venerdì 11 marzo 2016

La rivoluzione dei Gialli Mondadori negli anni '70

In Italiano esiste un termine ("Giallo") che non ha un riscontro univoco nelle altre lingue: per esempio, in Inglese può essere tradotto indifferentemente con detective story, mystery, crime novel, whodunit, police procedural, thriller e con altre espressioni ancora. Questo avviene perché dei generi narrativi diversi (tra un thriller e un mystery esistono differenze abissali; d'altronde, un mystery o un thriller possono presentarsi nella forma di detective story, oppure di police procedural, o in altre ancora) sono stati presentati tutti insieme al pubblico italiano nel lontano 1929 in una collana dell'editore Mondadori caratterizzata dalla copertina gialla. Nell'immaginario popolare, tutti i generi cui si è accennato sono stati identificati con quella collana, al punto che anche altri editori, al momento di lanciare collane simili, si sono serviti dello stesso termine.
Si può dire dunque che, in Italia, il "Giallo Mondadori" abbia sempre occupato una posizione dominante nel suo settore: e, comunque, è noto come tutti i suoi numeri abbiano sempre venduto decine di migliaia di copie: il che, in un paese di analfabeti di ritorno come il nostro, è un vero miracolo. Oltretutto, i Gialli Mondadori hanno sempre avuto una diffusione trasversale: tra i loro lettori abituali si trovano casalinghe, insegnanti, impiegati, operai, commessi, commercianti, professionisti e (per loro esplicita confessione) intellettuali del calibro di Leonardo Sciascia e Giuseppe Petronio. Perciò non è azzardato affermare che, attraverso l'analisi dei cambiamenti intervenuti in questa collana, si possa comprendere anche l'evoluzione dell'intero genere.
Nel periodo che va dal gennaio 1970 al dicembre 1979 escono i numeri del "Giallo" che vanno dal 1092 al 1613. E' un tempo di importanti cambiamenti, innanzitutto per ragioni anagrafiche: vengono a mancare, infatti, alcuni dei più autorevoli rappresentanti della "vecchia guardia", come Erle Stanley Gardner (1970), Rex Stout (1973), John Creasey (1973), Agatha Christie (1976) John Dickson Carr (1977) e Brett Halliday (1977), mentre altri (George Harmon Coxe, Ellery Queen, Ross Macdonald) cessano di scrivere per ragioni di vecchiaia o di salute. Considerando l'enorme apporto dato da questi nomi al successo della collana (del solo Gardner sono usciti ben 103 titoli, 75 firmati con il suo nome e 28 con lo pseudonimo di A.A.Fair), si comprende subito come la necessità di rimpiazzarli abbia avuto significative conseguenze. Inoltre, quasi tutti gli autori appena menzionati appartengono, per così dire, all'ala "destra" del giallo, essendo attestati su posizioni conservatrici e ostili a ogni cambiamento, sia nell'arte, sia in politica (fanno eccezione Gardner e Macdonald, due maestri sempre un passo avanti rispetto agli altri, cui le successive generazioni di scrittori devono molto: chi abbia dei dubbi al riguardo può fugarli leggendo gli ultimi due titoli di Macdonald, La bella addormentata del 1974 e Lew Archer e il brivido blu del 1977). Il rinnovamento in termini di "parco autori" avrà dunque, tra le sue conseguenze, un deciso spostamento "a sinistra" della collana.
Ciò si vede, quasi subito, dalla maggiore attenzione verso una narrativa più attenta alla realtà quotidiana. I palazzi gentilizi e gli antichi castelli che avevano fatto da sfondo a molti romanzi del passato, cedono il passo a città congestionate e a paesi di campagna abitati da piccoli e medi borghesi. Spariscono gradualmente anche i gangsters assetati di sangue e potere che dominavano intere regioni, per essere sostituiti da affaristi senza scrupoli che, dietro le maschere di imprenditori dediti al lavoro e alla rispettabilità sociale, nascondono la capacità di commettere le peggiori nefandezze. Migliora anche la qualità letteraria delle opere pubblicate: non c'è più il massiccio ricorso agli stereotipi di un tempo e, nei limiti del possibile, si cerca sempre di dare un minimo di spessore ai personaggi.
