpe bruciate sono pressoché iriconoscibili. Invece, nonostante il tentativo della difesa di appellarsi alla momentanea infermità mentale, sei settimane dopo il delitto, il 29 gennaio 1945, la giuria riconosce Engleberry colpevole di omicidio di primo grado, senza aggravanti, e il giudice lo condanna a 20 anni di reclusione.

Quanto abbiamo appena riassunto è la cronaca di un delitto vero, che si può leggere in un volume della Anabasi intitolato L'età d'oro del crimine, in cui sono raccolte 21 cronache giornalistiche di nera redatte da altrettanti importanti scrittori di noir che si sono dedicati, in qualche momento della loro attività, anche al giornalismo. C'è quasi tutto il Gotha del noir americano: Hammett, Gardner, Thompson, Keene e altri. Questo pezzo, intitolato L'impronta nella neve, è firmato da Bruno Fischer.
Fischer, come tradisce anche il nome, è un autore di origine tedesca, anzi proprio tedesco di nascita, venuto al mondo a Berlino il 29 giugno 1908 ed emigrato con la famiglia negli Usa da bambino (1913). Dopo studi sociologici, intraprende la carriera di giornalista, cominciando come cronista sportivo per il Long Island Daily Press e poi scrivendo soprattutto su periodici del Partito Socialista, come Labour Voice e Socialist Call. Nel 1938 è anche candidato al Senato con il Partito Socialista per un seggio dello Stato di New York, ovviamente non eletto.
Bruno Fischer

Sposato sin dal 1934, per mantenere la famiglia, il reddito di giornalista non gli basta, allora comincia a scrivere racconti noir per le pulp magazines. La sua prima storia, un horror intitolato The cat woman, esce su Dime mystery nel dicembre del 1936. Il suo talento lo rende presto un autore di punta del genere: i suoi racconti, firmati talvolta con lo pseudonimo Russell Gray, sono centinaia e non sono ancora stati del tutto censiti.
Nel 1939 pubblica il suo primo romanzo, So much blood, e da allora diventa rapidamente uno dei romanzieri più frequentemente ospitati nella collezione di tascabili della Dell, prima di passare alla Gold Medal, anche se scrive pure per altri editori. Quasi tutti i suoi romanzi non hanno personaggi fissi, se si esclude il ciclo del detective Ben Helm, che si muove soprattutto tra gli ambienti intellettuali. Diminuisce il numero dei racconti, che peraltro continuano a essere pubblicati su tutte le riviste disponibili, specie Manhunt. Partecipa alla fondazione della Mystery Writers of America e, dagli anni '60, dirada la sua produzione narrativa, precedentemente intensissima, per lavorare come direttore editoriale e come editor presso la Collier Books e altri editori. Il suo ultimo romanzo, The evil days, esce nel 1973.

Due edizioni d'epoca del primo romanzo





Altre edizioni d'annata di Fischer

In vecchiaia, vive tra una comunità cooperativa di ispirazione socialista (Comunità delle Tre Frecce) nella contea di Putnam, vicino New York, e la città messicana di San Miguel de Allende. Nonostante soffra di notevoli problemi di vista, in Messico, tiene corsi all'Università della Terza Età. Muore improvvisamente di infarto a San Miguel il 16 marzo 1992.
In Italia, Fischer è stato tradotto sin dal 1949 (La valigia di cinghiale), sia nei Gialli Mondadori sia in altre collane di Garzanti, Longanesi, Ponzoni, ecc. Anche se non sono stati tradotti tutti i suoi romanzi, chi si mettesse a cercarli su bancarelle e siti specializzati in libri vintage ne troverebbe ben 25. Tra i migliori, vanno segnalati almeno A mani nude, Dietro il sipario, Omicidio su misura, Una tomba piena di soldi e Belle da morirne, usciti nel Giallo Mondadori, e La donna del motel, uscito nei Gialli Garzanti. Ma tutta la sua produzione è sempre di buon livello. Molti suoi racconti possono essere invece letti nelle antologie di Giallo Selezione, edizione italiana di Manhunt.




Alcuni romanzi di Fischer usciti in Italiano

L'originale e la traduzione italiana dell'ultimo



Manhunt e la sua versione italiana, Giallo Selezione

Apprezzato dai critici come Anthony Boucher (che ne lodava la capacità di comprendere le relazioni umane, quella di descrivere circostanze violente senza alcun campiacimento e quella di mettere in scena persone comuni in situazioni straordinarie), nel corso della sua carriera, Fischer è stato tradotto in almeno 12 lingue e ha venduto oltre 10 milioni di copie.
Un Fischer tradotto in portoghese per il mercato brasiliano




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