Il 23 luglio 1909, il transatlantico
inglese Waratah attraccò al porto sudafricano di Durban,
sull'Oceano Indiano. In servizio dall'anno precedente, tornava in
patria dal suo secondo viaggio, che lo aveva portato fino a
Melbourne; aveva a bordo diverse tonnellate di merci e 212
passeggeri. Durante lo scalo, sbarcò un passeggero, scaricò alcune
merci e ne caricò altre, tra cui alcuni quintali di piombo grezzo,
destinato alle fonderie di Città del Capo.
La mattina del 25 luglio, il Waratah
ripartì, con rotta a Sud-Ovest verso il Capo di Buona Speranza e poi
Città del Capo. Da quel momento, scomparve. Come molte navi del suo
tempo, il Waratah non era equipaggiato con la radio. Incontrò
quasi certamente altre due navi (la Guelph che procedeva in
direzione opposta e la Clan McIntyre, che
procedeva nella stessa direzione e fu superata dal Waratah)
che scambiarono con esso alcuni segnali luminosi, resi difficilmente
comprensibili dal cielo cupo e dal mare tempestoso. Le condizioni
meteorologiche dell'area, infatti, si erano rapidamente deteriorate,
con un vento che soffiava a 90 Km/h sollevando onde alte anche 9
metri. Un'altra nave di passaggio, la Harlow, la sera del 27
luglio, a circa 350 km da Durban, vide una grossa imbarcazione
muoversi lungo la rotta che avrebbe dovuto tenere il Waratah:
cacciava molto fumo (al punto che il capitano della Harlow si
chiese se fosse in fiamme) ma sembrava procedere speditamente verso
la Harlow; prima che la raggiungesse, però, dopo due lampi
nel cielo, le luci dell'imbarcazione misteriosa si spensero ed essa
non fu più visibile.
Dopo le brevi annotazioni ritrovate sui
libri di bordo della Guelph e della Clan McIntyre, non
si è mai ritrovata nessuna traccia della nave, del carico e delle
211 persone rimaste a bordo.
Le ricerche non partirono
immediatamente. La zona è da sempre nota per le tempeste (il
navigatore portoghese Bartolomeu Dias che la esplorò per primo alla
fine del XV secolo chiamò inizialmente Capo Tempestoso quello
che oggi si chiama Capo di Buona Speranza) e non era raro che
le navi rallentassero o cambiassero rotta per evitarle. Solo alcuni
giorni dopo il mancato arrivo del Waratah, le autorità
portuali di Città del Capo deciso di inviare un rimorchiatore a
cercarlo. Dopo che questo non trovò nulla, furono inviate tre navi
militari, gli incrociatori Pandora, Forte e Hermes,
la cui ricerca fu ugualmente infruttuosa (l'Hermes, ultimo a
partire, incontrò un mare talmente tempestoso da risultare
pesantemente danneggiato). Altre due navi di passaggio segnalarono la
presenza di corpi umani che galleggiavano sul mare, ma tali
segnalazioni non furono poi confermate.
Quando la notizia giunse in
Inghilterra, i giornali si lasciarono andare a ogni genere di
illazioni, arrivando a sostenere che la nave, resa ingovernabile da
un guasto, fosse andata alla deriva mentre i passeggeri si
ammazzavano e si divoravano a vicenda, fino ad arrivare sulle sponde
dell'Antartide, dove gli ultimi superstiti sarebbero morti
assiderati. I parenti dei passeggeri a bordo, facendo una colletta,
noleggiarono la nave Wakefield, che condusse altre ricerche,
durate tre mesi, senza scoprire nulla di nuovo.
L'inchiesta al riguardo, svolta a Città
del Capo, evidenziò alcuni importanti dettagli: la nave era di
concezione molto moderna, lunga e affusolata per raggiungere maggiori
velocità consumando meno carbone. Questo vantaggio determinava però
una perdita di stabilità, che accentuava l'escursione dei beccheggi
(le oscillazioni tra la parte anteriore e quella posteriore dello
scafo) e i rollii (le oscillazioni laterali) in risposta al contatto
con le onde. Il fenomeno poteva determinare degli spostamenti del
carico, quando non fosse fissato bene o difficile da fissare (come il
piombo grezzo), rendendo i movimenti così forti da far ribaltare la
nave.