La svolta più decisa riguarda le scrittrici: il panorama del Giallo al femminile era stato per lungo tempo dominato da figure come Agatha Christie, convinte propugnatrici di un'ideologia familiare rigorosamente maschilista, in cui le donne potevano avere ruoli "positivi" solo in vesti di anziane matriarche, di angeli del focolare, di eccentriche zitelle dedite ai gatti e ai nipoti, o di figure comunque quasi asessuate (e il favore di un pubblico tradizionalista aveva relegato in una nicchia per lettori più esigenti le narratrici di maggior spessore, come Elisabeth Sanxay Holding); le scrittrici che emergono in mezzo al "Giallo Mondadori" negli anni '70 (o che consolidano la loro fama, se erano attive già prima, come l'americana Ursula Curtiss), mostrano una ben diversa sensibilità: non sono vere femministe (ed è la loro fortuna, visto che restano lontane dalle tentazioni ideologiche e dalle opere "a tesi") ma sanno offrire una lucida e precisa testimonianza della condizione femminile. Già nel 1970 viene tradotto per la prima volta in Italiano un romanzo di Ruth Rendell (Il mio peggiore amico), l'autrice che presto si affermerà (sia con la serie del sovrintendente Wexford, sia con i numerosi romanzi senza personaggi fissi) come la maestra del Giallo ambientato nella vita di tutti i giorni: poi, durante il resto del decennio, saranno scoperte numerose autrici dello stesso genere (forse meno brave della Rendell: ma per merito di questa, non per loro demerito) come Hilda Van Siller (notevoli Nell'occhio del ciclone, 1970 e Lenora, 1974), Willo Davis Roberts (In chiave di paura, 1979), Mildred Davis (Appuntamento col destino, 1976), Jan Roffman (Un attimo per sopravvivere, 1976), Rosemary Gatemby (Relazioni micidiali, 1973) e Margaret Yorke (Morire all'alba, 1978). Per motivi incomprensibili, viene trascurata una delle migliori, Margaret Millar (nella vita, moglie di Ross Macdonald), in questo periodo attivissima, di cui è presentato un solo titolo in tutto il decennio (Cercatemi domani, sarò morto, 1977): ma, per fortuna, sarà recuperata nei due decenni successivi.
Nei romanzi di queste scrittrici (in cui gli intrecci si dipanano, non di rado, secondo gli schemi convenzionali del mystery, ma si evitano quelle amenità inverosimili del genere “pistole intarsiate, curaro e pesci tropicali” che mandavano in bestia Raymond Chandler e i critici dal gusto trendy, come Edmund Wilson), le donne hanno sempre, esteriormente, i ruoli che avevano prima, imposti loro dalle convenzioni della società: ma non sono più in grado di accettarli passivamente e di considerare la propria identità solo in rapporto ad essi. In modo assai garbato, ma inequivocabile, si sottolinea spesso che anche le donne possono essere soggette alle stesse inclinazioni e alle stesse pulsioni degli uomini, con altrettanta intensità. In molte occasioni, la suspense che dà il ritmo alla storia viene creata, o amplificata, dalla fragilità interiore di queste figure femminili, verosimili esempi di donne in crisi, che non hanno (o, più facilmente, credono di non avere) la forza di uscire da una situazione critica.
Un altro contributo, non meno importante, delle scrittrici come Ruth Rendell, sta nell'aver tratteggiato, nello stesso tempo, anche una serie di personaggi maschili "positivi" che costituiscono il rovescio della medaglia di quelli femminili appena visti: né machos, né debosciati, e neppure figure caricaturali; ma, anzi, uomini modesti, dalla quotidianità grigia, ma ricchi di interiorità, la cui solida virilità non si esprime attraverso l'esibizione dei muscoli o con l'incosciente sprezzo del pericolo ma con l'assunzione, fino in fondo, delle proprie responsabilità.
