“Vado a prendere le
sigarette dal borsello” disse il giovane, alzandosi dal tavolo e
avviandosi verso l’ingresso. Nessuno gli prestò attenzione: lo
spettacolo in TV, “Macario uno e due”, era troppo divertente per
distrarsi. Arrivato alla porta, però, il giovane si voltò: in mano
teneva una pistola. Cominciò a sparare, uccidendo l’uomo anziano e
quello di mezza età: poi l’arma si inceppò.
La ragazza aveva anche
lei una pistola, ma i colpi che aveva sparato non avevano colpito
nessuno. Il giovane la raggiunse, le prese l’arma e uccise anche il
bambino, la donna di mezza età e infine la donna anziana.
In tutto, andarono a
segno 17 colpi, 5 dei quali esplosi da distanza molto ravvicinata: in
altre parole, “colpi di grazia”.
Infine, prima di andare
via, la coppia ammazzò anche il cane, che aveva avuto la sciagurata
idea di mettersi ad abbaiare.
Il giovane e la ragazza
uscirono dalla villetta, raggiunsero l’auto dove li aspettava un
amico, e si recarono a una festa cui erano stati invitati.
Il luogo del delitto, il giorno in cui questo fu scoperto
Ciò che avete appena
letto non è il racconto di uno scrittore “cannibale” in voga
qualche anno fa (“Pulp, molto pulp, pure troppo”, commentava il
comico Bebo Storti a “Mai dire gol”), ma il resoconto sintetico
di un delitto consumato a Vercelli il 13 novembre 1975, in una villetta monofamiliare di via Caduti dei Lager. Nella prima
metà del 2001, i due artefici sono stati spesso rievocati dai mass
media nella poco edificante veste di “precursori di Erika e Omar”
Gli assassini si
chiamavano Doretta Graneris e Guido Badini, rispettivamente 18 e 21
anni, una normale coppia di ragazzi di famiglia borghese, lei
studentessa, lui diplomato senza un lavoro e soprattutto senza troppa
voglia di trovarne uno, fidanzati da oltre due anni. Due
“bamboccioni”, avrebbe detto l'ex ministro Padoa Schioppa. I
morti (Sergio Graneris, Itala Zambon, Paolo Graneris, Romolo Zambon e
Margherita Baucero) costituivano la famiglia di Doretta Graneris:
padre, madre, fratello e nonni materni.
Guido Badini e Doretta Graneris durante il processo
Le immagini delle 5 vittime su un quotidiano del tempo
Come sempre, in questi
casi, le indagini delle forze dell’ordine partirono dall’ambito
familiare. E' raro trovare resoconti di indagini più rapide e
facili. Quando le comunicarono la notizia, Doretta reagì con
indifferenza, come se si stesse parlando delle previsioni del tempo.
Nella macchina di Guido, la prima perquisizione trovò un bossolo
compatibile con i colpi sparati nell'eccidio. Interrogati dai
carabinieri, i due crollarono dopo breve tempo. Non avevano neppure
pensato a simulare rapine o altre circostanze che permettessero di
scaricare la colpa su immaginari “babau”; a quel tempo, di
immigrati delinquenti non si parlava neppure: e neppure (erano
decisamente tempi migliori di quelli attuali) se ne sentiva la
mancanza, così come non si sentiva la mancanza di politicastri da
quattro soldi che, dovendo coprire la propria assoluta mancanza di
idee e di progetti, cavalcassero la lotta all’immigrato delinquente
per ottenere facili consensi e alimentassero senza ritegno la psicosi
dell’”uomo nero”.
C'era anche un terzo
soggetto coinvolto, un certo Antonio D'Elia, una pasta d'uomo che
aveva già alle spalle dei precedenti per stupro e occasionalmente
aveva rapporti sessuali con Doretta, con il consenso di Guido che si
divertiva (contento lui!) a guardarli. Inizialmente ingaggiato come
killer, vista la sua manifesta inettitudine, fu poi retrocesso al
ruolo di palo e autista. Il fatto che la perquisizione portasse al
reperimento del bossolo nella macchina di Guido nonostante l'uso di
un'auto rubata per raggiungere la villa dei Graneris e per
allontanarsene, e poi di un'auto noleggiata per andare alla festa
subito dopo il delitto, la dice lunga sulla lucidità e l'attenzione
con cui i tre portarono a fondo il disegno criminale.
Dalla ricostruzione degli
inquirenti emerge pure che Guido, per dimostrare a Doretta di essere
capace di compiere la strage, una sera ha ammazzato una povera
prostituta raccolta per strada, davanti a lei.
Doretta e Guido si
difesero come Erika e Omar (e come tantissimi altri), cioè con il
più scontato scaricabarile: “Io sono un bravo ragazzo, è stata
lei a plagiarmi”, “Io sono una brava ragazza, è stato lui a
plagiarmi”. Le motivazioni del delitto non furono mai del tutto
comprese: ancora oggi resta il dubbio che la conclusione più
ragionevole potesse essere (per dirla alla De Gregori) “e non c’è
niente da capire”. Forse volevano l’eredità, senza dover
aspettare il naturale corso degli eventi; forse volevano vendicarsi
per lo scarso entusiasmo (peraltro più che giustificato e mai
tradotto in azioni di vero ostacolo) dei genitori di Doretta verso la
loro unione; forse non avevano nulla di meglio da fare, quella sera
(e tante altre, visto che il delitto fu premeditato da molto tempo);
e, con i “forse”, potremmo continuare per secoli.
