domenica 3 dicembre 2017

Due colpi alla testa: Antonio Cantore e Francesco Baracca

Con il cambiamento di prospettiva nelle scuole accademiche di Storia, frutto del naturale ricambio generazionale, si è finalmente svelato, negli ultimi decenni, il vero volto della Grande Guerra, precedentemente ammantata di retorica patriottica fino a far perdere completamente di vista la realtà. Ormai, anche nelle scuole, si insegna finalmente che i soldati italiani furono mandati al macello da generali inetti e sanguinari (Luigi Cadorna in primis) che avevano fatto carriera solo a forza di raccomandazioni e cortigianerie, in un conflitto che non di solito (pensiamo ai contadini calabresi della “Catanzaro”) non li riguardava neanche di striscio, e che i vertici del nostro esercito si resero responsabili di mostruosità (quali il divieto di inviare pacchi con generi di conforto da parte delle famiglie ai soldati prigionieri, per punirli della “viltà” di non essere morti in combattimento) per le quali il nostro bilancio di perdite umane fu molto superiore a quello che avrebbe dovuto essere.
Man mano che si procede con la revisione (che avviene con cura scientifica, confrontando le “verità ufficiali” con ogni altro riscontro possibile), emergono episodi sorprendenti o dubbi di ogni genere, riguardanti qualunque categoria di soggetti impegnati in una guerra. A questa situazione, non fanno eccezione gli “eroi”, compresi quelli che sono da sempre oggetto di un veroe proprio culto nazionale.
In particolare, due casi sono stati ripetutamente affrontati negli ultimi anni, senza che si sia ancora arrivati a una conclusione definitiva. Come morirono il Generale degli Alpini Antonio Cantore e l'Eroe dell'Aria Francesco Baracca?
Antonio Cantore

Francesco Baracca

Cantore era un genovese di Sampierdarena, nato il 4 agosto 1860 e reduce, dopo una lunga gavetta, dalla campagna di Libia. Era un comandante spericolato e temerario, che non si limitava a dirigere le operazioni da lontano, ma faceva in modo da trovarsi sempre in prima linea. Per questo, era molto apprezzato dai vertici e da alcuni subalterni, ma non amato dalla truppa, che sottoponeva a continui pericoli ordinando assalti anche in condizioni impossibili. Non a caso, le sue unità subivano sempre parecchie perdite, anche se questo passava in secondo piano, nei bollettini ufficiali, rispetto alla conquista di posizioni che si raggiungeva. Nel gergo degli alpini, cadere in combattimento, era indicato con l'espressione “raggiungere il Paradiso di Cantore”: un'espressione che era nata con finalità retoriche (coniata dal giornalista Mario Bisi) ma poi aveva assunto un significato ironico.
Cantore, allo scoppio della Grande Guerra, fu assegnato al fronte dolomitico, uno dei più insidiosi, quale comandante della II Divisione. Qui, nella zona di Cortina d'Ampezzo, cominciarono subito dei furiosi scontri per ottenere il controllo delle Tofane, un gruppo montuoso che permetteva di dominare l'intera valle sottostante, e in particolare del Castelletto, una cima che segnava il confine tra la Tofana di Rozes in cui erano asserragliati gli italiani e il Monte Lagazuoi, ancora in mano austriaca. Nel Castelletto, gli austriaci si erano ben fortificati all'interno della roccia e la conquista appariva difficilissima. Nel luglio del 1915, Cantore elaborò un piano per dare l'attacco a quella posizione apparentemente inespugnabile: un piano che prevedeva la risalita dei soldati italiani dalla quota 1300 in cui si trovavano alla quota 1800 in cui erano gli austriaci, costruendo trincee nella roccia, sotto il fuoco incessante delle mitragliatrici nemiche. Anche nella migliore delle ipotesi, tale condotta avrebbe avuto un costo altissimo in termini di perdite ma Cantore, cui gli altri ufficiali lo fecero subito notare, se ne infischiava.
Il Castelletto in una immagine d'epoca
La Tofana di Rozes, dove Cantore fu ucciso