L'uomo grigio, il piccolo-borghese dalla vita senza sussulti, è al centro anche dei romanzi scritti da diversi autori di scuola inglese e di buona levatura: Jeffrey Ashford, John Wainwright, Hamilton Jobson, Douglas Enefer, Harry Carmichael (quest'ultimo, pseudonimo del poliedrico canadese L.H.Ognall, che contemporaneamente scrive una serie thriller americana firmandosi Hartley Howard, pure pubblicata nel "Giallo"). Piccolo-borghesi non sono solo i personaggi che muovono l'intreccio, ma spesso anche gli investigatori che dipanano le matasse, come il perito assicurativo John Piper creato da Carmichael e protagonista di una eccellente serie (con almeno tre romanzi indimenticabili: Delitto al rallentatore del 1971, La maschera dell'assassino del 1972 e Il movente del 1975); in questi romanzi, quasi sempre, i personaggi maschili sono all'altezza di quelli delle scrittrici (come a sottolineare la significatività del cambiamento), mentre può accadere che quelli femminili fatichino a scrollarsi di dosso alcuni stereotipi consolidati (almeno nei primi tempi) come la Fatalona Cattiva, la Fanciulla Virtuosa, la Buona Moglie.
La vera perla che riguarda la scuola inglese è, però, la riscoperta di La belva deve morire (1977), un vecchio eccellente romanzo firmato Nicholas Blake (pseudonimo con cui il poeta Cecil Day Lewis, il padre del noto attore Daniel, scrisse alcuni dei più originali gialli degli anni '30) destinato a diventare anche un celebre film, diretto da Claude Chabrol e intitolato Ucciderò un uomo. Un altro capolavoro ritrovato, che costituisce un esempio davvero geniale di Giallo storico, è La figlia del tempo di Josephine Tey (1976), nel quale si illustra la teoria, perfettamente attendibile e suffragata da parecchi indizi, che i "principini nella Torre di Londra" scomparsi misteriosamente nel 1483, siano stati assassinati da Enrico VII Tudor e non da Riccardo III di York, come invece sostenuto dalla tradizione.
Anche gli autori americani cominciano a disfarsi di tutta la paccottiglia del thriller (tutti quei dettagli secondari, dai doppi whisky alle bionde mozzafiato, che hanno finito per prendere il sopravvento sul resto, rendendo molti romanzi degli anni '60 simili a parodie di quelli precedenti) per battere strade nuove, talora in anticipo sui tempi. E' il caso, ad esempio, di Collier Young (pseudonimo di un vecchio grande dell'horror, Robert Bloch, già autore di Psycho) che, con Una questione di cuore (1971) narra una storia di traffico clandestino di organi da trapiantare, quasi profetica, con un ritmo frenetico e una profondità che non ci si aspetta da un'opera di puro intrattenimento; non meno bravo è John Miles, autore di due romanzi capaci di posare definitivamente la pietra tombale sul "sogno americano" in provincia: il primo (Cacciatori nella notte, 1975) claustrofobico nell'ambientazione che ricorda lo Stephen King di I figli del grano; il secondo (Una rapina non tutta da ridere, 1978) amaro e condito da un sarcasmo feroce; in Donald E. Westlake, il compito di rendere l'idea dell'alienazione nelle grandi città, tocca addirittura a un ladro (John Dortmunder), protagonista di una serie (che si apre nel 1971 con Gli ineffabili cinque, da cui sarà tratto il film di Peter Yates La pietra che scotta) in cui l'apparente leggerezza di tono (le battute e le gags si sprecano) maschera una visione molto critica della moderna civiltà urbana e delle sue ossessioni. Un grande autore del noir classico, Bruno Fischer, tornando a pubblicare, nel 1974, un ultimo titolo (Quei sette maledetti giorni) a oltre dieci  anni dal precedente, abbandona anche lui le vecchie atmosfere di gangsters spietati e detectives in trench, per mettere in scena una storia urbana al centro della quale ci sono le pulsioni nascoste che covano sotto la facciata rispettabile di una famiglia apparentemente perfetta. Ma il miglior romanzo americano del decennio è opera di uno scrittore anziano e vicino alla fine, John Roeburt, che, dopo una vita spesa come figura di second'ordine nel mondo dei pulps , realizza con L'hai uccisa tu, Monna Leeds? (1971) una impietosa denuncia delle collusioni tra l'ordine costituito e il mondo dei quattrini e, al tempo stesso, dell'incapacità della "cultura" di reagire quando è messa di fronte alle imposizioni del "potere".
