Con il cambiamento di prospettiva nelle
scuole accademiche di Storia, frutto del naturale ricambio
generazionale, si è finalmente svelato, negli ultimi decenni, il
vero volto della Grande Guerra, precedentemente ammantata di retorica
patriottica fino a far perdere completamente di vista la realtà.
Ormai, anche nelle scuole, si insegna finalmente che i soldati
italiani furono mandati al macello da generali inetti e sanguinari
(Luigi Cadorna in primis) che avevano fatto carriera solo a forza di
raccomandazioni e cortigianerie, in un conflitto che non di solito
(pensiamo ai contadini calabresi della “Catanzaro”) non li
riguardava neanche di striscio, e che i vertici del nostro esercito
si resero responsabili di mostruosità (quali il divieto di inviare
pacchi con generi di conforto da parte delle famiglie ai soldati
prigionieri, per punirli della “viltà” di non essere morti in
combattimento) per le quali il nostro bilancio di perdite umane fu
molto superiore a quello che avrebbe dovuto essere.
Man mano che si procede con la
revisione (che avviene con cura scientifica, confrontando le “verità
ufficiali” con ogni altro riscontro possibile), emergono episodi
sorprendenti o dubbi di ogni genere, riguardanti qualunque categoria
di soggetti impegnati in una guerra. A questa situazione, non fanno
eccezione gli “eroi”, compresi quelli che sono da sempre oggetto
di un veroe proprio culto nazionale.
In particolare, due casi sono stati
ripetutamente affrontati negli ultimi anni, senza che si sia ancora
arrivati a una conclusione definitiva. Come morirono il Generale
degli Alpini Antonio Cantore e l'Eroe dell'Aria Francesco Baracca?
Antonio Cantore
Francesco Baracca
Cantore era un genovese di
Sampierdarena, nato il 4 agosto 1860 e reduce, dopo una lunga
gavetta, dalla campagna di Libia. Era un comandante spericolato e
temerario, che non si limitava a dirigere le operazioni da lontano,
ma faceva in modo da trovarsi sempre in prima linea. Per questo, era
molto apprezzato dai vertici e da alcuni subalterni, ma non amato
dalla truppa, che sottoponeva a continui pericoli ordinando assalti
anche in condizioni impossibili. Non a caso, le sue unità subivano
sempre parecchie perdite, anche se questo passava in secondo piano,
nei bollettini ufficiali, rispetto alla conquista di posizioni che si
raggiungeva. Nel gergo degli alpini, cadere in combattimento, era
indicato con l'espressione “raggiungere il Paradiso di Cantore”:
un'espressione che era nata con finalità retoriche (coniata dal
giornalista Mario Bisi) ma poi aveva assunto un significato ironico.
Cantore, allo scoppio della Grande
Guerra, fu assegnato al fronte dolomitico, uno dei più insidiosi,
quale comandante della II Divisione. Qui, nella zona di Cortina
d'Ampezzo, cominciarono subito dei furiosi scontri per ottenere il
controllo delle Tofane, un gruppo montuoso che permetteva di dominare
l'intera valle sottostante, e in particolare del Castelletto, una
cima che segnava il confine tra la Tofana di Rozes in cui erano
asserragliati gli italiani e il Monte Lagazuoi, ancora in mano
austriaca. Nel Castelletto, gli austriaci si erano ben fortificati
all'interno della roccia e la conquista appariva difficilissima. Nel
luglio del 1915, Cantore elaborò un piano per dare l'attacco a
quella posizione apparentemente inespugnabile: un piano che prevedeva
la risalita dei soldati italiani dalla quota 1300 in cui si trovavano
alla quota 1800 in cui erano gli austriaci, costruendo trincee nella
roccia, sotto il fuoco incessante delle mitragliatrici nemiche. Anche
nella migliore delle ipotesi, tale condotta avrebbe avuto un costo
altissimo in termini di perdite ma Cantore, cui gli altri ufficiali
lo fecero subito notare, se ne infischiava.