L'elemento più impressionante
dell'inchiesta fu la deposizione del passeggero sbarcato a Durban,
l'ingegnere inglese Claude Gustav Sawyer: questi, dichiarò di essere stato
tormentato per tutto il viaggio da un incubo ricorrente, nel quale
gli appariva un cavaliere medievale dall'armatura sporca di sangue,
che emergeva dalle acque marine e chiamava il nome della nave mentre
questa si inabissava. Alla fine, non lo aveva più sopportato e si
era fatto sbarcare.
Il Waratah divenne oggetto di
leggende e speculazioni metafisiche di ogni tipo; fino a quando, nel
1987, lo scrittore americano Clive Cussler decise di occuparsene.
Cussler, autore di romanzi di avventura che hanno venduto milioni di
copie, è noto per aver impiegato gran parte dei suoi guadagni per
fondare una società (National Underwater and Marine Agency o
NUMA) specializzata nel ritrovamento, recupero e restauro di relitti
di interesse storico, che sono poi regalati ai Musei e alle Città
della Scienza che li richiedono. Ovviamente, riceve l'aiuto di molti
sponsor. Sull'attività della NUMA, ha scritto due bellissimi libri,
Navi fantasma e Cacciatori del mare, editi in Italia
dalla Tea. Nonostante l'area di ricerca fosse sede di frequenti
tempeste, i tecnici della NUMA riuscirono a identificare quello che
pareva il relitto giusto nel posto giusto e lo recuperarono, ma
risultò essere quello del mercantile inglese Nailsea Meadow,
disperso nel 1942. Si stabilì che era stato affondato da un
sommergibile. Ma il Waratah?
A forza di cercare, Cussler trovò
nuovi indizi: nel 1925, il pilota militare D.J. Roos, che stava
testando un nuovo modello di aereo, si trovò a passare sul mare
nell'area tra Durban e Città del Capo. In una giornata limpidissima
e con il mare calmo, vide distintamente una nave, al largo della foce
del fiume Xora, appoggiata sul fondo marino a circa 60 metri di
profondità. Era lunga sui 150 metri, lo scafo nero e il ponte
giallo, proprio come il Waratah. Purtroppo, nei giorni
successivi, il maltempo gli impedì di tornare sul posto e mappare
esattamente la posizione. Poi saltò fuori una comunicazione redatta
da un cacciatore, Joe Conquer, che il 26 luglio 1909 era accampato
alla foce dello Xora. Conquer scriveva di aver visto una nave dallo
scafo nero e il ponte giallo, lunga sui 150 metri, che cercava con
difficoltà di manovrare in modo da tornare verso costa per sfuggire
a una serie di onde anomale, fino a quando un'onda più alta delle
altre l'aveva sommersa e letteralmente spinta sul fondo.
Il relitto del Waratah resta
ancora da trovare. La zona di mare tra Durban e Città del Capo non è
neanche facile da perlustrare, clima a parte, essendo piena di
relitti di navi affondate dagli U-boot tedeschi durante la Seconda
Guerra Mondiale.
E l'incubo di Claude Gustav Sawyer? Secondo una ricerca moderna, forse non era un testimone molto attendibile: in fondo, il suo biglietto arrivava solo fino a Città del Capo, sbarcò all'ultimo scalo prima di arrivare a destinazione. Secondo altri pareri, la sua precognizione andrebbe considerata tanto più valida proprio alla luce di questo, perché il sogno gli avrebbe anche fatto comprendere in qualche modo dove e quando si sarebbe avuto il disastro. L'opinione degli psicologi è però che l'ingegnere, di professione
progettista proprio di navi, avesse ben presenti i rischi che correva
a bordo del Waratah ma, di giorno, cercasse di non pensarci;
mentre, di notte, il suo inconscio desse alle sue paure la forma
dell'incubo. Di fatto un avvertimento, non giunto da forze
soprannaturali ma dal lato nascosto della sua personalità: che,
però, bastò a salvarlo. Visse ancora, infatti, fino all'età di 73 anni. Morì nel 1925.
Il SS Waratah, della compagnia Blue Anchor Line
Un'altra immagine della nave
Claude Gustav Sawyer
L'area in cui avvenne il disastro: la foce dello Xora si trova tra Durban e East London
Panoramica del tratto finale dello Xora, la cui foce è a estuario
Interessantissimo.
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