sabato 13 agosto 2016

Sangue sulla Beat Generation: l'uxoricidio di William Burroughs

L'influenza culturale degli artisti della Beat Generation, a oltre 65 anni dall'inizio del movimento, è oggi ancora viva e riconoscibile in moltissime correnti creative; anche se la sempre più totale mercificazione del prodotto artistico, tanto più quando questo viene presentato come “alternativo” o “rivoluzionario”, rappresenta uno svuotamento di significati che lascia spazio solo a una vuota scimmiottatura. Ciò non toglie nulla al fascino che l'artista “Beat” esercita da sempre sia sulle menti dei giovani sia su quelle dei meno giovani, e perfino su quelle dei bacchettoni che, nel condannarne gli eccessi, mostrano sempre un interesse decisamente morboso verso di questi.
Il movimento Beat nasce a New York intorno al 1950 e i suoi capofila sono Allen Ginsberg e Jack Kerouac. Le sue caratteristiche principali sono rifiuto di norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione delle droghe, la sessualità alternativa, l'interesse per la religione orientale, un rifiuto del materialismo, e rappresentazioni esplicite e crude della condizione umana” (Wikipedia): insomma, tutte cose che prima si erano già viste, ma mai tutte insieme. Il termine “Beat” assume diversi significati a seconda di chi lo utilizza: secondo Kerouac (che, a modo suo, era un uomo religiosissimo) intende uno stato di beatitudine; secondo altri, sta per “abbattuto” (dalle droghe e dall'emarginazione), ma anche “ribellione” o “battito” o “ritmo”, questi ultimi in chiaro riferimento alla musica Jazz, in particolare quella di Charlie Parker.
Jack Kerouac (1922-69) quando era studente universitario

Allen Ginsberg (1926-97) da giovane

Charlie "Bird" Parker (1920-55)

Una delle figure più importanti della Beat Generation, anche in considerazione della sua longevità (è morto a 83 anni nel 1997), è stato William Burroughs, al nome del quale è legato un terribile episodio di cronaca nera risalente al 1951.
Burroughs era nato nel Missouri da una ricca famiglia di industriali (di calcolatrici meccaniche) nel 1914 e, nonostante tutta una serie di problemi evidenziati prestissimo, dalla bisessualità (prevalentemente omosessuale) alla dipendenza dalle droghe, era riuscito a mettere insieme un ottimo curriculum di studi, laureandosi ad Harvard, prendendo un Master in Antropologia e approfondendo gli aspetti psichiatrici che lo interessavano nella prestigiosa scuola di Medicina di Vienna. La famiglia, imbarazzata dai suoi comportamenti privati, preferiva che studiasse e risiedesse all'estero, e per questo lo sovvenzionava lautamente. Tuttavia, dopo essersi sposato con una ragazza ebrea croata, Ilse Kappler, al solo scopo di farle ottenere il passaporto per trasferirsi negli Usa e sfuggire ai campi di concentramento, rientrò in patria e per qualche tempo fu ricoverato in un ospedale psichiatrico, in seguito all'auto-amputazione dell'ultima falange di un dito durante quello che definì “un rituale di iniziazione indiano”. Continuò anche dopo a vivere da emarginato, mantenuto dall'assegno che gli inviava la famiglia, sempre più condizionato dalle sue dipendenze da droghe e alcol.
William Burroughs quando era già famoso

