L'influenza culturale degli artisti
della Beat Generation, a oltre 65 anni dall'inizio del movimento, è
oggi ancora viva e riconoscibile in moltissime correnti creative;
anche se la sempre più totale mercificazione del prodotto artistico,
tanto più quando questo viene presentato come “alternativo” o
“rivoluzionario”, rappresenta uno svuotamento di significati che
lascia spazio solo a una vuota scimmiottatura. Ciò non toglie nulla
al fascino che l'artista “Beat” esercita da sempre sia sulle
menti dei giovani sia su quelle dei meno giovani, e perfino su quelle
dei bacchettoni che, nel condannarne gli eccessi, mostrano sempre un
interesse decisamente morboso verso di questi.
Il movimento Beat nasce a New York
intorno al 1950 e i suoi capofila sono Allen Ginsberg e Jack Kerouac.
Le sue caratteristiche principali sono “rifiuto
di norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione
delle droghe,
la sessualità alternativa, l'interesse per la religione orientale,
un rifiuto del materialismo, e rappresentazioni esplicite e crude
della condizione umana” (Wikipedia): insomma, tutte cose che prima
si erano già viste, ma mai tutte insieme. Il termine “Beat”
assume diversi significati a seconda di chi lo utilizza: secondo
Kerouac (che, a modo suo, era un uomo religiosissimo) intende uno
stato di beatitudine; secondo altri, sta per “abbattuto” (dalle
droghe e dall'emarginazione), ma anche “ribellione” o “battito”
o “ritmo”, questi ultimi in chiaro riferimento alla musica Jazz,
in particolare quella di Charlie Parker.
Jack Kerouac (1922-69) quando era studente universitario
Allen Ginsberg (1926-97) da giovane
Charlie "Bird" Parker (1920-55)
Una
delle figure più importanti della Beat Generation, anche in
considerazione della sua longevità (è morto a 83 anni nel 1997), è
stato William Burroughs, al nome del quale è legato un terribile
episodio di cronaca nera risalente al 1951.
Burroughs
era nato nel Missouri da una ricca famiglia di industriali (di
calcolatrici meccaniche) nel 1914 e, nonostante tutta una serie di
problemi evidenziati prestissimo, dalla bisessualità
(prevalentemente omosessuale) alla dipendenza dalle droghe, era
riuscito a mettere insieme un ottimo curriculum di studi, laureandosi
ad Harvard, prendendo un Master in Antropologia e approfondendo gli
aspetti psichiatrici che lo interessavano nella prestigiosa scuola di
Medicina di Vienna. La famiglia, imbarazzata dai suoi comportamenti
privati, preferiva che studiasse e risiedesse all'estero, e per
questo lo sovvenzionava lautamente. Tuttavia, dopo essersi sposato
con una ragazza ebrea croata, Ilse Kappler, al solo scopo di farle
ottenere il passaporto per trasferirsi negli Usa e sfuggire ai campi
di concentramento, rientrò in patria e per qualche tempo fu
ricoverato in un ospedale psichiatrico, in seguito
all'auto-amputazione dell'ultima falange di un dito durante quello
che definì “un rituale di iniziazione indiano”. Continuò anche
dopo a vivere da emarginato, mantenuto dall'assegno che gli inviava
la famiglia, sempre più condizionato dalle sue dipendenze da droghe
e alcol.
William Burroughs quando era già famoso
Un'altra inquietante immagine di Burroughs
Nel
1946, divorziato da Ilse, conobbe una giovane e brillante studentessa
newyorkese che aveva appena terminato il primo ciclo di studi
universitari, Joan Vollmer, nata nel 1923. La Vollmer era già a sua
volta divorziata e madre di una bambina, ed era una ragazza attraente
e sensuale, dalla mente aperta e spigliata e i costumi disinibiti.
