venerdì 18 marzo 2016

Quando i poliziotti diventarono scrittori

Negli anni ’60 maturano definitivamente delle istanze di consapevolezza collettiva dei propri diritti e di quelli altrui, i semi delle quali erano stati piantati nei due decenni precedenti. La volontà di costruire un mondo migliore (in senso ecumenico, cioè per tutti) sono più forti che in qualsiasi altro periodo storico, anche a costo di dover fare dolorosamente i conti con il passato e di far uscire sgradevoli scheletri dagli armadi.
La letteratura gialla non si sottrae a questa tendenza. Si verifica, anzi, un importante fenomeno: alcuni “tutori della legge”, cioè dei poliziotti, cominciano a occuparsi attivamente di questo argomento, come prima non era mai accaduto.
In precedenza, la narrativa poliziesca si era giovata dell’attività di numerose figure collaterali impegnate nella repressione o nella prevenzione del crimine (investigatori privati, giornalisti, giudici, avvocati, periti forensi, medici legali, etc.), tra i quali basterebbe ricordare l’ex detective Dashiell Hammett, l’avvocato Erle Stanley Gardner e il medico Richard Austin Freeman per comprendere l’importanza di un simile contributo. I poliziotti, invece, non si erano quasi mai occupati di narrativa, volgendosi maggiormente alla memorialistica, con opere del genere “e fu così che acciuffai il gaglioffo per consegnarlo al braccio secolare della legge onde pagasse il fio delle sue malefatte”. Fino agli anni ’60, l’idea popolare che voleva i poliziotti quali cani da guardia dello status quo, era largamente giustificata dal modo in cui essi stessi si presentavano al pubblico, le rare volte che sentivano la necessità di presentarsi. I più importanti poliziotti della narrativa (dal commissario Maigret agli agenti dell’87° Distretto) erano stati inventati da autori che si erano fatti una gran cultura personale sull’argomento, ma senza esperienza diretta.
Finalmente, grazie al vento di libertà che soffia negli anni ’60, la situazione cambia.
La figura più importante esordisce nel 1970: un sergente della Hollenbeck (una delle divisioni della polizia di Los Angeles), il trentatreenne Joseph Wambaugh, un ex marine originario di Pittsburgh, narra in modo disincantato e senza retorica la vita quotidiana dei tutori dell’ordine in I nuovi centurioni. Si parla di uomini abbrutiti dal contatto continuo con il male e da condizioni di lavoro massacranti, tra turni interminabili e nessuna sicurezza neppure sociale o economica, delle loro famiglie che quasi sempre finiscono per sfasciarsi e del triste destino che li vede spesso, al termine del servizio, vittime dell’alcolismo o del suicidio. Il lettore può aprire gli occhi su una verità che, probabilmente, ha sempre intuito, ma che nessuno gli aveva mai posto davanti con altrettanta chiarezza.
La realtà in cui si muovono questi poliziotti (periferie e suburbi simili a ghetti, perlopiù abitati da minoranze etniche) non è solo abbandonata al male e al crimine, ma anche segnata da un vuoto morale assoluto, del resto largamente giustificato dal sordido squallore che pervade tutti gli ambienti (resta impressa una scena in un cui un pensionato si reca in un supermarket per acquistare una scatola di cibo per cani, l’unico alimento che lui e la moglie possano permettersi: occorrerebbe farla leggere a qualcuno di quei Soloni che, sulla base di ragionamenti astratti o di valutazioni contabilistiche – o, più verosimilmente, considerando solo il proprio tornaconto – parlano di abolire il Welfare State come se fosse un peso per la società).
Il successo di questo primo libro permette a Wambaugh (che intanto si è laureato in Letteratura Inglese seguendo i corsi serali dell’UCLA) di scriverne altri, in cui riprende e amplia il discorso: Il cavaliere blu (1972) e I ragazzi del coro (1975) sono tra i più riusciti; contemporaneamente, si dedica alla stesura di opere a metà strada tra il saggio e la fiction, ricostruendo casi reali di cronaca nera: per esempio Il campo di cipolle (1973). Al lettore europeo, Wambaugh può apparire, in certi punti, alquanto sgradevole; il suo punto di vista, verso i criminali, è decisamente da “sbirro” (si sente che è contrariato quando non finiscono “a friggere sulla sedia”), ma ciò non toglie nulla al fascino e al sapore di verità delle sue storie. Inoltre, non si può ignorare il fatto che i crimini da lui descritti e i figuri che li hanno commessi sono così spregevoli che occorre davvero un grosso sforzo di volontà per non farsi cogliere da raptus di giustizia sommaria.