Un'altra inquietante immagine di Burroughs 

Nel 1946, divorziato da Ilse, conobbe una giovane e brillante studentessa newyorkese che aveva appena terminato il primo ciclo di studi universitari, Joan Vollmer, nata nel 1923. La Vollmer era già a sua volta divorziata e madre di una bambina, ed era una ragazza attraente e sensuale, dalla mente aperta e spigliata e i costumi disinibiti. Ambiva a diventare scrittrice e aveva composto delle poesie molto originali. Burroughs ne fu talmente colpito da legarsi strettamente a lei, a dispetto delle sue fortissime inclinazioni omosessuali. La comunione fisica, spirituale e affettiva tra i due, forse fu legittimata da un matrimonio, ma l'unica prova di questo è un'istanza di divorzio che i due presentarono nel 1951. Intanto, nel 1947, ebbero un bambino, William Jr.: durante la gravidanza, Joan non smise di consumare alcol e droghe (soprattutto eroina) e il figlio nacque con molti problemi di salute, che lo perseguitarono per tutta la sua breve vita (è morto a 34 anni, nel 1981, dopo aver subito anche un trapianto di fegato. Scrittore non privo di talento, ha lasciato un vivido ricordo della sua infanzia in un romanzo pubblicato nel 1973, Kentucky Ham).
Joan Vollmer quando era studentessa universitaria

In quel periodo, Burroughs, nella sua costante ricerca di droghe e nel tentativo di guadagnare qualcosa lavorando come cronista di nera, aveva finito per stringere rapporti con parecchi criminali e finì inevitabilmente anche lui nei guai. Del resto, lui e Kerouac erano già stati arrestati nel 1944 per aver coperto, come testimoni reticenti (in realtà avevano solo cercato di prendere tempo intanto che lo convincevano a costituirsi da solo) un loro amico, lo studente Lucien Carr, che aveva ucciso un suo ex professore con cui aveva una relazione omosessuale, David Kammerer. In più, aveva alle spalle altre denunce per guida in stato di ubriachezza e per atti osceni in luogo pubblico. Ora rischiava una condanna molto pesante per il coinvolgimento in un traffico di stupefacenti in Lousiana. Per evitare la galera, nel 1951, se ne andò a Città del Messico con Joan e i due bambini.
In Messico, le cose non andarono meglio. I due erano spesso strafatti o ubriachi o entrambe le cose insieme, più Burroughs della Vollmer se dobbiamo prestare fede ai ricordi dei bambini. Frequentavano soprattutto altri sbandati con velleità artistiche e sopravvivevano solo con l'assegno che continuava ad arrivare mensilmente dalla famiglia di Burroughs. Allen Ginsberg, che andò a trovarli, osservò che Joan aveva un aspetto particolarmente disfatto e ipotizzò che Burroughs (che in quel periodo aveva ripreso ad avere relazioni omosessuali) la maltrattasse. Ma la donna, che a sua volta aveva relazioni con altri uomini, sembrava avviata lungo una spirale auto-distruttiva tale da non rendersi più conto di nessun rischio. E' però possibile che alcuni dei segni che fecero sospettare a Ginsberg i maltrattamenti, tipo la difficoltà a camminare per una vistosa zoppia, fossero in realtà dovuti all'aggravamento di vecchi problemi di salute (la Vollmer aveva sofferto di poliomielite nell'infanzia) per effetto della vita sbandata e dell'abbrutimento.
Joan Vollmer quando viveva insieme a Burroughs

Nel tardo pomeriggio del 6 settembre 1951, all'interno del piccolo appartamento subito sopra un bar americano in cui vivevano, accadde la tragedia.
Burroughs era sempre stato ossessionato dalle armi, aveva anche cercato di arruolarsi nell'Esercito durante la guerra (ovviamente era stato scartato) e girava sempre con una pistola in tasca, una Star 380 automatica. Quel giorno, erano presenti due loro amici, un certo Eddie Woods solo omonimo del più noto poeta e un altro indicato sempre come “Eugene A.”. Sotto l'effetto di una abbondante bevuta, Burroughs propose a Joan di mostrare agli amici che bravo tiratore lui fosse, ripetendo la scena di Guglielmo Tell. Senza battere ciglio, Joan, anche lei ubriaca, riempì un bicchiere di cognac e se lo mise in equilibrio sulla testa. I due non distavano più di due metri. Joan si voltò di lato e, ridendo, disse. “Non posso guardare, sai che non sopporto la vista del sangue”. Eddie Woods, pensando che le schegge in cui si sarebbe ridotto il bicchiere avrebbero fatto uscire fuori di sé la padrona di casa, che forse li avrebbe sbattuti fuori, ebbe l'istinto di allungare un braccio e fermare Burroughs, ma non lo fece nel timore che il colpo così deviato potesse raggiungere Joan.
Invece Burroughs sparò basso, e colpì Joan alla tempia. Eddie Woods riferì che il rumore dell'esplosione suonò violentissimo, che il bicchiere intatto rotolava sul pavimento in cerchi concentrici e che Joan, seduta su una sedia, teneva la testa reclinata da un lato. Fu Eugene A. ad accorgersi del filo di sangue che le colava dalla tempia e a dare l'allarme. Mentre Burroughs si precipitava urlando sulla donna ancora viva, i due andarono a chiamare aiuto. All'arrivo dei soccorsi, Joan Vollmer era in coma e morì nel giro di poche ore.
La notizia del fatto su un quotidiano messicano