Quel piano, però, non fu mai attuato. La sera del 20 luglio, dopo aver passato la giornata a ispezionare i reparti, Cantore si recò a compiere una ricognizione in prima linea e qui, mentre si sporgeva da un punto di osservazione tra le rocce, fu visto e abbattuto da un cecchino austriaco mentre guardava da un binocolo. Il suo successore alla guida della II Divisione, Luigi Nava, già al comando della IV Divisione, mise da parte gli intenti eroici e preferì assumere una tattica più attendista, facendo irritare Cadorna, che dopo pochi mesi lo sostituì con Mario Nicolis di Robilant. Quest'ultimo, pure attento a non rischiare inutilmente la vita degli uomini, concepì un piano temerario e geniale, quello di minare alla base il Castelletto e di farlo esplodere direttamente. Ciò avvenne l'11 luglio 1916, quasi un anno dopo la morte di Cantore, e permise la conquista della posizione con perdite relativamente esigue.
Il funerale di Cantore a Cortina

La targa che ricorda Cantore sulla Tofana di Rozes
Monumento a Cantore a Cortina

Ma Cantore morì davvero così o in qualche altro modo?
Esistono diverse teorie alternative al riguardo, poco verificabili perché tutte sotto forma di testimonianza aneddotica. L'unica prova realmente esaminabile è il berretto che il generale portava nel momento in cui fu colpito, che ha un foro di proiettile sulla visiera. Le dimensioni di questo foro hanno provocato una interminabile serie di discussioni tra gli esperti, perché secondo alcuni è troppo piccolo per corrispondere al calibro 7,92 mm dei proiettili in dotazione agli austriaci e secondo altri è troppo grande per corrispondere al calibro 6,5 mm dei proiettili in dotazione agli italiani.
Il berretto di Cantore

Una ipotesi sostiene che Cantore sia stato semplicemente vittima del “fuoco amico”: spintosi troppo in avanti e poco visibile nella luce crepuscolare, sarebbe stato scambiato per un nemico da un alpino che gli avrebbe sparato per errore.
Secondo un'altra ipotesi, a uccidere Cantore sarebbe stato un civile, un cacciatore di Cortina d'Ampezzo. Questo perché il generale voleva evacuare la città di Cortina per installarvi il suo quartier generale. Ciò avrebbe comportato l'inserimento della località negli obiettivi da bombardare e conquistare da parte degli austriaci e la distruzione di tutte le sue strutture turistiche, allora già ben note, che tenevano in piedi l'economia dell'area. Per evitarlo, i civili avrebbero deciso di uccidere il generale.
Una terza ipotesi è quella per cui Cantore, nel pomeriggio del 20 luglio, avrebbe ordinato ad alcuni ufficiali di prepararsi a partire all'alba del giorno seguente per una vera e propria missione kamikaze ai piedi del Castelletto e che, davanti alle loro resistenze, li abbia minacciati di deferimento alla Corte Marziale. Le sue escandescenze avrebbero fatto perdere la pazienza a uno degli ufficiali, che avrebbe estratto la pistola e gli avrebbe sparato.
La verità è praticamente impossibile da accertare.
Per quanto concerne Baracca, questi era un ex ufficiale di cavalleria, nato a Lugo di Romagna il 9 maggio 1888, avviato alla carriera militare dopo buoni studi tecnici. Nel 1912 aveva chiesto e ottenuto il passaggio alla neonata Aeronautica militare, cui erano seguiti due periodi di addestramento in Francia (il Paese dal quale l'Italia acquistava gli aerei militari), in cui si era dimostrato un abile pilota acrobatico. Nel 1915 era stato inviato al fronte, come pilota da ricognizione, anche se presto aveva dimostrato la sua predisposizione alla caccia.
Volando su un Nieuport 11, il 7 aprile 1916 conseguì quella che è la prima vittoria aerea italiana, costringendo un ricognitore austriaco Hansa Brandenburg ad atterrare dietro le linee italiane, dopo averlo danneggiato.
Baracca accanto al suo SPAD S XIII

