mercoledì 9 marzo 2016

L'odissea del volo 19

Alle ore 14:10 del 5 dicembre 1945, il “volo 19”, uno stormo composto da 5 aerosiluranti Grumman TBF Avenger dell'aviazione degli Usa, decollò dalla base di Fort Lauderdale in Florida per una esercitazione di "navigazione stimata"  tra il Golfo del Messico e l'Oceano Atlantico. Era prevista una rotta di circa 90 km verso Sud-Est, in direzione di un relitto incagliato sulla barriera corallina di Hen and Chickens, appartenente oggi al Parco Nazionale Marino delle Florida Keys, il lancio di finti siluri contro il relitto stesso, il proseguimento luno la stessa direzione per altri 108 km,  un giro verso Nord-Ovest per 117 km fino a sorvolare l'isola di Grand Bahama, prima di riprendere la direzione Est verso Fort Lauderdale per 193 km e rientrare tra le 17:00 e le 18:00. 
Poco prima delle 16:00, però, il tenente Taylor (comandante dello stormo, un pilota con oltre 2500 ore di volo alle spalle) e il capitano Powers (uno degli allievi) comunicarono di aver perso la rotta e di non essere in grado di fare il punto della propria posizione, anche se ritenevano di essere ancora sulle Keys perché vedevano la terra, sia pure interrotta da acqua e paludi, sotto di loro. Sebbene invitati dalla base (e da un altro pilota che stava guidando contemporaneamente un'altra esercitazione in una zona vicina, il tenente Fox) a commutare le loro radio di bordo su frequenze diverse da quelle che stavano utilizzando e a procedere tenendo il sole a sinistra e volando verso Nord, non lo fecero. A quel punto, lo stormo aveva già superato la prima fase dell'esercitazione e doveva essere diretto verso l'Oceano Atlantico. Secondo alcune fonti, il comando passò allora a un altro ufficiale, il capitano Stivers, che scambiò con la base alcuni messaggi dal significato sempre più incomprensibile, l'ultimo dei quali diceva “Siamo completamente perduti”; secondo altre, lo stormo restò sotto il comando di Taylor e l'ultimo messaggio diceva "Dobbiamo resistere fino all'atterraggio: quando il primo aereo scende, andremo giù tutti insieme": poco dopo le 18:00, in ogni caso. le trasmissioni dallo stormo cessarono. 
La base attrezzò immediatamente tre aerei di soccorso: un Consolidated PBY Catalina e due idrovolanti Martin Mariner: questi, diretti all'area dell'esercitazione, avrebbero dovuto ricontattare la base ogni mezz'ora: ma, dopo il primo messaggio, uno dei Mariner non si fece più sentire. 
Dello stormo e dell'idrovolante non si seppe più nulla, nonostante le successive ricerche durate 5 giorni, che videro il dispiegamento di 277 aerei e 19 navi. Non fu trovato alcun relitto né tracce dei 27 uomini (14 imbarcati sugli Avenger e 13 sul Mariner) dispersi.
Da questo episodio, nacque la storia del “Triangolo delle Bermude”, prima come leggenda metropolitana e poi come teoria, sostenuta soprattutto da scrittori come Allen Eckert, Vincent Gaddis e Charles Berlitz, autore di un testo dal successo planetario sul tema, che ispirò anche dei film. Berlitz tirava in causa le spiegazioni più fantasiose, dagli Ufo ai mostri marini alla civiltà di Atlantide che sarebbe sopravvissuta sotto il mare. In realtà, qualunque area degli oceani è stata teatro della perdita di navi e aerei e, volendo, chiunque potrebbe imbastire leggende su “triangoli maledetti” localizzati ovunque, esibendo le prove di diverse sparizioni.