Ambiva a diventare scrittrice e aveva composto delle poesie molto
originali. Burroughs ne fu talmente colpito da legarsi strettamente a
lei, a dispetto delle sue fortissime inclinazioni omosessuali. La
comunione fisica, spirituale e affettiva tra i due, forse fu
legittimata da un matrimonio, ma l'unica prova di questo è
un'istanza di divorzio che i due presentarono nel 1951. Intanto, nel
1947, ebbero un bambino, William Jr.: durante la gravidanza, Joan non
smise di consumare alcol e droghe (soprattutto eroina) e il figlio
nacque con molti problemi di salute, che lo perseguitarono per tutta
la sua breve vita (è morto a 34 anni, nel 1981, dopo aver subito
anche un trapianto di fegato. Scrittore non privo di talento, ha
lasciato un vivido ricordo della sua infanzia in un romanzo
pubblicato nel 1973, Kentucky Ham).
Joan Vollmer quando era studentessa universitaria
In
quel periodo, Burroughs, nella sua costante ricerca di droghe e nel
tentativo di guadagnare qualcosa lavorando come cronista di nera,
aveva finito per stringere rapporti con parecchi criminali e finì
inevitabilmente anche lui nei guai. Del resto, lui e Kerouac erano
già stati arrestati nel 1944 per aver coperto, come testimoni
reticenti (in realtà avevano solo cercato di prendere tempo intanto
che lo convincevano a costituirsi da solo) un loro amico, lo studente
Lucien Carr, che aveva ucciso un suo ex professore con cui aveva una
relazione omosessuale, David Kammerer. In più, aveva alle spalle
altre denunce per guida in stato di ubriachezza e per atti osceni in
luogo pubblico. Ora rischiava una condanna molto pesante per il
coinvolgimento in un traffico di stupefacenti in Lousiana. Per
evitare la galera, nel 1951, se ne andò a Città del Messico con
Joan e i due bambini.
In
Messico, le cose non andarono meglio. I due erano spesso strafatti o
ubriachi o entrambe le cose insieme, più Burroughs della Vollmer se
dobbiamo prestare fede ai ricordi dei bambini. Frequentavano
soprattutto altri sbandati con velleità artistiche e sopravvivevano
solo con l'assegno che continuava ad arrivare mensilmente dalla
famiglia di Burroughs. Allen Ginsberg, che andò a trovarli, osservò
che Joan aveva un aspetto particolarmente disfatto e ipotizzò che
Burroughs (che in quel periodo aveva ripreso ad avere relazioni
omosessuali) la maltrattasse. Ma la donna, che a sua volta aveva
relazioni con altri uomini, sembrava avviata lungo una spirale
auto-distruttiva tale da non rendersi più conto di nessun rischio.
E' però possibile che alcuni dei segni che fecero sospettare a
Ginsberg i maltrattamenti, tipo la difficoltà a camminare per una
vistosa zoppia, fossero in realtà dovuti all'aggravamento di vecchi
problemi di salute (la Vollmer aveva sofferto di poliomielite
nell'infanzia) per effetto della vita sbandata e dell'abbrutimento.
Joan Vollmer quando viveva insieme a Burroughs
Nel
tardo pomeriggio del 6 settembre 1951, all'interno del piccolo
appartamento subito sopra un bar americano in cui vivevano, accadde
la tragedia.
Burroughs
era sempre stato ossessionato dalle armi, aveva anche cercato di
arruolarsi nell'Esercito durante la guerra (ovviamente era stato
scartato) e girava sempre con una pistola in tasca, una Star 380
automatica. Quel giorno, erano presenti due loro amici, un certo Eddie
Woods solo omonimo del più noto poeta e un altro indicato sempre
come “Eugene A.”. Sotto l'effetto di una abbondante bevuta,
Burroughs propose a Joan di mostrare agli amici che bravo tiratore
lui fosse, ripetendo la scena di Guglielmo Tell. Senza battere
ciglio, Joan, anche lei ubriaca, riempì un bicchiere di cognac e se
lo mise in equilibrio sulla testa. I due non distavano più di due
metri. Joan si voltò di lato e, ridendo, disse. “Non posso
guardare, sai che non sopporto la vista del sangue”. Eddie Woods,
pensando che le schegge in cui si sarebbe ridotto il bicchiere
avrebbero fatto uscire fuori di sé la padrona di casa, che forse li
avrebbe sbattuti fuori, ebbe l'istinto di allungare un braccio e
fermare Burroughs, ma non lo fece nel timore che il colpo così
deviato potesse raggiungere Joan.
