Negli
anni ’60 maturano definitivamente delle istanze di consapevolezza
collettiva dei propri diritti e di quelli altrui, i semi delle quali
erano stati piantati nei due decenni precedenti. La volontà di
costruire un mondo migliore (in senso ecumenico, cioè per tutti)
sono più forti che in qualsiasi altro periodo storico, anche a costo
di dover fare dolorosamente i conti con il passato e di far uscire
sgradevoli scheletri dagli armadi.
La
letteratura gialla non si sottrae a questa tendenza. Si verifica,
anzi, un importante fenomeno: alcuni “tutori della legge”, cioè
dei poliziotti, cominciano a occuparsi attivamente di questo
argomento, come prima non era mai accaduto.
In
precedenza, la narrativa poliziesca si era giovata dell’attività
di numerose figure collaterali impegnate nella repressione o nella
prevenzione del crimine (investigatori privati, giornalisti, giudici,
avvocati, periti forensi, medici legali, etc.), tra i quali
basterebbe ricordare l’ex detective Dashiell Hammett, l’avvocato
Erle Stanley Gardner e il medico Richard Austin Freeman per
comprendere l’importanza di un simile contributo. I poliziotti,
invece, non si erano quasi mai occupati di narrativa, volgendosi
maggiormente alla memorialistica, con opere del genere “e fu così
che acciuffai il gaglioffo per consegnarlo al braccio secolare della
legge onde pagasse il fio delle sue malefatte”. Fino agli anni ’60,
l’idea popolare che voleva i poliziotti quali cani da guardia dello
status quo, era largamente giustificata dal modo in cui essi stessi
si presentavano al pubblico, le rare volte che sentivano la necessità
di presentarsi. I più importanti poliziotti della narrativa (dal
commissario Maigret agli agenti dell’87° Distretto) erano stati
inventati da autori che si erano fatti una gran cultura personale
sull’argomento, ma senza esperienza diretta.
Finalmente,
grazie al vento di libertà che soffia negli anni ’60, la
situazione cambia.
La
figura più importante esordisce nel 1970: un sergente della
Hollenbeck (una delle divisioni della polizia di Los Angeles), il
trentatreenne Joseph Wambaugh, un ex marine originario di Pittsburgh,
narra in modo disincantato e senza retorica la vita quotidiana dei
tutori dell’ordine in I
nuovi centurioni.
Si parla di uomini abbrutiti dal contatto continuo con il male e da
condizioni di lavoro massacranti, tra turni interminabili e nessuna
sicurezza neppure sociale o economica, delle loro famiglie che quasi
sempre finiscono per sfasciarsi e del triste destino che li vede
spesso, al termine del servizio, vittime dell’alcolismo o del
suicidio. Il lettore può aprire gli occhi su una verità che,
probabilmente, ha sempre intuito, ma che nessuno gli aveva mai posto
davanti con altrettanta chiarezza.
La
realtà in cui si muovono questi poliziotti (periferie e suburbi
simili a ghetti, perlopiù abitati da minoranze etniche) non è solo
abbandonata al male e al crimine, ma anche segnata da un vuoto morale
assoluto, del resto largamente giustificato dal sordido squallore che
pervade tutti gli ambienti (resta impressa una scena in un cui un
pensionato si reca in un supermarket per acquistare una scatola di
cibo per cani, l’unico alimento che lui e la moglie possano
permettersi: occorrerebbe farla leggere a qualcuno di quei Soloni
che, sulla base di ragionamenti astratti o di valutazioni
contabilistiche – o, più verosimilmente, considerando solo il
proprio tornaconto – parlano di abolire il Welfare
State come
se fosse un peso per la società).
Il
successo di questo primo libro permette a Wambaugh (che intanto si è
laureato in Letteratura Inglese seguendo i corsi serali dell’UCLA)
di scriverne altri, in cui riprende e amplia il discorso: Il
cavaliere blu
(1972)
e I
ragazzi del coro
(1975)
sono tra i più riusciti; contemporaneamente, si dedica alla stesura
di opere a metà strada tra il saggio e la fiction, ricostruendo casi
reali di cronaca nera: per esempio Il
campo di cipolle
(1973).
Al lettore europeo, Wambaugh può apparire, in certi punti, alquanto
sgradevole; il suo punto di vista, verso i criminali, è decisamente
da “sbirro” (si sente che è contrariato quando non finiscono “a
friggere sulla sedia”), ma ciò non toglie nulla al fascino e al
sapore di verità delle sue storie. Inoltre, non si può ignorare il
fatto che i crimini da lui descritti e i figuri che li hanno commessi
sono così spregevoli che occorre davvero un grosso sforzo di volontà
per non farsi cogliere da raptus di giustizia sommaria.
