domenica 26 aprile 2020

Il Destino di Burton Abbott, la vittima giudicata colpevole


Che la sfortuna possa perseguitare un uomo innocente fino a ucciderlo si mette in conto nella realtà, ma che a essa possa aggiungersi anche la legge diventa un'ipotesi inaccettabile per il buon senso. Eppure questo è accaduto molte volte durante i processi penali, soprattutto nei Paesi come gli Usa, in cui le condanne capitali sono state spesso comminate ed eseguite con una disinvoltura indegna di un Paese civile.
I casi che potrebbero essere citati sono tanti, ma uno dei più celebri è relativo a un processo che alla metà degli anni '50 appassionò tutta l'America durante il suo svolgimento, che peraltro non fu affatto tra i più corretti. I tentativi della difesa di annullarlo per ottenere un nuovo giudizio furono poi frustrati dalla volontà dell'amministrazione di chiudere il caso alla svelta, anche a costo di affrettare i tempi dell'esecuzione al di là di quello che era permesso da leggi e regolamenti.
Ma andiamo per ordine.
Si parte naturalmente da un delitto, un delitto mostruoso ed efferato. La vittima si chiama Stephanie Bryan ed è una studentessa di 14 anni, figlia di un medico di Berkeley, California, che scompare nel pomeriggio del 28 aprile 1955 dopo aver attraversato il parcheggio dell'Hotel Claremont. Il 1° e il 5 maggio arrivano due lettere con richieste di riscatto alla famiglia, poi i rapitori non si fanno più sentire.

Stephanie Bryan

Il 16 luglio 1955, una donna di nome Georgia Abbott, residente ad Alameda, poco distante da Berkeley, contatta la polizia perché, nel seminterrato della casa che divide con il marito, il figlio di 4 anni e la suocera, ha trovato una borsa contenente un documento di identità intestato a Stephanie. La polizia compie un sopralluogo sul posto e scopre altri effetti personali della ragazza, come gli occhiali e il reggiseno. La suocera di Georgia, Elsie Moore, dichiara di aver già visto la borsa nel seminterrato e di non averla aperta, non sospettando nulla.
Viene interrogato anche il marito di Georgia, Burton Abbott, un ventisettenne che studia Contabilità all'Università della California. Quando gli viene chiesto l'alibi per il 28 aprile, Abbott dichiara che si trovava presso un capanno di proprietà della sua famiglia nella campagne di Weaverville, sempe in Califormia ma a oltre 500 km di distanza. Il 20 luglio, mentre il capanno viene ispezionato, uno dei tanti civili che si sono uniti alle ricerche, un venditore di automobili di nome Leroy Myers, richiama l'attenzione del giornalista Edward Montgomery del San Francisco Examiner e del fotografo Bob Bryant su un tumulo di terra smossa qualche centinaio di metri dietro il capanno stesso. Dallo scavo che segue, emerge il corpo già notevolmente decomposto di Stephanie.

Il luogo in cui venne rinvenuto il corpo

Burton Abbott viene arrestato e incriminato con l'accusa di stupro e omicidio.


Burton Abbott durante gli interrogatori

Il processo si tiene a Oakland. Le prove sono solo circostanziali: nulla indica che Burton Abbott abbia direttamente avuto a che fare con la ragazza. Tuttavia, il procuratore distrettuale J. Frank Coakley non rinuncia a nulla pur di ottenere un verdetto di colpevolezza. Descrive, non si sa in base a quali risultanze scientifiche, Abbott come un maniaco sessuale, che avrebbe ucciso Stephanie perché questa si sarebbe difesa durante uno stupro. Ma in realtà lo stato di decomposizione del corpo non ha permesso di accertare né le cause della morte (che si presume avvenuta per strangolamento) né se vi sia stata una violenza sessuale. Né Abbott sembra un tale energumeno dal quale ci si possa aspettare chissà quali violenze: tra l'altro, soffre anche di tubercolosi e ha notevoli problemi respiratori, non avrebbe mai la forza di trascinare e seppellire un cadavere.

J. Frank Coakley (1897-1983)

Coakley porta in aula come prove anche i reperti disponibili, compresi i residui di abiti trovati addosso al corpo quando è stato disseppellito, impregnati di un odore di decomposizione che impressiona tutti. L'avvocato della difesa, Stanley D. Withney, protesterà inutilmente.

I reperti esibiti al processo

La madre di Stephanie al processo, insieme alla testimone che aveva visto la ragazza per ultima