Naturalmente, cinema e TV non se lo lasciano scappare: I nuovi centurioni diventa un film del 1972, diretto da Richard Fleischer, e interpretato da attori del calibro di George C. Scott e Stacy Keach: bello e molto amaro, rende benissimo la cupezza e il pessimismo del romanzo; nel 1977 tocca a I ragazzi del coro, cui mette mano quel genio (sempre molto a suo agio quando si tratta di noir e di violenza) di Robert Aldrich: il risultato è, secondo Paolo Mereghetti, “quasi un Taxi Driver in versione collettiva, meno romantico e più spietato”: un film che ha sempre diviso la critica e che lo stesso Wambaugh non ha mai amato molto. Per quanto riguarda la TV, nel 1973 lo scrittore crea la serie intitolata Sulle strade della California, che costituisce un prodotto di ottima fattura, realistico e ben curato, ma non incontra il favore che meriterebbe presso il pubblico in quanto priva di personaggi fissi cui i telespettatori possano affezionarsi (quando si fa spettacolo, bisogna considerare anche questo).
Molti libri di Joseph Wambaugh sono stati tradotti in Italiano e ristampati più volte, anche in edizione tascabile. Nel 2006, dopo un decennio di inattività, ha ripreso a scrivere, anche se a ritmi inferiori rispetto a prima.
Precorritrice di Wambaugh era stata una ex detective della polizia di New York, Dorothy Uhnak, nata nel 1930 e dimessa dal corpo di polizia dopo quattordici anni di onorato servizio per una faccenda di discriminazioni sessuali. I primi romanzi della Uhnak (con il personaggio della poliziotta Christie Opara) escono a partire dal 1968 (ma solo due saranno tradotti in Italiano, tra il 1972 e il 1973, nel “Giallo Mondadori”). Sebbene le vicende e i personaggi siano sempre originali, non ricalcati sugli stereotipi dominanti, le opere della Unhak risentono di un certo ottimismo tipicamente americano, che fa perdere loro un po' di mordente, ma si leggono ancora oggi con grande interesse. Insignita di premi importanti e stimata specialmente dalla critica femminista, la Unhak continua a scrivere romanzi, senza personaggi fissi, fino al 1997. Purtroppo, a parte un piccolo capolavoro (Vittime) uscito nel Giallo Mondadori nel 1995, i suoi romanzi tradotti in Italia (tre tra gli anni '70 e gli anni '90), non hanno molta diffusione. Gravemente ammalata, muore nel 2006, probabilmente suicida.
Ancora più interessanti sono i casi riguardanti autori europei, il più prolifico dei quali è senza dubbio John Wainwright, un ex ufficiale di Scotland Yard (nonché ex aviatore della RAF e laureato in Legge all’Università di Londra), vissuto dal 1921 al 1995. Wainwright è stato capace di pubblicare 79 libri in 30 anni (dal 1965 e il 1995): il decennio 1970-79 corrisponde al suo periodo di più intensa attività (ben 39 titoli), oltre che della sua definitiva affermazione presso il pubblico più vasto. In questo periodo, il Giallo Mondadori che lo aveva già ospitato una volta, quasi in sordina, nel 1967, gli traduce cinque titoli (I cervelli, 1971; Partita a quattro, 1976; Il killer dall’indice d’oro, 1977; Il bastardo, 1978; L’ultimo atto, 1979) che sono tra i suoi migliori, più altri tre firmati con lo pseudonimo “Jack Ripley”, permettendo ai lettori italiani di apprezzarlo in modo adeguato. Diversi altri titoli usciranno in seguito, consolidandone la fama. Wainwright ha dichiarato, in un’intervista, di aver cominciato a scrivere perché stufo dell’incompetenza mostrata dagli scrittori di detective stories in materia di procedure poliziesche e di ispirarsi, per le storie che racconta (che definisce, appropriatamente, crime novels) a casi realmente accaduti, rielaborati però in modo da risultare irriconoscibili. In effetti, al centro di quasi tutte le vicende narrate da Wainwright ci sono delinquenti o figure vicine a loro. A questi personaggi, si contrappongono poliziotti molto “umani”, dotati non solo di sensibilità, ma anche di diverse debolezze, che influiscono notevolmente sulla qualità del loro lavoro. Significativo della mentalità di Wainwright è un romanzo del 1977 (Brainwash, tradotto in Italiano solo nel 1981 con il titolo Lavaggio del cervello) in cui un ometto meschino e insignificante (una sorta di “vittima sacrificale”) confessa un reato abietto (lo stupro e l’omicidio di tre bambine) e mai commesso, perché indotto a farlo dall’assillante pressione psicologica di un funzionario di polizia (che non lo sottopone a nessun tipo di tortura, ma gli “spezza” la personalità), a sua volta oppresso da un’opinione pubblica che pretende “il colpevole” a tutti i costi: prima che la verità sia ristabilita, la moglie dell’ometto si uccide per la vergogna. E' un tema analogo a quello al centro dal film di Sidney Lumet Riflessi in uno specchio scuro (1972, una delle perle nella cinematografia di Sean Connery) ma trattato in modo molto più minimalista e, probabilmente, anche più verosimile.