Naturalmente,
cinema e TV non se lo lasciano scappare: I
nuovi centurioni
diventa
un film del 1972, diretto da Richard Fleischer, e interpretato da
attori del calibro di George C. Scott e Stacy Keach: bello e molto
amaro, rende benissimo la cupezza e il pessimismo del romanzo; nel
1977 tocca a I
ragazzi del coro,
cui mette mano quel genio (sempre molto a suo agio quando si tratta
di noir
e
di violenza) di Robert Aldrich: il risultato è, secondo Paolo
Mereghetti, “quasi un Taxi
Driver
in
versione collettiva, meno romantico e più spietato”: un film che
ha sempre diviso la critica e che lo stesso Wambaugh non ha mai amato
molto. Per quanto riguarda la TV, nel 1973 lo scrittore crea la serie
intitolata Sulle
strade della California,
che costituisce un prodotto di ottima fattura, realistico e ben
curato, ma non incontra il favore che meriterebbe presso il pubblico
in quanto priva di personaggi fissi cui i telespettatori possano
affezionarsi (quando si fa spettacolo, bisogna considerare anche
questo).
Molti
libri di Joseph Wambaugh sono stati tradotti in Italiano e ristampati
più volte, anche in edizione tascabile. Nel 2006, dopo un decennio
di inattività, ha ripreso a scrivere, anche se a ritmi inferiori
rispetto a prima.
Precorritrice
di Wambaugh era stata una ex detective della polizia di New York,
Dorothy Uhnak, nata nel 1930 e dimessa dal corpo di polizia dopo
quattordici anni di onorato servizio per una faccenda di
discriminazioni sessuali. I primi romanzi della Uhnak (con il
personaggio della poliziotta Christie Opara) escono a partire dal
1968 (ma solo due saranno tradotti in Italiano, tra il 1972 e il
1973, nel “Giallo Mondadori”). Sebbene le vicende e i personaggi
siano sempre originali, non ricalcati sugli stereotipi dominanti, le
opere della Unhak risentono di un certo ottimismo tipicamente
americano, che fa perdere loro un po' di mordente, ma si leggono
ancora oggi con grande interesse. Insignita di premi importanti e
stimata specialmente dalla critica femminista, la Unhak continua a
scrivere romanzi, senza personaggi fissi, fino al 1997. Purtroppo, a
parte un piccolo capolavoro (Vittime)
uscito nel Giallo Mondadori nel 1995, i suoi romanzi tradotti in
Italia (tre tra gli anni '70 e gli anni '90), non hanno molta
diffusione. Gravemente ammalata, muore nel 2006, probabilmente
suicida.
Ancora
più interessanti sono i casi riguardanti autori europei, il più
prolifico dei quali è senza dubbio John Wainwright, un ex ufficiale
di Scotland Yard (nonché ex aviatore della RAF e laureato in Legge
all’Università di Londra), vissuto dal 1921 al 1995. Wainwright è
stato capace di pubblicare 79 libri in 30 anni (dal 1965 e il 1995):
il decennio 1970-79 corrisponde al suo periodo di più intensa
attività (ben 39 titoli), oltre che della sua definitiva
affermazione presso il pubblico più vasto. In questo periodo, il
Giallo Mondadori che lo aveva già ospitato una volta, quasi in
sordina, nel 1967, gli traduce cinque titoli (I
cervelli,
1971; Partita
a quattro,
1976; Il
killer dall’indice d’oro,
1977; Il
bastardo,
1978; L’ultimo
atto,
1979) che sono tra i suoi migliori, più altri tre firmati con lo
pseudonimo “Jack Ripley”, permettendo ai lettori italiani di
apprezzarlo in modo adeguato. Diversi altri titoli usciranno in
seguito, consolidandone la fama. Wainwright ha dichiarato, in
un’intervista, di aver cominciato a scrivere perché stufo
dell’incompetenza mostrata dagli scrittori di
detective
stories in
materia di procedure poliziesche e di ispirarsi, per le storie che
racconta (che definisce, appropriatamente, crime
novels)
a casi realmente accaduti, rielaborati però in modo da risultare
irriconoscibili. In effetti, al centro di quasi tutte le vicende
narrate da Wainwright ci sono delinquenti o figure vicine a loro. A
questi personaggi, si contrappongono poliziotti molto “umani”,
dotati non solo di sensibilità, ma anche di diverse debolezze, che
influiscono notevolmente sulla qualità del loro lavoro.
