domenica 19 giugno 2016

Vercelli, 13 novembre 1975: un "delitto stupido"

Vado a prendere le sigarette dal borsello” disse il giovane, alzandosi dal tavolo e avviandosi verso l’ingresso. Nessuno gli prestò attenzione: lo spettacolo in TV, “Macario uno e due”, era troppo divertente per distrarsi. Arrivato alla porta, però, il giovane si voltò: in mano teneva una pistola. Cominciò a sparare, uccidendo l’uomo anziano e quello di mezza età: poi l’arma si inceppò.
La ragazza aveva anche lei una pistola, ma i colpi che aveva sparato non avevano colpito nessuno. Il giovane la raggiunse, le prese l’arma e uccise anche il bambino, la donna di mezza età e infine la donna anziana.
In tutto, andarono a segno 17 colpi, 5 dei quali esplosi da distanza molto ravvicinata: in altre parole, “colpi di grazia”.
Infine, prima di andare via, la coppia ammazzò anche il cane, che aveva avuto la sciagurata idea di mettersi ad abbaiare.
Il giovane e la ragazza uscirono dalla villetta, raggiunsero l’auto dove li aspettava un amico, e si recarono a una festa cui erano stati invitati.
Il luogo del delitto, il giorno in cui questo fu scoperto



Ciò che avete appena letto non è il racconto di uno scrittore “cannibale” in voga qualche anno fa (“Pulp, molto pulp, pure troppo”, commentava il comico Bebo Storti a “Mai dire gol”), ma il resoconto sintetico di un delitto consumato a Vercelli il 13 novembre 1975, in una villetta monofamiliare di via Caduti dei Lager. Nella prima metà del 2001, i due artefici sono stati spesso rievocati dai mass media nella poco edificante veste di “precursori di Erika e Omar”
Gli assassini si chiamavano Doretta Graneris e Guido Badini, rispettivamente 18 e 21 anni, una normale coppia di ragazzi di famiglia borghese, lei studentessa, lui diplomato senza un lavoro e soprattutto senza troppa voglia di trovarne uno, fidanzati da oltre due anni. Due “bamboccioni”, avrebbe detto l'ex ministro Padoa Schioppa. I morti (Sergio Graneris, Itala Zambon, Paolo Graneris, Romolo Zambon e Margherita Baucero) costituivano la famiglia di Doretta Graneris: padre, madre, fratello e nonni materni.
Guido Badini e Doretta Graneris durante il processo

