martedì 15 marzo 2016

L'incubo della nave fantasma

Il 23 luglio 1909, il transatlantico inglese Waratah attraccò al porto sudafricano di Durban, sull'Oceano Indiano. In servizio dall'anno precedente, tornava in patria dal suo secondo viaggio, che lo aveva portato fino a Melbourne; aveva a bordo diverse tonnellate di merci e 212 passeggeri. Durante lo scalo, sbarcò un passeggero, scaricò alcune merci e ne caricò altre, tra cui alcuni quintali di piombo grezzo, destinato alle fonderie di Città del Capo.
La mattina del 25 luglio, il Waratah ripartì, con rotta a Sud-Ovest verso il Capo di Buona Speranza e poi Città del Capo. Da quel momento, scomparve. Come molte navi del suo tempo, il Waratah non era equipaggiato con la radio. Incontrò quasi certamente altre due navi (la Guelph che procedeva in direzione opposta e la Clan McIntyre, che procedeva nella stessa direzione e fu superata dal Waratah) che scambiarono con esso alcuni segnali luminosi, resi difficilmente comprensibili dal cielo cupo e dal mare tempestoso. Le condizioni meteorologiche dell'area, infatti, si erano rapidamente deteriorate, con un vento che soffiava a 90 Km/h sollevando onde alte anche 9 metri. Un'altra nave di passaggio, la Harlow, la sera del 27 luglio, a circa 350 km da Durban, vide una grossa imbarcazione muoversi lungo la rotta che avrebbe dovuto tenere il Waratah: cacciava molto fumo (al punto che il capitano della Harlow si chiese se fosse in fiamme) ma sembrava procedere speditamente verso la Harlow; prima che la raggiungesse, però, dopo due lampi nel cielo, le luci dell'imbarcazione misteriosa si spensero ed essa non fu più visibile.
Dopo le brevi annotazioni ritrovate sui libri di bordo della Guelph e della Clan McIntyre, non si è mai ritrovata nessuna traccia della nave, del carico e delle 211 persone rimaste a bordo.
Le ricerche non partirono immediatamente. La zona è da sempre nota per le tempeste (il navigatore portoghese Bartolomeu Dias che la esplorò per primo alla fine del XV secolo chiamò inizialmente Capo Tempestoso quello che oggi si chiama Capo di Buona Speranza) e non era raro che le navi rallentassero o cambiassero rotta per evitarle. Solo alcuni giorni dopo il mancato arrivo del Waratah, le autorità portuali di Città del Capo deciso di inviare un rimorchiatore a cercarlo. Dopo che questo non trovò nulla, furono inviate tre navi militari, gli incrociatori Pandora, Forte e Hermes, la cui ricerca fu ugualmente infruttuosa (l'Hermes, ultimo a partire, incontrò un mare talmente tempestoso da risultare pesantemente danneggiato). Altre due navi di passaggio segnalarono la presenza di corpi umani che galleggiavano sul mare, ma tali segnalazioni non furono poi confermate.
Quando la notizia giunse in Inghilterra, i giornali si lasciarono andare a ogni genere di illazioni, arrivando a sostenere che la nave, resa ingovernabile da un guasto, fosse andata alla deriva mentre i passeggeri si ammazzavano e si divoravano a vicenda, fino ad arrivare sulle sponde dell'Antartide, dove gli ultimi superstiti sarebbero morti assiderati. I parenti dei passeggeri a bordo, facendo una colletta, noleggiarono la nave Wakefield, che condusse altre ricerche, durate tre mesi, senza scoprire nulla di nuovo.
Verosimilmente, il Waratah doveva essere affondato tra il primo e il terzo giorno di viaggio, ma non si capiva come.
L'inchiesta al riguardo, svolta a Città del Capo, evidenziò alcuni importanti dettagli: la nave era di concezione molto moderna, lunga e affusolata per raggiungere maggiori velocità consumando meno carbone. Questo vantaggio determinava però una perdita di stabilità, che accentuava l'escursione dei beccheggi (le oscillazioni tra la parte anteriore e quella posteriore dello scafo) e i rollii (le oscillazioni laterali) in risposta al contatto con le onde. Il fenomeno poteva determinare degli spostamenti del carico, quando non fosse fissato bene o difficile da fissare (come il piombo grezzo), rendendo i movimenti così forti da far ribaltare la nave.