La notizia del fatto su un quotidiano statunitense

Burroughs fu subito arrestato e chiuso in galera, ma ci restò solo fino al 22 settembre: quando l'avvocato inviato sul posto dai suoi parenti pagò 2312 dollari di cauzione (più una cifra imprecisata ma presumibilmente molto alta ai giudici e alle autorità locali per “ungere” la pratica) per farlo uscire. Mentre si svolgeva il processo, nel dicembre del 1952, Burroughs venne a sapere che lo Stato della Lousiana non aveva emesso alcun mandato di cattura nei suoi riguardi per la faccenda del traffico di stupefacenti e se ne tornò negli Usa senza avvertire nessuno. Fu poi condannato in contumacia a due anni per omicidio colposo (su consiglio dell'avvocato messicano cui si era rivolto prima che si presentasse quello inviato dalla famiglia, aveva dichiarato che il colpo era partito accidentalmente mentre puliva la pistola. Presumibilmente, i soldi distribuiti a piene mani dalla famiglia a tutti gli interessati fecero sì che questa versione fosse accettata senza problemi) e ottenne pure la sospensione condizionale della pena.
La figlia che Joan aveva avuto dal precedente matrimonio, Julie, fu affidata ai nonni materni; il piccolo William Jr. ai nonni paterni.
Negli anni successivi, Burroughs, che aveva già scritto tanto ma mai publicato nulla, cominciò a farsi conoscere inizialmente solo in mezzo al pubblico che seguiva gli artisti Beat; con il suo terzo libro, Il pasto nudo, divenne un autore dalla notorietà internazionale e cominciò a incassare cospicue royalties. Con un notevole istrionismo, raccontò di aver deciso di mettersi a scrivere proprio per reagire alla perdita di Joan: in realtà, a quel tempo, il suo primo libro, La scimmia sulla schiena, era già stato inviato ad alcuni editori, anche se sarebbe uscito solo nel 1953. In seguito, Burroughs si spinse fino a dichiarare che il delitto gli fu necessario per far emergere la “parte cattiva” di sé stesso e liberarsene, in modo da poter finalmente esprimere sé stesso attraverso la creazione artistica.


Anche se la mitizzazione che la figura di Burroughs ha subito sia in vita sia dopo la morte (moltissimi artisti moderni lo considerano un loro nume) ha fatto passare in secondo piano per decenni gli aspetti umani e legali di questo delitto, negli ultimi tempi, la critica femminista ha cominciato a porre l'accento sulla sostanziale disonestà di questo modo di pensare, per cui all'artista dovrebbe essere più o meno permesso o perdonato tutto, in nome di una sua supposta superiorità intellettuale sulla massa delle persone comuni. Nella sostanza, Joan Vollmer non sarebbe altro che una delle tante donne vittime della violenza di un convivente pieno di problemi, e la legittimazione morale dell'assurdo delitto di cui fu vittima in nome di indefiniti valori culturali non è meno spregevole della legittimazione di delitti domestici analoghi compiuti per ragioni considerate molto più futili o superate, come quelle che un tempo venivano dette “d'onore”.

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