Negli anni '70, lo scrittore Richard Winer volle scoprire la verità e si mise in cerca dei testimoni ancora viventi. Un pilota della stessa base gli raccontò che, quel giorno, c'era stato un brusco cambiamento nella direzione del vento, passato da 50 km/h da Sud-Est a 75 km/h da Nord-Ovest, con punte di 150 km/h. Le rotte degli aerei, poiché questi non sono vincolati a terra e vengono deviati dall'azione dei venti, devono essere “compensate” nella giusta direzione: se la mia destinazione è a Nord e ho il vento forte da Est (che mi spinge verso Ovest) devo dirigermi a Nord-Est. Seguendo la rotta prestabilita, i 5 Avengers sarebbero stati spostati dal vento fino a trovarsi, sulla via del ritorno, a viaggiare in direzione opposta a quella che dovevano tenere. Sul mare non ci sono nemmeno i punti di riferimento offerti dalla terra, tranne quelli astronomici, invisibili con il cielo nuvoloso.
Winer continuò le ricerche e conobbe un operatore radio della base di Port Everglades, sempre in Florida, che era stato in contatto con il volo 19. Durante il volo, Fort Lauderdale aveva cercato di localizzare gli aerei col radar, ma la portata di questo non era sufficiente. Invece, da Port Everglades, calcolando la portata delle antenne radio e la potenza del segnale, li avevano localizzati e, dopo aver compreso il problema, avevano dato loro la rotta giusta per tornare. Ma gli aviatori avevano preferito seguire il loro comando, che non era d'accordo.
In pratica, lo stormo, sulla via del ritorno, finì su una rotta che conduceva in mare aperto e si perse nell'Oceano.
Winer scoprì anche che la petroliera “Gainer Mills” aveva segnalato, quel pomeriggio, una violenta esplosione nel cielo di quell'area, seguita dalla caduta di rottami che avevano continuato a bruciare per alcuni minuti sulla superficie del mare. Poi apprese che, nella fretta del decollo, l'equipaggio del Mariner non era stato sottoposto ai normali controlli di sicurezza, che prevedevano il sequestro di ogni oggetto infiammabile. Quindi, l'aereo carico di carburante poteva essere esploso accidentalmente in volo: ad altri Mariner era già accaduto.
Le ricerche di Winer, inoltre, portarono alla luce altri misteri.
Il primo riguarda l'inchiesta militare sulla perdita dei velivoli (la cui conclusione fu che lo stormo si era perso per l'avventatezza di Taylor, che non si era reso conto di trovarsi sulla via giusta per il ritorno e aveva imposto un cambio di rotta sbagliato), di cui molti elementi sono stati sempre tenuti segreti e a tutt'oggi lo sono ancora. Sembra un dettaglio di secondaria importanza, ma non lo è, specie alla luce di quanto sta emergendo negli ultimi anni riguardo le ricerche e gli esperimenti militari compiuti a partire dagli anni '40 nella famosa "Area 51" del Nevada, su cui Annie Jacobsen ha scritto, di recente, un libro illuminante e interessantissimo.
Il secondo riguarda un radar molto potente realizzato in Florida da alcuni tecnici militari usando materiale di scarto, che avrebbe potuto localizzare ogni aereo in un ampio raggio e invece fu distrutto, per ordini del comando generale, non appena se ne ebbe notizia. 
Il terzo è relativo al relitto contenente resti umani di un aereo rinvenuto nel 1961 nell'area al largo di Cape Canaveral, dove il volo 19 avrebbe potuto essere caduto. Si pensava che fosse un Avenger, ma fu poi stabilito che si trattava di un bombardiere in picchiata Douglas SBD Dauntless. Winer compì altre ricerche al riguardo e scoprì, con grande sorpresa, che nessun aereo di quel tipo risultava perduto in quella zona. 
E' anche vero che dal 1986, al largo delle coste della Florida, sono stati ritrovati non pochi relitti di aerei, compresi degli Avengers, risultati poi gettati in mare da portaerei perché danneggiati in modo irreparabile. Ma gli interrogativi sono inquietanti e restano ancora tutti aperti.
Il Grumman TBF "Avenger"

E' stato utilizzato dall'aviazione Usa dal 1942 al 1954

Un'immagine risalente alla Seconda Guerra Mondiale

Il Martin PBM "Mariner"

Lo spaccato rende l'idea delle dimensioni del velivolo
Una ricostruzione dell'accaduto

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