Il Castelletto in una immagine d'epoca
La Tofana di Rozes, dove Cantore fu ucciso
Quel piano, però, non fu mai attuato.
La sera del 20 luglio, dopo aver passato la giornata a ispezionare i
reparti, Cantore si recò a compiere una ricognizione in prima linea
e qui, mentre si sporgeva da un punto di osservazione tra le rocce,
fu visto e abbattuto da un cecchino austriaco mentre guardava da un
binocolo. Il suo successore alla guida della II Divisione, Luigi
Nava, già al comando della IV Divisione, mise da parte gli intenti
eroici e preferì assumere una tattica più attendista, facendo
irritare Cadorna, che dopo pochi mesi lo sostituì con Mario Nicolis
di Robilant. Quest'ultimo, pure attento a non rischiare inutilmente
la vita degli uomini, concepì un piano temerario e geniale, quello
di minare alla base il Castelletto e di farlo esplodere direttamente.
Ciò avvenne l'11 luglio 1916, quasi un anno dopo la morte di
Cantore, e permise la conquista della posizione con perdite
relativamente esigue.
Il funerale di Cantore a Cortina
La targa che ricorda Cantore sulla Tofana di Rozes
Monumento a Cantore a Cortina
Ma Cantore morì davvero così o in
qualche altro modo?
Esistono diverse teorie alternative al
riguardo, poco verificabili perché tutte sotto forma di
testimonianza aneddotica. L'unica prova realmente esaminabile è il
berretto che il generale portava nel momento in cui fu colpito, che
ha un foro di proiettile sulla visiera. Le dimensioni di questo foro
hanno provocato una interminabile serie di discussioni tra gli
esperti, perché secondo alcuni è troppo piccolo per corrispondere
al calibro 7,92 mm dei proiettili in dotazione agli austriaci e
secondo altri è troppo grande per corrispondere al calibro 6,5 mm
dei proiettili in dotazione agli italiani.
Il berretto di Cantore
Una ipotesi sostiene che Cantore sia
stato semplicemente vittima del “fuoco amico”: spintosi troppo in
avanti e poco visibile nella luce crepuscolare, sarebbe stato
scambiato per un nemico da un alpino che gli avrebbe sparato per
errore.
Secondo un'altra ipotesi, a uccidere
Cantore sarebbe stato un civile, un cacciatore di Cortina d'Ampezzo.
Questo perché il generale voleva evacuare la città di Cortina per
installarvi il suo quartier generale. Ciò avrebbe comportato
l'inserimento della località negli obiettivi da bombardare e
conquistare da parte degli austriaci e la distruzione di tutte le sue
strutture turistiche, allora già ben note, che tenevano in piedi
l'economia dell'area. Per evitarlo, i civili avrebbero deciso di
uccidere il generale.
Una terza ipotesi è quella per cui
Cantore, nel pomeriggio del 20 luglio, avrebbe ordinato ad alcuni
ufficiali di prepararsi a partire all'alba del giorno seguente per
una vera e propria missione kamikaze ai piedi del Castelletto e che,
davanti alle loro resistenze, li abbia minacciati di deferimento alla
Corte Marziale. Le sue escandescenze avrebbero fatto perdere la
pazienza a uno degli ufficiali, che avrebbe estratto la pistola e gli
avrebbe sparato.
La verità è praticamente impossibile
da accertare.
Per quanto concerne Baracca, questi era
un ex ufficiale di cavalleria, nato a Lugo di Romagna il 9 maggio
1888, avviato alla carriera militare dopo buoni studi tecnici. Nel
1912 aveva chiesto e ottenuto il passaggio alla neonata Aeronautica
militare, cui erano seguiti due periodi di addestramento in Francia
(il Paese dal quale l'Italia acquistava gli aerei militari), in cui
si era dimostrato un abile pilota acrobatico. Nel 1915 era stato
inviato al fronte, come pilota da ricognizione, anche se presto aveva
dimostrato la sua predisposizione alla caccia.
Volando su un Nieuport 11, il 7 aprile
1916 conseguì quella che è la prima vittoria aerea italiana,
costringendo un ricognitore austriaco Hansa Brandenburg ad atterrare
dietro le linee italiane, dopo averlo danneggiato.