Significativo della mentalità di Wainwright è un romanzo del 1977
(Brainwash,
tradotto in Italiano solo nel 1981 con il titolo Lavaggio
del cervello)
in cui un ometto meschino e insignificante (una sorta di “vittima
sacrificale”) confessa un reato abietto (lo stupro e l’omicidio
di tre bambine) e mai commesso, perché indotto a farlo
dall’assillante pressione psicologica di un funzionario di polizia
(che non lo sottopone a nessun tipo di tortura, ma gli “spezza”
la personalità), a sua volta oppresso da un’opinione pubblica che
pretende “il colpevole” a tutti i costi: prima che la verità sia
ristabilita, la moglie dell’ometto si uccide per la vergogna. E' un
tema analogo a quello al centro dal film di Sidney Lumet Riflessi
in uno specchio scuro
(1972, una delle perle nella cinematografia di Sean Connery) ma
trattato in modo molto più minimalista e, probabilmente, anche più
verosimile.
Non
meno importante, almeno a livello qualitativo,
anche
se pochissimo conosciuto, è Hamilton Jobson, vissuto dal 1914 al
1983, che comincia a scrivere dopo aver maturato un’esperienza
ultraventennale come sovrintendente di Scotland Yard. Jobson si fa
conoscere all’inizio degli anni ’70 con una serie di romanzi che,
pur non raggiungendo una grandissima diffusione, ottengono un
discreto favore da parte della critica; alcuni vengono anche tradotti
il Francia e il Italia (per una strana circostanza, quelli tradotti
in Italiano non sono gli stessi tradotti in Francese, come a
confermare che nessun titolo di Jobson è mai stato un best-seller).
I
romanzi di Jobson tradotti in Italiano trovano comunque un bel po’
di lettori, dato che escono anch'essi nel “Giallo Mondadori”; i
loro titoli meritano di essere citati tutti e sono: L’occasione
fa l’uomo assassino(1971),
L’altra
faccia della vita
(1972),
Processo
al giustiziere
(1972),
Contratto
con un killer (1975)
e Oltre
la legge
(1977).
Un altro romanzo, di spionaggio, esce nella collana “Segretissimo”
nel 1979.
Tipico
di Jobson è il mettere al centro del romanzo un personaggio
qualunque, per lo più in una situazione precaria, che viene
trascinato in mezzo ai guai dal procedere degli eventi. Ad un certo
punto, l’unica via d’uscita appare il ricorso alla polizia, che
interviene a rimettere a posto le cose. I poliziotti (anche il
personaggio dell’ispettore Matt Anders che appare in quasi tutti i
romanzi), sia pure molto umani, vengono mostrati solo nell’esercizio
delle loro funzioni, senza quasi accennare alla loro vita privata;
viceversa, l’autore dà largo spazio alle psicologie dei “civili”
e al loro interagire con l’ambiente sociale. Il delitto non è mai
considerato come frutto di un “male assoluto”, ma come possibile
conseguenza di forze che agiscono costantemente nella società
quotidiana, quando non si intervenga tempestivamente a controllarle.
E’
possibile che Jobson sia stato fortemente influenzato dai racconti di
un geniale giallista del periodo classico (che l’Italia scopre
proprio negli anni ’70, grazie ai “Gialli Garzanti”), Roy
Vickers (1889-1965), inventore della “Sezione casi archiviati” in
cui degli oscuri funzionari di polizia ricostruiscono, a partire da
ogni possibile indizio, i delitti più complessi, smascherandone i
colpevoli: anche in Vickers i delitti, sia pure cervellotici,
avvengono sempre per motivi ben precisi, e le personalità dei
protagonisti costituiscono i motori degli intrecci. Jobson, in un
certo senso, riprende il modello di Vickers, applicandolo però alla
realtà di sua conoscenza e calibrandolo sulla sua pessimistica
visione del mondo (nelle sue opere, non a caso, manca il raffinato
umorismo tipico di quasi tutti i racconti di Vickers).
Forse
è proprio per il suo onesto realismo, sottolineato da una cornice di
lucido minimalismo (una verosimile Gran Bretagna pre-tatcheriana, su
cui già soffiano i venti della crisi economica petrolifera), che
Jobson è sempre rimasto un autore per lettori attenti, ed è
attualmente dimenticato. Qualunque ricerca che lo riguardi, anche sul
Web, non conduce a molto. Neanche la Mondadori, in Italia, lo ha mai
ristampato; ma i suoi romanzi sono sempre a disposizione di chi
voglia perdere un po’ di tempo scartabellando tra le bancarelle di
libri usati che si trovano un po’ dovunque, oppure sui siti come
Ebay: speriamo dunque che un po' di lettori di buona volontà si
decidano presto a riscoprire questo maestro misconosciuto.
Blog interessantissimo ed argomenti intriganti. Complimenti, lo seguirò con curiosità.
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