La classica detective story all'americana (l'investigatore solo come un cavaliere medievale in un mondo marcio) trova nuova linfa nell'opera di Bill Pronzini che, a partire da Undici anni di grazia (1972), propone la serie con il personaggio del detective privato Nameless (Senzanome), in cui la solitudine del protagonista non è più attribuita soltanto a una scelta etica, ma appare soprattutto come il riflesso di una più assoluta solitudine personale, tra un'umanità che comunica sempre meno. Le storie con Nameless tengono ben distinta la nostalgia per "i bei tempi che furono" (che, invece, infesta in modo deleterio le opere di altri pur bravi scrittori, come James Crumley) dalle vicende dell'intreccio, ma alla lunga pagano il debito alla natura realistica del personaggio, al punto che alcune di esse sono inutilmente appesantite da digressioni personali che servono a tenere il filo tra una vicenda e l'altra, ma annoiano il lettore. Per questo, i migliori romanzi di Pronzini (ancora attivo e spesso pubblicato anche oggi) sono quelli senza personaggi fissi. Un'altra serie che si afferma in questo periodo è quella di Travis McGee, creata da John D. Macdonald: ma questa, pur comprendendo buoni romanzi (come La sirena reticente del 1970), costituisce un passo indietro nello standard qualitativo dell'autore, che aveva firmato ottime opere senza personaggi fissi nei due decenni precedenti.
Un romanzo che si segnala per la sua originalità è quello che è stato a lungo l'unico tradotto in Italia dall'inglese Miles Tripp (autore di un importante libro di memorie sulla sua esperienza di aviatore in guerra, L'ottavo passeggero), Un uomo senza amici (1971), che narra, in prima persona, di un soggetto tanto egocentrico, tronfio e antipatico da cacciarsi in guai irrimediabili per pura presunzione: la sua patetica fine è tale da destare perfino un'impeto di solidarietà nel lettore. Come pure è originalissimo e sorprendentemente attuale L'unico gioco che conta (1971) dell'americano Eliot Asinof, dedicato alla corruzione nel mondo dello sport (il football, in questo caso, ma Asinof ha scritto anche un testo mai tradotto in Italia sullo scandalo degli “otto uomini fuori” nel baseball del 1919, divenuto anche un famoso film).
Mentre prosegue, mantenendo quasi sempre alto il livello qualitativo, la celebre serie dell'87° distretto di Ed McBain (in questo periodo escono alcuni dei migliori titoli, come Una questione di pane per l'87° distretto del 1976 e Dal passato, incubi per l'87° del 1979), alcuni autori tentano di imitare il modello (come Collin Wilcox e la sua serie di Frank Hastings) ma, anche se i risultati non sono cattivi, il confronto con l'originale è decisamente improponibile.
Dato che il pubblico si mostra disponibile ad accogliere le novità, dalla fine degli anni '60 vengono proposti alcuni titoli che, in precedenza, erano stati scartati per una sorta di autocensura, in quanto reputati troppo cinici e violenti: di fatto, questi romanzi (perlopiù firmati da autori come Jim Thompson, James Hadley Chase e Day Keene) non certo più cinici e violenti della realtà quotidiana, potevano apparire tali perché il pubblico era abituato a vicende e personaggi molto più "di maniera"(secondo i canoni "edificanti" imposti al cinema hollywoodiano dal codice Hays, che avevano giocoforza influenzato anche la narrativa). Non è un caso che, oggi, Thompson e Chase (non Keene, geniale ma troppo discontinuo) siano diventati scrittori cult, ristampati in edizioni per lettori dal palato fino e oggetto di dotti studi; tuttavia, i titoli attribuiti alle edizioni di questo periodo fanno spesso pensare alla volontà di solleticare i più bassi istinti del lettore (Tornerò per farti fuori, La belva che è dentro di me, Fammi un piacere, crepa!, etc.: ma il clou era stato già raggiunto dal raccapricciante Bionda cerca killer inflitto nel 1968 all'ottimo Home is the Sailor di Keene) e questo, sinceramente, non fa onore ai responsabili della collana.