Baracca accanto al suo SPAD S XIII
Continuò ad abbattere aerei nemici
fino al 15 giugno 1918, quando colpì un caccia Albatros D III, la
sua trentaquattresima e ultima vittoria aerea. A quel tempo, volava
su uno SPAD S XIII, pure di fabbricazione francese, un mezzo molto
più moderno del Nieuport su cui aveva iniziato.
La sera di quattro giorni dopo, il 19
giugno, dopo aver già volato tre volte ed essere rientrato con
l'aereo danneggiato, per cui fu costretto a sostituirlo con un
velivolo di riserva (uno SPAD S VII), dovette ripartire con la sola
scorta del tenente Franco Osnago, un novellino, per mitragliare le
truppe austriache che stavano avanzando nel corso di quella che
sarebbe stata la loro ultima offensiva (quella che D'Annunzio chiamò
“la battaglia del Solstizio”). Mentre passava radente sui reparti
nemici a Colle Val d'Acqua, sul Montello, Baracca fu colpito e cadde
al suolo. Il 23 giugno, il suo corpo e i resti del suo aereo furono
ritrovati dallo stesso Franco Osnago, cui era giunta una segnalazione
da alcuni fanti che operavano nella zona. L'aereo si era come infisso
al suolo nell'impatto ed era solo parzialmente bruciato. Baracca
presentava alcune ustioni e una ferita al volto, all'altezza
dell'occhio destro.
L'abbattimento di Baracca fu
rivendicato dall'equipaggio di un ricognitore austriaco C I, composto
dal pilota Max Kauer e dall'osservatore-mitragliere Arnold Barwig. La
loro testimonianza è suffragata da diverse altre: sembra che Baracca
sia stato davvero colpito mentre cercava di abbattere quel
ricognitore. Ma è possibile che i colpi abbiano solo danneggiato
l'aereo costringendolo a tentare un atterraggio di emergenza.
Baracca potrebbe anche essere stato
colpito da uno dei numerosi colpi di fucile che gli furono sparati
contro dai fanti, quando si abbassò sulle trincee, ma questa ipotesi
appare meno probabile.
Nessuna delle due versioni, però, è
incompatibile con il seguito che si è ipotizzato successivamente, in
tempi più recenti. Questo seguito ha preso forma a partire dalla
constatazione che Baracca non morì direttamente nell'impatto dello
SPAD con il suolo, ma ebbe il tempo di uscire dall'aereo prima di
cadere al suolo privo di vita.
La causa diretta della morte di Baracca
è stata spiegata con due ipotesi. Una è quella del suicidio,
suffragata dal fatto che la sua pistola non era nella fondina e che
la sua ferita non è incompatibile con un colpo ravvicinato di arma
da fuoco (anche se non fu esaminata in dettaglio): l'asso italiano,
temendo di essere catturato e trucidato dagli stessi soldati che
stava mitragliando o di essere investito dal fuoco che stava
parzialmente divorando i resti del velivolo, si sarebbe sparato. Non
si può scartare a priori ma nemmeno appare molto probabile.
La seconda ipotesi sembra molto più
valida. Baracca tentò di portarsi in salvo, raggiungendo le linee
italiane: ma, superando l'ultima scarpata prima di uscire dalla
valle, urtò contro una parete e cadde, ferendosi gravemente alla
testa nell'impatto. Ancora cosciente, uscì dall'abitacolo che stava
prendendo fuoco ma pochi minuti dopo soccombette all'emorragia
cerebrale susseguente al colpo.
Non sappiamo se le cose siano andate
davvero così. Sta di fatto che la propaganda italiana ha proposto
per decenni l'immagine dell'eroe invincibile in aria ucciso da un
colpo a tradimento sparatogli da terra. Proprio quella che al momento
appare l'ipotesi meno credibile sulla sua fine.
Il funerale di Baracca a Lugo
Monumento a Baracca a Lugo
Monumento a Baracca a Milano
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