Le immagini delle 5 vittime su un quotidiano del tempo

Come sempre, in questi casi, le indagini delle forze dell’ordine partirono dall’ambito familiare. E' raro trovare resoconti di indagini più rapide e facili. Quando le comunicarono la notizia, Doretta reagì con indifferenza, come se si stesse parlando delle previsioni del tempo. Nella macchina di Guido, la prima perquisizione trovò un bossolo compatibile con i colpi sparati nell'eccidio. Interrogati dai carabinieri, i due crollarono dopo breve tempo. Non avevano neppure pensato a simulare rapine o altre circostanze che permettessero di scaricare la colpa su immaginari “babau”; a quel tempo, di immigrati delinquenti non si parlava neppure: e neppure (erano decisamente tempi migliori di quelli attuali) se ne sentiva la mancanza, così come non si sentiva la mancanza di politicastri da quattro soldi che, dovendo coprire la propria assoluta mancanza di idee e di progetti, cavalcassero la lotta all’immigrato delinquente per ottenere facili consensi e alimentassero senza ritegno la psicosi dell’”uomo nero”.
C'era anche un terzo soggetto coinvolto, un certo Antonio D'Elia, una pasta d'uomo che aveva già alle spalle dei precedenti per stupro e occasionalmente aveva rapporti sessuali con Doretta, con il consenso di Guido che si divertiva (contento lui!) a guardarli. Inizialmente ingaggiato come killer, vista la sua manifesta inettitudine, fu poi retrocesso al ruolo di palo e autista. Il fatto che la perquisizione portasse al reperimento del bossolo nella macchina di Guido nonostante l'uso di un'auto rubata per raggiungere la villa dei Graneris e per allontanarsene, e poi di un'auto noleggiata per andare alla festa subito dopo il delitto, la dice lunga sulla lucidità e l'attenzione con cui i tre portarono a fondo il disegno criminale.
Dalla ricostruzione degli inquirenti emerge pure che Guido, per dimostrare a Doretta di essere capace di compiere la strage, una sera ha ammazzato una povera prostituta raccolta per strada, davanti a lei.
Doretta e Guido si difesero come Erika e Omar (e come tantissimi altri), cioè con il più scontato scaricabarile: “Io sono un bravo ragazzo, è stata lei a plagiarmi”, “Io sono una brava ragazza, è stato lui a plagiarmi”. Le motivazioni del delitto non furono mai del tutto comprese: ancora oggi resta il dubbio che la conclusione più ragionevole potesse essere (per dirla alla De Gregori) “e non c’è niente da capire”. Forse volevano l’eredità, senza dover aspettare il naturale corso degli eventi; forse volevano vendicarsi per lo scarso entusiasmo (peraltro più che giustificato e mai tradotto in azioni di vero ostacolo) dei genitori di Doretta verso la loro unione; forse non avevano nulla di meglio da fare, quella sera (e tante altre, visto che il delitto fu premeditato da molto tempo); e, con i “forse”, potremmo continuare per secoli.
L’espressione “delitto stupido” fu coniata in America dallo scrittore Ring Lardner a proposito dell’assassinio di un certo Albert Snyder, nel 1927, ad opera della moglie, Ruth Brown, e dell’amante di questa, Judd Gray. Il movente era liberarsi dello scomodo “terzo” e di incassare al tempo stesso la sua sostanziosa polizza di assicurazione sulla vita. L’omicidio fu accompagnato da una messinscena così goffa che i poliziotti non ebbero alcun problema a smascherare i colpevoli (condannati, in seguito, alla sedia elettrica). Tale termine, pur nella sua apparente banalità, sembra il più adatto a definire ciò che accadde a Vercelli la sera del 13 novembre 1975.
A quel tempo non c’erano (un’altra cosa di cui non si sentiva la mancanza) neppure psichiatri ammalati di protagonismo determinati ad apparire in tutte le trasmissioni televisive per dire qualunque cosa, anche che l’assassino è la vera vittima (e che, quasi quasi, la vittima è il vero assassino: Kafka avrebbe molto apprezzato questo genere di paradossi). Nemmeno i pennivendoli di più bassa lega osarono mortificare Peynet parlando di “fidanzatini”. Saltarono fuori, invece, dettagli pruriginosi circa le pratiche di scambismo e sesso di gruppo cui la coppia sarebbe stata dedita, e illazioni sulle simpatie di estrema destra da parte di Guido, che certo non contribuirono a migliorare la sua immagine. L’opinione pubblica, compatta, pretese una punizione esemplare; in breve, Doretta Graneris e Guido Badini si beccarono l’ergastolo: lui anche un anno e mezzo di segregazione e 5 di casa di lavoro per il delitto della prostituta. Di D'Elia, gli avvocati riuscirono a dimostrare la seminfermità mentale: si beccò 22 anni. Altri due loro amici, che erano a conoscenza del piano e avevano fattivamente contribuito a procurare le armi e a distruggere prove, si beccarono 15 anni a testa.
Di Guido Badini mancano notizie aggiornate, si sa solo che da poco tempo ha ottenuto la semilibertà e si sarebbe trasferito dal Piemonte alla Lombardia. Doretta Graneris ha ottenuto la semilibertà nel 1992 e la libertà condizionata nel 2000; appena libera, ha dichiarato di voler dedicare il resto della vita a opere di bene. Non si sono mai più incontrati dopo il processo.
La sesta vittima dell’eccidio (morì di crepacuore, dopo poco), la nonna paterna di Doretta, Maria Ogliaro, dichiarò, riguardo la nipote: “Se il Padreterno vorrà perdonarla, quando sarà la sua ora, faccia pure, ma non chiedetemi di fare altrettanto”.
Per il criminologo Massimo Picozzi, la coppia progettò il delitto perché ormai viveva in un mondo di fantasia disconnesso dalla realtà, non avendo la forza di affrontare le difficoltà della vita quotidiana; mentre lo scaricabarile del processo non fu solo una strategia suggerita dagli avvocati per istillare nei giudici il “ragionevole dubbio”, ma anche l'espressione di un odio reciproco nato dal sospetto che l'altro fosse pronto a “tradire” pur di salvarsi.
Massimo Picozzi

Un grande scrittore del ‘900 americano, Thornton Wilder, ha scritto (nel suo capolavoro, Il ponte di San Luis Rey): “Alcuni sostengono che non sapremo mai, che per gli dèi noi siamo come le mosche uccise dai bambini nelle giornate estive. Altri dicono che perfino i passeri non perdono una penna senza che il dito stesso di Dio si muova per farla cadere.”
Thornton Wilder

E il nostro Dino Buzzati, nel racconto Lo scarafaggio: “Il pianto di un bambino – avevo letto un giorno – basta ad avvelenare il mondo. In cuor suo Dio onnipotente vorrebbe che certe cose non succedessero, ma impedirlo non può perché è stato da lui stesso deciso.”
Dino Buzzati



Quale che sia la nostra idea al riguardo, resta il fatto che Doretta Graneris doveva saldare un grosso debito alla società: e, se davvero si sta dedicando alle opere di bene, gli anni che le restano da vivere serviranno a saldarlo molto più di quelli trascorsi in carcere, che pure evidentemente sono serviti a qualcosa, come auspicavano Cesare Beccaria e tutti i filosofi e giuristi che ci insegnarono come la Giustizia e la Vendetta siano due cose ben distinte tra loro.

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