L'elemento più impressionante dell'inchiesta fu la deposizione del passeggero sbarcato a Durban, l'ingegnere inglese Claude Gustav Sawyer: questi, dichiarò di essere stato tormentato per tutto il viaggio da un incubo ricorrente, nel quale gli appariva un cavaliere medievale dall'armatura sporca di sangue, che emergeva dalle acque marine e chiamava il nome della nave mentre questa si inabissava. Alla fine, non lo aveva più sopportato e si era fatto sbarcare.
Il Waratah divenne oggetto di leggende e speculazioni metafisiche di ogni tipo; fino a quando, nel 1987, lo scrittore americano Clive Cussler decise di occuparsene. Cussler, autore di romanzi di avventura che hanno venduto milioni di copie, è noto per aver impiegato gran parte dei suoi guadagni per fondare una società (National Underwater and Marine Agency o NUMA) specializzata nel ritrovamento, recupero e restauro di relitti di interesse storico, che sono poi regalati ai Musei e alle Città della Scienza che li richiedono. Ovviamente, riceve l'aiuto di molti sponsor. Sull'attività della NUMA, ha scritto due bellissimi libri, Navi fantasma e Cacciatori del mare, editi in Italia dalla Tea. Nonostante l'area di ricerca fosse sede di frequenti tempeste, i tecnici della NUMA riuscirono a identificare quello che pareva il relitto giusto nel posto giusto e lo recuperarono, ma risultò essere quello del mercantile inglese Nailsea Meadow, disperso nel 1942. Si stabilì che era stato affondato da un sommergibile. Ma il Waratah?
A forza di cercare, Cussler trovò nuovi indizi: nel 1925, il pilota militare D.J. Roos, che stava testando un nuovo modello di aereo, si trovò a passare sul mare nell'area tra Durban e Città del Capo. In una giornata limpidissima e con il mare calmo, vide distintamente una nave, al largo della foce del fiume Xora, appoggiata sul fondo marino a circa 60 metri di profondità. Era lunga sui 150 metri, lo scafo nero e il ponte giallo, proprio come il Waratah. Purtroppo, nei giorni successivi, il maltempo gli impedì di tornare sul posto e mappare esattamente la posizione. Poi saltò fuori una comunicazione redatta da un cacciatore, Joe Conquer, che il 26 luglio 1909 era accampato alla foce dello Xora. Conquer scriveva di aver visto una nave dallo scafo nero e il ponte giallo, lunga sui 150 metri, che cercava con difficoltà di manovrare in modo da tornare verso costa per sfuggire a una serie di onde anomale, fino a quando un'onda più alta delle altre l'aveva sommersa e letteralmente spinta sul fondo.
Il relitto del Waratah resta ancora da trovare. La zona di mare tra Durban e Città del Capo non è neanche facile da perlustrare, clima a parte, essendo piena di relitti di navi affondate dagli U-boot tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale.
E l'incubo di Claude Gustav Sawyer? Secondo una ricerca moderna, forse non era un testimone molto attendibile: in fondo, il suo biglietto arrivava solo fino a Città del Capo, sbarcò all'ultimo scalo prima di arrivare a destinazione. Secondo altri pareri, la sua precognizione andrebbe considerata tanto più valida proprio alla luce di questo, perché il sogno gli avrebbe anche fatto comprendere in qualche modo dove e quando si sarebbe avuto il disastro. L'opinione degli psicologi è però che l'ingegnere, di professione progettista proprio di navi, avesse ben presenti i rischi che correva a bordo del Waratah ma, di giorno, cercasse di non pensarci; mentre, di notte, il suo inconscio desse alle sue paure la forma dell'incubo. Di fatto un avvertimento, non giunto da forze soprannaturali ma dal lato nascosto della sua personalità: che, però, bastò a salvarlo. Visse ancora, infatti, fino all'età di 73 anni. Morì nel 1925.
Il SS Waratah, della compagnia Blue Anchor Line

Un'altra immagine della nave
Claude Gustav Sawyer
L'area in cui avvenne il disastro: la foce dello Xora si trova tra Durban e East London

Panoramica del tratto finale dello Xora, la cui foce è a estuario


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