L'opinione pubblica sembra favorevole alla colpevolezza di Abbott e questo orienta la scelta dei giurati: che, dopo 47 giorni di dibattimento e 51 ore di camera di consiglio, lo giudicano colpevole di entrambi i reati, dopodiché il giudice Wade Snook lo condanna alla camera a gas.
Tra ricorsi e appelli, passano 13 mesi dalla condanna.
L'esecuzione avviene in circostanze particolarmente drammatiche, il 15 marzo 1957, a San Quentin. L'orario previsto è le 10 del mattino. Il nuovo legale di Abbott, George T. Davis, un fiero avversario della pena capitale, passa tutta la mattinata a cercare di ottenere un rinvio, perché la data è stata fissata troppo presto (ci sono almeno 2 settimane di anticipo rispetto ai termini di legge) e non tutte le autorità deputate hanno avuto la possibilità di visionare gli incartamenti del processo, per cui non è ancora detto che Abbott non possa ottenerne una revisione. Ma gli uffici giudiziari statali e federali fanno a scaricabarile e l'unico che possa smuovere la situazione è il governatore della California, Goodwin J. Knight. Il quale, però, in quel momento, è in visita ufficiale sulla portaerei Hancock nella Baia di San Francisco. Non riuscendo a raggiungerlo in altri modi, Davis gli lancia un appello tramite un canale televisivo: Knight risponde e concede una sospensione di un'ora. Durante questo tempo, gli appelli di Davis alla Corte Suprema e al Tribunale distrettuale federale vengono respinti. Ma ci sono le condizioni per chiedere un ulteriore rinvio a Knight. Tuttavia, questo è irreperibile. Ha dato a Davis due numeri telefonici assicurando che li avrebbe lasciati liberi, invece Davis li trova a lungo occupati entrambi. Quando finalmente Knight risponde, sono le 11,12 e Burton Abbott sta uscendo dalla cella per raggiungere la camera a gas. La discussione tra Knight e Davis è rapida, ma non abbastanza. Knight concede un nuovo rinvio e chiama il suo segretario, Joseph Babich, perché avvisi la direzione del carcere.

George T. Davis (1908-2006)

Goodwin Knight (1896-1970) con Richard Nixon nel 1958 

Sono le 11,18, quando arriva la telefonata di Babich alla linea diretta del braccio della morte, ma in quel momento le 16 palline che sciogliendosi nell'acido solforico avrebbero liberato il gas letale sono già cadute nel relativo recipiente. Il giornalista George Draper di The Chronicle, uno dei testimoni ufficiali, dirà poi che Abbott aveva inizialmente trattenuto il fiato, ma al primo respiro morì rapidamente.
Subito dopo che Abbott ha reclinato la testa, arriva la telefonata di Babich, e il guardiano Harley Teets gli risponde che ormai è troppo tardi per fermare l'esecuzione.
La moglie di Abbott, Georgia, se ne andò a vivere altrove. Il figlio, Christopher, era troppo piccolo per ricordare i fatti: solo da adulto apprese delle circostanze della morte del padre. Sia i fratelli sia soprattutto la madre di Burton Abbott erano fermamente convinti della sua innocenza e, anche dopo l'esecuzione, cercarono di farla riconoscere, soprattutto la madre, che sarebbe morta all'età di 100 anni nel 2004. Elsie Moore, in particolare, insistette sostenendo che bisognava indagare di più su suo fratello, un camionista di San Leandro di nome Wilbur Moore, che frequentava sia casa loro sia il capanno di Weaverville e che avrebbe avuto ogni possibilità di seminare indizi capaci di incastrare Burton. La Moore dichiarò di avere dei testimoni che il tribunale non aveva ammesso al dibattimento.

Elsie Moore al processo, al centro, con la moglie di Burton, Georgia, in primo piano

Sicuramente, la colpevolezza di Burton Abbott fu tutt'altro che provata. Anzi, sembra certo che fosse innocente e che sia stato incastrato. Ma da chi?
Una teoria alquanto sconvolgente in tal senso arriva da John W. Cameron, un ex poliziotto che dopo la pensione si è messo a fare ricerche sui cold cases. Nel 2014, Cameron scrive un libro in cui sostiene che una enorme quantità di delitti irrisolti o dalla dubbia attribuzione potrebbe essere stata commessa da Edward Wayne Edwards (1933-2011), un istrionico serial killer condannato infine a morte per l'omicidio del figlio adottivo allo scopo di incassare una polizza assicurativa e deceduto per cause naturali in carcere quattro mesi prima dell'esecuzione, ma sicuramente coinvolto in almeno altri 5 delitti.

Il libro di John Cameron


Due immagini, da giovane e da anziano, di Edward Wayne Edwards

Cameron ipotizza perfino che Edwards possa essere responsabile di delitti famosi e atroci, come quello di Elizabeth Short, la Black Dahlia, nel 1947, e quello della piccola JonBenét Ramsey nel 1996. Le sue teorie sono state molto criticate, ma la sua ricostruzione del ruolo di Edwards nel caso Bryan appare abbastanza credibile, anche perché desunta da una serie di informazioni contenute in uno dei libri autobiografici che Edwards scrisse per vantarsi delle sue prodezze, però alterando sistematicamente i nomi delle vittime.

Elizabeth Short (1924-47) in primo piano

JonBenét Ramsey (1990-96)

Secondo Cameron, Edwards, che nel 1955 si trovava nella Califormia meridionale e si faceva passare per il dottor James Garfield Langley, sarebbe riuscito ad attirare la ragazza in trappola promettendole di procurarle per 10 dollari una torta per il compleanno del padre, cui Stephanie intendeva fare una sorpresa, risparmiando la somma ad hoc. Una volta uccisa la ragazza, Edwards avrebbe scelto Abbott quale capro espiatorio perché i due si assomigliavano fisicamente e possedevano un'auto dello stesso tipo, una Chevy del 1949-50. In seguito, Edwards si sarebbe disfatto della sua, vendendola a Minneapolis.
Dopo aver nascosto la borsa e gli altri reperti del delitto nel seminterrato degli Abbott (che, tra il delitto e il ritrovamento degli effetti personali della ragazza, era stato visitato da parecchie persone senza che nessuno vi notasse nulla), il 15 luglio 1955 (quindi il giorno prima del ritrovamento), Edwards avrebbe poi assunto l'identità del venditore di auto Leroy Myers e guidato il giornalista Montgomery e il fotografo Bryant al corpo che lui stesso aveva sepppellito.


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