Invece
Burroughs sparò basso, e colpì Joan alla tempia. Eddie Woods riferì
che il rumore dell'esplosione suonò violentissimo, che il bicchiere
intatto rotolava sul pavimento in cerchi concentrici e che Joan,
seduta su una sedia, teneva la testa reclinata da un lato. Fu Eugene
A. ad accorgersi del filo di sangue che le colava dalla tempia e a
dare l'allarme. Mentre Burroughs si precipitava urlando sulla donna
ancora viva, i due andarono a chiamare aiuto. All'arrivo dei
soccorsi, Joan Vollmer era in coma e morì nel giro di poche ore.
La notizia del fatto su un quotidiano messicano
La notizia del fatto su un quotidiano statunitense
Burroughs
fu subito arrestato e chiuso in galera, ma ci restò solo fino al 22
settembre: quando l'avvocato inviato sul posto dai suoi parenti pagò
2312 dollari di cauzione (più una cifra imprecisata ma
presumibilmente molto alta ai giudici e alle autorità locali per
“ungere” la pratica) per farlo uscire. Mentre si svolgeva il
processo, nel dicembre del 1952, Burroughs venne a sapere che lo
Stato della Lousiana non aveva emesso alcun mandato di cattura nei
suoi riguardi per la faccenda del traffico di stupefacenti e se ne
tornò negli Usa senza avvertire nessuno. Fu poi condannato in
contumacia a due anni per omicidio colposo (su consiglio
dell'avvocato messicano cui si era rivolto prima che si presentasse
quello inviato dalla famiglia, aveva dichiarato che il colpo era
partito accidentalmente mentre puliva la pistola. Presumibilmente, i
soldi distribuiti a piene mani dalla famiglia a tutti gli interessati
fecero sì che questa versione fosse accettata senza problemi) e
ottenne pure la sospensione condizionale della pena.
La
figlia che Joan aveva avuto dal precedente matrimonio, Julie, fu
affidata ai nonni materni; il piccolo William Jr. ai nonni paterni.
Negli
anni successivi, Burroughs, che aveva già scritto tanto ma mai
publicato nulla, cominciò a farsi conoscere inizialmente solo in
mezzo al pubblico che seguiva gli artisti Beat; con il suo terzo
libro, Il pasto nudo, divenne un autore dalla notorietà
internazionale e cominciò a incassare cospicue royalties. Con un
notevole istrionismo, raccontò di aver deciso di mettersi a scrivere
proprio per reagire alla perdita di Joan: in realtà, a quel tempo,
il suo primo libro, La scimmia sulla schiena, era già stato inviato
ad alcuni editori, anche se sarebbe uscito solo nel 1953. In seguito,
Burroughs si spinse fino a dichiarare che il delitto gli fu
necessario per far emergere la “parte cattiva” di sé stesso e
liberarsene, in modo da poter finalmente esprimere sé stesso
attraverso la creazione artistica.
Anche
se la mitizzazione che la figura di Burroughs ha subito sia in vita
sia dopo la morte (moltissimi artisti moderni lo considerano un loro
nume) ha fatto passare in secondo piano per decenni gli aspetti umani
e legali di questo delitto, negli ultimi tempi, la critica femminista
ha cominciato a porre l'accento sulla sostanziale disonestà di
questo modo di pensare, per cui all'artista dovrebbe essere più o
meno permesso o perdonato tutto, in nome di una sua supposta
superiorità intellettuale sulla massa delle persone comuni. Nella
sostanza, Joan Vollmer non sarebbe altro che una delle tante donne
vittime della violenza di un convivente pieno di problemi, e la
legittimazione morale dell'assurdo delitto di cui fu vittima in nome
di indefiniti valori culturali non è meno spregevole della
legittimazione di delitti domestici analoghi compiuti per ragioni
considerate molto più futili o superate, come quelle che un tempo
venivano dette “d'onore”.
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