Continuò ad abbattere aerei nemici fino al 15 giugno 1918, quando colpì un caccia Albatros D III, la sua trentaquattresima e ultima vittoria aerea. A quel tempo, volava su uno SPAD S XIII, pure di fabbricazione francese, un mezzo molto più moderno del Nieuport su cui aveva iniziato.
La sera di quattro giorni dopo, il 19 giugno, dopo aver già volato tre volte ed essere rientrato con l'aereo danneggiato, per cui fu costretto a sostituirlo con un velivolo di riserva (uno SPAD S VII), dovette ripartire con la sola scorta del tenente Franco Osnago, un novellino, per mitragliare le truppe austriache che stavano avanzando nel corso di quella che sarebbe stata la loro ultima offensiva (quella che D'Annunzio chiamò “la battaglia del Solstizio”). Mentre passava radente sui reparti nemici a Colle Val d'Acqua, sul Montello, Baracca fu colpito e cadde al suolo. Il 23 giugno, il suo corpo e i resti del suo aereo furono ritrovati dallo stesso Franco Osnago, cui era giunta una segnalazione da alcuni fanti che operavano nella zona. L'aereo si era come infisso al suolo nell'impatto ed era solo parzialmente bruciato. Baracca presentava alcune ustioni e una ferita al volto, all'altezza dell'occhio destro.
L'abbattimento di Baracca fu rivendicato dall'equipaggio di un ricognitore austriaco C I, composto dal pilota Max Kauer e dall'osservatore-mitragliere Arnold Barwig. La loro testimonianza è suffragata da diverse altre: sembra che Baracca sia stato davvero colpito mentre cercava di abbattere quel ricognitore. Ma è possibile che i colpi abbiano solo danneggiato l'aereo costringendolo a tentare un atterraggio di emergenza.
Baracca potrebbe anche essere stato colpito da uno dei numerosi colpi di fucile che gli furono sparati contro dai fanti, quando si abbassò sulle trincee, ma questa ipotesi appare meno probabile.
Nessuna delle due versioni, però, è incompatibile con il seguito che si è ipotizzato successivamente, in tempi più recenti. Questo seguito ha preso forma a partire dalla constatazione che Baracca non morì direttamente nell'impatto dello SPAD con il suolo, ma ebbe il tempo di uscire dall'aereo prima di cadere al suolo privo di vita.
La causa diretta della morte di Baracca è stata spiegata con due ipotesi. Una è quella del suicidio, suffragata dal fatto che la sua pistola non era nella fondina e che la sua ferita non è incompatibile con un colpo ravvicinato di arma da fuoco (anche se non fu esaminata in dettaglio): l'asso italiano, temendo di essere catturato e trucidato dagli stessi soldati che stava mitragliando o di essere investito dal fuoco che stava parzialmente divorando i resti del velivolo, si sarebbe sparato. Non si può scartare a priori ma nemmeno appare molto probabile.
La seconda ipotesi sembra molto più valida. Baracca tentò di portarsi in salvo, raggiungendo le linee italiane: ma, superando l'ultima scarpata prima di uscire dalla valle, urtò contro una parete e cadde, ferendosi gravemente alla testa nell'impatto. Ancora cosciente, uscì dall'abitacolo che stava prendendo fuoco ma pochi minuti dopo soccombette all'emorragia cerebrale susseguente al colpo.
Non sappiamo se le cose siano andate davvero così. Sta di fatto che la propaganda italiana ha proposto per decenni l'immagine dell'eroe invincibile in aria ucciso da un colpo a tradimento sparatogli da terra. Proprio quella che al momento appare l'ipotesi meno credibile sulla sua fine.
Il funerale di Baracca a Lugo

Monumento a Baracca a Lugo

Monumento a Baracca a Milano



Nessun commento:

Posta un commento