Un'altra importante novità del decennio è la graduale apertura a scuole di giallisti non anglofone: in precedenza, infatti, erano stati presentati solo rarissimi titoli francesi e uno tedesco (a parte gli italiani, che fanno storia a sé). Tra il 1970 e il 1979, esce qualche altro romanzo francese (tra i quali si segnala, nel 1977, Il testamento americano di Francis Ryck, un grande autore di spionaggio: i suoi titoli pubblicati in "Segretissimo" sono assolutamente da non perdere), un altro tedesco (della stessa autrice del primo, L.A. Fortride), uno spagnolo (Don Manuel e le gemelle scomparse, di Francisco Garcia Pavon, 1972), uno cecoslovacco (Dalla sera alla mattina, di Anna Sedlmayerova, 1972), uno danese ma pubblicato originariamente in Gran Bretagna (La ballata dell'impiccato, di Torben Nielsen, 1978), due danesi tradotti dalle versioni originali (Buon appetito, Borck!, 1971 e I soldi e la vita, 1978, di Anders Bodelsen), uno svedese (Il momento della verità, di K.Arne Blom, 1978), due polacchi (Qui Radio Polonia di Jadwiga Woytillo, 1977, e Chi ha paura di Stefan Szalej? di Anna Kormik, 1979), uno giapponese (La morte è in orario di Seicho Matsumoto, 1971) e uno russo, forse "taroccato" (l'edizione originale è francese: Cinque bottiglie di vodka di Youri Vetrov, 1976). I migliori, tra questi, sono probabilmente il Matsumoto (autore conosciuto anche come "il Simenon giapponese") e quelli scandinavi, che pure non sono ancora all'altezza dei loro conterranei Mai Sjowall e Per Wahloo tradotti, tra il 1972 e il 1978, nella quarta serie dei "Gialli Garzanti"; forse non è casuale che, successivamente, siano comparsi nel "Giallo" diversi altri autori di queste due scuole.
Infine, dopo vent'anni di assenza, nel 1977 anche gli autori italiani ricompaiono nella collana: il primo è Secondo Signoroni, con Petrosino e i baffi a manubrio.

A distanza di decenni, il bilancio dell'attività svolta in questo periodo è sicuramente positivo, da ogni punto di vista. Ciò che appare negativo, invece, è che, salvo rare eccezioni (di Chase e Thompson si è già detto; poi la Rendell, Ross Macdonald, Westlake, la Tey, Blake e pochi altri), gli autori e i libri di cui si parla in questo articolo non siano mai stati ristampati. In pratica, il lettore che voglia farsi una cultura sull'argomento deve solo rassegnarsi a sgobbare e "mangiare polvere" (in senso letterale), tra bancarelle dell'usato, fondi di deposito e biblioteche dismesse; oppure rincorrendo faticosamente i testi cercati tra siti in cui qualche intenditore li propone in ottime condizioni a prezzi scoraggianti o qualche profano ne vende qualche copia malridotta a prezzo di realizzo. Ma anche questo, se vogliamo, è in armonia con lo spirito di libertà che caratterizzò il decennio degli anni '70, non perché faccia tanto “Vintage” e quindi sia “In”, ma perché permette di arricchire la propria libreria senza pagare alcun pedaggio (perché, volenti o nolenti, anche gli editori devono pensare a come "fare soldi") alle esigenze del "mercato", alle mode passeggere e a tutto quanto allora veniva combattuto, mentre ora si sta affermando inesorabilmente in ogni campo.














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