Non meno importante, almeno a livello qualitativo, anche se pochissimo conosciuto, è Hamilton Jobson, vissuto dal 1914 al 1983, che comincia a scrivere dopo aver maturato un’esperienza ultraventennale come sovrintendente di Scotland Yard. Jobson si fa conoscere all’inizio degli anni ’70 con una serie di romanzi che, pur non raggiungendo una grandissima diffusione, ottengono un discreto favore da parte della critica; alcuni vengono anche tradotti il Francia e il Italia (per una strana circostanza, quelli tradotti in Italiano non sono gli stessi tradotti in Francese, come a confermare che nessun titolo di Jobson è mai stato un best-seller).
I romanzi di Jobson tradotti in Italiano trovano comunque un bel po’ di lettori, dato che escono anch'essi nel “Giallo Mondadori”; i loro titoli meritano di essere citati tutti e sono: L’occasione fa l’uomo assassino(1971), L’altra faccia della vita (1972), Processo al giustiziere (1972), Contratto con un killer (1975) e Oltre la legge (1977). Un altro romanzo, di spionaggio, esce nella collana “Segretissimo” nel 1979.
Tipico di Jobson è il mettere al centro del romanzo un personaggio qualunque, per lo più in una situazione precaria, che viene trascinato in mezzo ai guai dal procedere degli eventi. Ad un certo punto, l’unica via d’uscita appare il ricorso alla polizia, che interviene a rimettere a posto le cose. I poliziotti (anche il personaggio dell’ispettore Matt Anders che appare in quasi tutti i romanzi), sia pure molto umani, vengono mostrati solo nell’esercizio delle loro funzioni, senza quasi accennare alla loro vita privata; viceversa, l’autore dà largo spazio alle psicologie dei “civili” e al loro interagire con l’ambiente sociale. Il delitto non è mai considerato come frutto di un “male assoluto”, ma come possibile conseguenza di forze che agiscono costantemente nella società quotidiana, quando non si intervenga tempestivamente a controllarle.
E’ possibile che Jobson sia stato fortemente influenzato dai racconti di un geniale giallista del periodo classico (che l’Italia scopre proprio negli anni ’70, grazie ai “Gialli Garzanti”), Roy Vickers (1889-1965), inventore della “Sezione casi archiviati” in cui degli oscuri funzionari di polizia ricostruiscono, a partire da ogni possibile indizio, i delitti più complessi, smascherandone i colpevoli: anche in Vickers i delitti, sia pure cervellotici, avvengono sempre per motivi ben precisi, e le personalità dei protagonisti costituiscono i motori degli intrecci. Jobson, in un certo senso, riprende il modello di Vickers, applicandolo però alla realtà di sua conoscenza e calibrandolo sulla sua pessimistica visione del mondo (nelle sue opere, non a caso, manca il raffinato umorismo tipico di quasi tutti i racconti di Vickers).
Forse è proprio per il suo onesto realismo, sottolineato da una cornice di lucido minimalismo (una verosimile Gran Bretagna pre-tatcheriana, su cui già soffiano i venti della crisi economica petrolifera), che Jobson è sempre rimasto un autore per lettori attenti, ed è attualmente dimenticato. Qualunque ricerca che lo riguardi, anche sul Web, non conduce a molto. Neanche la Mondadori, in Italia, lo ha mai ristampato; ma i suoi romanzi sono sempre a disposizione di chi voglia perdere un po’ di tempo scartabellando tra le bancarelle di libri usati che si trovano un po’ dovunque, oppure sui siti come Ebay: speriamo dunque che un po' di lettori di buona volontà si decidano presto a riscoprire questo maestro misconosciuto.












2 commenti:

  1. Blog interessantissimo ed argomenti intriganti. Complimenti, lo seguirò con curiosità.

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  2. Blog interessantissimo ed argomenti intriganti. Complimenti, lo seguirò con curiosità.

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