L’espressione “delitto
stupido” fu coniata in America dallo scrittore Ring Lardner a
proposito dell’assassinio di un certo Albert Snyder, nel 1927, ad
opera della moglie, Ruth Brown, e dell’amante di questa, Judd Gray.
Il movente era liberarsi dello scomodo “terzo” e di incassare al
tempo stesso la sua sostanziosa polizza di assicurazione sulla vita.
L’omicidio fu accompagnato da una messinscena così goffa che i
poliziotti non ebbero alcun problema a smascherare i colpevoli
(condannati, in seguito, alla sedia elettrica). Tale termine, pur
nella sua apparente banalità, sembra il più adatto a definire ciò
che accadde a Vercelli la sera del 13 novembre 1975.
A
quel tempo non c’erano (un’altra cosa di cui non si sentiva la
mancanza) neppure psichiatri ammalati di protagonismo determinati ad
apparire in tutte le trasmissioni televisive per dire qualunque cosa,
anche che l’assassino è la vera vittima (e che, quasi quasi, la
vittima è il vero assassino: Kafka avrebbe molto apprezzato questo
genere di paradossi). Nemmeno i pennivendoli di più bassa lega
osarono mortificare Peynet parlando di “fidanzatini”. Saltarono
fuori, invece, dettagli pruriginosi circa le pratiche di scambismo e
sesso di gruppo cui la coppia sarebbe stata dedita, e illazioni sulle
simpatie di estrema destra da parte di Guido, che certo non
contribuirono a migliorare la sua immagine. L’opinione pubblica,
compatta, pretese una punizione esemplare; in breve, Doretta Graneris
e Guido Badini si beccarono l’ergastolo: lui anche un anno e mezzo
di segregazione e 5 di casa di lavoro per il delitto della
prostituta. Di D'Elia, gli avvocati riuscirono a dimostrare la
seminfermità mentale: si beccò 22 anni. Altri due loro amici, che
erano a conoscenza del piano e avevano fattivamente contribuito a
procurare le armi e a distruggere prove, si beccarono 15 anni a
testa.
Di
Guido Badini mancano notizie aggiornate, si sa solo che da poco tempo
ha ottenuto la semilibertà e si sarebbe trasferito dal Piemonte alla
Lombardia. Doretta Graneris ha ottenuto la semilibertà nel 1992 e la
libertà condizionata nel 2000; appena libera, ha dichiarato di voler
dedicare il resto della vita a opere di bene. Non si sono mai più
incontrati dopo il processo.
La
sesta vittima dell’eccidio (morì di crepacuore, dopo poco), la
nonna paterna di Doretta, Maria Ogliaro, dichiarò, riguardo la
nipote: “Se il Padreterno vorrà perdonarla, quando sarà la sua
ora, faccia pure, ma non chiedetemi di fare altrettanto”.
Per
il criminologo Massimo Picozzi, la coppia progettò il delitto perché
ormai viveva in un mondo di fantasia disconnesso dalla realtà, non
avendo la forza di affrontare le difficoltà della vita quotidiana;
mentre lo scaricabarile del processo non fu solo una strategia
suggerita dagli avvocati per istillare nei giudici il “ragionevole
dubbio”, ma anche l'espressione di un odio reciproco nato dal
sospetto che l'altro fosse pronto a “tradire” pur di salvarsi.
Massimo Picozzi
Un
grande scrittore del ‘900 americano, Thornton Wilder, ha scritto
(nel suo capolavoro, Il ponte di San Luis Rey): “Alcuni
sostengono che non sapremo mai, che per gli dèi noi siamo come le
mosche uccise dai bambini nelle giornate estive. Altri dicono che
perfino i passeri non perdono una penna senza che il dito stesso di
Dio si muova per farla cadere.”
Thornton Wilder
E il
nostro Dino Buzzati, nel racconto Lo scarafaggio: “Il pianto
di un bambino – avevo letto un giorno – basta ad avvelenare il
mondo. In cuor suo Dio onnipotente vorrebbe che certe cose non
succedessero, ma impedirlo non può perché è stato da lui stesso
deciso.”
Dino Buzzati
Quale
che sia la nostra idea al riguardo, resta il fatto che Doretta
Graneris doveva saldare un grosso debito alla società: e, se davvero
si sta dedicando alle opere di bene, gli anni che le restano da
vivere serviranno a saldarlo molto più di quelli trascorsi in
carcere, che pure evidentemente sono serviti a qualcosa, come
auspicavano Cesare Beccaria e tutti i filosofi e giuristi che ci
insegnarono come la Giustizia e la Vendetta siano due cose ben
distinte tra loro.
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